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Giorno della Memoria, l’intervista al Prefetto Francesco Tagliente figlio di un deportato

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In occasione del “Giorno della Memoria” istituita con legge 20 luglio 2000, vengono promosse una serie di iniziative di alto valore etico e di contenuto simbolico ed evocativo per riflettere in modo approfondito sugli accadimenti del secondo conflitto mondiale. E’ oramai consuetudine che, il 27 gennaio di ogni anno, nelle sedi istituzionali si svolgano cerimonie commemorative alle quali partecipano rappresentanti delle Istituzioni, personalità del mondo della cultura, rappresentanti delle Associazioni di ex internati e deportati, della Comunità ebraica, nonché numerose autorità politiche, civili e militari e, soprattutto, studenti. Vengono organizzate cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.

In vista della importante ricorrenza del 27 gennaio abbiamo voluto sentire alcune riflessioni sul “Giorno della Memoria” da parte di una figura istituzionale, il Prefetto Francesco Tagliente figlio di Donato Tagliente, militare che dopo l’8 settembre per essersi rifiutato di collaborare con i tedeschi, fu deportato nei campi nazisti in Germania.
Dopo la proclamazione dell’Armistizio, l’8 settembre del 1943, i nostri soldati vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file dell’esercito tedesco o, in caso contrario, essere deportati nei campi di lavoro in Germania. Donato Tagliente di fronte a quella difficile scelta, decise di non venire meno ai suoi doveri, nella consapevolezza che solo così la sua Patria un giorno avrebbe riacquistato la propria dignità di Nazione libera. Rifiutando l’arruolamento nelle file dell’esercito tedesco, Donato Tagliente venne fatto “prigioniero” e internato in un campo di concentramento in condizioni di vita disumane e sottoposto a privazioni di ogni sorta.

IL VIDEO SERVIZIO DEDICATO A DONATO TAGLIENTE [Officina Stampa del 26/01/2017]

Il prefetto Francesco Tagliente si mostrato disponibile a rispondere alle nostre domande chiarendo però che avrebbe preferito parlare del significato della celebrazione

Dottor Tagliente la Giornata della Memoria si celebra per non dimenticare e per far riflettere le giovani generazioni sulla immane tragedia che sconvolse il popolo ebraico e migliaia cittadini italiani, militari e civili, che internati e deportati in Germania, molti dei quali, peraltro, non fecero più ritorno in Patria. Cosa rappresenta per un Funzionario dello Stato figlio di un deportato questa ricorrenza?
La ricorrenza si colloca in un quadro storico complesso e sofferto, che ha comportato profondi turbamenti, grandi sofferenze e lutti. E’ il momento della riflessione su quello che il nostro paese ha vissuto negli anni più angosciosi della sua storia e che non vuole mai più rivivere. E’ una ricorrenza che celebriamo per non dimenticare, rivolta soprattutto a quelle generazioni di giovani lontane dagli anni dell’orrore dell’Olocausto. Questa ricorrenza deve essere l’occasione per ricordarci che dobbiamo fare tutto ciò che possiamo e dobbiamo perché il passato non si riproponga, né ora né per le generazioni future. Le motivazioni che stanno alla base dell’istituzione di questa ricorrenza devono essere tenute sempre ben presenti, nella consapevolezza della responsabilità che abbiamo, come comunità civile, di non dimenticare, neanche per un momento, la lezione che proviene dal passato e di doverla trasmettere ai giovani.

Cosa direbbe ai giovani in occasione di questa ricorrenza?
Ai giovani direi siete il futuro, dovete costruirlo nella memoria di quanti sono morti e hanno sofferto a causa del sonno della ragione, che ha generato le malvagità del XX secolo; nella memoria di quanti hanno vissuto e si sono impegnati affinché la ragione vigile facesse nascere forme di convivenza in cui l’uomo è un fine in sé stesso; nella memoria, quindi, dei nostri padri costituenti e di quel meraviglioso baluardo di civiltà che è la nostra Costituzione repubblicana, frutto dell’incontro di molteplici visioni del mondo, a volte inconciliabili, ma tese a fare in modo che ogni essere umano possa vedere riconosciuti la dignità e i diritti che, in quanto tale, gli spettano.

Vorrei concludere la nostra conversazione che lei in vista della ricorrenza del Giorno della Memoria ha voluto salutare e rendere omaggio a uno dei pochi reduci della deportazione ancora in vita, il suo concittadino di Crispiano, Vittorio Caroli. Lo ha fatto per spirito di campanilismo o cosa?
Vittorio Caroli è una delle poche testimonianze dirette ancora in vita. A 95 anni compiuti è stato colpito da un lieve ictus ma il danno cerebrale non lo ha però privato delle totali facoltà della parola dell’udito, della vista e della memoria. La malattia che lo ha colpito non ha cancellato dalla sua mente le terribili esperienze. Quelle terribili esperienze raccontate e trasmesse ai ragazzi di oggi possono avere un valore assoluto.

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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In evidenza

Roma, aggressioni e borseggi in metro. Riccardi (UdC): “Linea più dura per garantire la sicurezza pubblica”

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“Ci troviamo ad affrontare un problema che il Governo non può più ignorare: i borseggiatori operano impuniti nelle metropolitane di Roma. Questa situazione è inaccettabile e richiede un intervento deciso e immediato. Ritengo che la sicurezza dei cittadini debba essere una priorità assoluta e che la moderazione non significhi inazione”.
È assai dura la reazione del commissario cittadino di Roma Capitale dell’UdC, il dottor Roberto Riccardi, circa le continue, ripetute aggressioni e borseggi nella Capitale.

Dottor Riccardi secondo Lei dove bisogna intervenire in fretta nella legislazione italiana in tale materia?
I recenti episodi di furto nei mezzi pubblici mettono in luce una legislazione troppo permissiva. La normativa attuale, che prevede l’intervento delle Forze dell’Ordine solo su querela dei borseggiati, è del tutto inefficace. Questo non solo rallenta l’intervento delle autorità, ma spesso disincentiva le vittime a denunciare, sapendo che le conseguenze per i borseggiatori saranno minime o inesistenti.
Le leggi attuali non sono sufficienti per contrastare efficacemente questo fenomeno. È necessario un cambio di rotta deciso.

il commissario cittadino UdC di Roma Capitale, dottor Roberto Riccardi

E cosa può fare in più, in questo frangente, l’organo giudiziario?
Bisogna smettere di essere troppo indulgenti con i delinquenti. Va adottata una linea più dura per garantire la sicurezza pubblica.
Lei rappresenta uno dei partiti di governo nazionale. Esiste una vostra “ricetta” in merito?
Ecco le misure che proponiamo; arresto obbligatorio per i borseggiatori con l’introduzione dell’arresto obbligatorio per chiunque venga colto in flagrante a commettere furti nei mezzi pubblici. Questo deterrente è essenziale per scoraggiare i delinquenti e proteggere i cittadini.
Modifica della normativa vigente; bisogna consentire l’intervento delle Forze dell’Ordine anche in assenza di querela da parte della vittima, permettendo un’azione tempestiva e decisa contro i borseggiatori.
Inasprimento delle pene ed introduzione di sanzioni più severe per i reati di furto, specialmente quando commessi in luoghi pubblici e affollati come le metropolitane.
Campagne di sensibilizzazione informando i cittadini sui loro diritti e sull’importanza di denunciare ogni atto di borseggio, contribuendo così a creare una comunità più sicura e coesa.
Ma Lei crede che con tali misure si possa mettere un argine alla questione che preoccupa non solo i romani ma le decine di migliaia di turisti che ogni giorno arrivano nella capitale?
Non possiamo più permetterci di essere indulgenti. Dobbiamo agire con fermezza per garantire la sicurezza di tutti i nostri cittadini.
Le Forze dell’Ordine devono essere messe nelle condizioni di poter agire senza ritardi e senza ostacoli burocratici.
Dobbiamo essere determinati nello spuntare le armi dei buonisti ed a ripristinare la legalità nelle nostre strade e nelle nostre metropolitane. Solo con un intervento deciso e risoluto potremo garantire una Roma più sicura e vivibile per tutti.

Risposte chiare e concrete quelle del commissario cittadino UdC di Roma Capitale Roberto Riccardi.
Ci auguriamo che questa volta la politica affronti davvero con tale determinazione questa assenza di sicurezza per i romani e per le migliaia di turisti che si apprestano a giungere nella Capitale per l’imminente apertura, il 24 dicembre 2024, dell’Anno Giubilare.

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