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GIORNALISTI, PERCHE’?
DI ROBERTO RAGONE
Al giornalismo ci si avvicina per passione. Punto. Ciò che succede in appresso dipende da molteplici fattori, che non è qui il caso di analizzare. Fatto sta che ci sono colleghi che fanno opinione sui ‘grandi’ giornali e in televisione, e tanti che invece si accontentano di vedere pubblicato il proprio scritto da qualche parte, senza compenso, e il più delle volte senza un’iscrizione al tanto agognato Albo professionale. Insomma, comune denominatore è comunque la passione: per le notizie, per gli scoop, per la politica, per la musica, per le arti, per la cultura, eccetera. Come vediamo la nostra posizione nei confronti dei fruitori delle nostre fatiche? Certo in maniera positiva: informare i lettori, in ogni senso, sia qualcosa che dovrebbe creare gratitudine nei confronti di chi scrive. Come pure ritengo che informare a proposito di notizie, situazioni e personaggi che hanno avuto, e hanno ancora, l’onore delle cronache, sia meritevole d’attenzione. Ma non tutti la pensano allo stesso modo, e si rimane male quando ci si scontra con una posizione, seppur legittima, di rifiuto di un’intervista, magari telefonica, che, previo accordo, porterebbe via pochi minuti, e darebbe modo al giornalista di fare il suo mestiere, cioè quello di produrre qualcosa di interessante da pubblicare. Poco importa se la testata è prestigiosa, o poco dovrebbe importare: il rispetto per la dignità e per il lavoro di ognuno dovrebbe essere scontato. Rifiutare un’intervista è legittimo, ripeto, e comprensibile. Meno comprensibile è la posizione di alcuni che senza alcun apparente motivo adottano tattiche scorrette per rifiutare un colloquio. Per esempio quando, contattato telefonicamente un avvocato, assurto agli onori della cronaca – soprattutto in televisione – per essersi occupato di un caso di ‘nera’ divenuto molto famoso, – e non magari per essere un ‘principe del foro’, – lo stesso ti inviti a richiamare dopo cinque minuti, il tempo necessario per inserire il fax sul numero di telefono, impedendo così di fatto un’ulteriore conversazione. La chiarezza è stata sempre la mia bandiera, insieme alla verità. Se qualcuno mi dovesse rifiutare un’intervista – e finora mi è successo soltanto una volta, per motivi più che comprensibili – il rispetto per l’altro sarebbe doveroso, come in effetti è. Solo alle Iene lasciamo di rincorrere le loro vittime per strada o negli androni di palazzi ufficiali. Non è questo il nostro obiettivo. Ma agire come ha fatto quel ‘famoso per caso’, avvocato, denota mancanza di rispetto per la persona e disprezzo per la professione. È pur vero che questi personaggi bisogna comprenderli: balzare improvvisamente all’attenzione di Rai e Mediaset, magari in compagnia di una fascinosa e più che competente criminologa, provenendo da una provincia non certo ricca ed evoluta, solo per aver accettato un incarico difensivo – anche se poi lo stesso è stato revocato – può cambiare il metro di giudizio di una persona. Ricorrere al sotterfugio, invece di parlare con chiarezza, indica una personalità che forse non si è completamente evoluta. Da parte nostra bisogna comprendere; comprendere e perdonare. Ma dall’altra parte bisogna capire che in una società civile il sotterfugio e la scorrettezza appartengono ai poveri di spirito.
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