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di Angelo Barraco
Gerusalemme – “La preghiera non è un ozioso passatempo per vecchie signore. Propriamente compresa e applicata, è lo strumento d’azione più potente” diceva Mahatma Gandhi, ma spesso, quando la preghiera è uno strumento d’azione e di riflessione, arrivano le armi che mettono in subbuglio una circostanza così delicata ed intima. E’ esattamente quanto successo nella moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, dove la polizia israeliana ha fatto irruzione in codesto luogo che è considerato il terzo luogo sacro dell’Islam e sono scoppiati degli scontri proprio mentre i palestinesi stavano pregando, all'interno della moschea sarebbero stati lanciati gas lacrimogeni e sui social si parla di "attacco sionista". La polizia riferisce che l’irruzione è stata compiuta per far sgomberare dei palestinesi che erano sospettati di possedere armi in vista di una rivolta. La polizia ha lanciato un comunicato in merito all’azione compiuta e afferma che ribelli a volto coperto “si sono rifugiari nella moschea e dall'interno hanno cominciato a lanciare pietre e mattoni contro la polizia. Hanno lanciato petardi direttamente sulla polizia – continua il comunicato- vista la durezza degli scontri e l'escalation dell'azione dei rivoltosi, allo scopo di prevenire ulteriori feriti tra la polizia le forze di sicurezza sono entrate per alcuni metri nel perimetro della moschea e ne hanno chiuso le porte, con i ribelli all'interno, per ristabilire l'ordine”. Ma tali disordini hanno avuto il loro inizio quanto diversi giovani palestinesi, molti dei quali con indosso una maschera, avevano tentato di impedire l’accesso alla spianata delle moschee dei religiosi israeliani che si erano recali li in occasione della festività di Tishà Beav. Nel momento in cui la polizia è intervenuta, hanno iniziato a lanciare sassi contro gli agenti e hanno lanciato pure petardi e poi si sono rifugiati dentro la moschea.
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