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Editoriali

George Michael: una sottile linea bianca che conduce alla morte

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Tempo di lettura 3 minuti Si ipotizza come causa dell’arresto cardiaco un’overdose di eroina

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di Angelo Barraco
 
Londra – Il giorno di Natale è morto all’età di 53 anni l’icona del pop mondiale George Michael, personaggio che negli anni, attraverso la sua musica, ha fatto sognare milioni di giovani, dai Wham! Fino alla carriera solista, vendendo oltre 100 milioni di dischi. Una carriera che costantemente è stata oggetti di attenzioni mediatiche per via delle sue scelte sessuali e le sue provocazioni sessuali che, nell’epoca del bigottismo e restrizione mentale, hanno rappresentato l’espressione incontrastabile di libertà e volontà di far reagire un popolo alla repressione di un paese ancorato a vecchi dogmi.
 
La morte di George Michael, secondo quanto dichiarato ufficialmente dal manager, sarebbe avvenuta per insufficienza cardiaca e la Polizia ha precisato che “non ci sono circostanze sospette” e il suo staff ha affermato che è “morto serenamente in casa sua”. Tutto sembrava apparentemente chiarito e risolto ma ecco che improvvisamente spunta su Daily Telegraph  un’agghiacciante tesi alternativa che ipotizza come causa dell’arresto cardiaco un’overdose di eroina. Sarebbe stato proprio il compagno a chiamare i soccorsi nel momento si sarebbe trovato di fronte il compagno privo di vita sul letto ad ora di pranzo.
 
Il quotidiano riporta inoltre che “nell'ultimo anno Michael ha lottato contro una crescente dipendenza dall'eroina”. Rivelazioni sconvolgenti emerse a seguito di alcune rivelazioni del compagno che fanno emergere ancora una volta l’entità del problema-droga all’interno del mondo del rock. In un periodo in cui tale problema sembrava apparentemente superato con lo sviluppo tecnologico e l’avvento di nuove forme di informazione e di prevenzione, sembra invece che la droga sia ancora un piaga sociale che si estende a macchia d’olio in modo inarrestabile, una sottile linea di sangue sta mietendo vittime nel mondo del rock e non solo, facendo calare il sipario ad uno spettacolo triste e dal sapore amaro.
 
La droga come appagamento personale per estraniarsi dalla realtà e raggiungere stati mentali alterati che consentono di poter nascondere velatamente un disagio o un’insoddisfazione, seppur momentanea,  è questa la costante psicofisica che vivono molti artisti che attraversano la sottile linea bianca che li separa da morte certa e si avviano verso un’assunzione periodica che  li rende dipendenti e alza notevolmente il margine di tolleranza, spingendoli pian piano ad assumere sempre maggiori quantità di droga, fino alla morte. Soldi, successo e creatività si tramutano in polvere e diventano il veicolo attraverso il quale si innesta nella mente dell’artista la convinzione di migliorare le proprie qualità creative con l’alterazione e la distorsione della mente, senza considerare minimamente le conseguenze. Come mosche in un piatto gli artisti si spengono lentamente e improvvisamente.
 
E’ il caso di Prince, artista eclettico 57enne che ha saputo trasformare l’arte in musica e viceversa venuto a mancare il 21 aprile scorso in circostanze che in un primo momento risultavano poco chiare. Le indagini hanno però appurato che Prince è morto per un’overdose di oppiacei e le indagini avevano puntato l’attenzione su alcuni medici che avevano prescritto dosi eccessive di antidolorifici. Quando la vita di un’artista brilla di luce è un privilegio nonché un prestigio per coloro che si attorniano ad essa, ma quando la luce si trasforma in fumosa nebbia senza margini di visibilità allora non esistono vie di contrasto alla rassegnazione.
 
E’ il caso di Whitney Houston, 48 anni rinvenuta cadavere nei primi di febbraio di quest’anno in un hotel di Beverly Hills. Una vita di successi contrastata agli innumerevoli eccessi e una tossicodipendenza divenuta persino oggetto di un reality show, ma sono stati tanti i percorsi di riabilitazione non portati a termine, le ricadute, la voglia di ricominciare da zero e scrollarsi un fantasma troppo grande per un’anima così pura dentro ma distrutta in viso dalla sottile dama bianca. Alla tragedia si è aggiunta un’ulteriore tragedia, Bobbi Kristina Brown, figlia di Withney Houston e Bobby Brown p stata rinvenuta cadavere il 28 luglio. La 22enne è stata rinvenuta priva di sensi nel bagno di casa alla periferia di Atlanta. La giovane era rimasta in coma per sei mesi per gravissimi danni cerebrali dopo aver assunto droga e alcool. Vite che si spezzano e si annientano all’improvviso di personaggi dello spettacolo che hanno avuto tutto dalla vita: fama, successo, gratificazione personale, soldi e soprattutto un riscatto sociale che in passato era stato negato a molti di loro. Una vita artistica e musicale che ogni fan ha trasformato in propria attraverso quella musica e quelle parole di una singola canzone che sono divenute la storia di tante vite, un senso di responsabilità che ogni musicista porta con se e che dovrebbe indurlo a comportarsi in modo coscienzioso onde evitare cattive imitazioni da parte di ammiratori. Ma ciò di cui abbiamo parlato non è altro che una sottile linea bianca che parla di morte, autodistruzione e decadimento, in cui l’arte viene platealmente messa in un angolo per far spazio alla necessità egoistica di soddisfare un piacere fine a se stesso che induce alla lenta e precipitosa autodistruzione che induce alla morte. “Le fumerie d’oppio, dove si può comperare l’oblio, sono covi di orrore dove il ricordo di vecchi peccati può essere distrutto dalla follia di quelli nuovi” Oscar Wild. 

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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