Dal 1 gennaio 2025, la chiusura delle forniture di gas da parte di Gazprom attraverso l’Ucraina segna un nuovo capitolo nella crisi energetica europea.
La notizia, ampiamente riportata dai media, viene presentata come un ulteriore segnale di indebolimento della Russia, con perdite stimate per Gazprom che potrebbero raggiungere i 5 miliardi di euro. Tuttavia, un’analisi più approfondita dei dati disponibili rivela una realtà più complessa, che merita un’attenta riflessione.
Con la chiusura di questo importante gasdotto, l’Europa si prepara a perdere una fornitura annuale di circa 40 miliardi di metri cubi di gas, un dato ufficiale fornito da Gazprom.
Sebbene queste cifre possano sembrare allarmanti, è cruciale contestualizzarle.
Negli ultimi anni, Gazprom ha aumentato la sua produzione, raggiungendo un totale di 416 miliardi di metri cubi nel 2024, con un incremento di 61 miliardi rispetto all’anno precedente. La Cina, partner strategico della Russia, ha assorbito 31 miliardi di metri cubi di gas russo nel solo 2024, confermando una crescente dipendenza da questo approvvigionamento.
Il “Global Gas Report 2024” presenta ulteriori preoccupazioni: la domanda globale di gas naturale ha registrato un incremento dell’1,5% nel 2023 e del 2,1% nel 2024. Se questa tendenza dovesse persistere, ci si potrebbe trovare di fronte a un deficit globale del 22% entro il 2030, un scenario che metterebbe a rischio non solo le imprese, ma anche le famiglie di tutto il mondo.
In Italia, i dati mostrano una diminuzione dei consumi di gas, scesi a 31 miliardi di metri cubi nel primo semestre del 2024, il valore più basso dal 2013. Tuttavia, questa flessione non deve trarre in inganno: le cause sono molteplici e includono un inverno più mite, una minore richiesta delle industrie e un incremento nell’uso delle energie rinnovabili, ma non cancellano la necessità di un approvvigionamento energetico stabile e accessibile.
La vera questione che emerge da questa situazione è l’impatto economico che la chiusura del gasdotto avrà su cittadini e aziende italiane nel 2025.
I dati forniti da ARERA mettono in luce un trend preoccupante: dal 2012 al 2022, i costi dell’energia sono aumentati in modo significativo, mentre salari e profitti non hanno seguito lo stesso passo, creando un divario insostenibile.
Questo squilibrio si traduce in un peso sempre maggiore sulle spalle del cittadino medio, che si trova a fronteggiare un aumento dei costi senza avere voce in capitolo sulle decisioni strategiche che influenzano la sua vita quotidiana.
In questo contesto, va notato che due delle più importanti aziende energetiche italiane, ENI e AGIP, hanno scelto di stabilire la loro sede fiscale in Olanda, una decisione che solleva interrogativi sulla responsabilità sociale e fiscale di questi colossi. La percezione comune è che il cittadino paghi sempre il prezzo delle scelte aziendali e politiche, senza avere un reale potere decisionale.
In conclusione, la chiusura delle forniture di gas da parte di Gazprom non deve essere interpretata solo come una sconfitta russa, ma come un campanello d’allarme per l’Europa. Le sfide energetiche richiedono un’analisi lucida e una pianificazione strategica per garantire un futuro sostenibile per tutti.
La vera domanda è: siamo pronti ad affrontare le conseguenze di queste scelte e a costruire un sistema energetico più equo e resiliente?
giorgio battisti
2 Gennaio 2025 at 11:19
la sede giscale di Eni è in Italia