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Editoriali

FRANCESCO TAGLIENTE: "LA STORIA LEGA IL PASSATO AL PRESENTE"

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Tempo di lettura 3 minuti Tagliente: "Sono grato a mio padre per averci trasmesso il "Senso dello Stato" e lo spirito di servizio, e ancora la determinazione con la consapevolezza che "volere è potere".

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di Chiara Rai

Taranto – Esistono dei grandi uomini servitori dello Stato che riescono a suscitare sentimenti di ammirazione e stima da tutti coloro che hanno la fortuna di conoscerli. Ci sono uomini che hanno capito esattamente quali sono i valori della vita e anche come trasmetterli al prossimo. In questo specifico caso parliamo di Francesco Tagliente, già Questore di Firenze, Questore di Roma e Prefetto di Pisa, un uomo che ha avuto a sua volta la fortuna di aver ricevuto un grande insegnamento dall'integrità morale, la grande dignità, il senso del dovere di suo padre Donato Tagliente.  Il prefetto di Taranto Umberto Guidato ha appena consegnato ai familiari di Donato Tagliente, militare che dopo l'8 settembre rifiutò di collaborare con i tedeschi e fu deportato in Germania fino al settembre 1945, la speciale benemerenza del Presidente della Repubblica. La cerimonia ha avuto luogo nel corso di una riunione straordinaria a seduta aperta del Consiglio Comunale di Crispiano in provincia di Taranto, dove l'insignito ha vissuto, convocata dal Sindaco Egidio Ippolito. Lo stesso Comune di Crispiano ha deciso di rendere onore al concittadino Benemerito della Patria, intitolandogli una strada cittadina. Francesco Tagliente ha ringraziato i presenti con delle toccanti parole che di seguito proponiamo:

 

di Francesco Tagliente, già Questore di Firenze, Questore di Roma e Prefetto di Pisa

"Voglio preliminarmente esprimere la mia gratitudine al sig Prefetto di Taranto Umberto Guidato , al Questore Enzo Mangino e ai comandanti provinciali dei Carabinieri Daniele Sirimarco, della Guardia di Finanza Salvatore Paiano e dei Vigili del Fuoco Francesco Notaro per aver onorato, con la loro presenza, la memoria di mio padre. Ringrazio il Sindaco Egidio Ippolito,il Presidente del Consiglio comunale, la Giunta e tutti i consiglieri per i diversi ruoli esercitati per consentire questo momento istituzionale. Ringrazio tutti voi per la presenza e l'intera comunità di Crispiano della quale faccio parte con grande orgoglio.

Questa giornata per me ha un significato particolare.
Quando si è giovani in carriera, può capitare – come è successo a me – che la vita professionale sia caratterizzata da impegni Istituzionali a ritmi accelerati tali da non consentire di riflettere sul valore di quello che hanno fatto i genitori. Chi corre pensando alla meta rischia di non accorgersi delle bellezze che circondano il proprio cammino e di percepire i profumi dei territori in cui vive. Ciò vale anche per il fattore culturale e la diversa sensibilità nel cogliere i messaggi non verbali ricevuti. Se non conosco la storia della Resistenza, i lutti e le ferite della guerra, le atrocità dei campi di sterminio e di lavoro per l'economia di guerra non riesco a rendermi conto di quello che hanno sofferto i deportati.
Mio padre – come molti reduci della deportazione – non amava parlare di quello che aveva sofferto, come se volesse rimuovere o non alimentare l'odio verso il popolo che lo aveva tenuto in quelle condizioni di privazioni inumane. Quando, raccontando della prigionia, diceva "Sie mussen arbeiten" (bisogna lavorare) e "Kartoffelscahalen" ( "Bucce di patate") nei suoi ricordi non faceva trasparire a noi ragazzi la realtà di quel periodo di profonda sofferenza.

Con il passare degli anni sono cambiati sia la percezione del valore delle cose che diceva, sia dei messaggi che ci ha trasmesso.

Sono grato a mio padre per averci trasmesso i suoi valori come il "Senso dello Stato" e lo spirito di servizio, e ancora la determinazione con la consapevolezza che " volere è potere".
Sono fiero di mio padre e del servizio da lui reso alla Nazione durante le 4 campagne di guerra in Libia, Albania, Grecia e Sicilia e nei due anni di atrocità nei campi nazisti in Germania.

La storia lega il passato al presente.

Ci sono cose che insegnano alla vita, e che il tempo non scalfisce: " I valori".

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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