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Editoriali

FORZA ITALIA E' COSA NOSTRA

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Tempo di lettura 2 minuti Dell'Utri, Scajola e Matacena mediavano i rapporti del partito di Berlusconi con le varie associazioni mafiose.

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di Maurizio Costa

Tutto passa sotto banco: parole nascoste, bustarelle celate e il potere della mafia su quello che la politica italiana offriva loro. Come una puttana di periferia, una delle Istituzioni più importanti del nostro Paese, e che all'estero è ancora un ente intoccabile, è stata venduta così, per interessi personali, avanzamenti di carriera, soldi e commissioni. Tutto quello che si doveva evitare è stato fatto, ad opera di un gruppetto di fantomatici politici, che hanno buttato fango su tutto ciò che dovrebbe tutelare, amare e proteggere i cittadini italiani. Ma andiamo con ordine.

Già da qualche tempo si parla di Marcello Dell'Utri, stretto collaboratore di Silvio Berlusconi sin dalla fondazione, nel 1993, di Forza Italia. Quando sedeva tra i banchi del Parlamento Italiano, Dell'Utri era già stato indagato per Mafia. Il deputato commentò così la sua situazione politica di allora: "Sono un politico per legittima difesa. A me della politica non frega niente. Mi difendo con la politica, sono costretto. Se mi ricandido lo faccio solo per difendermi. Quelli mi arrestano."
Questo per dare un'idea di quello che poteva essere Marcello Dell'Utri. L'11 aprile del 2014, viene giudicato latitante in Libano e viene arrestato con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il dg Aurelio Galasso, prima della condanna definitiva, aveva affermato che: "Per diciotto anni, dal 1974 al 1992, Marcello Dell'Utri è stato garante dell'accordo tra Berlusconi e Cosa nostra. L'accordo c'è stato, si è formato nel 1974 ed è stato attuato volontariamente e consapevolmente." Tutto questo ha portato alla condanna in Cassazione dell'ex braccio destro di Berlusconi a sette anni di reclusione.

Passiamo ai rapporti tra Claudio Scajola e Amedeo Matacena, il primo entrato in FI nel 1995 e il secondo nel 1994. L'ex Ministro dell'Interno, Scajola, è stato arrestato giovedì con l'accusa di aver favorito la latitanza di Matacena, condannato a 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e scappato a Dubai. Perché proprio negli Emirati? Semplice: il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non è contemplato dalla loro legislazione, e quindi sarà molto difficile estradare il condannato. Cosa avrebbe fatto Scajola? Semplice: "Dopo la sentenza di condanna per concorso esterno di Amedeo Matacena lui è diventato la proiezione politico-istituzionale-imprenditoriale del primo, che consapevolmente agevolava gli interessi della ‘ndrangheta nella sua composizione unitaria." Amedeo Matacena, invece, secondo le inchieste dei magistrati, poco prima della fondazione di Forza Italia, si sarebbe incontrato nel 1991 nel Comune di San Luca, in Calabria, con i capi più importanti della 'ndrangheta calabrese. In quell'occasione si parlò di un nuovo progetto politico, che avrebbe sostituito la Democrazia Cristiana. L'ospite d'onore di quel summit fu Giovanni Di Stefano, l'avvocato che difese Saddam Hussein e Milosevic.

Tutto questo senza contare anche l'ex Senatore di Forza Italia Luigi Grillo, indagato dalla forze dell'ordine per gli appalti truccati dell'Expo 2015. Una situazione paradossale e il mondo intero che ci giudica negativamente. Lo Stato della mafia, del mandolino e della pasta. La situazione fa inorridire e un commento su tutti, di un giornalista di Al Jazeera, fa capire bene la nostra condizione: "Un ex Capo di Governo che finisce in una casa di cura è una cosa molto strana per noi." Per noi italiani invece no, è questo il problema.
 

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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