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di Andrea Barbi
«Lo sfratto è esecutivo, raccogliete le vostre cose e andate via». A suonare alla porta di un piccolo appartamento in via Falcone e Borsellino a Rovigo è un gruppo di persone formato dal legale del proprietario dell’immobile e da un ufficiale giudiziario accompagnato da alcuni agenti della questura e della polizia municipale. Sono le 9.30. Il termometro segna meno 5 gradi nel capoluogo polesano. Carlo 46 anni, la moglie Amalia, 34enne, con il figlio disabile di 3 anni e mezzo in braccio, dopo aver riempito poche valige e alcune borse di plastica con i loro pochi averi si incamminano lungo la strada che porta verso il centro della piccola città veneta. Non hanno una meta, non sanno dove andare, cosa fare. C'è troppo freddo e il bambino piange. Si rifugiano in un bar. Non hanno parenti che li possano ospitare e non hanno soldi. Da ieri questa famiglia italiana è stata sfrattata dall'appartamento nel quale da qualche anno viveva in affitto e ora sono ufficialmente dei senza tetto. La loro vita è tutta lì in quei pochi effetti personali contenuti in vecchie e logore valige che con fatica si trascinano verso un futuro di incertezza totale. Il padre di famiglia nelle scorse settimane ha chiesto aiuto a tutti. Ha provato in tutti i modi a convincere la padrona di casa a concedergli una proroga sui pagamenti del canone di locazione e sulle utenze, ma è stato inutile. A quel punto si è rivolto al comune, agli assistenti sociali e alla Caritas locali, ma nessuno l' ha potuto aiutare concretamente. E' lo stesso Carlo a raccontarlo: «E’ da mesi che mi rivolgo ai servizi sociali spiegando la nostra situazione. Da un anno ho smesso di lavorare per seguire le cure di mio figlio. Dopo che i medici gli hanno diagnosticato l’autismo ho deciso di stargli accanto per aiutarlo. Mia moglie era provata psicologicamente dopo la diagnosi. Non abbiamo nessuno a cui appoggiarci. Ora però abbiamo finito tutti i risparmi. Non pagavo l’affitto da qualche mese. La proprietaria di casa non ha voluto avere pazienza, le ho spiegato che ho ripreso da poco la mia attività di libero professionista. Mi sarebbe bastato qualche mese per mettermi in regola con i pagamenti. Ma niente. Da due mesi ci aveva staccato il riscaldamento. Il mio bambino dormiva al freddo. L’ appartamento non era in buone condizioni, era pieno di umidità. Ma era un tetto dove riparare nostro figlio. Ma ora ci ha mandati via. Non sappiamo dove andare. I servizi sociali ci hanno sempre risposto che non ci sono case disponibili a Rovigo. Molte sono chiuse e non hanno i soldi per sistemarle.» Fortunatamente una signora rodigina, dopo aver saputo di questa situazione si è offerta di ospitare per qualche notte, a casa sua, la donna e suo figlio, mentre il marito ha trovato un posto letto provvisorio a Ferrara, presso l'abitazione di un amico di vecchia data.
Una notizia sconvolgente quella di una famiglia italiana in difficoltà che viene sbattuta sulla strada ghiacciata in una mattina di un gelido gennaio, che arriva proprio dal ricco e civile Veneto. In giorni in cui le cronache parlano di clochard morti assiderati al sud e l'opinione pubblica si divide tra chi prova compassione e rabbia e chi più o meno direttamente sostiene o pensa che siano situazioni di disagio lontane dalla realtà quotidiana dell'italiano medio e tutto sommato quei senza tetto se la cerchino la disgrazia. Chiunque la pensi in questo modo ora dovrà tentare di spiegare se non ad altri, almeno alla propria coscienza, in che modo questa famiglia abbia volontariamente scelto di trovarsi in questa situazione e non riuscendoci, forse, capirà il significato delle parole empatia e rispetto.
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