Connect with us

Editoriali

Europa, cronaca di un fallimento annunciato

Clicca e condividi l'articolo

Tempo di lettura 5 minuti Ormai spingere ancora l'idea europea è come frustare un cavallo morto

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 5 minuti
image_pdfimage_print


di Roberto Ragone
 
Per usare una metafora abusata, ormai assurta a luogo comune, i ‘Padri Fondatori’ dell’idea europea, nel vedere ciò che i nostri contemporanei ne hanno fatto,  si staranno rivoltando nella tomba. Alludo a coloro che vengono ufficialmente ritenuti all’origine di un progetto europeo, che avrebbe visto, nella loro intenzione, una unica federazione, all’americana, di tanti stati geograficamente europei, ma in realtà eterogenei e con storie, tradizioni, abitudini, lingue, monete, economie e politiche interne profondamente diverse.  Un po’ come pretendere di unire l’acqua e l’olio.
 
Ma si sa, il mondo usciva da una guerra devastante con decine di milioni di morti, con racconti di atrocità compiute da chiunque contro chiunque, e l’America, intervenuta a ribaltare le sorti di un conflitto che senza il suo intervento avrebbe sancito il dominio nazifascista, era un miraggio a cui tendere; oltre al fatto che tutti avevano un gran bisogno di qualcosa che garantisse la pace. Possiamo solo rimarcare, a posteriori, l’ingenuità di tale disegno anche un po’ romantico,  perseguito tenacemente sul piano economico, oltre che politico. Storicamente abbiamo sette nomi: gli italiani Alcide De Gasperi, e Altiero Spinelli, i francesi Jean Monnet e Robert Schumann,  il lussemburghese Josef Bech, il tedesco Konrad Adenauer, il belga Paul-Henri Spaak.
 
A questi s’aggiungono altri, citati nel sito web storico dell’Unione Europea come un vasto ‘gruppo eterogeneo di persone mosse dagli stessi ideali: la pace, l’unità e la prosperità in Europa’, come se il solo fatto di unire popoli e nazioni fosse garanzia di pace, unità e prosperità.  Tra questi ultimi troviamo il britannico Winston Churchill, il tedesco Walter Hallstein, gli olandesi Sicco Leendert Mansholt e Jan Willem Beyen. Ma certamente in quel momento storico l’opinione pubblica vedeva nell’unione di tanti stati che avevano partecipato al conflitto, e che ne erano stati deturpati, distrutti, assassinati, una soluzione imperitura che avrebbe potuto evitare che una terza guerra mondiale distruggesse definitivamente l’Europa.
 
In realtà, tante buone intenzioni erano destinate a naufragare, di fronte all’espansionismo di grandi potenze come gli Stati Uniti, che all’Europa e agli europei presentavano il conto, e della Unione Sovietica, decisa a conquistare al comunismo sovietico l’area del Mediterraneo. Tutto questo a grandi linee. Oggi, l’UE è ben altra cosa di quella che gli ideologi avevano progettato senza tener conto della natura dell’uomo. S'è finito per creare un carrozzone lento e burocratico, che, invece di semplificare e velocizzare qualsivoglia operazione, stenta, nelle pieghe di leggi, leggine e regolamenti, convocazioni, assemblee, commissioni, interventi, ideologie varie, a prendere decisioni che giustifichino la sua esistenza, partorendo, il più delle volte, il classico topolino. Succube, per stessa ammissione di chi a questo parlamento partecipa, delle lobby multinazionali, che impongono a quei parlamentari le loro decisioni commerciali. Dopo aver cercato invano di distruggere i nostri prodotti tipici, perché non rispondenti alle loro capotiche norme di produzione e sicurezza alimentare – mi viene a mente, perché la cosa mi ha colpito all’epoca, la proibizione di produrre ancora il nostro ‘Lardo di Colonnata’, un prodotto che esiste in quella forma solo in Italia, attacco sventato da una decisa reazione dei produttori italiani; e mi sovviene anche la classica frase, pronunciata a giustificazione di qualsiasi castroneria, "Ce lo chiede l'Europa". Come se l'Europa, o l'UE, fosse, Domineddio sulla terra  – nel tempo sono passati ad altro tipo di attacchi, per esempio l’imposizione di importare arance e altra frutta da paesi terzi, e olio d’oliva dalla Tunisia a milioni di quintali. Minando alla base quella che è la nostra economia, basata ancora molto sull’agricoltura e la produzione esclusiva di alcune tipicità. Altro attacco al nostro olio extravergine d’oliva è l’imposizione, purtroppo supportata a livello politico da una pretesa esigenza ‘strategica’, dal TAP, il gasdotto che porterà metano in Italia, e che è stato fatto passare attraverso i nostri secolari uliveti del Salento, quando molto più razionale sarebbe stato allungare il tratto sottomarino fino a Brindisi, già pronta a ricevere la pipeline. Non crediamo al fatto che questo non procurerà inquinamento e guasti, né crederemo mai alla parola delle multinazionali, o dei nostro governanti. Infatti, dietro ogni iniziativa c’è il profitto, a qualsiasi costo e senza scrupoli: come nel caso delle trivellazioni in Adriatico entro le dodici miglia, una volta proibite  e poi rientrate dalla finestra, in sordina. È in atto una operazione di grande respiro per impadronirsi della nostra penisola senza sparare un colpo, riducendo la forza lavoro alla miseria e alla disoccupazione, importando manodopera dall’Africa sotto forma di ‘migranti’, neologismo assurdo inventato per giustificare l’invasione – non sono anche gli Italiani stati ‘emigranti’, dopo la prima guerra mondiale, per fame? Ma con ben altri presupposti, checchè se ne dica. E gli Italiani hanno fatto grande l’America, un paese che aveva bisogno di riempire grandi spazi. Quelli che in Italia non ci sono. Ma torniamo all’argomento della nostra chiacchierata. Più di recente abbiamo scoperto, dalle pagine dei giornali, che l'invasione africana è stata permessa e propiziata dal nostro ex premier Matteo Renzi, in sede europea, in cambio di uno sforamento dei conti pubblici che gli avrebbe consentito di erogare le famose 'mance elettorali', a cominciare dagli 80 euro.
 
Oggi tutte le nazioni facenti parte di questa brigata Brancaleone hanno chiuso le frontiere ai migranti, costringendo l'Italia a 'salvare' gli occupanti dei barconi – in realtà andandoli a prendere in Libia entro le dodici miglia – operazioni compiute sotto molteplici bandiere, ma comunque remunerative. E quando la nave ha a bordo il suo carico umano, e chiede alla Capitaneria di Porto in Italia dove debba portare le centinaia di uomini, donne incinte e bambini senza genitori, la risposta è sempre quella: in un porto italiano, nonostante la legge del mare, quella stessa che impone di salvare i naufraghi, dica che la meta dovrebbe essere il porto più vicino, cioè, il più delle volte, Malta. La quale Malta non ci pensa proprio a ricevere neanche una comitiva in gita domenicale. Qui si dispiega il grande fallimento di una struttura voluta contronatura, che è ormai preda delle lobby e del profitto, e che tende ad appiattire ogni diversità nazionale. Oltre a pretendere di comandare in casa nostra e ad esigere versamenti miliardari: a pro di che? L'uomo della strada non lo può capire, oltretutto confuso com'è dalle notizie di banche e bancarelle, che sembra siano l'unico interesse del nostro governo. Don Matteo ultimamente pare abbia scoperto l'acqua calda: infatti ha dichiarato che con il Fiscal Compact non ci può essere crescita. Ma è la stessa cosa che da anni vanno ripetendo tutti gli economisti che siano obiettivi nei confronti di una politica che ha avuto il solo scopo di rendere l'Italia un paese di poveri.
 
Le statistiche parlano di 4,7 mln di persone in povertà assoluta: probabilmente è una cifra approssimata per difetto. La statistiche sono anche quelle che parlano di 'ripresa' economica, mentre si calcola come nuovo assunto anche chi ha svolto un lavoretto temporaneo, e così aumentano gli occupati. Ma, si sa, le statistiche distribuiscono sempre i dati, li spalmano, come si dice. Per cui sono rimasto esterrefatto nell'apprendere tempo fa che le mie entrate mensili assommavano a qualcosa vicina ai cinquemila euro, in quanto cittadino adulto di questa nazione. La verità è un'altra, nonostante Padoan. Il disegno parte da lontano, e la prima mossa decisiva è stata di Ciampi, il tanto celebrato personaggio già presidente del Consiglio, quello citato per l'ammontare – allora – delle sue numerose pensioni e vitalizi. Quello che disconnesse la Banca d'Italia dal Ministero del Tesoro, eliminando di fatto la possibilità di svalutare la lira a fine anno e pagare i debiti della nazione, sempre comunque virtuali. Per cui essi sono divenuti reali e impagabili.
 
La seconda mossa vigliacca è stata l'adozione dell'euro, targata Prodi. Tutto il resto, Monti compreso, è arrivato in seguito. Letta oggi si dice disgustato del commento di Renzi a proposito del suo "Stai sereno", che, a sentir lui, non sarebbe stato un colpo di Stato. Solo un colpetto sulla spalla. In puro stile renziano. Che fa fatica a rincorrere le sue stesse fantasie. Ora ha anche scritto 'un libro': il titolo è 'Avanti'; che non si sa se riecheggi nostalgicamente il giornale del Partito Socialista di Nenni o il titolo di un romanzo di Alberto Moravia: ma quello diceva "Davanti le donne", in una chiara allusione. Ormai a lui e alle sue bugie ci siamo abituati, e speriamo che nessuno lo prenda più sul serio. Forse crede di essere in un videogioco.

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

Continua a leggere

Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

Continua a leggere

Editoriali

Un anno senza Silvio Berlusconi

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura < 1 minuto
image_pdfimage_print

Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti