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di Pina Guglielmino
Dopo una lunga attesa, arriva il via libera del tribunale civile di Bologna che ha accolto l'istanza di una cinquantenne ferrarese, la quale potrà farsi impiantare embrioni del marito morto nel 2011 congelati da quasi due decenni. A tal proposito, diversi i pareri degli esperti, che esternano la fattibilità dell'impianto, ma giudicano alto il rischio di aborto.
I giudici hanno quindi ordinato al policlinico Sant'Orsola di provvedere immediatamente all'impianto degli embrioni prodotti con fecondazione assistita nel '96, prima della Legge 40, e da allora crioconservati.Secondo l'ordinanza, anche se la dichiarazione del 2010 non si può considerare un valido consenso, la stessa "costituisce una manifestazione di volontà idonea" a escludere gli embrioni dalla categoria di 'embrioni in stato di abbandono'. In conclusione i giudici scrivono che, vista l'età della donna, l'aleatorietà dei risultati della fecondazione assistita e le maggiori difficoltà proporzionate al progredire dell'età, è necessario provvedere in via d'urgenza, non potendo la 50enne "attendere il normale esito di un procedimento civile ordinario, stante la sua lunga durata".
Secondo quanto esposto, si tratterebbe di un impianto molto complicato, la cui riuscita dipende anche dalla capacità di crescita conservata dall'embrione che dopo la lunga crioconservazione potrebbe non attecchire o crescere in modo adeguato. In effetti sono pochissimi i casi in letteratura di questo tipo andati a buon fine e ovviamente c'è da valutare anche l'età anagrafica della futura mamma, ricordando che più è avanzata l'età della donna, più la produzione degli ormoni è inferiore.
L'avvocato Boris Vitiello che ha seguito il caso: "E' una decisione pro vita – ha detto Vitiello – in quanto, senza l'intervento del tribunale cui si è fatto ricorso, non si sarebbe potuto conoscere quale sorte venga riservata a embrioni già formati".
I giudici sul caso della cinquantenne. Il collegio della prima sezione civile (Betti, Squarzoni, Gaudioso) si riferisce nell'ordinanza proprio alla legge 40 del 2004, che in Italia vieta la crioconservazione di embrioni – se non nel caso in cui la donna, dopo la fecondazione, non possa procedere all'impianto per gravi motivi di salute – ma regola anche con linee guida le procedure di fecondazione intraprese prima della sua entrata in vigore, come nel caso della coppia. Per giudicare il caso specifico, i giudici si rifanno alle linee guida per cui "in caso di embrioni crioconservati, ma non abbandonati, la donna ha sempre il diritto di ottenere il trasferimento". Per questo va dunque accolto il ricorso, firmato da Vitiello.
La storia della coppia. La coppia si sposò nel 1998 e nel 1996 si rivolse al centro di fecondazione assistita dell'ospedale. Quell'anno fece un intervento, ma l'impianto non riuscì: otto embrioni non impiantati furono congelati, con il consenso dei due. In seguito, anche per una malattia dell'uomo, la coppia non fece nuovi tentativi di impianto, ma gli embrioni sono rimasti fino ad oggi crioconservati e ogni anno, fino al 2010, i due hanno confermato la volontà di mantenere gli embrioni. Dopo la morte del marito, la donna si è rivolta ancora al centro di procreazione medicalmente assistita chiedendo l'impianto. Nonostante il nulla osta del comitato di bioetica dell'università, la direzione ha negato però la possibilità, per un'interpretazione della legge 40 secondo cui doveva sussistere la permanenza in vita di entrambi. A febbraio 2013 c'è stato il ricorso in via d'urgenza, il rigetto del tribunale, poi il reclamo accolto dal collegio, dopo un'udienza a dicembre 2014.
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