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Editoriali

ELISA VAVASSORI GIORNALISTA AFFETTA DA SMA INVIA UNA LETTERA AL PREMIER MATTEO RENZI

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Tempo di lettura 5 minuti Quando la politica e la scienza non sono capaci di dare risposte concrete…

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di Cinzia Marchegiani

Elisa Vavassori, è laureata in Linguaggi dei Media presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con una votazione di 110 e lode. Appassionata di libri e scrittura è autrice di due libri, “Handicap? Una testimonianza” pubblicato dalla Casa Editrice Il Filo di Roma, racconto che fotografa come i disabili, con tenacia e coraggio, possono realizzare i propri sogni, e un romanzo giallo, intitolato “Mea culpa” (entrambi i manoscritti sono stati scritti a quattro mani in collaborazione con la Dott.sa Maria Luisa Chiara, ideatrice del corso di scrittura creativa dell’Università Cattolica di Milano).

Elisa è giornalista pubblicista e collabora con la rivista trimestrale della Banca di Credito Cooperativo di Carugate e con il periodico comunale “Vivere a Carugate”. La sua intelligenza e la sua forza indomita l’hanno condotta a fare una battaglia fino ad incatenarsi per poter usufruire e ottenere dal Comune i fondi previsti dalla legge 162 del 1998, i così detti “Progetti di Vita Indipendente” che prevedono di erogare le risorse direttamente ai disabili non autosufficienti, perché scelgano e retribuiscano in prima persona chi si occuperà di loro, secondo le proprie reali necessità, evitando così di finire in strutture di lunga degenza, per il diritto di una vita indipendente. Dopo le vicissitudini del caso Stamina, la lentezza di avviare (sarà fatta?) la sperimentazione ci rende partecipi della sua missiva inviata all’attuale premier.

Ecco la lettera di Elisa:

Egregio Premier Matteo Renzi,

innanzitutto le porgo i miei migliori auguri per il suo nuovo incarico, sperando che possa finalmente aiutare in modo concreto il nostro Paese.

Chi le scrive è una semplice cittadina 32enne, laureata in giornalismo con 110 e lode, che fin dalla nascita, però, fa i conti con una gravissima malattia neurodegenerativa, la SMA, acronimo di atrofia muscolare spinale. Non cammino, non ho forza nelle braccia, ho seri problemi di deglutizione, non posso svolgere nessun normale atto quotidiano. Le mie gambe, le mie braccia, le mie mani sono quelle del mio compagno o di gente estranea, che fanno tutto per me. Non posso nemmeno bermi un bicchiere d’acqua o pettinarmi i capelli senza aiuto. Questo però non ha certo fermato la mia volontà di migliorare la qualità della vita e ho sempre lottato per conquistare la dignità di donna.

Nella sua squadra di Governo ci sono molte donne e questo è un dato molto pregevole, perché simbolo di parità. È proprio da questa parità che voglio arrivare allo scopo di questa lettera.
La costituzione italiana sancisce, negli tabella 2 e 3, i diritti inviolabili dell'uomo e l’uguaglianza davanti alla Legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Le chiedo allora: «Perché in Italia per potersi curare bisogna passare sotto il giudizio di un giudice, che di malattie non sa nulla? Come può un uomo di Legge affermare che io “sono pacificamente affetta da una gravissima malattia neurodegenerativa a rapida progressione” e per questo motivo non ho il diritto di curarmi come desidero, applicando il decreto Turco – Fazio del 2006? Crede forse che non poter mangiare una pizza, non poter accarezzare una persona cara, vedere le proprie forze scivolare via di giorno in giorno, temere una crisi respiratoria fatale per un raffreddore o una polmonite ab ingestis per l’acqua che va di traverso, sia per me bello e pacifico?»

Ma questo non importa, io posso sopportare. Quelli che invece non possono permettersi il lusso del tempo e dell’attesa sono i bimbi affetti da gravissime malattie a prognosi infausta, che sono in cura a Brescia o che sono imprigionati in una lista d’attesa bloccata da mesi.

Il Ministro Lorenzin promise una velocissima nomina della nuova commissione scientifica per valutare la terapia con staminali mesenchimali del metodo “Stamina”, dopo che il TAR del Lazio decretò che la precedente era inammissibile per palese conflitto di interessi. Finalmente, dopo un’estenuate attesa, tale commissione è stata nominata, ma con un colpo di scena: in sordina, e con il rigoroso silenzio della stampa, che di solito non perde occasione per parlare e sparlare di Stamina, il prof Mauro Ferrari, designato presidente a dicembre, è stato clamorosamente estromesso. Dopo che suoi esimi colleghi, quali i soliti noti detrattori a priori, Bianco, Cattaneo e Garattini, avevano “urlato” indignati sui giornali che Ferrari si era schierato troppo dalla parte delle famiglie.

Le sembra giusto bocciare un medico di tale livello, stimato e apprezzato in tutto il mondo, solo per aver osato dire che avrebbe ascoltato tutte le parti, sia pro che contro, e che avrebbe incontrato di persona le persone in trattamento a Brescia? È così illogico voler verificare dal vivo i fatti? O forse si deve ancora proseguire con la telepatia e con la valutazione del paziente a distanza, senza prendere visione delle cartelle cliniche? 

Sarebbe questo il Ministro che deve tutelare i malati? Un Ministro che lascia sole e abbandonate persone fragili che lottano con mostri che li divorano dentro, senza alternative terapeutiche fornite dalla medicina ufficiale, è forse un Ministro che sta adempiendo ineccepibilmente ai suoi doveri? Un Ministro della Salute che non permette la regolare applicazione della Legge per le cure compassionevoli è degno di essere tale? Un Ministro che offre cure palliative a bambini e adulti affetti da malattie neurologiche sa quello che propone? Un Ministro che per mesi non si degna di prestare attenzione a due fratelli gravemente disabili che da luglio 2013 vivono precariamente sotto una tenda di fronte a Montecitorio per chiedere il diritto sacrosanto di cura è un Ministro che sa fare bene il suo mestiere? Un Ministro che non ascolta i pazienti, le loro suppliche, i loro desideri, lo loro voglia di non morire, è lecito?

Questo Ministro, che Lei ha voluto riconfermare nella sua squadra di Governo, sarà capace, vista la seconda opportunità che le ha offerto, di aprire gli occhi e guardare realmente quali sono le necessità e i diritti delle persone che dovrebbe tutelare?

Tante, troppe domande, a cui spero Lei sappia dare una risposta… perché nessuno può togliere ad altri il diritto di provare cure non ancora sufficientemente testate per migliorare la qualità di vita o per guardare al futuro con speranza… nessuno può decidere per la salute altrui, né un giudice, né un Ministro, né tantomeno lo Stato.

Affermava il filosofo britannico Isaiah Berlin: «L'essenza della libertà è sempre consistita nella capacità di scegliere come si vuole scegliere e perché così si vuole, senza costrizioni o intimidazioni, senza che un sistema immenso ci inghiotta; e nel diritto di resistere, di essere impopolare, di schierarti per le tue convinzioni per il solo fatto che sono tue. La vera libertà è questa, e senza di essa non c'è mai libertà, di nessun genere, e nemmeno l'illusione di averla».

Con queste parole vorrei concludere, anche se avrei argomentazioni infinite per giustificare la mia richiesta e vista la sua nuova carica, il suo nuovo “potere”, le chiedo di adoperarsi per far si che il suo Ministro lavori per tutelare quanto sancito dalla costituzione, sulla quale Lei ha giurato fedeltà.

Le chiedo di ascoltare la voce di chi soffre e non di chi dall’alto di una scrivania o alle spalle di un IBAN detta legge. Non tolga a noi malati la speranza, non privi il mondo dei sorrisi luminosi e sinceri di bimbi come Sebastian, Celeste, Desirèe, Gioele, Sofia, Federico, Ginevra… abbiamo tutti il sacrosanto diritto di curarci.

Cordialmente
Elisa Vavassori

L’Osservatore d’Italia provvederà ad informare i lettori l’eventuale risposta, che ci auguriamo  possa presto essere inoltrata a questa donna straordinaria, Elisa Vavassori.

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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