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Editoriali

Elezioni 2018 e la carica dei 103, anghingò questo voto a chi lo do…

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Ci si domanda, e farebbe piacere che qualcuno di quelli interessati rispondesse: ma sul serio voi politici credete di convincere la gente con i vostri sproloqui nei vari talk show, nelle interviste varie oppure in qualche comizio improvvisato fuori qualche outlet o altrove? Attenzione però, fate molta attenzione su come e cosa rispondere. Se rispondete che lo credete davvero allora confermate di ritenere che gli italiani sono stupidi, se invece rispondete di non crederlo, in questo caso dovreste spiegare il perché raccontate loro tante baggianate.

E’ la Carica dei 103. E’ la scimmiottatura della famosa pellicola di Walt Disney, film d’animazione. Quella presente è invece la fiera dei sogni e dei desideri

Tutti in gara a chi la dice più grossa. Dalle alte sfere, invece, si invita gli italiani ad andare a votare. Il Presidente in primis non risparmia le raccomandazioni. Il Cardinal Bassetti gli fa eco e per conto della Cei si raccomanda agli italiani di non disertare le urne. Andare a votare, canticchiando: anghingò, questo voto a chi lo do? Eminenza, non sarebbe peccato grave andare a votare chi ha introdotto leggi contro la morale della Chiesa? Esimio Signor Presidente, secondo Lei, sarebbe un atto civile votare a farci rappresentare da chi non è stato capace di dare risposte ai 4 milioni e seicentomila famiglie in povertà assoluta e ai 10 milioni e 4 mila famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese? Sarebbe un comportamento civile, promuovere a Montecitorio degli incapaci che pensano solamente ad aumentarsi gli stipendi?

Mentre dilaga la povertà, e loro insistono a non volere capitolare sui privilegi acquisiti, cosa deve fare il cittadino?

Ma che tipo di politico è colui che sa solamente ripetere “domani faremo, domani risolveremo?” Storia vecchia, poi, poi è la strada del mai, mai. Si ripete anghingò, questo voto a chi lo do…, se nessuno di quelli che si presentano ha saputo fermare il dilagare della delinquenza, nessuno di loro ha saputo porre argini all’immigrazione incontrollata, disorganizzata e caotica? E’ facile dire andare a votare, è un dovere civile! Al contrario, votare le persone sbagliate sarebbe un errore, un grosso danno al Paese, sarebbe un’offesa alle Istituzioni. Una formula sempre vincente per aiutare a decidere se votare, a chi votare ed eventualmente come votare, ce l’abbiamo in casa, sistema indiscutibile. Non c’è bisogno di chiedere niente ad alcuno. Le risposte alle nostre domande le abbiamo a disposizione a casa nostra. Come? Quali? Incominciamo a tirare fuori le bollette delle utenze. Le tariffe sono diminuite, sono aumentate, sono rimaste invariate? Diamo un’occhiata alle cartelle delle imposte e delle tasse. Troviamo degli sgravi o degli aumenti, nuovi carichi? Domandiamo alle signore che fanno la spesa, se con lo stesso misero stipendio acquistano le stesse qualità e le stesse quantità di beni oppure ogni giorno sono costrette a sacrificare delle voci dalla lista della spesa? Il servizio sanitario è di aiuto? La sicurezza fa stare tranquilli e la Giustizia pare “giusta”? Completata questa semplice analisi, poi si gira il pensiero un po’ più in alto e cerchiamo di elencare i privilegi e la vita agiata di coloro che dovevano pensare al bene comune. Cosa ha fatto per il cittadino comune la politica durante questi ultimi 20 anni di governo? Ognuno si faccia questo esame e poi decida se, come ed a chi dare il voto.

In inglese c’è un vecchio saggio che trova nell’italiano il suo equivalente in: “il gatto scottato teme l’acqua fredda”.

Questa volta sta a ogni italiano decidere se rischiare di scottarsi nuovamente oppure imparare dal saggio felino e dopo le esperienze precedenti, avvicinarsi con molta cautela anche all’acqua fredda e aria fritta disseminata per tutta la penisola dalla carica dei 103.

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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