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Editoriali

E SE DOPO LA TURCHIA L’ISIS COLPISSE IN ITALIA?

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Tempo di lettura 4 minuti L'intervista a Gianni Tonelli, Segretario Generale del Sindacato Autonomo di Polizia, una persona che dell’efficienza della Polizia ha fatto la sua ragione di vita.

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di Roberto Ragone
L’attentato terroristico dell’Isis a Istanbul, all’aeroporto Attaturk, un hub fondamentale per qualsiasi itinerario in Europa e nel mondo, ha scioccato tutto il mondo civile, con i suoi 36 morti, o più, e centinaia di feriti. Abbiamo anche potuto seguire in diretta la neutralizzazione di uno dei kamikaze, il quale si è fatto saltare davanti ad una telecamera di sorveglianza. In Italia guardiamo questi avvenimenti come se appartenessero ad un altro pianeta, ma purtroppo non è così. Il nostro aeroporto principale è a Roma, e si chiama Leonardo Da Vinci, a Fiumicino. Tante volte abbiamo sentito profferire minacce nei nostri confronti; tante volte abbiamo sentito terroristi che promettevano attentati sanguinari da mettere in atto nella sede della cristianità cattolica. Finora non è successo ancora nulla, e i nostri Servizi sono sempre riusciti a bloccare eventuali malintenzionati prima che potessero mettere in atto ciò che avevano progettato. Così non è successo ad Istanbul. Ricordiamo i tempi in cui il nemico erano i terroristi palestinesi, e ricordiamo la strage che venne effettuata al banco della El Al, fronteggiata da agenti israeliani oltre che dai nostri. Purtroppo, nonostante l’uccisione dei terroristi, anche lì i morti furono numerosi. Oggi ci troviamo ad affrontare un nemico diverso, ma molto più pericoloso. Questi nuovi fanatici sono pronti al martirio, anzi, del martirio fanno il loro scopo, purchè accada uccidendo il maggior numero di ‘infedeli’. Cioè di tutti coloro che non sono islamici integralisti, in pratica tutto l’Occidente e non solo.

Ma se succedesse da noi, per esempio proprio nel nostro aeroporto più importante, come reagirebbero le nostre forze dell’ordine? Sarebbero adeguati e preparati ad affrontare la minaccia di uno o più ‘lupi solitari’ carichi di esplosivo? In particolare, la Polizia di Stato come è stata addestrata per questa eventualità? E’ stato messo in atto un addestramento specifico, o le cose stanno ancora come due anni fa, quando Gianni Tonelli ed altri intrapresero uno sciopero della fame interminabile al fine di ottenere un giusto adeguamento della Polizia di Stato? Lo abbiamo voluto chiedere proprio a lui, a Gianni Tonelli, Segretario Generale del Sindacato Autonomo di Polizia, una persona che dell’efficienza della Polizia ha fatto la sua ragione di vita.

Dottor Tonelli, secondo lei, se a Fiumicino fosse avvenuto ciò che si è verificato ad Istanbul, saremmo stati pronti a fronteggiare un attacco come quello?
Purtroppo la carenza delle forze dell’ordine ha creato un problema. In questo momento gli aeroporti sono punti sensibili, ma io penso che avremmo fatto abbastanza bene anche noi. Il problema è il controllo del territorio, non soltanto l’aeroporto. Lo abbiamo visto in Francia e in Belgio, la strategia dell’Isis è quella di colpire dove ci sono grandi concentrazioni di persone, e molte volte non sono punti strategici sotto il profilo logistico, e neanche  simbolici, possono essere locali, teatri o altro. E’ quello che ci deve preoccupare. Io penso che a Fiumicino saremmo stati senz’altro adeguati, ma il problema non è Fiumicino.

Visto che l’Isis parla sempre anche di Roma, lei pensa che possano colpire anche da noi?
La possibilità c’è,  lo hanno riconosciuto non solo tutti gli analisti, ma anche gli organismi competenti , e non bisogna assolutamente abbassare la guardia, perchè, anzi, in un momento in cui  l’Isis comincia a sentirsi alle corde sui campi di battaglia, questo potrebbe modificare la sua strategia e spingerlo ad una maggiore attività terroristica, anche perché molte volte questi sono quei cani sciolti, quei foreign fighters che partono, rientrano, vanno e vengono; persone che agiscono autonomamente, perché il messaggio che viene lanciato è sempre quello di colpire, e quindi è chiaro che soggetti autonomi,  non organizzati, raccolgono messaggi contenuti nei  proclami che sono veri e propri  inviti ad agire. Quindi il pericolo c’è.

Lei pensa che i nostri Servizi Segreti siano abbastanza efficienti, visto che fino ad oggi sono riusciti a prevenire ogni azione?
I Servizi, certamente io confido che siano efficienti. Il problema però non riguarda i Servizi. Come abbiamo visto in Francia e in tutti gli altri Paesi, dalla Spagna, all’Inghilterra, al Belgio, non è un problema solo di Intelligence. Una parte può essere coperta dall’Intelligence, ma almeno un altro cinquanta per cento dev’essere coperta da un apparato che dev’essere in grado di affrontare ciò che sfugge all’Intelligence, perché è impossibile che l’Intelligence possa coprire tutto. Lo vediamo tranquillamente con gli sbarchi. Quando qualche anno fa noi lanciavamo questo allarme venivamo additati come coloro che strumentalmente avanzavano delle ipotesi surreali, ossia il fatto che gli sbarchi potessero essere un canale per l’ingresso dei terroristi. Poi alla fine l’hanno dovuto riconoscere tutti, dalle agenzie internazionali, dalla CIA in giù, anche le nostre autorità, come è normale e naturale che sia, non si tratta di essere strumentali. Bisogna stare molto attenti e quel 50% dev’essere affidato alla capacità di reazione degli apparati. Se gli apparati non sono all’altezza perché non sono armati, non sono addestrati, non sono equipaggiati in maniera adeguata e si continua a tagliare sulla sicurezza, diventa un problema. Il problema c’è, eccome se c’è! Il problema c’è nella stessa misura di quando sei mesi fa facevamo tutte le nostre denunce. Oramai è scritto nella roccia. Speriamo che di quelle denunce nessuno si debba assumere la responsabilità.

Quindi esiste sempre la necessità di un Corso Anti Terrorismo, come lei ha scritto nel 2014 al Presidente del Consiglio?
Sì, c’è la necessità di fare questo corso antiterrorismo, cosa che ancora non è stata fatta, lo ribadisco. Nessuno ancora ha mai sparato su bersagli in movimento,  i corsi, invece di durare un anno,  durano tre mesi o meno addirittura, e quindi la formazione è carente, si taglia su tutto, sulle risorse, e quindi il problema c’è. A tutt’oggi a maggior ragione, come ho detto prima, perché  prima l’Isis era soddisfatta dai successi sui campi di battaglia, e lo Stato Islamico si affermava anche territorialmente;  ma nel momento in cui incomincia ad essere in difficoltà, a perdere terreno militarmente, allora quello è il momento in cui la sfida terroristica diventa molto più concreta e pericolosa per tutti noi.
 

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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