Connect with us

Editoriali

e non finisce qui

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 5 minuti
image_pdfimage_print

…E NON FINISCE QUI.
DI ROBERTO RAGONE
Queste righe nascono mentre don Matteo è per aria, fra le nuvole, sul suo Airbus 350-500, da 20.000 euro ad ora di volo, battezzato Renzi Air Force One a furor di popolo. Tanto per non essere da meno da quello americano. È per aria, fra le nuvole, ma per il ragazzo di Rignano non è una condizione nuova, visto che anche quando i suoi riveriti piedi – pardon, estremità – poggiano sul suolo italico, la sua mente sembra essere altrove: fra le nuvole, appunto. Il ritratto che ci offre in quei momenti è decisamente celestiale, ma non illudetevi, lui sa come stanno le cose, lo fa a nostro uso e consumo. Pensioni anticipate, tredicesime, lavori usuranti, nuovi concorsi, deprecarizzazione dei precari, soldi ai sindaci per l'accoglienza ai migranti, pugno di ferro con l’Unione Europea, distruzione del mostro Equitalia e così via, tutta roba che costerà a noi contribuenti ben otto miliardi di euro. E quando si annunciano questi ‘doni’, dobbiamo tremare, perché la stangata ci sta arrivando da un’altra parte, sembra il gioco delle tre carte, sposta di quà metti là. Comunque manca qualcosa. Mancano i tagli alle pensioni d’oro e agli illegittimi privilegi, oltre che ai vitalizi ingiustificati e protetti da leggi autocostruite pro domo sua – perchè non si cambiano quelle invece della Costituzione? – , il che gli farebbe vincere con il SI’ a spron battuto, ma gli farebbe perdere favori, clientele e contatti per lui fondamentali. E poi quelli ‘che-sa-lui’ non glie lo permetterebbero. All’ombra della Casta. Peccato che tutte le promesse che lui è abituato a non mantenere, siano rimandate al 2017 o 18, dopo l’esito del referendum. Anche la promessa che “Si vedrà”, quella della modifica dell’italicum: sarà modificato con un sistema più o meno proporzionale se vince il NO, rimarrà con un esagerato premio di maggioranza – Porcellum bis – se vince il SI’. L’immagine che Renzi da’ della condizione italiana è fuori dalla realtà, ed è quella che snocciolerà, permettendolo il suo inglese da scuola media, all’America e agli Americani, alla John Hopkins University.  Sa che sta perdendo punti, e sta facendo di tutto per recuperare. Portare con sé i testimonial dell’Italia vera, quella in buona fede, vuol dire volersi accreditare presso quelli chi gli ha dato un compito, e che vogliono vedere i risultati. All’ultimo apprendiamo che si sono uniti al gruppo in gita dopolavoristica anche Giorgio Armani – che non ha bisogno di presentazioni – e Raffaele Cantone, il garante della corruzione. O meglio, del contrario. Un Paese che ha bisogno di una persona e di una commissione che si occupi della corruzione, cercandola nelle pieghe della politica e degli affari, è un Paese decotto. La corruzione dovrebbe essere denunciata dalle persone oneste, che sono costrette a subire, e invece viene cercato l’amico, il parente, la persona giusta, il monsignore, il politico, una persona influente e con delle conoscenze, uno che possa farci passare avanti. A cominciare dai topi d’archivio, quelli che spostano le pratiche sulla loro scrivania, in alto o in basso, secondo la propensione del malcapitato ad essere concusso. La corruzione dovrebbe essere trovata e perseguita per legge, dagli organi investigativi e competenti, compresa la Magistratura – quella che fa il proprio dovere. Di Cantone è confortante il fatto che abbia dichiarato che la sua appartenenza politica non è in direzione del partito di governo, il che garantisce obiettività; sperando che sia lasciato libero di lavorare nella maniera giusta, e che la Commissione che lui presiede non sia come i tanti 'tavoli' politici che si aprono quando non si vuol fare nulla. Viviamo in un Paese che ha figli e figliastri, e trovare corrotti e corruttori non è difficile. Ai tempi di Mani Pulite fu preso di mira un partito del quale tutti conoscevano vita, morte e miracoli. I sette milioni di Chiesa e del Pio Albergo Trivulzio furono solo un pretesto, un'occasione, il bandolo di una matassa che si sapeva come districare. Ma da quella matassa furono accuratamente tenuti fuori altri personaggi, che non entrarono nelle indagini, neanche per la più piccola intercettazione. E quando qualcuno cercò di far notare l’anomalia, fu prontamente sepolto, insabbiato. L’Italia non è il Paese della meritocrazia, se pure ne esiste uno. Anche negli USA funziona una forma di raccomandazione, o per lo meno, di presentazione; ma lì il bello è che se vali ti portano comunque in palma di mano, altrimenti ti buttano nella spazzatura. Da noi, invece, sono altre le molle del successo, e a volte i mediocri vanno avanti a discapito dei meritevoli. Prendiamo Benigni. Renzi ha sentito il bisogno di portarselo appresso, per accreditarsi maggiormente presso gli Americani. Che diavolo, un Premio Oscar! Anche se, diciamo la verità, 'La vita è Bella' è stato uno sprazzo di luce, l'unico film buono, dopodichè il miracolo non si è ripetuto. Ma Benigni è soprattutto un potente testimonial per i SI’ al referendum. Allora, visto che lui fu quello che definì la nostra Costituzione ‘La più bella del mondo’, – e per recitarla in TV prese fior di quattrini – ed ora ne certifica lo sfascio, delle due l’una: o è scimunito, oppure lo fa perché legato ad un carrettino da cui non si può svincolare. Nella seconda ipotesi, si spiegherebbero tutti i lauti cachet elargiti per le sue prestazioni in televisione, per delle letture che un Albertazzi o un Gassman, o chi per loro, avrebbero fatto molto meglio, e con più suggestione. Questo referendum ha spaccato l’Italia in due, fra il SI’ e il NO. A votare, stante la martellante propaganda orchestrata in Rai da Campo Dall’Orto, andranno in tanti. Renzi sta cercando di accalappiare gli indecisi, i superficiali, i meno provveduti, sfruttando proprio quel malcontento che la politica in generale produce, che produce ancora di più da Monti in poi, e del quale lui è uno dei principali artefici. Chi non vorrebbe cambiare, avere una vita diversa, con maggiori prospettive, visto che ormai siamo alla frutta?  Anche i meno provveduti e gli indecisi hanno diritto di voto, e l’avevano anche quando siamo andati a votare al referendum sulle trivelle, ma sono stati sommersi – in TV – da un mare di informazioni false e faziose, oltre che esortati a non andare a votare dal premier in prima persona; cosa per cui s’è beccato una denunzia penale che, già lo sappiamo, sarà archiviata. A votare, insomma, andranno quelli che votano SI’, e quelli che hanno capito. Dobbiamo togliere dal nostro modo di pensare un concetto fondamentale, quello che ci fa attribuire una maggiore credibilità ad un personaggio influente, come il Presidente del Consiglio o quello della Repubblica. Inconsciamente pensiamo che 'se lo dice lui, sarà vero', in ossequio non alla persona e all'obietività dei fatti, ma alla carica che ricopre. Renzi sta mettendo la faccia su questo referendum, non è detto che abbia ragione soltanto perchè è Presidente del Consiglio. Smettiamola di inchinarci alle cariche, e guardiamo le persone e i loro interessi. Che tante volte non sono anche i nostri. Improvvisamente scopriamo che tutti gli artisti più famosi e presenti sui media sono per il SI’; gli altri non appaiono, e non è detto che cantanti o attori abbiano visto giusto: piuttosto qualche dubbio sull’effetto della loro appartenenza politica, è legittimo che sorga. Dopotutto Renzi, a Bari, se l’è presa con Checco Zalone-Luca Medici, mica con Verdone.

Continua a leggere
Commenta l'articolo

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

Continua a leggere

Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

Continua a leggere

Editoriali

Un anno senza Silvio Berlusconi

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura < 1 minuto
image_pdfimage_print

Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti