Cronaca
DELITTO YARA GAMBIRASIO: MASSIMO BOSSETTI NON PATTEGGIA
Published
10 anni faon
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di Chiara Rai
In carcere Bossetti ripete di "aver fiducia nella giustizia", resta ad aspettare per capire se la giustizia è pronta a credere che non sia lui l'assassino di Yara Gambirasio. Il muratore di Mapello non intende affatto patteggiare a 16 anni, ma convinto della sua innocenza dice di essere disposto a rischiare l'ergastolo. "La Procura vuole farmi patteggiare (…) fa 'lei Bossetti è ancora in tempo, se lei mi patteggia, prende 16 anni' (…) io siccome continuo a dire che sono innocente, innocente e lo dirò fino alla fine, prendo quella strada qua lo so che rischio grosso (…) rischio l'ergastolo". Sono le parole di Massimo Bossetti, accusato dell'omicidio di Yara Gambirasio, intercettate lo scorso 23 dicembre durante un colloquio in carcere con suo fratello Fabio Bossetti e la cognata Monica Esposito.
Bossetti a colloquio con l'avvocato: "Non mi ammazzo perché ho una moglie e tre figli che mi credono". E sul momento dopo il fermo 'si passavano i telefoni a farmi selfie come essere fieri che hanno preso…' ."Visto che non credo più a nessuno di evitare di fare il processo…tanto se…m'impicassi qua in cella così…sa quanto…che favore farei a tanta di quella gente! Ma sa perché non lo faccio…perché c'ho una moglie e tre figli che mi credono, vivo per loro e basta…se non avrei avuto voi, giuro, guarda, tutto quello che mi viene detto e tutto, l'avrei fatta finita". Così Massimo Bossetti, in carcere con l'accusa di aver ucciso la 13enne Yara Gambirasio, racconta alla moglie un colloquio con il suo avvocato. È il 24 ottobre scorso quando il 44enne muratore spiega, come farà nel corso dei successivi incontri, la difficoltà della vita in carcere fin dal momento del fermo quando in caserma l'hanno messo in una cella "buttato dentro, in un locale in una cella, nella casella di …come un cane, con accanto tutti gli altri, si passavano i telefoni a farmi il selfie, selfie tutti a mandarli in Facebook come essere fieri che hanno preso…". In un'altra intercettazione contenuta nei 59 faldoni dell'inchiesta, racconta: "Ora voglio che la Procura, che loro sono stati, sono stanchi è quattro anni che va avanti sta indagine, non hanno trovato nessuno e sono stanchi e vogliono farla pagare, perché solo coincidenze mi hanno trovato…" e con la madre, Bossetti aggiunge: "Ormai il mio caso non è più mediatico è politico, ormai nessuno andrà contro il ministro della Giustizia".
Yara uccisa in pochi minuti. Un'agonia durata a lungo rispetto a un'aggressione durata solo pochi minuti. Le lancette dell'orologio avranno un ruolo di primo piano nel processo che vedrà alla sbarra Massimo Bossetti, in carcere dal 16 giugno scorso con l'accusa di aver ucciso con crudeltà Yara Gambirasio. Nella ricostruzione degli inquirenti, se si consultano i 59 faldoni della chiusura indagine, si può immaginare cosa sia davvero successo la sera del 26 novembre 2010 quando la giovane ginnasta, una volta uscita dal centro sportivo di Brembate di Sopra (Bergamo), non farà più ritorno a casa. Ed emerge una novità: l'azione omicida è durata solo qualche decina di minuti, circa 28-29 minuti nell'ipotesi più favorevole all'accusa. Una deduzione che emerge sfogliando e confrontando le quasi 60 mila pagine dell'indagine.
Partendo dall'inizio e usando solo dati certi, tutto appare chiaro: la 13enne la sera della scomparsa va a consegnare uno stereo in palestra, e se "fino ad oggi nessuno ha visto Yara raggiungere la strada all'esterno del centro sportivo, né tantomeno vi è certezza sulla porta di uscita dalla stessa palestra", per l'accusa "alle 18.44.14, Yara si trova (secondo testimonianze e deduzioni sul suo cellulare, ndr) probabilmente – pur con qualche margine di approssimazione – all'interno della palestra intenta ad uscirne; oppure all'interno del cortile del centro sportivo intenta a raggiungere la strada". Dalla palestra all'abitazione della giovane in via Locatelli il percorso – secondo quanto riprodotto dagli stessi investigatori – ci vogliono circa 9 minuti, ma Yara non farà mai quel tragitto. "Esattamente alle 18.49.53, il tabulato del traffico telefonico" della 13enne mostra che ha ricevuto l'ultimo sms dall'amica: "in questo momento il ponte ripetitore che aggancia l'utenza di Yara è quello di Mapello, via Natta, in località opposta rispetto alla via che la ragazzina avrebbe dovuto percorrere per rientrare a casa». A partire dalle 19.11.33 "e fino ad oggi l'utenza di Yara risulta spenta e pertanto non 'agganciatà da alcun ponte ripetitore".
I cani molecolari e le celle telefoniche. La pista dei cani molecolari, inizialmente usati nell'inchiesta per ritrovare la giovane ginnasta, hanno "evidenziato un percorso differente rispetto a quello supposto inizialmente. ln condizioni di normalità Yara, uscendo dal centro sportivo, avrebbe dovuto dirigersi immediatamente alla sua sinitra (…). I cani specializzati nella ricerca e ricostruzione del percorso molecolare hanno disegnato un cammino esattamente opposto a quello prima ritenuto logico". Hanno lasciato la palestra "da una porta secondaria e poi, raggiunta la strada, hanno preso a destra aggirando lo stabile e dirigendosi sul retro dello stesso", fino al famoso cantiere di Mapello al cui interno i cani «hanno puntato con insistenza, 'fiutandò una possibile pregressa presenza della ragazzina".
La zona "è 'copertà telefonicamente dal ponte ripetitore di Mapello", l'ultimo agganciato dal telefonino di Yara. Ma se Bossetti è in carcere è anche perché il suo cellulare aggancia la stessa cella di Mapello (alle 17.45 per l'esattezza, ndr) e il suo furgone sarebbe stato inquadrato, più volte, dalla telecamera di un distributore di benzina e di una società vicino alla zona di Brembate di Sopra. Una sorta di 'girotondò intorno al centro sportivo che dalle 17.42 si ripete a intervalli quasi frenetici – sei passaggi fino alle 18.19 – per un totale di 17 volte se si lasciano scorrere le lancette dell'orologio fino alle 18.55 (resta da verificare se quello immortalato nei fotogrammi è il furgone bianco dell'indagato, ndr); per poi tornare a passare davanti alla palestra alle 19.47 e alle 19.51, di fatto allungando il ritorno a casa e ripassando davanti al luogo della scomparsa di Yara
Se il cellulare di Yara, per deduzione, è stato spento alle 18.50 e Bossetti ripassa di nuovo davanti alle telecamere di Brembate alle 19.47 (la distanza tra via Mapello e Chignolo d'Isola dove è stata uccisa la 13enne non è percorribile in meno di una dozzina di minuti e per tornare al centro sportivo di Brembate di Sopra la strada non è percorribile in meno di 15 minuti, consultando online le mappe stradali), a Bossetti restano circa 28-29 minuti nell'ipotesi più favorevole all'accusa, oppure poco più di 20 se si calcola il traffico. Una "manciata di secondi" per la difesa se si considera che Yara avrebbe tentato la fuga su quel campo, si sarebbe difesa dal suo aggressore, è stata colpita più volte con un'arma da taglio e da punta prima di morire per le ferite e l'ipotermia. Un tempo sufficiente a dire dell'accusa e compatibile con l'orario della morte della giovane ginnasta avvenuto con "elevata probabilità, tra le 19 circa e le 24, e comunque nelle poche ore successive al momento in cui è stata vista o sentita viva". Se si considera che il presunto assassino si è dovuto anche disfare dei propri abiti sporchi di sangue "prima di rimettersi alla guida del suo furgone, come sostiene chi punta il dito contro di lui, diventa una tesi difficile da sostenere", sostiene la difesa
Quel messaggio di papà Fulvio a Yara. Il messaggio lasciato nella segreteria telefonica della 13enne quattro giorni dopo la sua scomparsa. Non un'inchiesta unilaterale, ma a tutto tondo che non esclude pregiudicati, piste legate a traffici di sfruttamento della prostituzione minorile, agli ambienti vicini alla vittima Yara Gambirasio. Nei 59 faldoni dell'inchiesta chiusa di recente dalla procura di Bergamo, emerge anche un'annotazione dei carabinieri in cui si evidenzia un messaggio telefonico lasciato da papà Fulvio il 30 novembre 2010, a quattro giorni esatti dalla scomparsa della 13enne da Brembate di Sopra (Bergamo). "Fulvio Gambirasio – si legge nell'annotazione – è stato captato in una frase che desta qualche perplessità, rivolta alla figlia Yara e evidentemente ad altri il 30 novembre alle ore 9.16 quando, dopo aver accompagnato i suoceri, compone il numero di telefono di Yara e lascia in segreteria telefonica, con voce bassa e roca, il seguente messaggio: 'sono passati quattro giorni eh … devo cominciare a preoccuparmi? .. Fatti sentire .. . fatevi sentire … '". Una frase che, probabilmente, indica la paura di un padre di un possibile rapimento. La vita della famiglia Gambirasio è stata passata al setaccio e nessuno risulta coinvolto in alcun modo con il delitto della giovane ginnasta di cui è accusato Massimo Bossetti, in carcere dallo scorso 16 giugno.
I genitori di Yara non conoscevano Bossetti. Di fronte al nome di Bossetti 'mi sono tranquillizzato poichè il nominativo non era a me noto. "Io ho sempre avuto il terrore che un giorno potesse essere arrestata una persona magari da me conosciuta e frequentata, poiché tale situazione mi avrebbe creato un fortissimo disagio e sconforto che volevo assolutamente evitare. Quando ieri mia moglie mi ha comunicato il nome della persona arrestata ovvero di Bossetti Massimo, mi sono tranquillizzato poiché il nominativo non era a me noto". Si rivolge così Fulvio Gambirasio ai carabinieri che il pomeriggio del 17 giugno scorso, a 24 ore dall'arresto del 44enne muratore accusato dell'omicidio di sua figlia Yara Gambirasio, lo ascoltano per avere notizie su un possibile legame tra la vittima e il presunto assassino. Se Fulvio Gambirasio riconosce la foto di Bossetti perché vista in tv, ammette di avere "un ricordo vago della sua immagine, naturalmente molto più ringiovanita, risalente a circa 25 anni fa e me lo ricordo come un ragazzo che girava per Brembate con un motorino. Non mi aveva colpito particolarmente (…) ma ricordo che era una persona abbastanza schiva, taciturna, un tipo tranquillo. Preciso di non averci mai avuto a che fare direttamente, l'avevo visto qualche volta girare in paese". E aggiunge: "Visto che era un muratore ho provato a pensare se l'avessi potuto mai incontrare in cantiere o in giro per lavoro, ma non mi viene alla mente nulla", cosi come il cognome Bossetti "non mi dice nulla nemmeno in relazione ad eventuali frequentazioni della piscina o del centro sportivo di Brembate o di altre attività riconducibili alla nostra vita familiare". E il medesimo giorno, negli stessi uffici dei carabinieri di Ponte San Pietro, viene ascoltata anche Maura Panarese, mamma della 13enne Yara. "No Bossetti – risponde la donna ai militari – mi è assolutamente sconosciuto, non ho mai conosciuto nessuno nè a Brembate nè in altri posti ove sono stata". La donna, a conoscenza dell'età dei figli del presunto autore dell'omicidio, ipotizza che i figli possano aver frequentato l'asilo nido a Brembate o che una figlia di Bossetti possa aver frequentato qualche corso di ginnastica all'interno del palazzetto di Brembate. Ipotesi mai confermate nel corso delle successive indagini: a mamma Maura e papà Fulvio il volto di Massimo Bossetti continuerà a non dire nulla.
La morte di Yara. E' il 26 novembre 2010 quando Yara esce dalla palestra che dista poche centinaia di metri da casa e di lei si perdono le tracce. Tre mesi dopo, il suo corpo viene trovato in un campo abbandonato a Chignolo d’Isola, distante solo una decina di chilometri da casa. L’autopsia svela una ferita alla testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessun colpo mortale: era agonizzante, incapace di chiedere aiuto, ma quando chi l’ha colpita le ha voltato le spalle lei era ancora viva. Il decesso è avvenuto in seguito, quando alle ferite si è aggiunto il freddo.Un delitto che porta, in pochi giorni, all’arresto di Mohamed Fikri, rilasciato per una traduzione sbagliata. Su di lui si riaccendono i riflettori e cambia ancora la scena: per Fikri cade l’accusa di omicidio e si profila quella di favoreggiamento. Il giudice delle indagini preliminari Ezia Maccora archivia il fascicolo con la prima ipotesi, ma rimanda gli atti al pm di Bergamo Letizia Ruggeri perchè indaghi sulla seconda.
Una mezza vittoria per mamma Maura e papà Fulvio che, attraverso l’avvocato Enrico Pelillo, si erano opposti all’archiviazione. Il gip ricorda che dalle analisi e dagli esami sui vestiti e nei polmoni di Yara c’erano polveri riconducibili a calce, sostanze “simili ai materiali campionati nel cantiere di Mapello”, dove lavorava il tunisino. Inoltre, la zona in cui le celle telefoniche agganciano il cellulare della ragazza, nell’arco di tempo che va dalle 18.30 alle 19, “coprono anche l’area del cantiere, “rendendo plausibile in quel range temporale la presenza di Yara e di Fikri in un territorio circoscritto”. Ma l’operaio non l’ha uccisa.
Due gli elementi che lo scagionano: il suo Dna non corrisponde con quello trovato sugli slip e sui leggings della 13enne, l’analisi delle celle telefoniche dimostrano che il tunisino non è andato nel campo di Chignolo d’Isola, dove la vittima è stata uccisa e abbandonata. Tuttavia secondo il giudice ci sono delle “incongruenze” nelle telefonate di Fikri e “in assenza di una plausibile ricostruzione alternativa”, queste “incongruenze” potrebbero far ritenere che la sera del 26 novembre 2010, l’uomo “ha visto o è venuto a conoscenza di circostanze collegate alla scomparsa e all’ omicidio di Yara “. Per il gip appare verosimile che sia stato spinto a nascondere quello che ha visto, “per proteggere o favorire la persona che ritiene in qualche modo coinvolta nel delitto”. Nei mesi scorsi la sua posizione è stata archiviata e il sospettato numero uno esce di scena. E le indagini proseguono ripartendo dalle analisi genetiche sulle tracce trovate sugli abiti della vittima, circa 18mila i Dna prelevati e analizzati da carabinieri e polizia che lavorano fianco a fianco nell’inchiesta.
Chi è Massimo Bossetti. Originario di Clusone, Massimo Giuseppe Bossetti ha 44 anni, è sposato e ha tre figli. L’uomo, senza precedenti penali, lavora nel settore dell’edilizia ed ha una sorella gemella. Il Dna lasciato sul corpo della vittima sarebbe sovrapponibile a quello di Giuseppe Guerinoni, l’autista di Gorno morto nel 1999 e ritenuto in base all’analisi scientifica il padre dello sconosciuto assassino al 99,9%.
Il profilo genetico del presunto assassino è in parte noto. Per questo era stata riesumata la salma di Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999, che secondo gli esami scientifici risulta essere il padre del presunto assassino di Yara. Avere la certezza che l’autista è il padre dell’uomo che ha lasciato il proprio Dna sui vestiti di Yara non risolve il problema: trovare il killer, un presunto figlio illegittimo di cui non c’è traccia. L’ultima conferma sull’analisi scientifica arriva nell’aprile scorso contenuta nella relazione dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo, la stessa esperta che aveva eseguito l’esame sulla salma della giovane vittima.
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