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Parlando col Senatore Compagna (PLI e membro commissione affari esteri) è venuto spontaneo chiedergli cosa ne pensasse del Decreto Minniti-Orlando. Il Senatore ha deciso di non esporsi troppo e, anche riconoscendo un generale successo delle politiche del Ministro dell’Interno, guarda alla situazione Libica con occhi diversi, più drammatici.
Tre giorni fa, Minniti è tornato a parlare dell’accordo stipulato con Tripoli alla stregua delle accuse del Commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muznieks.
Il 28 settembre Muznieks spedisce una lettera, che non vedrà mai risposta, al Ministero dove sottolinea che “consegnare individui alle autorità libiche o ad altri gruppi in Libia li espone al rischio reale di torture o di trattamenti inumani e degradanti, ed il fatto che le azione siano portate avanti in acque libiche non esime l’Italia dai suoi doveri stabiliti dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo”.
Il commissario si riferisce chiaramente alle navi che il Governo italiano ha posizionato nella acque libiche con il preciso scopo di bloccare il flusso migratorio. Con particolare riguardo alla sentenza della Corte Europea del 2012 nonché all’articolo 3 della Convenzione che proibisce di esporre le persone alla tortura.
Il ministro Minniti, il 15 novembre, ha tenuto la question time alla Camera relativa all’accusa delle Nazioni Unite sul patto disumano siglato tra Italia e Libia, con allegati numerosi report che fotografano la situazione degradante e di schiavitù nella quale versano i migranti nei centri di detenzione libici.
Ne trapela la consapevolezza dell’esecutivo circa le atrocità che si consumano nelle “terrificanti prigioni”, Minniti dichiara che “la questione dei diritti umani è irrinunciabile” ma non “possiamo rassegnarci all’impossibilità di governare i flussi” e, anzi, “ se l’Unhcr ha potuto visitare i 28 sui 29 centri in Libia, lo si deve all’impegno del nostro Paese”.
Il ministro dell’Interno, in netta opposizione alle parole del Commissario Onu Zeid Raod Al Hussen che punta il dito sulla tolleranza italiana ed europea su tali circostanze di fatti, ritiene necessario l’accordo con Fayez Al Sarraj.
Il decreto Minniti-Orlando 13/2017, convertito il 12 aprile scorso, prevede la creazione dei Cpr (centri di permanenza per il rimpatrio nelle Regioni), 26 sezioni specializzate in immigrazione nelle sedi delle Corti d’appello, assunzione di 250 specialisti per rafforzare le commissioni di esame delle richieste d’asilo (aumentate del 47% dal 2015 al 2016, in tutto 123mila), l’eliminazione di un grado di giudizio ed il taglio dell’appello per i ricorsi contro il diniego dello status di rifugiato possibile solo in Cassazione, lo stanziamento di 19 milioni per garantire l’esecuzione di espulsione nonché piani per lavori socialmente utili.
Molti i favorevoli, per il Pd “l’Italia deve essere orgogliosa”, ma anche molti diffidenti tra cui Mdp, Sinistra Italiana che richiama alla violazione costituzionale, le Associazioni tra cui Libera e Medici Senza Frontiere che l’11 aprile hanno sottolineato come tale provvedimento faccia tornare indietro la civiltà giuridica del Paese.
Il ministro si augura l’apertura di corridoi umanitari e un cambiamento di strategia all’Agenzia Frontex in vista del piano operativo del 2018, insomma una gestione dei flussi che deve necessariamente avvenire nel quadro di “una gestione integrata e condivisa della strategia delle frontiere e della mutua solidarietà tra gli Stati Membri”.
Il tema dell’immigrazione è delicatissimo e non risolvibile con semplici chiacchiere populistiche al modus di Salvini o della Meloni che addirittura rintracciano nell’eccesso di stranieri in nazionale la
sconfitta dell’Italia contro la Svezia.
Come invece vede bene Travaglio la motivazione più lampante è che si tratta di una “squadra di pippe, di un allenatore pippa e di un presidente super-pippa”. Primo Levi così descrisse il comportamento antisemita che oggi ancora si respira: “A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager”.
Gianpaolo Plini
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