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Roma

DEBITO PUBBLICO, DALLE PRIME AVVISAGLIE ALL'INARRESTABILE FAGOCITAZIONE DI SPERANZE INFRANTE

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Tempo di lettura 4 minutiAl momento del divorzio Tesoro/Bankitalia il governatore era Azeglio Ciampi e durante il suo mandato, il debito pubblico salì dal 62,40% al 118,40%.

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Emanuel Galea

Un mostro che cresce a dismisura, autoalimentandosi, incubo di tanta gente, perennemente in crescita, ottusamente sottovalutato, da tempo, dalla classe politica.
 
Il rapporto Debito Pubblico/ PIL, fino al 1989, governo De Mita,  ( Ciriaco De Mita Segretario nazionale della Democrazia Cristiana 1982/1989 ) si assestava sotto la soglia 100 e precisamente stava a 93,7%. Ha toccato un picco di 121,8%  nel 1993 a fine mandato Ciampi, per poi riassestarsi a 126,3% al 31 dicembre 2012, fine mandato Monti.
 
L’inizio della corsa al rialzo risale al 1980. Fino ad allora le banche avevano l’obbligo di comprare i titoli del debito pubblico a tassi molto bassi finanziando così le esigenze di cassa dello Stato.  Abolendo questi vincoli, le autorità monetarie obbligarono lo Stato ad approvvigionarsi di tassi di mercato. La spiegazione fornita allora, una mera illusione, era che si voleva evitare ai democristiani e socialisti, al potere, di utilizzare gli investimenti per fini clientelari.
 
Dopo, si è scoperto che così facendo si obbligava lo Stato a finanziare il disavanzo a tassi di mercato.

Grazie a una certa classe politica miope, collusa ed irresponsabile, il sistema bancario conseguiva guadagni spropositati, acquistando titoli ad altissima remunerazione.
 
Una ulteriore spinta alla corsa al rialzo del debito pubblico avvenne nel luglio del 1981, anno in cui avvenne il ‘divorzio’ Bankitalia-Tesoro. Titolare del Ministero del Tesoro era Nino Andreatta ( Democrazia Cristiana ).

Se accanto a questi fattori aggiungiamo la menzionata eliminazione del vincolo di portafoglio, che obbligava le banche a detenere titoli di stato a tassi bassissimi, è facile capire l’impennata del debito pubblico.

Episodi di chi approfittando dell’occasione prendeva soldi in prestito per investirli poi in titoli non sono stati rari. Gli interessi bancari, ad un certo momento, risultavano inferiori allo stesso rendimento dei titoli pubblici.

Al momento del divorzio Tesoro/Bankitalia il governatore era Azeglio Ciampi e durante il suo mandato, il debito pubblico salì dal 62,40% al 118,40%.
 
La lievitazione del deficit si andava formando perché le spese dello Stato viaggiavano in misura maggiore rispetto le entrate.
 
Per rendere chiaro il corso ‘perverso’ che si era intrapreso ecco il rapporto debito pubblico/PIL, espresso in milioni:

– 2008 1665.705/1575.144

-2009 1762.724/1519.695

– 2010 saliva a 1841.912/1553.166

– 2011 ha chiuso con 1897.179/1580.220


 Emerge più che chiara la progressività del deficit tra debito e PIL.  Sarebbe interessante indagare, per meglio capire, a cosa si attribuisse la crescita della spesa. Implementazione dei servizi sociali non ne risulta nessuna. Forse i partiti sapranno spiegare meglio il fenomeno.

L’uscita della lira dallo SME ha richiamato tutti i poteri finanziari che, a sconti non indifferenti,  hanno comprato tutte le ricchezze italiane. In poche parole, un settore importante della società imprenditoriale non facente parte del mondo finanziario si è trovato emarginato e svantaggiato, costretto suo malgrado, a rallentare il processo produttivo, indebolendo quella parte dell’imprenditoria che fino ad allora formava l’ossatura dell’economia nazionale e quindi dell’occupazione e quindi della crescita.
 
Il trattato di Maastricht del 1992 segna un’altra pietra miliare nella storia del debito pubblico. Un trattato troppo generico al quale sono mancate regole precise, stabilendo obblighi e diritti. Questo evento ha dato il via ad un altro periodo di fruttuosi guadagni per il sistema bancario. Dal 1994 al 2004, per permetterci di entrare nell’euro il debito pubblico fu ridimensionato, portandolo, non è chiaro con quale artificio, dal 124,5% a 103,8%.

Qualcuno allora aveva scritto che il debito non si deve addebitare ad un bravo o cattivo presidente del Consiglio dei Ministri. Il debito è dovuto al ‘processo’ e non all’attore. Non mi sento di condividere questa tesi. Il processo non è che il ‘prodotto’, dell’attività dell’attore. 
 
Una ultima e semplice constatazione. Oggi il sistema bancario dirige, e pertanto di fatto possiede, quasi la totalità del mondo produttivo nostrano.
 
La nostra produzione, stando alle statistiche, fino al 1972 era superiore a quell’europea dell’8%. Dal 1972 fino al 31 dicembre 1981 superava del 40% quell’europea. L’anno 1982 è stato l’inizio di una infausta discesa della nostra economia e ad oggi non mostra segni di ripresa.
 
Qualsiasi persona, anche quella più a digiuno di nozioni di economia, oggi saprà fare una veloce diagnosi della situazione. Ci troviamo con un debito pubblico mastodontico in un sistema di cambi fissi, accordi europei con dei parametri capestro, come il pareggio di bilancio, il fiscal compact con la famigerata soglia del 60% e il ritmo medio di riduzione pari ad un ventesimo l’anno.

Queste considerazioni da sole basterebbero a far venire la pelle d’oca al più freddo degli statisti. La cura per abbassare la febbre al debito pubblico ci sarebbe. Praticare dei salassi e seguire una dieta rigida alla spesa pubblica, come consumi pubblici,  spesa per beni e servizi dell’apparato, trasferimenti, abolizioni dei privilegi e tutto il superfluo.
 
Se poi si considera l’analisi che ha fatto Gian Antonio Stella su Il Corriere , e cioè che i partiti nel scegliere i candidati non cercano competenze oppure professionalità, bensì persone fidate, indottrinate, obbedienti,  pronte a votare l’ordine di scuderia, ci si rende subito conto che davanti alla situazione tragica e compromessa,l’azienda Italia si presenta totalmente esposta a qualsiasi evento.

Il legislativo si presenta debole di strumenti e povero di intelligenze, quelle necessarie in casi così estremi.

La trasmissione “Le Iene” ha dimostrato il livello di Quoziente di Intelligenza e grado culturale di taluni, scelti dall’apparato dei partiti, per rappresentare il Popolo, non hanno saputo dire cosa è la Consob, la OSCE ecc. A questi signori abbiamo affidato il nostro futuro.

I partiti, persino in questo momento tragico, seguitano con il loro teatrino, una fiera di vuoto, del nulla, del già sentito, già visto, del poco credibile, del per niente promettente, per niente rassicurante.
Mai un diritto/dovere, affidato ai cittadini, fu così difficile perché caotico e scadente.

Per andare a votare i prossimi 24 e 25 febbraio ci vorranno  tanti ottura nasi, para occhi e… tirare a sorte.
 

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