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Economia e Finanza

Crisi reale, ripresa virtuale: la politica dei pannicelli caldi e dei rattoppi

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Altri tempi quando le nostre mamme facevano le pulizie di pasqua all’avvicinarsi della festività. Oggi le pulizie si fanno in altri modi ed in altri tempi. Qualche pasticciona, per fare prima, nasconde la spazzatura sotto i tappeti, lascia la casa “pulita” ed esce a fare salotto con le amiche. E’ proprio questo quanto sta facendo il governo, sta nascondendo la crisi sotto un lancio propagandistico di  una virtuale ripresa, ancora mal digerita dalla maggioranza dei cittadini.

Una volta, la ricchezza di un paese si calcolava sulla consistenza della sua riserva aurea, lingotti d’oro custoditi nel caveau della banca centrale. La riserva rappresentava una garanzia della stabilità e credibilità del Paese. Il nuovo criterio vuole che la ricchezza di un paese sia misurata sul Pil. Detto così però, il concetto non può essere completamente condiviso. Produrre sempre di più può dire tanto e può significare poco. Il principio giusto è piuttosto: distribuire in modo appropriato i beni prodotti per renderli accessibili a tutti.

Arriviamo così al secondo concetto. Possono accedere ai beni prodotti solo coloro che posseggono i mezzi per acquistarli. Ne consegue che il fattore lavoro determina i mezzi per accedere ai beni disponibili. Dunque, quando manca il lavoro, mancano i mezzi per l’acquisto dei beni e quindi il fattore lavoro rappresenta una risorsa strategica. A chi manca il lavoro sarebbe difficile convincerlo che la crisi sia ormai alle spalle e a buona ragione chi ristagna nella povertà considera la ripresa un fattore produttivo solo virtuale.

 

Cosa dice l’Istat riguardo alla povertà? Il Rapporto annuale Istat sulla povertà relativo ai dati del 2016, pubblicato il 13 luglio scorso,dipinge un quadro di una povertà assoluta per 1.619.000 famiglie che rappresentano  4.742.000 individui. Entrando in dettaglio a questi numeri si scopre che le famiglie numerose , quelle con tre o più figli minori a carico , rappresentano oggi il 26,8% nella fascia della povertà assoluta. Nel 2016 rappresentavano il 18,3%, vale a dire che per loro, l’ombra della crisi si è addensata, lievitando di ben 8,5%,  piuttosto che diradarsi.

 

Quali sono i dati reali della disoccupazione? Gli ultimi dati Istat, precisano che il tasso di disoccupazione, in base ai dati destagionalizzati, si attesta all’11,2%, in calo di appena 0,4 punti rispetto al trimestre precedente. Benvenuto il calo di o, 4 punti però è una crescita che non può definirsi assoluta, in nessun modo si può dire che la crisi sia alle spalle. Sono i primissimi sentori di ripresa che i ceti medi e bassi non percepiscono.

 

Sempre secondo l’Istat, “la situazione occupazionale delle donne nel nostro Paese , è tra le peggiori dell’Ue”. Il 2016 ha visto l’Italia al penultimo posto tra i paesi Ue, seguita soltanto dalla Grecia. Si deve ancora salire la china, altro che uscite dal tunnel.

 

 Delocalizzazione delle aziende emigrate oltreconfine: E’ cosa saputa che solo l’imprenditoria offre la linfa della crescita del lavoro. Lo Stato può e deve solamente accompagnare il processo, facilitando  il percorso per invogliare l’imprenditore ad investire nel proprio paese, producendo ed impiegando mano d’opera locale , richiamando investimenti esteri.

 

La politica dei  pannicelli caldi e dei rattoppi, come le misure varate ultimamente non fermano l’emorragia della “linfa vitale del lavoro” che sta emigrando fuori i confini, scaricando migliaia di lavoratori nell’olimpo della disoccupazione e gettando le loro famiglie nella sempre crescente sacca di povertà. Si può parlare della Fiat che ha aperto stabilimenti in Brasile, Argentina, Russia, Serbia, Polonia e non solo lasciando in Italia  un vuoto di oltre 20.000 posti di lavoro. Un altro buco nero, vuoto di posti di lavoro , è protagonista  Telecom Italia,preferendo call center in Albania, Tunisia, Romania e Turchia mentre in Italia 9.000 lavoratori del settore sono stati dichiarati in esubero durante gli ultimi anni. Il caso della Geox è molto emblematico, nel suo stabilimento in Brasile su una forza lavoro di 30.000 dipendenti solamente 2.000 sono italiani. Di aziende dislocate all’estero con la  conseguente perdita di posti di lavoro ne possiamo citare decine, come Stefanel e Ducati con stabilimenti in Croazia, Bialetti in Cina, Omsa in Serbia,Rossignol in Romania, Calzedonia in Bulgaria, Dainese in Tunisia e altre ancora.

 

Perché queste aziende scelgono di emigrare oltre confini? Rispondere sarebbe fin troppo facile. Eppure non sempre le cose troppo facili conducono alle giuste soluzioni. Il peccato originale sta nella spietata concorrenza che gli Stati, dell’ agognata Europa Unita, fanno fra  loro.

Fra i diversi importanti  fattori che incoraggiano le aziende a dislocare in certi Stati dell’Eurozona ne citiamo i primi quattro principali che altri Stati Ue e non solo, praticano:

– basso costo del lavoro;

– meno burocrazia;

– fiscalità più leggera;

– giustizia certa e veloce.

Con molto realismo bisogna ammettere che tutti i quattro punti, fino ad oggi, sono stati trascurati o meglio dire, sottovalutati dal legislatore italiano. Da parte sua l’Europa non esce indenne, ogni Stato tira l’acqua al proprio mulino, noncurante, a volte, che stia danneggiando qualche  partner socio della stessa unione.

 

Sta davanti agli occhi di  tutti gli italiani il disinteresse dei politici politicanti nostrani. L’unico loro interesse è captare un consenso in più, allungando  la loro permanenza sui comodi scranni di Montecitorio per assicurarsi  una più congrua  pensione. Da più di un anno non discutono che di alleanze, scissioni, gruppetti, caminetti e Lingotto. Kermesse e tanto bla bla ma di problemi reali del paese non parlano. Alzano il polverone dello Ius Soli, tentando  di  imbavagliare la libertà di espressione e di pensiero con la legge Fiano, stracciano le vesti sulle intercettazioni, legge di fine vita ed altri rumori altisonanti per nascondere il vero problema: la crisi ancora c’è e morde sempre le fasce più deboli della società.

Un pensiero postumo di Bruce Lee sintetizza quanto qui non è scritto e cioè : Una pancia piena non può credere che esistono cose come la fame. Chi glielo spiega ai signori di Montecitorio?

Emanuel Galea

 

 

 

 

 

 

 

 

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