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Editoriali

Crisi economica? Qui si parrà la nostra nobilitate e l’Italia accetta la sfida

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di Donato Mauro*

La proposta della Commissione europea per affrontare la crisi economica ha fatto esultare, forse prematuramente, le forze di governo. E’ del tutto evidente che l’ammontare della quota fondi destinata all’Italia rappresenta un positivo segnale di attenzione alle esigenze del nostro paese.

I 172,7 miliardi di euro, di cui 81,8, cosiddetti a fondo perduto, e 90 miliardi, sotto forma di prestiti, costituiscono un deciso passo in avanti nello spirito di solidarietà nei confronti del paese europeo, l’Italia, maggiormente colpito sia sotto il profilo sanitario sia economico.

Senza entrare troppo nei tecnicismi e utilizzando la lingua italiana, al posto di quella inglese che per i più è incomprensibile, chiariamo che la parte più cospicua è destinata al sostegno finanziario agli Stati per investimenti, riforme, la ripresa e per predisporre le economie ad affrontare il futuro.

Parti meno consistenti ma comunque importanti sono destinate a fare arrivare aiuti ai territori, ai lavoratori, imprese e settori colpiti dalla pandemia oltre ai fondi previsti per affrontare la “transizione verde”.

A questo punto i problemi sono sostanzialmente due: quando e a che prezzo.

Se passa la proposta così com’è entro quest’anno riceveremo una piccola parte mentre le quote più consistenti arriveranno spalmate fino al 2024.

Se l’ostruzionismo dei paesi cosiddetti frugali, che si è scoperto tanto frugali non sono, dovesse avere qualche successo ci sarebbe poco da festeggiare poiché vorrebbe dire che la maggior parte dei soldi costituiscono prestiti e non sono a fondo perduto.

Per una volta, perdonatemi, vorrei seguire il ragionamento di Mario Monti perché mi sembra almeno su un punto permeato di concretezza avulsa dagli interessi delle banche.

La drammatica emergenza causata dal Covid 19 ha indotto la presidente della Commissione europea a proporre interventi molto significativi a sostegno dell’economia e della società europea per evitare la disgregazione della casa comune ancora in costruzione.

In particolare si è puntato sulla ridefinizione della struttura del bilancio europeo per rispondere alle esigenze di una finanza corretta come auspicato dal nostro governo, in quanto dovrebbe produrre, tra il 2020 e il 2024, entrate proporzionalmente molto maggiori rispetto al contributo versato dall’Italia. Ora, sostiene Monti, spetta alle  Istituzioni e specialmente alla nostra  struttura tecnico amministrativa dimostrare la capacità di fare “un uso corretto e produttivo, in termini economici e sociali, dei fondi ottenuti”.

Nel condividere questo auspicio, non concordo sulla sua insistenza di dovere chiedere l’accesso al Mes e non perché mi domandi come mai non lo chiedono Francia, Spagna e Portogallo, ma perché è sottoposto a condizioni, checché se ne dica, altrimenti basterebbe che i capi di Stato e di governo sottoscrivano un documento ad hoc che dica espressamente: il Mes non prevede alcuna “condizionalità” né presente né futura salvo l’impiego dei fondi per la sanità.

In sostanza ben vengano i miliardi a fondo perduto e in prestito, a basso interesse, che serviranno a ripartire concretamente dopo la fase emergenziale e ad adeguare il sistema in tema di verde (green), di tecnologia digitale e inclusione sociale.

Ora lo Stato non potrà sottrarsi all’assunzione della propria responsabilità sulla indifferibile crescita del nostro Paese.

Il piano dell’Ue può legittimamente definirsi storico se rimane così com’è a meno che i 4 paesi definiti da qualcuno “avari” non facciano saltare il banco guardando ai propri interessi finanziari immediati, dimenticando che attualmente stanno approfittando in” modo sovra proporzionale del mercato unico”.

Ricordo quanto emerse dalle analisi del gruppo di lavoro sull’intelligence economica a cui partecipai insieme a dirigenti della Banca d’Italia: occorre fare attenzione e guardarsi da iniziative anche da parte di alcuni paesi “amici” in termini di speculazione finanziaria, di attacchi alla moneta unica e alla struttura produttiva e industriale.

Concordo pienamente con Daniel Cohn Bendt, leader studentesco del 68, che pone il problema in modo chiaro: i 4 paesi, da lui definiti tirchi, non possono avere la botte piena e la moglie ubriaca, vogliono godere del mercato unico e poi rifiutare di aderire alla solidarietà europea che è il valore fondativo dell’Ue; scelgano, o dentro e fuori.

Il dovere della scelta riguarda anche la nostra amministrazione, anche se ovviamente in misura non confrontabile. Non può pensare di tirare a campare sotto l’ombrello istituzionale a volte bucato, gli aiuti e i trasferimenti dal governo e dalla Regione arrivano con ritardo e sono largamente insufficienti. Deve dimostrare di avere il coraggio e la capacità di mettere insieme tutte le risorse disponibili (sottraendole a consulenze, affidamenti, incarichi e a lavori non prioritari) per erogare aiuti a tutta la nostra struttura produttiva e alle esigenze sociali. I sindaci che hanno dichiarato in molteplici occasioni che i bilanci sono risanati e che in cassa c’e’ maggiore disponibilità, bene li utilizzino subito a favore della comunità.

*Consigliere comunale a Bracciano

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