Corleone, colpo duro alla mafia: 12 arresti

di Angelo Barraco
 
Palermo – E’ stata denominata “Grande Passo 4” l’operazione eseguita durante la notte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo e della Compagnia di Corleone che ha portato all’esecuzione di misure cautelari nei confronti di dodici persone ritenute responsabili a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, tentata estorsione e danneggiamento, delitti aggravati dalla finalità di agevolare l'attività dell’associazione mafiosa e sono: Gariffo Carmelo, Vaccaro Pietro, Coscino Vincenzo, Saporito Bernardo,  Di Marco Antonino, Lo Bue Leoluca, Pellitteri Vincenzo, Scianni Francesco Paolo, Filippello Vito Biagio, Masaracchia Pietro Paolo, Geraci Francesco, Geraci Francesco. Alla libertà vigilata sono stati sottoposti invece: Gebbia Gaspare e Gebbia Pietro. Una complessa operazione che è stata compiuta su richiesta della Procura Distrettuale diretta dal Dott. Lo Voi e dalle indagini coordinate dal Procuratore aggiunto Dott. Agueci e dai sostituti Dott. Demontis, Dott.ssa Malagoli e Dott. Spedale. Tale operazione rappresenta un’ulteriore tassello all’interno del pregresso quadro investigativo in cui sono state compiute le tre indagini “Grande Passo”, relative al mandamento mafioso di Corleone che hanno portato all’arresto di esponenti di spicco tra il settembre del 2014 e il novembre 2015. Indagini che hanno condotto gli inquirenti a compiere ispezioni all’interno del Comune di Corleone e successivamente hanno portato allo scioglimento dell’Ente allo scioglimento per infiltrazioni mafiose. Il tutto ha inizio nel marzo del 2014, quando viene scarcerato Carmelo Gariffo, il nipote del superboss di cosa nostra Bernardo Provenzano. Gli inquirenti avviano ulteriori attività d’intercettazione all’interno degli uffici del custode del campo sportivo di Corleone, Antonino di Marco, uomo vicino ai vertici di Cosa Nostra. Da tali intercettazioni si sviluppa l’indagine denominata “Grande Passo” che ha portato all’individuazione del mandamento di Corleone nella persona di Rosario Salvatore Lo Bue, l’identificazione delle famiglie mafiose di Chiusa Sclafani e Palazzo Adriano nelle persone di Vincenzo Pellitteri e Pietro Paolo Masaracchia, è stato delineato il ruolo di Antonino Di Marco quale supervisore della attività della famiglia mafiosa di Palazzo Adriano, sono state accertate le responsabilità di Pietro Pollichino quale supervisore dell’area Contessa Entellina. Le indagini che hanno portato all’ordinanza di custodia cautelare hanno interessato: Carmelo Gariffo, nipote del boss Bernardo Provenzano; Leoluca Lo Bue, capo del mandamento di Corleone; Antonino Di Marco, arrestato nel settembre del 2014 nell’operazione “Grande Passo” e condannato a 12 anni di reclusione in primo grado per associazione mafiosa; Vincenzo Pellitteri, arrestato nel novembre 2015 nell’operazione “Grande Passo 3”; Pietro paolo Masaracchia, arrestato nel settembre 2014 nell’operazione “Grande Passo” e condannato a 11 anni di reclusione per associazione mafiosa in primo grado; Vito Biagio Filippello, reggente della famiglia mafiosa di Palazzo Adriano, Bernardo Saporito, Francesco Scianni e Vincenzo Coscino ritenuti appartenenti alla famiglia mafiosa di Corleone; Francesco Geraci e un altro omonimo poco più grande di lui, entrambi imprenditori e Pietro Vaccaro, appartenenti alla famiglia di Chiusa Sclafani. Per Gaspare Gebbia e il figlio è stata applicata la libertà vigilata per due anni. 
 
Le indagini hanno appurato il potere decisionale della famiglia mafiosa di Corleone sulle famiglie di Palazzo Adriano e Chiusa Sclafani, che pianificavano illecite attività sotto la supervisione e l’autorizzazione dei corleonesi. Dalle indagini è emersa una fitta rete di estorsioni di ditte impegnate sui lavori pubblici. Rispetto al passato, gli imprenditori e i commercianti hanno alzato la testa e si sono ribellati al muro di omertà imposto da un sistema marcio e non riuscendo più a gestire la situazione hanno deciso di collaborare. Nel mese di luglio del 2014 un imprenditore di Palermo che si era aggiudicato un appalto di lavori di manutenzione ha denunciato l’incendio di due mezzi da lavoro. Gli inquirenti hanno avviato delle attività investigative di intercettazioni telefoniche e ambientali ed è emerso il ruolo degli indagati, in particolar modo è stato individuato il ruolo di Gebbia e del figlio Pietro quali mandati di un progetto omicidiario ad danno di un agricoltore. Gli inquirenti hanno appurato quanto sia ancora ben presente e utilizzato il sistema estorsivo dalle organizzazioni criminali come strumento cumulativo di capitale. Un sistema che annienta le vittime sia da un punto di vista economico che psicologico evidenziando quanto il clima di paura e di terrore del sistema mafioso sia ancora ben presente in Sicilia e che può essere sconfitto attraverso l’abbattimento del muro di omertà.