Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
di Angelo Barraco
L’emendamento al ddl di riforma della Pubblica amministrazione, che è stato approvato in commissione Affari costituzionali alla Camera ha sollevato i malumori di molti poiché secondo la norma, nei concorsi pubblici si terrà conto non soltanto del voto di laurea ma anche dell’ateneo di provenienza. La norma è stata definita classista, discriminatoria e anticostituzionale e colui che l’ha firmata, ovvero il deputato Marco Meloni (Pd), dopo l’ok apre un riesame della proposta e ha spiegato che il suo intento era quello di togliere il voto minimo. Spiegando che La sua originaria proposta emendativa prevedeva semplicemente l'abolizione del voto minimo di laurea quale filtro per la partecipazione ai concorsi pubblici. Successivamente, nell'ambito di una riformulazione dell' emendamento presentata dal relatore del provvedimento d'intesa col governo, si è introdotto un criterio di delega rivolto a parametrare il voto minimo di laurea a due parametri, da precisare comunque in sede di decretazione delegata: uno, forse eccessivamente ampio e tale da definire una differenziazione tra atenei, relativo a 'fattori inerenti all'istituzione', e un altro, certamente più chiaro e condivisibile, relativo al voto medio di laurea di 'classi omogenee di studenti.
Alberto Campailla, Portavoce Nazionale di Link Coordinamento Universitario, ha così commentato la norma: “Questa norma classista rappresenta un ulteriore attacco agli studenti e a quegli atenei, soprattutto del sud, già oggi fortemente penalizzati per via delle scarsissime risorse che ricevono dal Fondo di Finanziamento Ordinario” aggiungendo inoltre che “si tratta, di fatto, di un forte indebolimento del valore legale del titolo di studio, che si sta facendo passare in sordina, con un vero e proprio colpo di mano”.
Marcello Pacifico, presidente dell’Anier ha commentato la norma dicendo che “Se questa norma diventa definitiva si violenteranno diversi principi costituzionalmente protetti, come la parità di accesso al pubblico impiego, il principio di uguaglianza e di ragionevolezza. Con il risultato che le università italiane, già in crisi di iscrizioni, diventeranno terreno per soli ricchi”. Ma non è l’unico a pensarla così, poiché anche il segretario della Flc-Cgil Mimmo Pantaleo si è espresso con pareri contrari alla norma dicendo che “iminuiranno ulteriormente le iscrizioni, soprattutto nel sud anche per l'assenza di una seria legge sul diritto allo studio. Siamo di fronte all'ennesima scelta classista del Governo a scapito dei figli delle persone che con grandi sacrifici mandano i propri figli alle università”. Il rettore di Roma Tre, Mario Panizza si è espresso con questi termini: “Propongono la brutta copia del modello americano. Considero una boutade la media del voto dei singoli atenei come indice di serietà”.
Correlati