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Editoriali

Collaborazionisti e sovranisti: in attesa di sentire l’ultima parola del Presidente della Repubblica

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L’Italia brucia e gli innumerevoli Neroni della pseudo politica, come i troubadours del medioevo, percorrono le vie d’Italia raccontando storielle alle quali nessuno ormai più presta orecchio.

Brucia l’Italia e si mettono al riparo i calabrache, si mimetizzano o cambiano pelle i vigliacchi e si confondono tra la brava gente i pusillanimi. Brucia il Belpaese e il forte vento di bora proveniente dal nord, alimenta il deflagrare del fuoco. Si salvi chi può!

Come ai tempi di Nerone il dito dei “moralisti millenials” subito indica i colpevoli. Cerca un marchio per stigmatizzarli e la vecchia “sinistra sotto vuoto” li bolla con il “marchio d’infamia” di sovranisti. Per dare corpo a questa loro presunta imputazione si avvalgono di quella che in questo contesto si può paragonare alla famigerata “Corazzata Potemkin” della cara Fantozziana memoria.

A contrastare i cosiddetti sovranisti si sono riuniti in sodalizio tutti gli aderenti al pensiero unico, collaborando attivamente a tutto ciò che è trendy e lo fanno perché “lo dice l’Europa”

Sono la maggior parte delle reti tv, la stragrande maggioranza dei media, tutti quanti, in un modo o nell’altro hanno interesse ad osannare la politica finanziaria e bancaria europea, e quelli, ahinoi, che dal flusso migratorio irregolare e clandestino costruiscono la loro fortuna e non solo.

Sono i collaborazionisti e a questi non interessa provenienza, qualità e destinazione. Se si può permettere un detto inglese, fanno parte ai “ All right me fuck you Jack”. Per questi vale il “Dio, patria, Famiglia: che vita di m…”

A questo punto ben si delinea la crisi, la sua causa ed i suoi attori. Il pomo della discordia è da cercarsi nel pensiero unico che i burocrati UE vogliono imporre sulla vita sociale degli stati membri, la cessione di sovranità e per conseguenza anche la cessione della libertà. Il collaborazionismo non è altro che un fenomeno più delle volte politico , connesso alle vicende di un governo debole, alla guida di un paese soggiogato da forze/influenze terze, che vi organizza una classe sociale asservita agli interessi degli estranei
A questo diktat i cosiddetti sovranisti si oppongono mentre i cosiddetti collaborazionisti offrono piena cooperazione.

Per rendere il quadro più chiaro non c’è meglio che un esempio pratico. Durante la trasmissione “Stasera Italia” del 9 dicembre 2019, la conduttrice Palombelli, rivolgendosi a Pietro Senaldi, direttore responsabile del giornale Libero ed al giornalista Giampiero Mughini, chiedeva : Secondo voi cosa cambierebbe per l’Italia la fuoruscita della GB dalla Ue? Mentre Senaldi nutriva qualche riserva, Giampiero Mughini, scrocchiando le dita e facendo le solite smorfie, rispondeva: Che vuoi che cambi… l’Italia, un’isola, italiota….”. Qualcuno sta chiedendo, con questo, cosa si vuole dimostrare? E’ semplice. Con collaborazionismo, ovvio, oggi non s’intende la stessa cosa del collaborazionismo di Vidkun del 1943. No di certo, però continuare a veicolare un’opinione così meschina del proprio paese non è per niente carino, vuol dire collaborazione con quelli che all’estero denigrano questo paese.

L’Italia brucia e non sono gli interventi delle Procure, neanche i Fridays for Future oppure le Sardine e tanto meno la Greta dell’occasione a portare refrigerio alla penisola.

Di demagogia sono pieni i soliloqui dei politicanti e di verbi coniugati al futuro remoto gli italiani non sanno cosa farsene.

“Dacci oggi il nostro pane quotidiano!”. Domani è troppo tardi, diceva il titolo di un film del 1950.

La gente vuole lavoro, sicurezza, servizi sociali e sanitari. Spazi per i Greta ed i Fridays for Future il mondo offre migliori piattaforme che l’Italia. Per loro c’è tanto lavoro da fare in Cina, in Arabia Saudita, in Irak, in Pakistan in India e persino in Venezuela.

Signor Presidente, i collaborazionisti che detengono le istituzioni ed i sovranisti che si radunano per le piazze aspettano da lei l’ultima parola. L’Italia che non ha voce chiede, in questo passaggio cruciale della storia del Paese, di sentire la sua voce, forte, chiara e liberatoria.

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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