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CNA ROMA E LAZIO: PER OLTRE METÀ DEGLI IMPRENDITORI IL PEGGIO DEVE ANCORA ARRIVARE. INVESTIMENTI AL PALO. RALLENTA LA DOMANDA ESTERA
Tempo di lettura 10 minutiL'eredità della Giunta Polverini
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12 anni faon
La Regione Lazio ha siglato un protocollo in tema di certificazione dei crediti per lavori, che esclude i comuni sotto i 5000 abitanti in quanto non tenuti al rispetto del Patto di stabilità.
Redazione
Prosegue la caduta dei livelli di attività nel Lazio. Produzione, ordini, fatturato e utili si contrarranno anche nella seconda parte dell’anno, compromettendo le prospettive di ripresa per il 2013. Quasi quattro imprenditori su 10 (57,8%) ritengono che il peggio della crisi debba ancora arrivare. Tre su dieci pensano di essere arrivati all’apice, mentre solo il 3% è convinto che la tempesta sia ormai alle spalle. Risultato: meno di un quinto degli intervistati effettuerà nuovi investimenti produttivi, considerato anche il deterioramento delle aspettative sulla domanda estera. Circa un quarto delle imprese annuncia infine programmi di riduzione dell’occupazione.
Questi i principali risultati della nuova “Indagine congiunturale sulle piccole imprese del Lazio- Consuntivo I semestre 2012 e Aspettative II semestre 2012”, condotta dalla Cna di Roma e Lazio in collaborazione con il Centro Europa Ricerche (CER) su un campione di 800 imprese e presentata oggi. A fronte di una riduzione del valore aggiunto manifatturiero, che nell’indagine si stima superiore al 4%, le preoccupazioni degli imprenditori riguardano un credito sempre più difficile (e inaccessibile per quattro imprese su 10, mentre il 27,6% ha ricevuto dalla banca una riduzione, una richiesta di rientro o una revoca dei finanziamenti già in essere) e una politica non all’altezza di comprendere le priorità delle imprese (semplificazione e lotta la lavoro nero). Quanto ai settori che più stanno risentendo della crisi, in base all’indicatore sintetico (produzione, ordini, fatturato interno ed estero e utile lordo), al primo posto vi sono chimico, plastica e gomma (-61,3% il saldo tra risposte di chi ha visto un aumento e chi un calo). Seguono autoriparatori (-57,8%), impiantisti e aziende di servizi (pari merito a -49,1%). Migliori della media, ma pur sempre negativi, sono gli indicatori del settore informatica e telecomunicazioni (circa -20%). Difficile il quadro anche sul fronte dell’occupazione, con la cassa integrazione in corsa nel primo semestre dell’anno (83,6%), mentre si riduce il lavoro straordinario. E molti intervistati segnalano il problema opposto: cioè come ridurre il monte ore di lavoro vista la ridotta domanda. Nel focus, dal titolo “La Politica e lo sviluppo locale”, sono raccolte le opinioni e le richieste degli imprenditori. Per lo più delusi dalla politica nazionale e locale. Riduzione dei costi lotta al nero e semplificazione delle procedure tra le istanze più frequenti.
L'eredità della Giunta Polverini
Concertazione
Il Governo regionale è stato assente sul piano della concertazione e del coinvolgimento delle parti economiche e sociali. Questo approccio è stato evidente in particolare nell’approvazione dei bilanci regionali, ossia nel momento cruciale in cui andrebbero condivise le scelte di programmazione economica e di conseguente politica industriale. Scelte particolarmente difficili in un contesto di limitate risorse e di crisi economica del territorio. In queste fasi una corretta concertazione sarebbe andata a vantaggio in primis della Regione che avrebbe potuto contare sulla condivisione dei percorsi che si accingeva ad intraprendere da parte delle imprese e anche dei cittadini.
Riduzione dei costi della politica: le società regionali
La riorganizzazione delle società regionali costituisce da tempo un obiettivo strategico. Sono 51 gli “enti strumentali” della Regione, tra società, agenzie e, caso unico in Italia, una banca. Occupano circa 7.500 dipendenti (i dipendenti regionali sono poco più di 2.500). E la loro gestione, con 300 amministratori, costa ai cittadini e alle imprese più di 2 milioni di euro all’anno che vanno aggiunti ai costi del personale, stimabili in 300 milioni.
Rimane in piedi il nodo irrisolto di BIL, sul quale sarebbe utile un intervento nell’ambito della più generale riorganizzazione degli strumenti della politica industriale, cercando di risolvere la sovrapposizione e la confusione prodotta negli anni. Sul’attività di BIL è sempre stato praticamente impossibile ottenere dall’autorità regionale dati sull’operatività e sui costi di struttura. La perdita di bilancio, secondo quanto risulta alla Cna, è stimata essere tra i 2 e i 4 milioni di euro.
Oltre alla banca rimangono intatti tutti gli strumenti preesistenti a Sviluppo Lazio: la FILAS, eredità degli anni settanta, “reindirizzata” sull‘innovazione tecnologica; Unionfidi, che spazia dalla prevenzione dell’usura alla sospensione dei mutui per le famiglie in difficoltà, passando per i crediti sanitari; BIC Lazio, per lo start up delle nuove imprese.
La holding Sviluppo Lazio, senza governare le varie società di cui ha formalmente il controllo, svolge una attività operativa eterogenea, che si sovrappone in modo disordinato e va spesso in concorrenza con quelle della altre scatole. Ma su tutto prevale la gestione dei fondi per la comunicazione: dalla festa della Fiction, alle più svariate iniziative.
Nonostante il tema sia attualissimo e discusso da tempo, la Regione non ha voluto individuare una cabina di regia e uno stringente cronoprogramma che porti alla razionalizzazione di soggetti, funzioni e risorse pubbliche.
Small Business Act
La Regione ha recentemente approvato la legge regionale n. 8/2011 sull’attuazione dello SBA (Small Business Act). La legge disciplina gli strumenti per il miglioramento e la semplificazione della normativa regionale in materia di micro, piccola e media impresa al fine di diminuire gli oneri amministrativi e coinvolgere tali soggetti nelle fasi di formazione dei testi normativi. Il principio a cui si ispira è stato però disatteso dalla Regione stessa, che ha omesso di convocare le parti economiche nella fase di concertazione relativa alla stesura dell’atto. Inoltre non ha ad oggi chiarito come vengono composti gli organismi di controllo e indirizzo previsti dalla norma attraverso il regolamento di attuazione.
Tempi di pagamento della Regione
La questione dei pagamenti va affrontata sotto un duplice aspetto. Il primo riguarda la liquidazione dei contributi alle imprese dovuti in relazione a bandi/leggi regionali. Se si prende ad esempio la legge regionale 10/2007 sull’artigianato si deve andare indietro fino al 2007 per avere il pagamento completo delle domande presentate. Quelle presentate nel 2008 sono tuttora in attesa di completare l’iter di erogazione mentre per le domande presentate nel 2009 l’erogazione non è stata ancora avviata. La legge sui taxi (legge regionale 32/1997) vede una situazione quasi paradossale: l’anno 2009 è stato liquidato mentre l’annualità precedente (2008) ancora non ha visto erogato il sostegno spettante alle imprese. La legge 598/94, gestita per la parte istruttoria dall’ex Mediocredito centrale, ha ancora in corso di perfezionamento i pagamenti relativi ai progetti di innovazione tecnologica presentati fino al 2008 e per un fabbisogno finanziario pari a circa 8 milioni di euro. Rimane inoltre irrisolto il nodo del pagamento del compenso da parte della Regione al gestore concessionario (circa 4,5 milioni di euro).
Il secondo aspetto concerne invece i pagamenti della Regione verso i propri fornitori di beni e servizi. Secondo quanto riferiscono le imprese i ritardi di pagamento rispetto ai tempi pattuiti per contratto si attestano intorno ai 6-8 mesi.
Politiche a sostegno del credito
La domanda di credito da parte delle imprese del Lazio ha subito, nel corso del 2011, una forte flessione, legata evidentemente alla ingente diminuzione degli investimenti ed alla scarsa attenzione a finanziare il circolante da parte delle banche.
Non solo: dal 1 Gennaio 2012 anche l’Italia si è dovuta adeguare alla normativa internazionale in materia di pass due: vale a dire l’obbligo di segnalazione da parte del sistema bancario degli sconfini superiori ai 90 giorni, in luogo dei precedenti 180. Tutto ciò in una fase di estrema dilatazione dei tempi di pagamento, compresi quelli della P.A. e per di più accompagnata da una ascesa importante dei tassi d’interesse applicati.
La sommatoria di queste circostanze ha portato ad un vera e propria emergenza del credito per la cui soluzione riteniamo debbano essere messe in campo tutte le risorse possibili.
In una fase così delicata, pur nelle difficoltà che anche le Amministrazioni pubbliche stanno incontrando, il tema del credito e delle difficoltà che le imprese trovano al suo accesso deve essere considerato prioritario.
Il 18 Aprile il Consiglio Regionale del Lazio, in una seduta straordinaria dedicata alla crisi, ha approvato all’unanimità un ordine del giorno che, ponendo l’attenzione sulla centralità del tema del credito alle imprese, indicava alla Giunta di procedere in due direzioni: rafforzamento patrimoniale dei confidi e razionalizzazione del sistema delle garanzie laziali.
Questa strada purtroppo non è stata nei fatti seguita.
Rispetto alla precedente Giunta, che aveva stanziato 30 milioni di euro in tre anni per il sostegno alla patrimonializzazione dei confidi, con l’attuale Giunta invece si passa ad uno stanziamento triennale pari a 19 milioni di euro. Ciò è particolarmente grave perché in questo momento economico sono i confidi a sostenere il peso delle difficoltà finanziarie delle imprese.
Piano triennale per l’artigianato
Manca il piano triennale sull’artigianato, approvato invece per gli altri settori come la cooperazione. La normativa di riferimento è la legge regionale 10/2007, quindi in realtà anche la precedente Giunta ha omesso di costituire l’Osservatorio regionale per l’artigianato previsto dalla norma, approvare il piano triennale di interventi e, a cascata, il piano annuale di natura più operativa. Con il cambio di governo regionale erano stati stanziati 100 mila euro per costituire l’Osservatorio ma nonostante questo buon inizio la questione si è arenata, sembra per differenze di vedute sulla composizione dello stesso (la norma prevede fino ad un massimo di otto componenti esterni “competenti in materia”).
Nel 2008 e 2009 furono emanati due bandi in deroga alla legge, attraverso una specifica deliberazione di Giunta. Successivamente alla riproposizione di un progetto di bando in deroga, l’ufficio legislativo della Regione ha ritenuto che non si potesse più utilizzare lo strumento in deroga ma che la Regione dovesse finalmente attuare come previsto dalla norma il Piano Triennale e Annuale dell’Artigianato. Sono quindi tre anni che un settore strategico per il tessuto produttivo regionale non viene sostenuto da alcuno strumento incentivante, nonostante siano disponibili 4 milioni di euro che rischiano di andare in parte in perenzione e in parte essere annullati con le nuove procedure di bilancio.
Politica industriale e reti d’impresa
La politica regionale si è focalizzata finora sui distretti industriali e sui sistemi produttivi locali: la legge regionale 36 del 2001 ha avuto il merito di individuare tre distretti e sette sistemi produttivi, i quali hanno poi beneficiato di bandi per l’innovazione, la ricerca e la formazione. La legge suddetta ha rappresentato un valido avvicinamento alla realtà imprenditoriale della Regione, tenendo in considerazione fattori economici e sociali, al fine di rafforzare la competitività del sistema produttivo, ma senza esaurirne la complessità, soprattutto alla luce dei mutamenti economici verificatesi. Le imprese laziali si concentrano, più che in distretti, in poli produttivi caratterizzati da una pluralità di specializzazioni: si tratta di reti di imprese che hanno legami con operatori che sono localizzati in aree diverse della Regione e che vanno oltre la logica della semplice filiera. La loro nascita deriva da una razionale gestione dello spazio finalizzata ad accogliere insediamenti produttivi diversificati.
In un contesto di crisi però l’approccio distrettuale si è rivelato inadatto ad accompagnare le imprese verso la ripresa. Più volte negli scorsi anni si è premuto affinché si passasse da un approccio legato ai distretti ad un sostegno più mirato ed efficace delle aggregazioni tra imprese, sia verticali che orizzontali, con particolare riguardo ai contratti di rete. L’inefficacia delle politiche regionali a sostegno delle imprese è dimostrata dai risparmi nell’utilizzo dei fondi FESR del POR, che ha portato nei mesi scorsi ad una riprogrammazione degli stessi. Circa 50 milioni di euro dovrebbero essere destinati ad un bando a sostegno delle reti, strumento già ampiamente applicato nelle altre regioni italiane. La proposta di bando, elaborata dall’Assessorato al Bilancio della Regione e mai sottoposta ad un confronto con le rappresentanze imprenditoriali, non è stata ad oggi approvata. In assenza di una delibera entro la fine del 2012 la Regione non sarà in grado di impegnare le risorse residue e sarà dunque costretta a restituire parte dei fondi strutturali all’Unione europea con danni gravissimi per le imprese e per tutto il sistema produttivo laziale.
La questione non è ancora chiarita, ma sembra che a seguito delle dimissioni della Giunta, le relative deliberazioni siano considerate atti di straordinaria amministrazione (in quanto atti di indirizzo politico). Se fosse quindi confermata questa interpretazione il bando non potrebbe essere emanato.
Relativamente ai fondi POR FESR 2007-2013, su 743 milioni di fondi europei la Regione sembra abbia certificato una spesa per circa 100 milioni di euro. Non occorre aggiungere altro per segnalare il rischio imminente di disimpegno.
Internazionalizzazione
Alla luce delle profonde trasformazioni che hanno caratterizzato i mercati in questi ultimi anni, ulteriormente accelerate della crisi economica, la capacità delle piccole imprese di accrescere la loro presenza produttiva o commerciale all’estero costituisce oggi un fattore fondamentale di vera e propria sopravvivenza per una parte significativa delle nostre imprese e comunque di generale competitività di interi settori, filiere, distretti della nostra economia.
Purtroppo anche su questo fronte la Regione Lazio è in ritardo. Risale al 2008 l’approvazione di quello che doveva essere, nell’intenzione del legislatore, lo strumento unico di sostegno a livello regionale dei percorsi di internazionalizzazione delle imprese, ossia la legge 5. In relazione a questo provvedimento, però, è stato aperto solo un bando nel corso del 2009, e da allora le pochissime risorse finanziarie ad esso destinate hanno di fatto impedito la riapertura dello sportello per la presentazione dei progetti da parte delle imprese.
A ciò si aggiunga che la Regione Lazio dal 2009 non ha più risorse per sostenere i consorzi export a valere sulle leggi nazionali 83/89 e 394/81 (decentrate ai sensi della Bassanini). Le imprese del Lazio dunque soffrono una grande competizione nei confronti delle imprese situate nelle altre Regioni italiane che vengono sostenute nei loro progetti di esportazione da appositi strumenti e risorse.
Semplificazione
I processi di semplificazione amministrativa rivolti alle imprese (Scia, Artigianata) si sono sviluppati nel totale disinteresse della struttura Regionale determinando un caos procedimentale che spesso ha peggiorato il rapporto tra Imprese ed Istituzioni. La Regione non ha adeguato gli strumenti normativi (Legge sul Commercio, Legge sull’Artigianato ecc.) alle nuove norme (Impresa in un giorno, Decreti Semplificazioni e Liberalizzazioni) e non ha svolto quella funzione di coordinamento ed indirizzo nei confronti degli Enti locali e degli Enti proposti al Controllo (AsL in primo luogo) causando una forte disomogeneità procedimentale (ogni Ente locale ha adottato specifiche procedure) a livello territoriale.
Politiche del lavoro
Negli ultimi anni è aumentata in maniera crescente la competenza delle Amministrazioni Regionali in materia di politiche del lavoro. L’esempio della Regione Lombardia, che con un intervento legislativo specifico ha destinato fondi e identificato strumenti per dotare il territorio di adeguato sostegno al lavoro, mostra la strada che anche la nostra Amministrazione dovrebbe seguire.
Nello specifico sarebbe opportuno integrare le misure per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione attraverso la concertazione. Sarebbe opportuno istituire un Fondo Regionale per il diritto all’apprendimento, introdurre modelli virtuosi ed innovativi per promuovere la contrattazione di secondo livello per lo sviluppo e l’occupazione. Un esempio in quest’ultimo senso può essere la realizzazione di forme organiche e stabili di welfare aziendale, l’incremento della produttività e dei salari attraverso forme innovative di flessibilità organizzative del lavoro.
In materia di contrattazione di secondo livello la Regione deve passare da un mero ruolo di cofinanziatore di strumenti identificati a livello regionale ad un ruolo attivo di facilitatore al fine di consentire l’individuazione delle migliori soluzioni in rapporto alle peculiarità del territorio.
Politiche della formazione
Nelle politiche regionali a sostegno della formazione non c’è nessun intervento diretto ad artigiani e titolari d’impresa. Si spende il grosso delle risorse per i disoccupati e per la formazione in ingresso ma nulla per chi deve creare all’interno dell’impresa le condizioni di sviluppo perché essa possa assorbire i disoccupati. Questa impostazione è tipica del nostro territorio, mentre molte altre Regioni italiane riconoscono l’importanza strategica di una formazione diretta agli imprenditori.
Si rileva inoltre come le procedure degli avvisi pubblici siano molte lente e farraginose e i meccanismi di valutazione poco trasparenti.
Siamo inoltre in enorme ritardo nella spesa delle risorse del FSE (Fondo Sociale Europeo) con rischio di restituzione dei fondi comunitari al termine del periodo di programmazione.
Piano casa e infrastrutture
Il settore dell’edilizia è notoriamente quello trainante dell’economia regionale, dunque ritardi o inefficienze su tale versante rischiano di avere un effetto importante sul nostro tessuto economico. Si rileva in via generale la carenza di programmi ed interventi mirati ed efficaci.
Le aree di riflessione sono due: da una parte il Piano casa della Regione Lazio, che ha vissuto momenti di incertezza legati all’impugnativa da parte del Governo. Questo ha generato incertezze sullo sviluppo e sulla capacità di attivare gli interventi di ampliamento e riqualificazione del patrimonio edilizio. Il Piano casa inoltre non ha tenuto conto dell’esigenza di equilibrio tra sviluppo residenziale e non residenziale, delle esigenze di spazi produttivi delle imprese, rischiando di generare degli squilibri ad esempio su Roma, rispetto al Piano regolatore generale. Nell’idea politica della Regione dunque sparisce l’attenzione ai fabbisogni di spazi produttivi delle imprese.
Sono crollati i bandi per la realizzazione di opere di pubblica utilitàe si è perso il controllo sui tempi di pagamento, con ritardi cronici che stanno generando squilibri finanziari anche per le imprese più solide.
La Regione Lazio ha siglato un protocollo in tema di certificazione dei crediti per lavori, che esclude i comuni sotto i 5000 abitanti in quanto non tenuti al rispetto del Patto di stabilità. Parte dei crediti sono relativi a lavori realizzati per tali amministrazioni quindi il protocollo non ottiene gli effetti sperati. Una soluzione, che però la Regione non ha scelto di adottare, sarebbe quella di inserire comunque quelle amministrazioni che dimostrino di avere una corretta gestione finanziaria, equivalente alle norme relative al Patto di Stabilità.
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