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Cultura e Spettacoli

“Cinecittà si mostra”: viaggio tra set all’aperto e la storia di un sogno

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“Cinecittà si Mostra” ed apre le porte al pubblico per poter visitare gli studi cinematografici ed esposizioni permanenti di “frammenti” appartenenti a capolavori con ben tre percorsi guidati ai set che hanno fatto la storia del cinema italiano ed internazionale.

L’exhibition si rivolge agli appassionati di cinema, alle famiglie e agli studenti di ogni ordine e grado.
Cinecittà fa parte della memoria del nostro paese e del nostro patrimonio storico – artistico e culturale, 3.000 film dal ’37 ad oggi sono stati girati qui nella Citta del Cinema dove è stata riconosciuta come Bene Culturale, come esempio di Razionalismo industriale, e da visitare per
potersi arricchire dentro, i percorsi da non perdere per chi si trova nella “Città Eterna” sono: Perché Cinecittà – Girando a Cinecittà – Backstage, un percorso didattico per Cinecittà.

L’intento di rendere visitabili gli ambienti, gli oggetti, i costumi e qualsiasi “frammento” nasce dalla volontà di far conoscere la storia, e il contesto socio-politico della nascita della “fabbrica dei sogni”, così come la chiamava Federico Fellini il grande maestro cineasta della “Settima Arte” che ha lasciato a noi posteri bellissimi capolavori cinematografici, ed inoltre ha contribuito a far nascere il mito del Teatro 5 che il maestro del cinema riminese riteneva la sua casa tanto che vi fece arredare nel suo interno un appartamento.
Le esposizioni ossia “Cinecittà si mostra” svela tutti i suoi segreti, tutte e tre i percorsi sono realizzate grazie al contributo di importanti partner che hanno collaborato fornendo a vario titolo filmati, fotografie, documenti, costumi, accessori ed elementi scenografici, dando modo
ai “viaggiatori” di poter apprezzare da vicino la ricchezza delle maestranze del “Bel Paese” coinvolte nella realizzazione di un film. Nel percorso – Perché Cinecittà – svela le ragioni della nascita di Cinecittà nella prestigiosa Palazzina Fellini, ad esempio la Sala dedicata al maestro
riminese, luogo che scelse per dare forma alla sua immaginazione, sempre nella prestigiosa Palazzina vi è anche la Sala Visconti dove è presentata una selezione di filmati e di montaggi che riguardano i protagonisti della città del Cinema. Un “racconto” all’interno della Palazzina
compreso in un arco di tempo tra il 1937 e il 1943 dove si potrà ammirare il passaggio dal cinema muto al sonoro, dall’incendio della Cines alla progettazione di una modernissima città del cinema, fino ad arrivare alle ultime produzioni importanti. Un ”viaggio” nel passato che il
visitatore vive nel visitare “la fabbrica dei sogni” con i percorsi grazie a disegni, immagini, oggetti, plastici in scala ridotta di impianti scenografici e costumi, grazie a questi “frammenti” cinematografici si può ammirare la bravura delle maestranze dei sarti, scenografi, pittori ecc, il regista Dario Argento definì la Città del Cinema “una zona che nello stesso tempo è bottega dell’arte e sistema industriale”
Cinecittà è composta da 20 teatri di posa interni e da molti anni altri set all’aperto che vengono allestiti temporaneamente per produzioni cinematografiche e televisive, la mostra non chiude mai per ferie, anzi è pronta ad accogliere i visitatori per tutta l’estate
I tre grandi set permanenti visitabili tutti i giorni con guide specializzate sono:

– Antica Roma, la Roma antica realizzata per l’omonima serie televisiva
– Firenze del Quattrocento ricostruita per il film di Neri Parenti Amici miei-Come tutto ebbe
inizio
– Il Tempio di Gerusalemme, realizzato per il film The Young Messiah uscito nel 2016.

Scenografie, costumi e tracce sonore di vecchi film con queste exhibition si rigenerano e vivono una nuova vita cambiando destinazione d’uso, infatti grazie a queste esposizioni qualsiasi “frammento di capolavori cinematografici” che siano oggetti, fondali o costumi sono
diventati oggetti da esporre, delle vere opere d’arte, ma anche oggetto didattico per chi vuole intraprendere la strada del cinema. La visita a Cinecittà significa vivere un’esperienza unica e formativa, qualsiasi “traccia” con “Cinecittà si Mostra” hanno acquisito una nuova aurea,
queste esposizioni hanno fatto nascere un nuovo modo di concepire la Città del Cinema e conferiscono un ulteriore valore all’artigianato e al fitto e capillare mondo dei cineasti. I “viaggiatori” nel percorso Backstage potranno non solo ammirare durante tutto il percorso
frammenti che fanno parte della nostra memoria storica – culturale, ma anche interagire con le innumerevoli iniziative, nel percorso si potranno sperimentare il doppiaggio, ma anche realizzare virtualmente costumi nella “Stanza del Costume”.

I visitatori con “Cinecittà si Mostra” potranno “viaggiare” nei ricordi vedendo da vicino “pezzi unici” ad esempio il costume che indossò Claudia Cardinale disegnato da Piero Tosi per il film “Il Gattopardo”, il costume indossato da Silvana Mangano nel ruolo di “Giocasta” nel film
“Edipo Re” di Pier Paolo Pasolini. I visitatori quando arrivano nell’agorà della “bottega dell’arte” e passano sotto la storica entrata già respirano aria di cinema, anche il numero civico della “fabbrica” è anch’esso celebre “1055”, un numero dove unisce passato, presente e il
futuro di Cinecittà. Il regista Luchino Visconti nel 1951 girò le famosissime scene nel film “Bellissima” con Anna Magnani nel periodo ricordato come “Hollywood sul Tevere”, la storia del film racconta di una produzione cinematografica che cercava a Cinecittà una bambina per
girare un film dando via alla sequenza più celebre del neorealismo, nonché una delle più celebri scene del cinema italiano.
Con Cinecittà si ripercorrono anche momenti tragici della nostra storia da non dimenticare, infatti nel 1945 la città del cinema divenne un primo tempo campo di prigionia degli Americani e successivamente campo per i rifugiati sia per stranieri che per italiani, in quell’anno venne
girato “Roma città aperta” di Rossellini e Anna Magnani e alcuni interni non essendo disponibile a Cinecittà perché era rifugio alcune scene vennero girate nel Teatro Capitani.
Cinecittà è la materializzazione della previsione nel 1921 del critico Ricciotto Canudo alla nascita del “Manifesto” sull’invenzione del 1895 dei Fratelli Auguste e Louis Lumière, egli definì il cinema come la Settima Arte, ed avrebbe unito in sintesi l’estensione dello spazio e la
dimensione del tempo. Ma, per i cineasti contemporanei Cinecittà cosa rappresenta?
L’Osservatore Italia ha posto questa domanda a diverse figure professionali che fanno parte dell’incantevole mondo del Cinema e della Televisione italiana.

NINO CELESTE, Direttore della fotografia
Per me Cinecittà è stato quel luogo che mi ha fatto decidere di entrare nel magico mondo del
cinema, infatti il primo lavoro che ho fatto è stato al teatro 1 di Cinecittà.

DUCCIO FORZANO, Regista
Per me Cinecittà è il debutto con Fiorello nel 2001.

DANIELE FERRARI, Attore                                                                                                                                                                                  Ora è il grande passato dei miei sogni, ma in passato era la “porta magica” dei miei sogni.
Purtroppo non è mai stata la mia casa, per ora!

GIORGIA FERRERO, attrice
Cinecittà evoca un luogo magico un sogno direi. Se si pensa al Teatro 5, immediatamente la
prima immagine è appunto quella di Fellini. Qui ha girato e ambientato quasi tutti i suoi film,
oggi purtroppo ci sono per lo più studi televisivi. Se si entra a Cinecittà si possono ancora
vedere set di grandi film che sembra di essere davvero dentro quell’epoca. Se da un lato è
sogno, dall’altro è anche amarezza e nostalgia verso un tipo di cinema che non esiste più.

Cinecittà è nata nel 1937 sulle ceneri degli studi della Cines che si trovavano nella zona di San Giovanni andati a fuoco nel 1935, il progetto fu firmato da Gino Parassuti elaborando un’analisi degli studi di Hollywood. Mussolini volle fortemente la Città del Cinema non solo per
stare al pari con le altre città del mondo come a Londra, Parigi e Hollywood, la voleva fortemente perché come mezzo per la sua propaganda, infatti nell’inaugurazione fu posta la scritta “La cinematografia è l’arma più potente”. All’epoca era altissimo il numero di analfabeti
e non esisteva la televisione, quindi Mussolini capì che l’immagine era lo strumento più semplice per far arrivare il suo messaggio, ma anche per le persone che si dovevano recare nelle vere e proprie sale cinematografiche per seguire i primi telegiornali, ossia i cinegiornali.
Fra i primi film che furono girati a Cinecittà ed erano di propaganda e tra questi fu “Scipione l’Africano” di Carmine Gallone e Luciano Serra Pilota di Goffredo Alessandrini. Il progetto di Mussolini sprese forma attraverso tre organismi cinematografici tutt’ora adesso esistenti: L’Istituto Luce( fondato nel ’24 e nel 1937 nell’edificio x), Il Centro Sperimentale di Cinematografia (fondato nel’32) e gli Studi Cinematografici di Cinecittà.

Giuseppina Ercole

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Cronaca

Martina Franca, torna l’appuntamento con la fotografia d’arte di Marcello Nitti

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Ritornata anche questa estate in Valle d’Itria, ricca di iniziative culturali come il suo famoso Festival, l’attesa mostra fotografica di Marcello Nitti, che, continuando nella sua indagine espressiva, espone una serie di fotografie con titolo “Impressionism love”, ‘amore per l’impressionismo’. L’autore pugliese spiega come questa sua nuova fatica sia “il frutto di una ricerca intesa ad indagare le romantiche possibilità fotografiche di restituire immagini che possano aiutare il sogno. Le fotografie di “Impressionism love” sono il risultato di ricerca, sperimentazione e di affermazione dell’amore nel campo fotografico. Le fotografie sono realizzate in pellicola e senza aiuti digitali con Hasselblad 500 C/M e le foto sono realizzate con pellicole a colori e B/N Kodak”. Il tutto visibile durante questa estate a Martina Franca in Vico IV Agesilao MIlano 7.
 
All’inaugurazione, presente l’autore, ha svolto una rapida introduzione critica il curatore artistico Pio Meledandri ed anche quest’anno, insieme alle foto sono esposte alcune poesie di Barbara Gortan.
 
Per Meledandri “L’esposizione di Martina Franca, che l’Autore ha intitolato “Impressionism love”, è un viaggio interiore alla ricerca dell’Arte. Una dichiarazione d’amore nei confronti dell’impressionismo che gli fa prediligere i soggetti del mondo naturale e guardare all’”attimo luminoso” capace di modificare le fisionomie degli oggetti, creando forme e cromie nuove. La sensibilità e soprattutto la creatività lo portano ad un fantastico gioco di pareidolia così come da bambini riconoscevamo nelle nuvole forme simili a uomini e animali, a draghi, principesse e castelli. …Tutte le immagini assecondano il sentimento romantico dell’Autore la cui narrazione è fantasia, sogno, mistero, emozione e passione, tutti elementi con cui il Romanticismo si è contrapposto alla cultura Illuminista determinando una sua fisionomia nelle arti visive, nella musica, nella letteratura e nel pensiero filosofico”.
 
Nitti ha ringraziato quindi il pubblico che da anni segue questo suo originale percorso fotografico “per il sostegno che mi avete donato nelle mostre precedenti e vi ringrazio per l’entusiasmo che mi infondete a continuare a creare nuove immagini nel mondo magico e sognante che si chiama ‘Fotografia’”.
Privo di virus.www.avast.com

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Cultura e Spettacoli

Tivoli, al via il festival della cultura giapponese

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Nei giorni 4,5 e 6 luglio si svolgerà a Tivoli la Prima Edizione del Festival della Cultura Giapponese, nell’ambito del rapporto di gemellaggio che lega Tivoli alla città giapponese di Yugawara.
Questo appuntamento si inserisce nel complesso dei rapporti istituzionali che collegano le due comunità e vuole rappresentare anche un ponte tra due culture millenarie che sembrano distanti e che invece hanno molti punti di contatto.
All’iniziativa hanno dato il proprio Patrocinio Gratuito i Comuni di Tivoli e di Guidonia Montecelio, L’Istituto Va-Ve, Villae Tivoli, la Fondazione Italia-Giappone, la DMO di Tivoli e Valle dell’Aniene Terre di Otium e la Presidenza del Consiglio Regionale del Lazio che ha erogato anche un contributo finanziario a sostegno dell’iniziativa.
Numerosi sono stati gli sponsor privati del territorio che hanno voluto supportare l’evento.
Il Comitato promotore del Festival è composto dall’Associazione Tivoli Città della Cultura, Tivoli ONLUS, LUIG (Libera Università Igino Giordani) e Agenzia del Viaggiatore-CTS.
Il programma allegato è ampio e denso di eventi ed è finalizzato a far conoscere alcuni aspetti della cultura giapponese con l’intento di rafforzare i rapporti anche dal punto di vista istituzionale e degli scambi commerciali.
Una delegazione della Città di Yugawara sarà ospite della nostra Città negli stessi giorni in cui si svolgerà il Festival e visiterà molti luoghi e strutture sia di Tivoli sia di Guidonia Montecelio.
Il Sindaco di Tivoli accoglierà la Delegazione il 4 luglio presso Palazzo San Bernardino per i saluti e lo scambio dei doni
istituzionali.
Particolarmente significativo ed evocativo sarà l’evento del 6 luglio, alle ore 17,00, presso le Scuderie Estensi.
In quell’occasione si celebrerà il primo Raid aereo Roma-Tokyo del 1920 e si commemorerà la figura dell’Ufficiale Pilota Arturo Ferrarin che compì la trasvolata. Per l’occasione, il giorno 5 luglio alle ore 9,30, il 60° Stormo dell’Aeronautica Militare di stanza presso l’Aeroporto di Guidonia Montecelio, sorvolerà la Città di Tivoli per omaggiare la memoria del
pilota italiano, la sua impresa, la Delegazione giapponese e la città di Tivoli.
A Yugawara è presente uno dei più grandi biscottifici del Giappone intitolato alla città di Tivoli, così come un grande Centro Commerciale, inaugurato nel 2017, dove insiste un’ampia zona in cui è possibile trovare prodotti alimentari italiani, in particolare di Tivoli e della Valle dell’Aniene.

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Castelli Romani

Frascati, Libri in Osteria: Angelo Polimeno Bottai presenta il libro “Mussolini io ti fermo”

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“O lo battezzate o ve lo riprendete. Io una bestia non l’allatto!”
Sono queste le parole che la balia frascatana Teresa rivolge ai genitori del piccolo Giuseppe Bottai contenute nel libro “Mussolini io ti fermo” che il nipote, Angelo Polimeno Bottai, presenta oggi nel salotto letterario di Emanuela Bruni, Libri in Osteria.
Sono l’incipit a questa serata che racconta, attraverso le pagine del libro, la storia e la vita di una delle figure che hanno rappresentato il ventennio fascista.

Emanuela Bruni ed Angelo Polimeno Bottai

C’è un profondo legame tra Frascati e l’autore del libro in quanto la città tuscolana, dice, “è parte stessa della nostra vita, infatti mio nonno venne battezzato nella Cattedrale di San Pietro ed io, molti anni dopo, ricevetti nella stessa Chiesa la Prima Comunione”.
Figura molto controversa, Giuseppe Bottai, viene “raccontato” attraverso una attenta analisi storica proprio per evitare, come dice lo stesso Angelo Polimeno Bottai, che “gli affetti prendessero il sopravvento sulla verità storica … è stata davvero una grossa responsabilità”.
Il quadro che emerge dalle pagine del libro narra un giovane Bottai lontano, nei primi anni della giovinezza, dalla politica ma che poi, vivendo, con la sua famiglia, nello storico quartiere romano Macao, resta colpito dalla presenza e dalla prestanza dei militari.
Siamo a ridosso della Grande Guerra alla quale Giuseppe Bottai prende parte come volontario negli Arditi riuscendo a mettersi in luce per il suo ardimento che lo porterà a ricevere una medaglia d’argento ed una di bronzo al valor militare.
Alla fine della guerra conosce e frequenta Benito Mussolini “rimandone folgorato” – dice l’autore – legandosi a quello che diverrà il “duce” attraverso un “rapporto travagliato con quest’uomo non altissimo di statura ma imponente nel carattere e nel modo di essere”
Un legame che può essere racchiuso nel titolo della rivista che Giuseppe Bottai fonda nel 1922, Critica Fascista, (da ricordare che tra gli abbonati di tale rivista figura Antonio Gramsci) proprio a sancire un atteggiamento molte volte contrario dello stesso Bottai ad alcune scelte che condurranno quella che originariamente vuole essere una rivoluzione che vuole riportare ordine e legalità in un paese, l’Italia, attraversato da molteplici attività anarchico socialiste che portano a terre occupate e centinaia di scioperi, ad una vera e propria dittatura.
“Ci sono due anime nel fascismo: quella che incarna mio nonno, i revisionisti, e quella che fa capo a Roberto Farinacci, gli irriducibili” spiega con estrema chiarezza Angelo Polimeno Bottai precisando che l’intento della “fazione” a cui fa capo il nonno cerca di convincere il Duce a mettere le mani nelle riforme necessarie allo sviluppo del paese per farlo risorgere da quella vittoria dimezzata che è stata la fine del Primo Conflitto Mondiale.
Ed una profonda frattura, spiega ancora, avviene immediatamente dopo la notizia del rapimento del deputato socialista, Giacomo Matteotti, definito da Giuseppe Bottai il “più efferato, inumano e stupido delitto che si potesse commettere verso un uomo di parte avversa e contro l’idea che anima la nostra parte”; una vera e propria condanna che culmina nella frase “bisogna trovare i responsabile anche se fossero nelle alte sfere”.
Questo, ovviamente, come riportano le pagine del libro, pone lo stesso Giuseppe Bottai ai margini del regime che sta nascendo che non è “inviso alle grandi potenze”, spiega Angelo Polimeno Bottai, ma che non pensa minimamente ad una alleanza con la Germania che sta divenendo hitleriana.
Addirittura, spiega, “ci sono liti profonde tra la stampa italiana e quella tedesca” fino al punto che alla cacciata degli ebrei dalla Germania molti di questi addirittura arrivano nel nostro Paese ed è la guerra d’Etiopia, nella quale Giuseppe Bottai si arruola, diventa il “punto di non ritorno” che segna in modo inesorabile l’alleanza italo/tedesca.
Le sanzioni permettono ad Hitler di legare con un patto economico e sodale l’Italia di Mussolini determinando il fatto che, spiega l’autore, “l’innamoramento di Giuseppe Bottai verso il duce si incrina ma rimane una lealtà critica che non determina affatto la rottura del rapporto”.
Ed è in questo momento che la frattura con l’area degli irriducibili di Farinacci raggiunge punti davvero enormi arrivando all’approvazione delle Leggi Razziali.
Lo stesso Roberto Farinacci fa girare la voce che Bottai sia d’origine ebraica per estrometterlo ed il risalto che questa notizia ha a livello internazionale diventa sempre più grande (addirittura si trova in molti giornali francesi e tedeschi).
La scelta di Giuseppe Bottai, divenuto Ministro dell’Educazione, di applicarla in maniera dura diventa, al tempo stesso, “un’angoscia” ed una “responsabilità” necessaria.
La prova di questo suo momento difficile si ritrova nella corrispondenza riportata tra le pagine del libro ove un carteggio con l’allora vicepresidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche d’Italia, l’avvocato Aldo R. Ascoli mostra l’apertura di Bottai verso gli ebrei italiani valuta la possibilità concreta di “concedere particolari benemerenze a famiglie di ebrei in cui qualcuno abbia acquisito meriti particolari, militari o civili”.
“Due parti in commedia” spiega Angelo Polimeno Bottai dimostrando, ancora una volta, il forte attaccamento di Giuseppe Bottai all’origine rivoluzionaria del fascismo di cui resta innamorato.
Le contrapposizioni con Farinacci aumentano esponenzialmente: Bottai redige, durante il mandato che lo vedo governatore della Capitale, i piani per la creazione di EUR 42, l’Esposizione Universale di Roma che si sarebbe tenuta nel 1942 (a ragione si crede che nessuno nei primi anni del ’30 pensasse ad una Guerra Mondiale), ed in antitesi al premio Cremona, Bottai da vita dapprima al premio Bergamo e successivamente manda in stampa la rivista Primato che diviene uno dei capisaldi della cultura italiana del momento.
Sulle pagine del “Primato. Lettere e arti d’Italia” scrivono le firme italiane più eccellenti, da Nicola Abbagnano a Galvano della Volpe, da Walter Binni a Mario Praz, da Dino Buzzati a Vasco Pratolini, passando per Quasimodo, Montale, Ungaretti, Guttuso ed un giovanissimo Eugenio Scalfari ebbe a dire “su il Primato potevo scrivere liberamente mettendo alle corde Farinacci”.
Un’oasi culturale che dimostra la libertà di pensiero di Giuseppe Bottai ed il suo vano tentativo di riportare il fascismo a quegli albori che erano rimasti nel suo animo rivoluzionario.
Oasi che, attraverso poi l’emanazione di quella che divenne la legislazione per la difesa delle opere d’arte italiane fino alla creazione dell’Istituto Centrale del Restauro, porta alla salvezza di un enorme patrimonio artistico del nostro paese grazie anche alla collaborazione di personalità del calibro di Giulio Caio Argan, in chiave e funzione antinazista concretizzandosi anche sul piano prettamente pratico.

Il libro si conclude con i tragici momenti che portarono al famoso 25 luglio 1943 dove una “dittatura” decreta una successione, una piena antitesi al concetto stesso di dittatura.
Giuseppe Bottai è uno di quelli che votarono a favore dell’Ordine del giorno Grandi e per questo, condannato in contumacia, dai tribunali della Repubblica Sociale, dapprima si rifugia in Vaticano fino a giungere poi sotto il falso nome di Andrea Battaglia a combattere vestendo la divisa della Legione Straniera per la liberazione della Provenza dalle truppe naziste.

Due momenti importanti da sottolineare orchestrati da due ex sindaci della città di Frascati: Roberto Eroli e Stefano Di Tommaso.
Quest’ultimo, attento ricercatore, legge una lettera scritta dal Ministro della Cultura Popolare, Alessandro Paolini, ed indirizzato al ministro dell’Educazione Giuseppe Bottai.

Stefano Di Tommaso con in mano la lettera indirizzata da Alessandro Paolini a Giuseppe Bottai

Roberto Eroli invece esorta Angelo Polimeno Bottai a ricercare, tra i diari del nonno Giuseppe, informazioni che possano fare ulteriore luce sul tragico bombardamento effettuato dagli alleati l’8 settembre 1943 della città di Frascati.

nella foto, da sx, Angelo Polimeno Bottai, Roberto Eroli ed Emanuela Bruni

Una serata che ha riportato i tantissimi presenti nei giorni ancora vivi di quel Ventennio Fascista.

Colpisce, e non poco, la frase dell’ultima di copertina del libro nella quale, Angelo Polimeno Bottai, scrive “Nato pochi mesi dopo la sua morte, Giuseppe Bottai purtroppo non l’ho mai incontrato. Un doppio dispetto del destino: come nipote e come giornalista. In questa seconda veste, tuttavia, posso raccontare chi è stato l’uomo che più di tutti ha rappresentato ragione e coscienza del 25 luglio 1943”.

il direttore de “Il Tuscolo” ed amico Fabio Polli con Angelo Polimeno Bottai

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