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di Simonetta D'Onofrio
"Gli appalti sono il nostro lavoro, i diritti non sono in appalto!". È lo slogan messo in campo dalla Cgil Roma e Lazio per la raccolta firme per una proposta di legge di iniziativa popolare per la riforma degli appalti pubblici contro la criminalità e la corruzione. È stata lanciata ieri a Roma, in piazza del Pantheon, città che in questi ultimi mesi ha suscitato attorno a se molto clamore per gli scandali inerenti all’indagine di Mafia Capitale. Andrà avanti fino ad aprile e sarà il punto di forza per sensibilizzare la classe dirigente politica su quanto sia importante avere delle regole certe sulla gestione degli appalti e della legalità, lontano dalle infiltrazioni malavitose, preservando i lavoratori.
Anche il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha firmato la proposta legislativa, in sintesi possiamo sintetizzarla in tre punti: “per la garanzia dei trattamenti dei lavoratori; per il contrasto alle pratiche di concorrenza sleale tra le imprese; per la tutela dell'occupazione nei cambi di appalto".
Susanna Camusso ha detto che l’obiettivo fondamentale è dare “garanzie e tutele ai tanti ultimi”, perché ci sia un “lavoro di qualità” ed uno “sviluppo positivo”. Ha ribadito come sia importante tutelare il lavoratore: “vogliamo ripristinare un principio fondamentale: la clausola sociale, ovvero un lavoratore non può perdere il lavoro in ragione esclusivamente del cambio della gara d'appalto”. Il tema, ha sottolineato, è anche connesso con il Jobs act: “Siamo ancor più preoccupati davanti ai decreti della legge delega perché, per come sono fatti nella precarizzazione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, si rischia di fare come prime vittime i lavoratori degli appalti. Perché al cambio di appalto, invece di conservare la propria professionalità e anzianità, potrebbero essere considerati dei neoassunti senza più le tutele precedenti”. Camusso ha sostenuto che è il "lavoro peggio retribuito, con le minori garanzie" e che se alla parola 'appalti' spesso si associa la parola 'inchieste' è perché "la non trasparenza sulle norme degli appalti determina la crescita dell'illegalità in materia economica". Ed è anche tornata a chiedere perché "invece di tagliare orizzontalmente i servizi ai cittadini non si tagliano le trentamila stazioni appaltanti che ci sono?".
La corruzione è il vero cancro dell’economia italiana, il totale dei costi diretti in Italia ammonta a 60 miliardi di euro ogni anno, pari al 4% del Pil italiano (rapporto Anti-corruzione della Commissione europea). I danni provocati sono inimmaginabili. Se pensiamo agli sforzi che gli ultimi governi stanno facendo, con la richiesta di notevoli sacrifici ai contribuenti, risulta difficile accettare che ancora si discuta del problema senza un vero affondo contro questa piaga.
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