Nemi, Europa Verde vicina al Comitato “I Corsi” via della Radiosa per dire no all’isola ecologica vicino al pozzo di acqua potabile

L’intervista a Filiberto Zaratti (Coordinatore Nazionale di Europa Verde) mentre cresce il malumore tra i cittadini per quella che è stata definita come una scelta infelice degli amministratori comunali

NEMI (RM) Chiara Rai, direttore responsabile del quotidiano L’Osservatore d’Italia intervista Filiberto Zaratti, Coordinatore Nazionale di Europa Verde, alla vigilia del tavolo tecnico, istituito dal Garante del Servizio Idrico Integrato, dove sono stati invitati tutti gli attori istituzionali coinvolti, su quella che è la scelta dell’amministrazione comunale guidata da Alberto Bertucci di realizzare un centro di raccolta rifiuti – isola ecologica, e i rappresentanti del Comitato “I Corsi” via della Radiosa, che raccoglie ormai quasi 300 cittadini, che si sta battendo per far rispettare la legge – 152/2006 – che vieta categoricamente la gestione rifiuti nelle immediate vicinanze di un pozzo di acqua potabile che serve la popolazione di Nemi e in alcuni periodi dell’anno anche i cittadini di altri comuni dei Castelli Romani, nonché la stessa legge vieta nell’area individuata dagli amministratori comunali rumori e odori.

E anche queste ultime prescrizioni previste dalla normativa risultano inosservate quotidianamente in quanto la società Minerva che si occupa della raccolta rifiuti effettua operazioni con i rifiuti all’interno dello stadio comunale di Nemi ridotto a parcheggio di mezzi della municipalizzata. E su questo ultimo punto si è espresso chiaramente Filiberto Zaratti che ha parlato di presentare immediatamente un esposto oltre che al Parco Regionale dei Castelli Romani, anche alla Polizia locale, Carabinieri e alla Procura della Repubblica. Una intervista a 360 gradi che approfondisce ancora di più l’annosa questione.




Morte Sestina Arcuri, gli avvocati di Landolfi: “Impianto accusatorio contrassegnato da forzature”

Lo stesso consulente della Procura aveva escluso categoricamente la caduta diretta dal primo al piano terra ma poi è stata verbalizzata altra tesi – A Officina Stampa i video esclusivi della perizia effettuata dal consulente della Procura

Un tassello importante si aggiunge nel processo per il caso di Sestina Arcuri, la 26enne morta la notte tra il 3 e il 4 febbraio del 2019 a seguito di una caduta per le scale dell’appartamento della nonna del suo fidanzato Andrea Landolfi, 31 anni, accusato dell’omicidio della giovane donna.

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La perizia delegata alla psichiatra Cristiana Morera dalla Corte di Assise di Viterbo smonta di fatto l’attendibilità del testimone Matteo Vettori, un ragazzo che ha dichiarato che Maria Sestina, la sera del 3 febbraio 2019 avrebbe manifestato l’intenzione di lasciare il compagno perché si sarebbe ingelosita della cameriera del pub frequentato dalla coppia insieme al figlio di Landolfi quella tragica sera.

La cameriera, 24 anni, è stata la prima a testimoniare nel processo a Viterbo e la prima a dire di non aver dato peso al racconto di Matteo Vettori, frequentatore del locale e persona conosciuta nel posto, in quanto “a volte dice delle bugie bianche”. La cameriera ha dichiarato di aver visto i tre tranquilli e poi di averli visti battibeccare: “A noi che stavamo in sala non è sembrata una situazione allarmante e quindi non siamo intervenuti”. 

Dopo le dichiarazioni della lavoratrice del pub arriva l’accurata perizia tecnica stilata dalla Dottoressa Cristiana Morera, perito nominato il 20 maggio del 2020 dal Dottor Mautone, Magistrato del Tribunale di Viterbo, Presidente Della Corte di Assise giudicante.

La perizia, che riporta la data del 12 marzo 2021, non lascia spazio a interpretazioni

Matteo Vettori non è nelle condizioni di essere sottoposto a un futuro esame dibattimentale nel contradditorio tra le parti: “Le condizioni psicofisiche – si legge nell’atto – del periziando Matteo Vettori, risultato affetto da disabilità intellettiva di grado moderato lieve in comorbidità con un disturbo d’ansia con notevoli note fobiche”. Ci sono 21 pagine di accurata perizia che sostengono tali dichiarazioni.

La difesa del Landolfi – che aveva, sin da subito, dubitato fortemente della ricostruzione accusatoria – con i propri consulenti ha dimostrato alla Corte come l’impianto accusatorio fosse contrassegnato da forzature.

I consulenti degli avvocati Serena Gasperini e Daniele Fabrizi del foro di Roma, la dottoressa Roberta Bruzzone, la dottoressa Cecilia Forenza, L’ing. Giuseppe Monfreda e il dottor Massimiliano Mansutti alle ultime due udienze dibattimentali hanno spiegato ogni aspetto. A giugno la sentenza.




Anguillara Sabazia, l’eterna incompresa: quando il bene comune viene considerato un optional

Il video editoriale di Emanuel Galea e Chiara Rai all’interno riguardo la vicenda della requisizione dei loculi al Cimitero

ANGUILLARA SABAZIA (RM) – A circa 30 chilometri a nord-ovest di Roma, adagiata sui rilievi Sabatini e su un promontorio del Lago di Bracciano, si trova uno dei borghi medioevali più incantevoli e suggestivi del Lazio. Vanta nobili origini, discende in linea diretta dalla famiglia della ricca patrizia Rutilia Polla e ha una lunga e ricca storia. Ricca di siti geologici, monumenti storici, aree naturali, clima mite e tramonti da mozzafiato. Non a caso che ai più è conosciuta come “La gemma del Lazio”. Ancora conserva, gelosamente, l’antico punto d’ingresso alla città, una porta cinquecentesca, sormontata da un orologio ancora funzionante mentre tutto il borgo è abbracciato da un bastione cinquecentesco con torrione medioevale compreso. Là dentro è tutta poesia, fascino ed incanto. La natura è stata più che generosa con questo lembo di terra. Il visitatore, a fine giro del borgo, non può che sospirare con i versetti della Zanicchi: “Il tuo sangue nelle vene e ti porto nel mio cuore”.

Qui il tempo si è fermato ed il vecchio borgo di lassù, specchiandosi nelle acque azzurre del lago sottostante, sembra rilassarsi rassegnato e “disteso come un vecchio addormentato e la noia, l’abbandono, il niente son la (sua) malattia.”

Appunto della sua noia, del suo abbandono e della sua malattia che oggi si vuole trattare

Di amministratori meritevoli di menzione, Anguillara ne ha avuti nel lontano passato e poi, come è capitato a Montecitorio e a Palazzo Madama, c’è stata una moria di una vera classe dirigente. La politica ha perso la sua vocazione ed è diventata una bottega di interessi. Oggi il bene comune viene considerato un optional e tutte le attività della politica politicante tendono a un solo fine, l’aumento dei consensi. Quella noia “del vecchio addormentato” più che altro esprime disgusto per questa deriva verso il degrado completo. Il “niente” della politica locale sta privando questa cittadina storica da una meritata posizione  nella scala nazionale di attrazione turistica. E’ vero che madre natura con questo lembo di terra è stata più che magnanima, però purtroppo la generosità dell’una ha incontrato l’indifferenza di altri. Il mistero dell’Acqua Claudia, riconosciuta come unica e speciale già dalla metà del 1700, l’acqua della Mola Antica, per i residenti e non, una risorsa di approvvigionamento, per gli amministratori è stata abbandonata a se stessa mentre il privato raccoglie i frutti di un bene che tutti considerano “bene comune”.  Perché? Come mai questa risorsa non suscita tanto interesse quanto le colate di cemento?

Stesso destino è stato riservato ad un reperto archeologico, unico nel suo genere. Una piroga monossile di 8000 anni fa, rinvenuta nel 2002 in località La Marmotta  sul lago di Bracciano ad Anguillara quando scavando,  i sommozzatori avevano portato alla luce il più antico villaggio neolitico d’Europa.

Il disinteresse degli amministratori non è nato oggi, di fatto il 28 ottobre 2018, su questo stesso giornale con l’articolo “Anguillara Sabazia, la piroga: la solita storia degli amministratori che la vogliono raccontare ma poi s’addormentano” si era lamentato dell’abbandono al suo destino del prezioso reperto archeologico. Altri Comuni, altri amministratori avrebbero fatto carte false per averla nel loro territorio, ma qui siamo ad Anguillara.

Un capannello di anziani, facendo su e giù per via Reginaldo Belloni, dopo un poco si fermavano e guardando il rudere del palazzo accanto al ristorante Zaira, commentavano l’impotenza degli amministratori che, mentre si riempiono la bocca con il bel discorso del decoro urbano non trovano il coraggio o la soluzione oppure un accordo per buttare giù quell’obbrobrio che sta deturpando da anni il decoro del lago stesso. Come mai, dicevano questi signori, che non si riesca a rimuovere quella vergogna? Chi sa chi lo sa? Qualcuno lo dovrebbe sapere…

Giustamente, concludeva il più anziano, la cittadina è stata trascurata ormai da parecchi anni. Ogni amministrazione si è limitata a promuovere nuovi insediamenti, nuove costruzioni, nuovi agglomerati, senza però, adeguare i servizi alla crescita della popolazione. La rete idrica, quella fognante, rete scolo acque fluviali sono rimaste sempre quelle di quando Anguillara contava appena appena sei-settemila abitanti. Oggi i nodi stanno venendo al pettine. Scoppiano i tubi, straripano le fogne e l’acqua piovana invade le strade e la rete elettrica ogni tanto fa cilecca. E gli amministratori? Quei signori non vedono, non sentono, non parlano.

Officina Stampa del 13/05/2021: Emanuel Galea fa il punto sulla requisizione “temporanea” dei loculi cimiteriali che si protrae dal 2017

La lista è lunga ma quello che reca l’onta maggiore agli amministratori fino ad oggi succedutisi, è l’emergenza cimitero

In questo risiede  l’incongruenza, l’incoerenza e l’incomprensione di questa gente che fino ad ora hanno avuto la presunzione di promettere un “futuro migliore” per la cittadina. Sono circa 20 anni che l’emergenza loculi si fa sempre più acuta. L’hanno riconosciuto. Hanno ammesso candidamente che trattasi di vera emergenza. Hanno avuto il pudore di avvisare la cittadinanza che l’emergenza si fa sempre più minacciosa.

Va bene, uno da fuori, potrebbe pensare che dopo tutto questo sarebbero seguiti i fatti, i rimedi, le soluzioni. L’unica soluzione che gli amministratori hanno escogitato è fare cadere il costo dell’emergenza anziché su tutta la comunità, interamente a carico dei 150 concessionari. Per risolvere  poi il problema un nuovo stratagemma  (intelligente) a costo zero: spostare da un loculo all’altro i “cari estinti”. Fino a quando?

Anguillara non si rassegna e fiduciosa aspetta il giorno che arriveranno degli amministratori che la sapranno comprendere, valorizzare i suoi pregi e far passare la sua noia.




Anni di piombo, terroristi arrestati in Francia: tutti in libertà vigilata

Tra avvocati, eccezioni di ogni tipo, rinvii per malattia, esame delle condizioni in cui si svolse il processo che li condanna in Italia e molto altro l’iter per l’estradizione si preannuncia molto lungo

Tutti rilasciati in libertà vigilata i nove terroristi rossi italiani arrestati in Francia lo scorso 28 aprile e condannati in Italia per reati di sangue commessi durante gli anni di Piombo.

Si tratta dei brigatisti rossi Luigi Bergamin, Raffaele Ventura, Enzo Calvitti, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella e Sergio Tornaghi, del fondatore di Lotta Continua, Giorgio Pietrostefani e del membro dei Nuclei armati contro il potere territoriale, Narciso manenti.

Il blitz e gli arresti erano necessari per interrompere il decorso della prescrizione, evitando così che per sei dei dieci rifugiati Oltralpe, i non ergastolani, di qui a poco tempo l’Italia non potesse nemmeno più chiedere la riconsegna.

Dei dieci condannati che l’Italia reclama, solo su tre la giustizia francese non si è mai pronunciata in precedenza; si tratta del brigatista Enzo Calvitti, di Narciso Manenti condannato all’ergastolo per un delitto firmato Guerriglia proletaria e dell’ex dirigente di Lotta continua Giorgio Pietrostefani, condannato per l’omicidio Calabresi.

Per loro è la prima volta che si apre una procedura di estradizione, mentre per gli altri sette si era sempre bloccata, per un motivo o per l’altro.

Proprio esaminando il fascicolo di Pietrostefani, il rappresentante della Procura che ha firmato il provvedimento d’arresto aveva già anticipato che in sede di convalida avrebbe chiesto la scarcerazione, a causa delle sue precarie condizioni di salute.

Ora l’iter per l’eventuale estradizione in Italia si annuncia lungo e sarà possibile “non prima di 2 o 3 anni”, hanno fatto sapere dall’Eliseo. Spetterà dunque alla magistratura francese decidere. Se riterrà che vi siano i presupposti per estradarli, come appare probabile, la parola passerà poi ai processi veri e propri, che si svolgeranno nei prossimi mesi, caso per caso, nella Chambre de l’Instruction, con il rito tradizionale: avvocato, eccezioni di ogni tipo, rinvii per malattia, esame delle condizioni in cui si svolse il processo che li condanna in Italia e molto altro.

Una volta che la Chambre avrà preso una decisione, l’imputato potrà fare ricorso in Cassazione quando la sentenza sarà divulgata. Questi giudici dovranno verificare se esistevano le condizioni corrette per concedere l’estradizione. Alla fine, toccherà al primo ministro firmare un decreto di estradizione, che però potrà essere a sua volta impugnato per un ricorso amministrativo davanti al Consiglio di stato. La strada, insomma, è ancora lunga.




Anni di piombo, Tagliente: “Ecco il clima che vivevamo in Questura a Roma”

Nella ricorrenza della Giornata della memoria per le vittime del terrorismo il Prefetto Francesco Tagliente ricorda quegli anni, che vanno dal 1975 al 1983, in cui ha prestato servizio alla Squadra Volante e alla sala Operativa della Questura di Roma assicurando il coordinamento operativo e il pronto intervento delle pattuglie impegnate sul territorio: dai sequestri di persona agli attentati terroristici.

Erano gli anni della cosiddetta strategia della tensione che misero a dura prova gli operatori di polizia.

Pochi anni prima del rapimento di Aldo Moro era stata avvertita l’esigenza di riorganizzare il dispositivi di prevenzione generale e di pronto intervento. Nel 1975 fu costituito il V Gruppo Volanti con un organico di circa 800 uomini che assicuravano la presenza di circa 35 volanti per ciascuno dei turni di servizio. Per ciascuno dei Nuclei c’erano anche le Volanti Zara con a bordo un sottufficiale coordinatore e le volanti Beta con a bordo i Tenenti e il Capitano Comandante del Nucleo. Complessivamente tra volanti ed autoradio dei commissariati e gli equipaggi della Squadra Mobile e della Digos in servizio operativo esterno, la citta poteva contare su oltre 150 unità operative per turno.

Fu riorganizzata anche la Sala Operativa della Questura pochi anni dopo nel 1996 informatizzata e resa all’avanguardia mondiale. “Ricordo – racconta il Prefetto Tagliente – che un anno registrammo 74 delegazioni estere in visita conoscitiva al nostro sistema di comando e controllo informatizzato. Molte Volanti venivano impegnate per il piantonamento dei detenuti in ospedale, per la scorta ai valori postali, per la vigilanza agli obiettivi politici (con le Volanti Delta) e diplomatici ( con le Volanti Zeta). Alcuni giorni venivano vigilate anche le banche che pagavano gli stipendi in contanti. Dopo il rapimento Moro per alcuni giorni abbiamo lavorato anche il giorno di riposo attuando il turno in quarta di 8 ore”.



Prefetto che ricordo ha di questo periodo storico?

Non era facile fare servizio in quegli anni cruciali. Erano gli anni dei sequestri di persona, delle rapine sanguinarie ai furgoni portavalori, alle banche, agli uffici postali e alle gioiellerie, erano gli anni dei furti nei caveau, delle cd spaccate delle vetrine, dei furti multipli in appartamento. Nelle manifestazioni di piazza molti manifestanti si presentavano mascherati e spesso armati di spranghe, mazze, chiavi inglesi talvolta di molotov e addirittura di pistole. Era il periodo del terrorismo e della criminalità agguerrita, vigliacca e sanguinaria. Dalle contestazioni con manifestazioni di piazza violente si passò all’eversione e agli attentati terroristici. Nel corso degli interventi la tensione era sempre altissima e l’adrenalina andava a mille. Le volanti erano frequentemente sollecitate e impegnate in spericolati inseguimenti. Ci lanciavano contro anche bottiglie incendiarie, bombe a mano e granate. In quegli anni aumentarono gli attentati con agguati, gambizzazioni e uccisioni. Nella società si generò un clima di pericolo, di insicurezza e di paura, anche perché venivano colpiti pure singoli cittadini, rappresentanti della società civile giornalisti, uomini politici, della magistratura, del mondo carcerario e delle forze dell’ordine e dirigenti degli altri apparati dello Stato.

Come era il clima che si viveva tra gli operatori delle Forze dell’Ordine?

Molti rappresentanti delle forze di polizia, uscendo da casa, non sapevano se sarebbero tornati. La tensione e la paura, erano entrati a fare parte della quotidianità anche delle famiglie dei poliziotti. Ci sentivamo bersagli mobili.

Avevate paura? Quali le precauzioni messe in atto tra gli operatori di Polizia?

La paura è un sentimento umano che riuscivamo a dominare. Quello che non si riusciva a gestire era il timore che potesse capitare qualcosa ai nostri familiari. Penso comunque che sia necessario fare una distinzione tra i funzionari, il personale degli Uffici investigativi e gli operatori delle Volanti costretti ad uscire e rientrare a casa da soli e, a causa dei turni, in fasce orarie prevedibili. Io posso parlare delle Volanti. Consapevoli che alcuni colleghi erano stati colpiti con azioni imprevedibili e in maniera vigliacca, in tanti si videro costretti a cambiare continuamente abitudini, itinerari e orari di uscita e rientro. Quasi tutti tolsero o cambiarono il nome dal citofono e dal portone di casa. Ci fu chi decise di allontanare la famiglia dalla sede di servizio. Al termine dei turni il personale che dormiva negli alloggi collettivi di servizio veniva accompagnato con un pullman scortato dalle volanti. E alcuni ammogliati per evitare di far conoscere l’indirizzo di casa preferivano dormire negli alloggi delle caserme. Prima di intraprendere i turni pomeridiano 19-24 e serale 19-24 si arrivava in caserma due ore prima per un Briefing collettivo nel corso del quale veniva fatto un punto di situazione su quello che era successo nelle ore precedenti, venivano illustrate eventuali nuove direttive e venivano messe a punto le strategie migliori da mettere in atto per fronteggiare una criminalità sanguinaria, per tutelare la collettività e intervenire in sicurezza. I briefing collettivi erano anche una grande occasione per fortificarci e non percepire la paura Nel corso di quelle riunioni, cercavamo di parlare e di esaltare gli aspetti positivi. L’orgoglio di servire la gente, l’orgoglio di servire il nostro Paese ci aiutava a superare quel sintomo di preoccupazione, di disagio e di paura. Pensare di servire il Paese rappresentava un momento di gratificazione che ci dava anche forza e coraggio. Gli interventi ritenuti sospetti venivano assicurati con due volanti una delle quali con funzioni di appoggio per copertura. Durante tutto il turno di servizio pattugliavamo il territorio in stato di massima allerta, con il microfono in mano pronti a chiedere ausilio e le armi corta e lunga pronte all’uso sotto la coscia. Centinaia di persone ritenute esposte a rischio di attentati erano scortate le residenze vigilate in forma fissa o ad orari convenuti al momento di uscita e rientro da casa. Decine e decine di obiettivi ritenuti sensibili erano vigilati in forma fissa da una volante. L’autista doveva conoscere perfettamente la zona assegnatagli assumendo una condotta di guida veloce e sicura. In quegli anni per scoraggiare gli inseguimenti venivano lanciate anche bombe a mano e granate contro le volanti. Gli autisti venivano selezionati e avviati ai corsi di specializzazione per la guida veloce a Monza, Anagni e Foggia. Per mantenersi costantemente allenati, nelle prime ore dell’alba quando diminuivano le richieste d’intervento, gli autisti continuavano ad esercitarsi sia per perfezionare le manovre sia per testare l’affidabilità e la tenuta delle auto a loro assegnate. Durante la giornata del riposo settimanale per elevare le capacità di reazione ed efficacia del tiro con tutte le armi in dotazione, venivano organizzate esercitazioni di tiro al Poligono coperto o ai Poligoni all’aperto Pian Di Spille di Tarquinia e a quello militare di Nettuno.




Vittime del terrorismo: una lunga serie di omicidi e di ferimenti che ancora oggi gridano giustizia

Fantasmi che emergono da un passato buio da molti dimenticato ad altri, i più giovani, del tutto sconosciuto eppure drammatico e terribile per tante famiglie di servitori dello Stato, uomini delle istituzioni, cittadini, sindacalisti e lavoratori rimasti feriti o uccisi.

Un momento lungo quasi un decennio tra gli anni 70 e la prima metà degli anni 80 in cui il rischio per le istituzioni repubblicane fu altissimo.

Questo rappresentano i nomi dei brigatisti rossi Roberta Cappelli, Marina Petrelli, Sergio Tonaghi e ancora Narciso Manenti esponente dei nuclei armati territoriali sottrattosi alla condanna all’ergastolo fuggendo in Francia come gli altri due brigatisti Giovanni Alimonti ed Enzo Calvitti e il militante di lotta continua Giorgio Pietrostefani che devono scontare invece condanne tra gli 11 e i 18 anni di carcere.

Le vittime del terrorismo: il video servizio trasmesso a Officina Stampa del 06/05/2021

Le ombre rosse così sono state chiamate in un dossier dei servizi antiterrorismo e del Governo italiano che in realtà elenca anche altri nomi di terroristi con a fianco la scritta “da catturare” in Francia e non solo.

Compromesso storico, crisi di governo, strage di Acca Larenzia, rapimento Moro e la mitraglietta Skorpion: il video servizio trasmesso a Officina Stampa del 06/05/2021

Scorrere gli atti dei processi a carico di ognuno di loro vuol dire imbattersi in una lunga serie di omicidi e di ferimenti: tanti poliziotti e carabinieri ma anche sequestri, in particolare di magistrati sottoposti ai cosiddetti processi proletari e poi rapine per autofinanziamento e assalti a sedi di partiti politici e carceri

La prova generale di quella che in particolare le brigate rosse avevano definito come “lotta armata” il tentativo di andare oltre gli agguati e le azioni da commando trascinando il Paese nella guerra civile un tentativo criminale che per fortuna non riuscì al prezzo di sacrifici e di tutti purtroppo dimenticati o spesso rimasti sulle lapidi che pure per quanto in ritardo impongono il rispetto delle sentenze e soprattutto che le condanne vengano scontate.




Lo speciale di Officina Stampa: l’ANCRI ricorda le vittime del terrorismo

Una puntata per non dimenticare e per ribadire che non esistono ex terroristi come non esistono ex vittime. Ospiti della trasmissione: il Prefetto Francesco Tagliente già Questore di Roma, il dottor Carlo Iovinella che all’epoca dei fatti era il Capo della Sezione Omicidi della Squadra Mobile della Questura di Roma e il Presidente dell’ANCRI l’associazione degli Insigniti al Merito della Repubblica Tommaso Bove

Domenica prossima ricorrerà la Giornata della memoria dedicata alle vittime del terrorismo. Una ricorrenza della Repubblica Italiana istituita con la legge 56 del 4 maggio 2007 che si celebra ogni 9 maggio di ogni anno in considerazione del fatto che il 9 maggio 1978 fu ucciso dalle Brigate Rosse Aldo Moro.

Un riconoscimento, dunque, offerto al sacrificio di chi è stato colpito dalla violenza del terrorismo di ogni matrice e il sentimento di vicinanza e di solidarietà da parte di tutte le Istituzioni dovuto alle loro famiglie che deve spingere tutti noi a promuovere e garantire con forza i diritti di libertà e a condannare e contrastare ogni forma di terrorismo, che rappresenta un pericolo per le istituzioni democratiche e repubblicane.

Una puntata di Officina Stampa, quella trasmessa giovedì 6 maggio, che ha visto ospiti d’eccezione: il Prefetto Francesco Tagliente già Questore di Roma, il dottor Carlo Iovinella che all’epoca dei fatti era il Capo della Sezione Omicidi della Squadra Mobile della Questura di Roma e il Presidente dell’ANCRI l’associazione degli Insigniti al Merito della Repubblica Tommaso Bove. Una puntata che la redazione di Officina Stampa insieme all’ANCRI ha interamente dedicato alle vittime del terrorismo e a quel periodo della storia d’Italia conosciuto come “Gli anni di Piombo”.

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Morte di Paolo De Sanctis, la famiglia cerca ancora giustizia: martedì il Gip di Velletri decide se archiviare o far aprire un processo a carico dei sanitari

Cade dal ponte di Ariccia e muore dopo essere stato dismesso dal pronto soccorso dell’ospedale di Albano Laziale con un trauma cranico in corso, senza avergli fatto la Tac, con un tasso alcolemico di 1,53 e con la cannula ancora al braccio

Papà Gino ricorda suo figlio Paolo De Sanctis morto la notte tra il 17 e il 18 febbraio del 2018 dopo una caduta di oltre 60 metri dal ponte monumentale di Ariccia.

Paolo, un ragazzo pieno di vita e pieno di iniziative che portava avanti con tanta passione ed entusiasmo come l’escursione che aveva organizzato per domenica 18 febbraio e che aveva annunciato il giorno prima della sua morte attraverso il suo profilo Facebook.

Officina Stampa del 29/04/2021 – Gino De Sanctis papà di Paolo continua la sua battaglia legale per ottenere giustizia

Una morte, quella di Paolo, arrivata dopo un incidente stradale che gli aveva procurato un trauma cranico e che ciononostante i sanitari del pronto soccorso dell’ospedale di Albano Laziale lo avevano dimesso dopo neanche un’ora dal ricovero. Una dimissione fatta con la cannula ancora al braccio di Paolo, senza aver effettuato una tac e perdipiù certificando uno stato alcolemico di 1,53 microgrammi litro.

E oggi dopo oltre tre anni dalla sua morte la famiglia di Paolo è ancora in cerca della verità: se l’ospedale lo avesse trattenuto per effettuare una tac come previsto da protocollo in presenza di trauma cranico e se inoltre fossero stati avvisati i familiari Paolo sicuramente non sarebbe stato ritrovato morto sotto il ponte di Ariccia.




Capena, ombre sull’appalto di via del Mattatoio: la consigliera Paganelli si rivolge alla Guardia di Finanza

CAPENA (RM) – Via del Mattatoio, una strada fondamentale e unica via di accesso alle scuole, è chiusa al transito di auto e pedoni perché ormai da 4 anni presenta una voragine larga circa 15 metri quadri e profonda oltre 3 metri.

Ci troviamo a Capena, un comune di circa 11 mila abitanti situato a nord della Capitale dove la Consigliera comunale di opposizione Mirta Paganelli ha presentato un esposto alla Guardia di Finanza per segnalare alcuni aspetti relativi alla gestione di soldi pubblici per il ripristino della via da parte dell’amministrazione comunale.

Ma ripercorriamo la vicenda:

A ottobre del 2019 l’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Roberto Barbetti, ottiene un finanziamento regionale di circa 200 mila euro per ripristinare via del Mattatoio e nei primi giorni di agosto del 2020 il Comune invia alla Regione il cronoprogramma dei lavori che sarebbero dovuti terminare a ottobre del 2020.

Officina Stampa del 29/04/2021 – L’intervista alla Consigliera comunale a Capena Mirta Paganelli

A fine agosto del 2020 la società Luisiana Appalti srl si aggiudica l’appalto dei lavori grazie all’affidamento diretto vinto con un ribasso d’asta del solo 0,9%, rispetto alla media del 20/30%.

Ma il primo settembre, a seguito di accertamenti, la Regione Lazio chiede indietro la somma erogata al Comune che il giorno dopo – il 2 settembre del 2020 – comunica di aver già affidato l’appalto alla Luisiana Appalti srl fissando in 35 giorni la scadenza temporale per la stipula del contratto con la ditta. Così il 17 settembre 2020 il Comune sottoscrive il verbale di affidamento lavori non prevedendo nessun acconto all’impresa.  

Dopo nemmeno due settimane dal verbale, il 2 ottobre 2020, il Tribunale di Roma emette un decreto ingiuntivo ai danni della società Luisiana Appalti Srl e 4 giorni dopo, il 6 ottobre, il Comune di Capena effettua un bonifico di oltre 54 mila euro alla Luisiana Appalti Srl, nonostante nel verbale di affidamento lavori non fosse previsto nessun acconto e dulcis in fundo la società ricevuto il bonifico si ferma con i lavori.

A marzo 2021, dopo circa cinque mesi, il Sindaco in una nota al Tribunale Civile di Roma giustifica il pagamento effettuato a favore dell’impresa quale 30% dell’importo previsto dal D.lgs 50/2016 comma 18 articolo 35.

Peccato però che l’articolo di legge citato dal Sindaco preveda al massimo il 20% e non il 30% oltre a richiedere all’impresa garanzie fideiussorie bancarie e assicurative.

Ad oggi, dopo i numerosi accessi agli atti, interrogazioni comunali, diffide inviate al Prefetto di Roma per farsi rispondere, esposto ai Carabinieri di Capena chiedendo di accertare e ravvisare eventuali ipotesi dei reati di falso in atto pubblico e mancata vigilanza sull’incolumità pubblica, Mirta Paganelli si è rivolta anche alla Guardia di Finanza che ora effettuerà tutti gli accertamenti del caso, soprattutto al fine di capire come mai il Comune si sia affidato a una ditta che ad oggi tiene fermo un cantiere, che vanta creditori e alla quale il Comune ha addirittura corrisposto 54mila euro di anticipo proprio pochi giorni dopo il decreto ingiuntivo del Tribunale di Roma.

Adesso la Luisiana Appalti Srl ha pagato i debiti e non ha più il decreto ingiuntivo ma la strada resta ancora chiusa, i lavori sono fermi e davanti alle scuole c’è continuo assembramento ed il traffico è completamente congestionato. Tanti gli interrogativi da sciogliere intorno a questa vicenda.




Trading online, la Polizia postale sequestra 7 siti che operavano senza autorizzazioni: boom di falsi siti. Ingenti somme sottratte a ignari correntisti

La Polizia Postale di Roma ha eseguito il sequestro preventivo mediante oscuramento in Italia delle pagine web di alcuni siti di intermediazione finanziaria che operavano senza le necessarie autorizzazioni di legge.

L’attività ha preso le mosse da alcune segnalazioni presentate dalla Consob alla Procura della Repubblica di Roma che evidenziavano come tali siti, privi di autorizzazione alcuna, offrissero al pubblico strumenti finanziari, servizi e attività di investimento fra i quali la possibilità di aprire un conto di trading su strumenti finanziari da gestire interamente online.

Il Giudice per le Indagini Preliminari di Roma, in accoglimento della richiesta del Pubblico Ministero, disponeva il sequestro preventivo ordinando ai provider operanti sul territorio nazionale di inibire il raggiungimento dei seguenti siti da parte degli utenti che si collegano dall’Italia:

www.topcapitalfix.com ;   www.my.topcapitalfix.com ; www.eu-markets.co ;  www.client.eu-markets.cowww.investfd.io;  www.investfd.co;  www.it.cryptoengine.app.

Ad attirare l’attenzione degli investigatori non è stato solo il profilo della mancanza delle autorizzazioni legali, con quello che ne consegue in termini di evasione fiscale, ma quello che preoccupa maggiormente sono le attività illegali che spesso si celano dietro questi siti fra le quali, in primo luogo, il fenomeno del falso trading online.

Fenomeno che ha avuto un’impennata notevole in concomitanza con le restrizioni imposte dall’emergenza COVID-19. Molti cittadini, spesso anziani, poco pratici degli strumenti informatici, si sono ritrovati in casa, con le attività commerciali chiuse, e avendo a disposizione dei capitali fermi sui conti correnti si sono fatti attrarre dalla prospettiva di facili guadagni derivanti da investimenti “sicuri”. Purtroppo quello di cui non si avvedono è che il più delle volte si tratta di truffe ben congegnate: la vittima versa i capitali nella convinzione di fare un investimento, ma i soldi anziché essere investiti, come apparentemente risulta dal portafoglio online, vengono acquisiti dal gruppo criminale operante all’estero. La diffusione di questo fenomeno, che ha visto aumentare a dismisura la perdita di ingenti capitali verso Paesi esteri, ha indotto la Polizia Postale ad implementare notevolmente l’attività di contrasto. Nello corso del 2020 sono stati trattati 358 casi con oltre 20 milioni di euro di danno. Purtroppo il carattere transnazionale di questo fenomeno complica alquanto le investigazioni, soprattutto perché i criminali spesso si appoggiano su Stati esteri.

La Polizia Postale invita i cittadini che volessero investire capitali con attività di trading online a rivolgersi solo a intermediari autorizzati, utilizzando solo strumenti di pagamento sicuri e tracciabili.




Violenza sessuale su minori: preso in sud America Luciano Scibilia. Uno dei 19 latitanti più pericolosi in campo internazionale

Oggi il rientro in Italia dove sarà trasferito subito in carcere

Sta rientrando stamattina in Italia da Santo Domingo e verrà immediatamente arrestato Scibilia Luciano di 74 anni, inserito nella lista Europol dei 19 più pericolosi sex offender ricercati in campo internazionale; l’uomo è segnalato anche sul sito eumostwanted.eu, Most Wanted Fugitives, e da ENFAST  (European Network of Fugitive Active Search Teams – Rete Europea delle Unità di Ricerche Attive Latitanti).

L’uomo è stato fermato venerdì 16 aprile nella Repubblica Dominicana, al termine di una complessa attività d’indagine svolta dal Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia (SCIP) insieme agli uomini della Questura di Roma –  Commissariato Tuscolano, su delega dalla Procura di Roma e con il coordinamento operativo dell’Esperto per la sicurezza a Santo Domingo.

Il latitante si trovava a Samanà, località a 200 km a nord dalla capitale, famosa per il passaggio delle balene davanti alle sue coste. 

Scibilia è destinatario di un ordine di esecuzione, emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma, per una pena di 5 anni e 2 mesi di reclusione per il reato di violenza sessuale su minori.

Nella scheda inserita nella lista dei sex offender viene evidenziato che, fingendosi un pranoterapeuta in grado di curare qualsiasi malattia e approfittando dell’amicizia che alcune ragazze avevano con la figlia della partner, ha abusato sessualmente di loro con la scusa di sottoporle a trattamenti terapeutici.

All’atto del fermo da parte dell’Interpol dominicana, assistita dall’Esperto per la sicurezza italiano, si sono vissuti momenti di tensione poiché il vicinato, alla vista della polizia, si è riversato in strada quasi a protezione dello Scibilia, conosciuto dagli abitanti poiché da tanti anni conviveva nel quartiere con una donna locale e i suoi quattro figli, tre bambine e un bimbo.

Il responsabile Interpol si è immediatamente qualificato e ha rivelato la motivazione dell’arresto, calmando così gli animi e permettendo il fermo in sicurezza del latitante che in quel momento stava raggiungendo un bar insieme ad un bimbo di 8 anni.

A far scattare le indagini a cura del Commissariato Tuscolano, la segnalazione di una delle vittime la quale lamentava il fatto che, nonostante i gravi reati  commessi e la successiva condanna passata in giudicato, Scibilia fosse ancora in libertà e alimentasse il proprio profilo Facebook. Gli investigatori hanno così scoperto attraverso l’INPS e accertamenti bancari e postali come l’uomo percepisse una pensione e come, a Roma ci fosse una persona che effettuava prelievi e bonifici utilizzando conti correnti intestati a Scibilia Luciano. Su delega della Procura Generale presso la Corte di Appello, i poliziotti hanno poi iniziato un’attività tecnica, consistente in intercettazioni telefoniche. L’attività protrattasi per diversi mesi ha permesso agli agenti del commissariato Tuscolano di individuare la città di Samanà nella Repubblica Dominicana, dove l’uomo aveva trovato rifugio e di identificare la donna che con la movimentazione finanziaria nella capitale, ne favoriva la latitanza.

Dopo il fermo a Samanà, il latitante è stato subito trasferito a Santo Domingo e affidato al Dipartimento per l’immigrazione che ha proceduto all’immediata espulsione verso l’Italia, considerando lo status di irregolare e l’allarme sociale legato ai suoi precedenti.

Il rientro in Italia e l’arresto di Scibilia rappresentano un’ulteriore testimonianza dell’efficacia della cooperazione internazionale di polizia promossa dalla Direzione centrale della polizia criminale, guidata dal Prefetto Vittorio Rizzi, grazie anche alla rete di esperti della sicurezza italiani all’estero, operativi in oltre 60 Paesi del mondo.