VACCINO ANTINFLUENZALE, LA RESA DEI CONTI: GLAXOSMITHKLINE FA RITIRARE CON URGENZA 1,7 MLN DI DOSI

 

Uno studio da poco pubblicato smentisce il CDC: Quando i pazienti affetti da infezione influenzale sono stati divisi in base allo stato della vaccinazione, non c'erano differenze salienti; frequenza di ricovero in terapia intensiva è stata di circa due volte più elevato per i pazienti vaccinati, ed i pazienti vaccinati erano più del doppio delle probabilità di ricevere supporto meccanico ventilatorio per insufficienza respiratoria

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di Cinzia Marchegiani

Negli USA è arrivata la resa dei conti del vaccino antinfluenzale. In Italia il vaccino è stato pubblicizzato ovunque, un suo similare è finito anche a Porta a Porta con la famosa gaffe di Luca Pani, raccomandato perché protegge dai virus influenzali ed è stato consigliato calorosamente a tutti affinché si possa affrontare l’epidemia senza alcun strascico e problemi secondari. Ma il vaccino antinfluenzale sta dimostrando il suo vero volto, in fondo i virus sono sempre in mutazione e anche la comunicazione del CDC aveva dimostrato che i vaccini in commercio “anche quest’anno” avevano perso efficacia, perché la composizione del farmaco era stato sviluppato ipotizzando il ceppo del virus predominante che invece poi di fatto è mutato.

Ma ecco che la stessa GlaxoSmithKline lo scorso 16 aprile 2015 ha notificato con dicitura “URGENTE DOSI DA RITIRARE” al CDC e la FDA GSK che sta richiamando volontariamente tutti i lotti rimanenti del vaccino antinfluenzale 2014-2015 FLULAVAL® quadrivalente Thimerosal-Free (Siringhe preriempite). Questo richiamo non riguarda problemi legati alla sicurezza del FLULAVAL quadrivalente Multi Dose Fiale (MDV), FLULAVAL [trivalente] MDV o qualsiasi altro vaccino GSK. La GSK ha avviato volontariamente questo richiamo perché i prodotti FLULAVAL (siringhe preriempite) potrebbero aver subito una ridotta efficacia a causa di una diminuzione della potenza rilevata attraverso i test di routine. La potenza del vaccino è sceso sotto il limite prestabilito prima della scadenza del vaccino. Secondo la GSK, il problema riguarda solo la potenza delle dosi di vaccino FLULAVAL somministrati ai primi di gennaio 2015 o successivamente, le dosi di questo vaccino somministrato fino alla fine del 2014 non è caduta al di sotto dei limiti di potenza specificati e ci tiene a sottolineare che la potenza ridotta del vaccino FLULAVAL non pone problemi di sicurezza per le persone che lo hanno ricevuto, e ci mancherebbe verrebbe da dire!!

FALLIMENTO VACCINALE E LA RESA DEI CONTI
Il FLULAVAL® quadrivalente PFS è un vaccino antinfluenzale che protegge contro quattro virus: due virus influenzali A e due virus dell'influenza B. Il problema consiste nella ridotta potenza (meno del 5 per cento al di sotto del minimo specificato) nei due virus dell'influenza B contenute nelle siringhe preriempite 2014-2015 del vaccino FLULAVAL® quadrivalente Thimerosal-free (PFS). Ciò significa che il vaccino non è più conforme alle specifiche del produttore per la potenza di questi virus particolari. La potenza dei restanti due virus dell'influenza A nel vaccino era entro limiti prestabiliti. La potenza (o forza) di un vaccino è determinato dalla misura della concentrazione del principio attivo (chiamato anche antigene) nel vaccino. Non è conforme da ora in poi? Che devono dire le persone che hanno ricevuto questo vaccino certi che avrebbero loro protetto dall’influenza e dagli effetti negativi non prevenuti dallo stesso trattamento? Eppure il CDC aveva detto chiaro con un comunicato risalente addirittura il 4 dicembre 2014, che i vaccino antinfluenzale non era più efficace, tanto che anche in Italia solo dopo la nostra inchiesta e l’intervista al dottor Eugenio Serravalle, dopo 5 giorni l’AIFA ne prendeva atto e informava con una nota sul sito istituzionale.

CONSIGLI ATTIVATI
Dato che l'attività influenzale negli Stati Uniti è in calo in questo momento, il CDC non raccomanda la rivaccinazione per le persone che hanno ricevuto il vaccino FLULAVAL. Tuttavia, le persone vaccinate con il vaccino ai primi di gennaio 2015 o successivamente, che desiderano essere rivaccinati devono parlare con il loro medico.
Le persone che hanno ricevuto il vaccino ai primi di gennaio 2015 o successivamente, e che hanno in programma di recarsi in nell'emisfero sud (dove la stagione influenzale è solo all'inizio) potrebbe parlare con il proprio medico delle opzioni di trattamento di influenza o di prevenzione, compresa la possibilità di essere ri-vaccinati con un altro vaccino antinfluenzale 2014-2015. Tuttavia, poiché un nuovo vaccino contro l'influenza è stato formulato per l'uso nel sud del mondo, la vaccinazione con un vaccino contro l'influenza dell'emisfero settentrionale approvato per l'uso negli Stati Uniti potrebbe fornire una protezione ottimale contro i virus influenzali attesi a circolare nel Sud del mondo nei prossimi mesi.

LOTTI RITIRATI CON URGENZA
La GSK ha inviato ai clienti che hanno acquistato le direzioni FLULAVAL® quadrivalente PFS alla la restituzione di qualsiasi vaccino non utilizzata da questi lotti. Tredici i lotti di vaccino sono interessati dal richiamo e comprendono: 2B472 / 379MY / 42N4L / 5AZ7H / 9A3ZM / ZS95Z / A2PK7 / AR57J / DR4GF / YF5DT / F45C5 / T3J4S / XP4J2: “Per Favore effettuare un conteggio fisico e registrare questi dati sulla cartolina di risposta e la bolla di accompagnamento che sono incluse con questa lettera. Si prega di verificare immediatamente il vostro inventario e restituire tutte le unità del FLULAVAL® elencato.”

SPORTELLO DEL CITTADINO IN ITALIA
Alla luce di questa notizia, anche in connessione con i rischi derivanti, Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” invita le Autorità Sanitarie italiane a vigilare per identificare rapidamente e precocemente un eventuale problema di sicurezza.

ECCO LO STUDIO SMENTISCE COME LA VACCINAZIONE EVITA IL RICOVERO NEGLI ANZIANI
Lo studio “The Impact of Vaccination on Influenza-Related Respiratory Failure and Mortality in Hospitalized Elderly Patients Over the 2013-2014 Season” pubblicato il 23 febbraio 2015 su Pubmed dagli autori Manish Joshi, Deepak Chandra, Penchala Mittadodla e Thaddeus Bartte, mette in discussione le raccomandazioni del CDC:” L’Influenza è una malattia respiratoria causata da virus influenzali. Essa colpisce un gran numero di americani su base annua, causando uno spettro di malattie che vanno dalla malattia autolimitante alla malattia abbastanza grave da giustificare il ricovero ospedaliero. I Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) afferma che la vaccinazione antinfluenzale può ridurre la morbilità e la mortalità dell'influenza legata, soprattutto negli anziani con condizioni di base mediche, ma la vera efficacia del vaccino è venuto in discussione.” Gli obiettivi di questo studio erano di valutare il fallimento e la mortalità in una popolazione anziana e paziente ricoverato in un centro di cura terziario accademica negli Stati Uniti per l'influenza e per determinare se la vaccinazione preventiva ha avuto un impatto sulla gravità della malattia.

ECCEZIONALITA’ DELLO STUDIO
Il CDC afferma che la vaccinazione antinfluenzale può ridurre le malattie influenzali, le visite dei medici, assenze al lavoro e a scuola e prevenire ricoveri e decessi legati all’influenza, soprattutto negli anziani con condizioni mediche di base. Il CDC raccomanda la vaccinazione antinfluenzale annuale per tutti gli individui con età superiore di 6 mesi. Per quanto a nostra conoscenza, questo è il primo studio condotto negli Stati Uniti che descrive la morbilità e la mortalità dell'influenza in questo gruppo ad alto rischio ricoverato in un centro di cura terziario durante la stagione influenzale 2013-2014. Il gruppo di studio rappresenta la popolazione anziana a maggior rischio di morbilità e di morte secondo la CDC; solo un paziente era sotto 50 anni di età, con la maggior parte oltre 60 anni di età e di età media di 66. La stragrande maggioranza ha avuto anche co-morbilità.
Quando i pazienti affetti da infezione influenzale sono stati divisi in base allo stato della vaccinazione, non c'erano differenze salienti; frequenza di ricovero in terapia intensiva è stata di circa due volte più elevato per i pazienti vaccinati, ed i pazienti vaccinati erano più del doppio delle probabilità di ricevere supporto ventilatorio meccanico per insufficienza respiratoria. I nostri dati suggeriscono quindi che la vaccinazione ha offerto nessuna protezione contro malattie gravi in questa popolazione di pazienti ricoverati in ospedale. La mancanza di protezione documentato da questo studio si è verificato nonostante il fatto che 1) l'influenza predominante A ceppo (80%) nella nostra popolazione in studio era pH1N1, coerente con la relazione intermedia recente CDC e 2) il vaccino fornito di questa stagione è stato considerato sostanziale per protezione contro i ceppi circolanti. C'era anche una protezione contro la mortalità; tre su quattro pazienti in questo studio che è morto aveva ricevuto il vaccino influenzale.

EVIDENZE IMPORTANTI CHE DOVREBBERO FAR AFFRONTARE IL FALLIMENTO VACCINALE, INDICANDO PROCEDURE NEL RICOVERO DI ANZIANI VACCINATI
Lo studio termina con una riflessione e sintesi: “questo studio dell'impatto di vaccino influenzale preventiva sulla gravità della malattia nei pazienti più anziani ricoverati con l'influenza non ha trovato prove di un beneficio protettivo del vaccino. Infatti, la prevalenza di malattia grave e insufficienza respiratoria era statisticamente superiore nei pazienti vaccinati. Questi dati aggiungono a un crescente corpo di letteratura che solleva questioni circa l'efficacia complessiva del vaccino. Mentre ancora più dati sono attesi, si consiglia un alto indice di sospetto nelle persone che presentano la malattia simil-influenzale, basata sul protocollo per garantire la rapida diagnosi e trattamento precoce.”

Il mondo dei vaccini mostra come sempre un volto molto spesso sottaciuto… forse per non allarmare, ma di fatto questi studi e questi ritiri spesso anticipatamente annunciati da studi (che nessun giornale o media riporta) mette al muro quello che con grande facilità si vuole dimostrare goffamente. Quale strategia e obiettivi dovrebbe attuare la vaccinazione? I dati sono numeri che senza alcuna opinione rimandano alla presa di coscienza, perché diciamocela tutta, già era nell’aria che nuovi ceppi erano arrivati, come riporta l’allarme lanciato proprio dal sito della FIMCG in cui si annunciava il nuovo virus Svizzera: “un ceppo che non è coperto dai vaccini e potrebbe colpire ad ampio raggio, durare circa un mese e arrivare quindi fino alla metà di marzo.” Si sono pubblicati tanti report di contagio aumentati in merito alla diminuzione della copertura vaccinale, sarebbe auspicabile affrontare questi importanti studi, dati con quell’onestà intellettuale che riesca finalmente a mettere il malato prima di tutto, rispetto alle dosi che giacciono nei frigoriferi….la GSK chiede con urgenza il ritiro, evidentemente è talmente palese il fallimento vaccinale che molte persone potrebbero chiedere ora un bel risarcimento.

Suonano come un boomerang le parole lungimiranti del Professor Serravalle riportate nella nostra inchiesta di dicembre 2014: “Non ci sembra di chiedere troppo se desideriamo conoscere la reale situazione epidemiologica italiana, quanti i casi di vera influenza, quali i sierotipi identificati e correlabili con quelli vaccinali, quali le percentuali di malati tra vaccinati e non vaccinati.” Forse è talmente palese il contributo che questo studio potrebbe portare al mondo della sanità legata indissolubilmente all’industria farmaceutica che ci si domanda in tutta onestà, perché le nostre istituzioni sanitarie, comprese la stessa AIFA, non lo mettono in agenda, mentre tranquillizzano a priori le persone che i vaccini sono sicuri a prescindere senza aver valutato questi rapporti che Serravalle aveva indicato. I cittadini sono diventati persone attive e se non si vaccinano è perché hanno intuito che qualcosa di poco trasparente è in atto, come quando sentendosi male dopo una profilassi, con difficoltà si attua la farmacovigilanza…e non è un mito. Il vaccino antinfluenzale un mito che ora non ha più quelle caratteristiche straordinarie che si volevano dipingere.




NUOVE FRONTIERE PER LA CHIRURGIA PLASTICA UMANITARIA


Avviata una collaborazione con l’associazione Sulla Strada Onlus: «Abbiamo eseguito operazioni di chirurgia plastica tra pazienti indigenti nel villaggio maya La Granadilla, a 100 km dalla capitale Guatemala City»

 

Redazione
 
Nuova frontiera per la chirurgia plastica umanitaria di AICPEonlus, che per la prima volta, ha prestato volontariato in Guatemala. L’associazione, branca di Aicpe (Associazione Italiana di Chirurgia Plastica Estetica) dedicata al volontariato, è attiva dal 2013 e si occupa di  sostenere i chirurghi plastici soci dell’Associazione,  impegnati in progetti no profit in giro per il mondo.
All’iniziativa in Guatemala, che rientra nell’ambito del “Progetto di Chirurgia Plastica umanitaria nei  paesi in via di sviluppo”, ha partecipato Claudio Bernardi, chirurgo plastico romano e presidente di AICPEonlus,. «Siamo stati per la prima volta in Guatemala grazie alla collaborazione con una Ong che da 14 anni opera nel Paese,  Sulla Strada Onlus – spiega Bernardi -. In particolare ho partecipato alla missione del “Progetto Salute”  nel villaggio  maya La Granadilla, a 100 km dalla capitale Guatemala City, dove, insieme al nostro socio  Paolo Rosa ed altri chirurghi, abbiamo eseguito operazioni di chirurgia plastica tra pazienti indigenti». In tutto, durante la settimana di missione, sono stati  operate circa 60 persone per un totale di 75 interventi chirurgici, vista la concomitanza di diverse patologie nello stesso paziente. «I problemi principali della popolazione sono legati a malformazioni congenite e soprattutto ad ustioni causate dall’esplosione da polvere da sparo (il lavoro con i fuochi d’artificio è la principale occupazione della zona), che non vengono adeguatamente trattate nella fase acuta ed esitano in processi di retrazione fibrotico-cicatriziali spesso gravemente invalidanti. Gli ospedali locali –  afferma Bernardi – sono distanti e difficilmente raggiungibili e comunque non accessibili da parte della popolazione indigente.
AICPEonlus ha scelto come partner del progetto Sulla Strada Onlus, realtà ben radicata nel territorio che svolge azioni di volontariato in ambito socio-sanitario nella  prevenzione e cura delle malattie, offrendo assistenza gratuita a pazienti indigenti che, altrimenti,  non avrebbero alcuna possibilità di essere curati. L’associazione Sulla Strada Onlus, inoltre, è anche attiva nel campo della scolarizzazione e della formazione con  tirocini  per giovani studenti guatemaltechi di medicina e di infermeria. «Questo è solo il primo passo di una collaborazione con il Guatemala: al più presto formalizzeremo infatti la proposta di collaborazione tra AICPEonlus e Sulla Strada Onlus» conclude il presidente di AICPEonlus.
Per sostenere l’attività di AICPEonlus è possibile destinare il 5 per mille della dichiarazione dei redditi all’associazione. I riferimenti sono: AICPEonlus, codice fiscale: 96035560174.
 
 
AICPEonlus: è la branca di Aicpe (Associazione Italiana di Chirurgia Plastica Estetica) dedicata alla beneficenza ed  al volontariato. Nata nel 2013 con l’intento di sostenere in modo concreto i soci che sono impegnati in prima persona in progetti no profit in giro per il mondo, AICPEonlus  raccoglie e gestisce i fondi in rapporto ad esigenze specifiche. Per il 2015,  l’obiettivo è creare nuovi “fronti” dove i soci possano  svolgere attività di volontariato e  di riprendere il prossimo maggio il primo progetto di chirurgia plastica umanitaria nei  paesi in via di sviluppo attivo sin dalla nascita  di AICPEonlus,  consistente in  tre missioni umanitarie annuali  presso l’Ospedale Saint Jean de Dieu in Togo, Africa, temporaneamente  sospeso a causa dell’epidemia di  Ebola.
 




MORBILLO E VACCINAZIONE FACOLTATIVA MMR: SFATIAMO QUALCHE MITO

 

Gli scheletri negli armadi di alcune pubblicazioni sui vaccini e i casi di autismo spiegati dal Dr Girolamo Giannotta, che grazie ad un viaggio scientifico e accademico ci svela inquietanti paradigmi che nessuno ha il coraggio e l’onestà di affrontare. Un documento unico che svela come il vaccino MMR abbia causato in alcuni soggetti la temutissima MIBE, invece attribuita, assieme alla panancefalite sclerosante subacuta (SSPE), sempre e solo al virus selvaggio del morbillo.

di Cinzia Marchegiani

Sul morbillo si è detto di tutto e male, molti tabella hanno mescolato informazioni su casi di contagio, che non equivalgono ai casi di decessi (ma semplicemente le persone che hanno contratto la malattia) con i decessi che si sono avuti nel terzo mondo. Insomma anche stavolta si è fatto un brodo per confondere dati, report e soprattutto mortalità generati da questa malattia.
Uno strano gioco quello dell’informazione, attenta a sparare titoli shock quando muore un bambino per una malattia soprattutto se quel bambino non aveva ricevuto la profilassi vaccinale, nel caso del morbillo poi spieghiamolo una volta per tutte che è una scelta facoltativa, non obbligatoria. Il gioco ipnotico e manipolativo dell’informazione è conosciutissimo e agisce su tre canali ormai non più secretati, quello uditivo, visivo e cinestesico, permette di condizionare scelte, abitudini e ancor peggio creare dipendenze delle persone, sfruttando e facendo leva sulla sfera emotiva, quella della gioia e anche del dolore, se poi ci si spinge sul terrore, il risultato è assolutamente certo.
Ma un giornale che sceglie di fare il servizio al cittadino fa una scelta etica, spesso fuori dal coro, un coro però assordante che per tempo o incompetenza non approfondisce e si limita a pubblicare un pezzo semplicemente con un banale copia e incolla dell’ansa di turno, o del comunicato ufficiale di una Asl. L’Osservatore d’Italia ha fatto una scelta etica, per questo abbiamo approfondito anche il caso delle morti da morbillo che hanno acceso moltissime discussioni, soprattutto da parte dei genitori che aridi delle informazioni corrette non sanno più a chi santo credere… Se poi nel calderone mettiamo siti che pur di spingere alle vaccinazioni si sono lanciati con vignette oltre la censura realizzate per offendere chi solleva il problema dei danneggiati da vaccino, ha oltraggiato di fatto i bambini affetti da autismo, il quadro diventa serio e allarmante.

Ma veniamo al morbillo. Il caso della bambina morta a Roma ha lacerato tutti, ma il fatto disdicevole che spesso queste notizie servono a difendere posizioni assurde e si perde l’occasione di creare un terreno di confronto medico e scientifico che possa informare seriamente, non memori che sono gli stessi genitori che devono prendere importanti decisioni per i propri figli. Così con un tam tam quasi ipnotico l’informazione e le stesse istituzioni hanno gestito le paure semplicemente allarmando con statistiche e consigliando vivamente di fare tutti i tipi di vaccinazioni, come se il vaccino sia una pratica esente da rischio per lo stesso bambino. Ma questo non basta a tranquillizzare i genitori che troppo spesso si presentano al centro vaccinale senza che sia stata loro fornita la corretta informazione, purtroppo i danni da vaccino esistono e colpiscono come una sorta di lotteria e il genitore lo sa perfettamente, e si affida alla santa provvidenza e al calcolo della probabilità…se tutto va bene, la storia si conclude con un vissero felici e contenti. Ma siamo davvero ritornati al medioevo?

Il Dr Girolamo Giannotta, ci aiuta anche in questa inchiesta sanitaria a riportare nell’alveolo della notizia l’informazione seria, con l’augurio che l’effetto scenografico orchestrato possa essere sostituito accademicamente con la scienza medica, che non vuole, e non deve condizionare né scelte e né abitudini ma fornire semplicemente quello strumento magnifico che ogni genitore dovrebbe avere…la consapevolezza.

Mi sono imbattuta sul sito della CDC dove per primo aveva allarmato il mondo intero per un’epidemia scoppiata nel parco giochi più grande del mondo. Non riuscivo a comprende il clamore dato dal tam tam mediatico successivo, eppure a chiare lettere il sito ufficiale riportava che il 45% dei contagiati non era stato vaccinato, riportiamo i report per correttezza: Tra i 110 pazienti della California, 49 e cioè il 45% non sono stati vaccinati; cinque (cioè il 5%) hanno avuto 1 dose di vaccino contenente morbillo, sette (6%) hanno avuto 2 dosi, uno (1%) ha avuto 3 dosi, 47 (43%) hanno uno stato vaccinale non conosciuto o non documentato ed uno (1%) aveva una sieropositività con immunoglobuline G che certificava la presenza di immunità specifica. Dodici dei pazienti non vaccinati erano bambini troppo piccoli per essere vaccinati. Tra i 37 rimanenti pazienti vaccino-eleggibili, 28 (67%) sono stati volutamente non vaccinati a causa di convinzioni personali, e uno era su un piano alternativo per la vaccinazione”.

Ricordiamo altresì che proprio le evidenze delle coperture vaccinali, fornite dal Reparto di Epidemiologia delle malattie infettive, Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps), ISS lo scorso 19 febbraio 2015 spiegava la verità sulla riduzione delle coperture vaccinali: “l’analisi dei dati del grafico di copertura per la prima dose di morbillo nel periodo 2006-2013 evidenzia che complessivamente non si sono registrate variazioni di rilievo della copertura media nazionale. La copertura era pari all’88,3% nel 2006 e all’88,1% nel 2013 e quindi la variazione percentuale nel periodo è pari a -0,2%. I dati che riguardano le coperture vaccinali per il morbillo sono quindi aumentate progressivamente fino al 2008, quando hanno raggiunto un plateau del 90%. Al 2013 la copertura vaccinale è dell’88,1% contro il 74,1% dell’anno 2000, quindi c’è stata una crescita di 14 punti percentuali…insomma un aumento considerevole nel totale”.

Partendo da questi dati ufficiali e poi manipolati per destabilizzare le certezze dei genitori il dr Girolamo Giannotta attraverso un viaggio scientifico ci mette a disposizione informazioni affinché ognuno possa scegliere nella piena consapevolezza. Ma soprattutto questo rimane un documento scientifico che finalmente spiegherà come una morte venga sfruttata per seminare terrore, e non si ha l’onestà intellettuale ed etica dei professionisti di affrontare l’altra faccia della medaglia dove invero esistono i danni e malattie prodotte dalle stesse vaccinazioni che di fatto rimane uno scenario volutamente sottaciuto. Lo stesso vaccino MMR è stato accertato (pubblicato sul sito CDC) abbia prodotto la temutissima MIBE.

IL MORBILLO CLASSICO
Il morbillo è una malattia altamente trasmissibile per via aerea provocata da un virus che ha un genoma fatto di RNA a singola catena. Penetrato nelle vie aeree superiori, il virus raggiunge facilmente monociti e cellule linfoidi, e molto presto la sua replicazione avviene all’interno dei linfonodi drenanti di questi distretti corporei. Durante la prima viremia (passaggio nel sangue), il virus viaggia associato alle cellule, quali i leucociti, con una piccola percentuale di cellule mononucleate infettate (cellule T, B e monociti). L’estensiva replicazione nel tessuto linfoide porta ad una viremia secondaria che è successiva alla prima, e la replicazione continua nell’epitelio della cavità buccale e nel polmone. Clinicamente, al contagio fa seguito un periodo d’incubazione di 10-14 giorni che non si presenta con sintomi apparenti. Questo è il tempo necessario per consentire al virus un’efficace moltiplicazione prima di produrre una seconda viremia che invaderà l’intero corpo e darà inizio ai sintomi della prima fase (lacrimazione, fotofobia, tosse, febbre di grado medio, arrossamento della gola). Il medico esperto potrebbe fare diagnosi dopo 3-5 giorni dall’inizio della febbre, e prima della comparsa dell’esantema, se va a ricercare le macchie di Koplik all’interno della mucosa orale in corrispondenza dei molari (una spruzzatina di calce, dicevano i vecchi clinici). In 4a-5a giornata, si innalza la febbre e comincia a comparire un esantema che si espande in direzione cranio-caudale (partendo da dietro l’orecchio ed andando verso le parti sottostanti del corpo) e che procede ad ondate, ciascuna delle quali si associa ad una recrudescenza della febbre. La tosse aumenta e diventa catarrale, il bimbo non sopporta la luce, mangia pochissimo, ha un aspetto decisamente sofferente e vuole stare al buio. Per chi li ha visti, come li ho visti io, sono decisamente sofferenti, e la loro sofferenza dovrà continuare obbligatoriamente per altri 3 giorni, quando la febbre cadrà bruscamente (per crisi), se non sono insorte complicazioni.
Siamo così arrivati, nella migliore delle ipotesi a 8 giorni pieni di malattia con tutte le sofferenze accluse. Se la febbre persiste o si rialza, è segno che sono in atto delle possibili complicazioni.

L’OPPOSIZIONE DELL’ORGANISMO AL VIRUS
I rapporti che si instaurano tra il virus del morbillo ed il sistema immunitario, sono cattivi rapporti che possono condurre a gravi conseguenze. A dispetto di una forte risposta specifica anti-virus del morbillo e dell’induzione di una robusta memoria immunologica, il virus induce, paradossalmente, un’immunosoppressione che dura dei mesi e comprende: linfopenia generalizzata, ridotta od assente risposta proliferativa, alterato profilo citokinico, concentrazioni elevate di IL-10 ed un viraggio verso le risposte immunitarie dal tipo TH1 al tipo TH2, che programmano l’organismo e lo rendono ad alto rischio per le infezioni batteriche secondarie.
Quando si contrae il morbillo classico, dopo 10-14 giorni di incubazione (periodo che intercorre tra l’infezione e l’esordio della malattia), una persona infetta è contagiosa a partire da 2-3 giorni prima della comparsa del rush fino a 4 giorni dopo la sua comparsa. La risposta immune dell’ospite contro il virus del morbillo è essenziale per la sua eliminazione, per il miglioramento clinico e per la produzione di un’immunità di lunga durata. Prima della comparsa dei sintomi (fase prodromica), l’immunità innata è in attività: si attivano i linfociti T natural killer e s’incrementa la produzione di IFN‐α e β. Ci sono diverse evidenze che suggeriscono che i TCD8+ sono particolarmente importanti per il controllo e l’eliminazione del virus. Linfociti T citotossici specifici contro il virus del morbillo si trovano nel sangue durante l’esantema ed assieme ai TCD4+ infiltrano il sito di replicazione virale. Comunque, il virus può persistere più a lungo all’interno dell’organismo, e lo si può ritrovare nei monociti (per più di una settimana) e nelle urine (oltre 10 giorni dopo la comparsa).
L’eliminazione del virus è ritardata in caso di malnutrizione ed nei pazienti con deficit dell’immunità cellulare. Comunque, una lunga persistenza del virus si ha nei casi di morbillo congenito e nei soggetti infettati col virus HIV‐1, ed anche nei soggetti normali può persistere. In ogni caso, l’RNA virale persiste per oltre 3 mesi dopo la malattia. La persistenza dell’RNA virale dopo la malattia e la profonda e permanente immunodepressione generata dal virus del morbillo, sono due cattivi compagni di viaggio. E che si tratti di cattive compagnie non ci sono dubbi. Comunque, l’eliminazione del virus dopo il morbillo è un processo prolungato ed esso permane nel corpo in 1/3 dei pazienti anche dopo 3-4 mesi dalla malattia. In ogni caso, la clearance del virus del morbillo è lenta e la sua prolungata presenza nell’organismo, sotto forma di RNA dopo l’apparente guarigione, è una regola. Forse la clearance può anche essere rallentata da un viraggio della risposta immunitaria dal tipo TH1 al tipo TH2 con la produzione di Treg e citokine che rallentano l’eliminazione dell’RNA virale.

PANENCEFALITE SCLEROSANTE SUBACUTA E MIBE. COSA CAUSA LA PERSISTENZA DEL VIRUS?
La persistenza dell’infezione da virus del morbillo è stata definitivamente associata con la panencefalite sclerosante subacuta (SSPE), che è una fatale malattia neurologica con alti livelli di infezione neuronale dovuti al virus del morbillo che si replica all’interno del sistema nervoso centrale. Nei pazienti immuno-compromessi, la persistenza del virus del morbillo è pure legata ad un’altra infezione neurologica che è la MIBE.
1. La MIBE (Measles inclusion body encephalitis), od encefalite a corpi inclusi da morbillo, è una rara complicazione del sistema nervoso centrale, che fa seguito al morbillo. È stata spesso descritta in bambini ed adulti che ricevono terapie immunosoppressive e per tale motivo colpisce essenzialmente l’ospite immunocompromesso. Anche il vaccino anti-morbillo in questi soggetti la può provocare, come è già successo ad un bambino di 21 mesi con una grave immunodeficienza. La malattia neurologica normalmente esordisce dai 3 ai 6 mesi dopo il rush del morbillo, con una media di 4 mesi. Gli antigeni del virus del morbillo sono presenti nel cervello, ed il virus è stato isolato direttamente dal cervello degli individui affetti. La MIBE differisce dalla SSPE perché sono assenti livelli elevati nel siero e nel liquor cerebrospinale di anticorpi neutralizzanti anti-morbillo. Il decorso della malattia è relativamente breve, dura da giorni a settimane, provoca convulsioni, deficit motori e stupore che spesso conduce al coma ed alla morte. Comunque, la persistenza del virus può generare malattie del sistema nervoso centrale nei soggetti immunocompromessi e negli immunosoppressi. Spesso, questi quadri si vedono nei reparti di ematologia e nei soggetti che hanno avuto un trapianto di cellule staminali. Un quadro di MIBE si è verificato anche in un ragazzo trapiantato di 13 anni che probabilmente aveva avuto il morbillo ad 1 anno, e questa è sicuramente una situazione insolita.
2. La PANENCEFALITE SCLEROSANTE SUBACUTA, SSPE è una lenta e progressiva malattia che è invariabilmente fatale. Il periodo di latenza tra il morbillo e l’esordio della malattia neurologica è usualmente compreso tra 4 e 10 anni (intervallo tra 2 mesi e 23 anni). Dai dati del Regno Unito e dagli USA, pare che l’incidenza calcolata della SSPE possa essere di 4-11 casi/100.000 casi di morbillo, con un rischio più alto per le precoci infezioni. Infatti, l’incidenza, per il morbillo contratto sotto l’anno di vita, è di 18 casi/100.000 casi di morbillo; mentre dopo i 5 anni di vita è di 1.1 casi/100.000 casi di morbillo. I tedeschi dicono che il rischio di sviluppare una SSPE, per un caso di morbillo contratto sotto i 5 anni di vita, oscilla da 1/1700 ad 1/3300 casi di morbillo. È lo stesso rischio che si ha di morire a causa del morbillo.

COME SI MANIFESTA LA SSPE
Inizialmente la SSPE si manifesta con lievi deficit cognitivi che diventano più gravi col trascorrere del tempo, e sono seguiti da deficit motori e convulsioni. I neuroni di sostanza grigia e bianca sono infetti ed istologicamente ci sono corpi inclusi cellulari. La caratteristica sierologica della SSPE è l’elevazione degli anticorpi specifici anti-morbillo sia nel sangue che nel liquor. Dalle biopsie cerebrali risulta che i neuroni infetti non gemmano particelle virali. Pare che l’incapacità dei neuroni nella SSPE di produrre un virus completo extracellulare possa essere dovuta ad un difetto nell’espressione proteica determinata da una mutazione in uno dei tre geni virali per le tre proteine H, F ed M.
Non ci sono evidenze di trasmissione del virus del morbillo dai casi di SSPE. Pare che l’RNA virale presente in varie parti del cervello sia clonato, e questo implica che il virus può essere entrato durante la fase acuta dell’infezione, forse attraverso le cellule endoteliali infette della barriera emato-encefalica. Purtroppo, l’incapacità ad eliminarlo comporta una graduale diffusione nel contesto del sistema nervoso centrale (SNC). Una volta entrato, può diffondere tra i neuroni senza la necessità di essere rilasciato come particella virale completa. Comunque, il virus presente nel SNC al momento in cui appare la SSPE differisce sostanzialmente dall’originale wild-type. È confermato che nelle infezioni persistenti il virus del morbillo ha tra i suoi bersagli favoriti i neuroni e la glia.

UN MOMENTO DI RIFLESSIONE
La comunicazione apparsa il giorno 11 marzo 2015 su Repubblica, a firma di Corrado Zunino, mi offre qualche spunto di riflessione. Si legge: “Lo scorso ottobre la bimba ha contratto l’infezione, che poi si è trasformata in una panencefalite subacuta sclerosante letale”.
La prima riflessione riguarda il lasso di tempo tra morbillo (contratto ad ottobre 2014) e morte avvenuta a marzo 2015. Non si arriva complessivamente a 4-5 mesi. Sicuramente i tempi sarebbero poco compatibili con la SSPE, dico sarebbero poco compatibili, alla luce di quello che ho detto prima. Secondo, ci sono le convulsioni che farebbero propendere più per una MIBE che per una SSPE. Nella SSPE si manifestano prima i deficit cognitivi, poi quelli motori ed infine le convulsioni.
Evidentemente, Corrado Zunino ha i risultati del liquor cerebrospinale e del siero, nei quali avrà scoperto che vi erano elevati titoli di anticorpi specifici anti-morbillo.
Credo, inoltre, che anche il professor Gualtiero Walter Ricciardi, ordinario di igiene al Gemelli, ed oggi presidente dell’Istituto superiore di Sanità, che agli occhi dei lettori è stato durissimo con questi poveri genitori, ha i titoli degli anticorpi neutralizzanti anti-morbillo di sangue e liquor della povera vittima. Da parte mia, a questi sfortunatissimi genitori, va tutta la mia solidarietà e le mie condoglianze.
Considerato l’alto rischio che le informazioni sulle quali ho fatto le riflessioni precedenti non siano corrispondenti al vero, anche le riflessioni evocate saranno prive di valore probatorio.

GLI STUDI SUL VACCINO MMR, SPIEGHIAMO QUALCHE ALTARINO
Il mio primo atto doveroso porta ad eliminare immediatamente dalla scena, e da questo contesto, Andrew Wakefield che nel 1998 disse testualmente: “We did not prove an association between measles, mumps, and rubella vaccine and the syndrome descrive”. La sindrome descritta allora era definita col termine di enterocolite.
Nel 2003, l’European Research program for Improved Vaccine Safety Surveillance dice: “Il disegno e la comunicazione dei risultati di sicurezza relativi agli studi condotti col vaccino MMR, sia pre- che post-marketing, sono in gran parte inadeguati e l’evidenza degli eventi avversi che seguono la vaccinazione con MMR non possono essere separati dal suo ruolo di prevenire la malattia specifica”.
Nello stesso anno, Frank DeStefano, dice: “that vaccinations do not cause CNS demyelination, nor do they trigger its clinical manifestation in those with subclinical disease”. Wakefield dice di non aver trovato un’associazione tra enterocolite e vaccino MMR, Frank DeStefano garantisce per tutte le vaccinazioni ed il sistema di sorveglianza dice che ci sarebbero problemi pre e post-marketing.
In linea con i suoi eccellenti principi, DeStefano nel 2004, pubblica un articolo che nel 2014 è etichettato da uno degli autori, il dr William Thompson, col termine di “studio manipolato”.

VACCINO E AUTISMO NEI MASCHI AFRO-AFRICANI E IL CASO DELLA CDC
Anche se pubblicato diversamente, lo studio effettuato nel CDC, mostrava un aumento del rischio (+ 236%) per autismo nei maschi afro-americani vaccinati con il vaccino MMR prima di 36 mesi di età. Il secondo co-autore di questo studio, il dottor William Thompson, dice che la decisione è stata presa (sotto pressione) per eliminare i dati che indicavano l’incremento del rischio. La questione negli USA adesso è nota come “The CDC Whistleblower Issue”. Il 27 agosto, 2014, l’avvocato del dr Thompson ha rilasciato una dichiarazione ufficiale, indicando quello che era successo, ed ha manifestato il suo rammarico per la sua partecipazione nella frode.

STUDIO CASO-CONTROLLO HORNIG ET COL 2008. ERRORE SCIENTIFICO, ASSOCIAZIONE NON SIGNIFICA CAUSALITA’
Un gruppo di scienziati americani che hanno un amico irlandese che era amico di Wakefield, producono uno studio caso-controllo che si prefiggeva lo scopo di determinare se i bambini con disturbi gastrointestinali (GI) ed autismo hanno più probabilità, rispetto ai bambini con soli disturbi GI, di avere RNA del virus del morbillo e/o infiammazione dei tessuti intestinali e se l’autismo e/o l’inizio degli episodi GI è collegato temporalmente alla vaccinazione MMR. Si tratta solo di 25 bambini con disturbi intestinali ed autismo paragonati con 13 soggetti con soli disturbi intestinali. Questo in assoluto è lo studio più allucinante che io abbia mai letto. Senza entrare in tutti i particolari dello studio, una delle conclusioni è la seguente:“Only 5 of 25 subjects (20%) had received MMR before the onset of GI complaints and had also had onset of GI episodes before the onset of AUT (P = 0.03)”. Ne deriva che il 20% dei soggetti autistici esaminati in questo studio hanno la successione temporale vaccino MMR/disturbi gastrointestinali/autismo. Però, in antitesi con la frase precedente affermano che: “L’ordine temporale tra la vaccinazione MMR, gli episodi GI e l’autismo sono incompatibili con un ruolo causale del vaccino MMR, come fattore scatenate o esacerbante di entrambi i disturbi: gastrointestinali ed autismo”.
Oltre le questioni semantiche, questo è uno studio caso-controllo. Poiché il mondo accademico si è dato delle regole che dovrebbe rispettare e non calpestare, mi preme ricordare che tali studi nella migliore delle ipotesi possono al massimo stabilire l’associazione ma non la causalità. Quindi, quando qui si conclude per l’assenza di causalità si commette un gravissimo errore scientifico. Tali studi al massimo, e nella migliore delle ipotesi, possono concludere per la presenza od assenza dell’associazione, senza poter sindacare sulla componente biologica della malattia. Questo è il vizio cronico di chi conduce gli studi caso-controllo, che confonde l’associazione con la causalità (nel suo caso assenza di associazione = assenza di causalità). Intanto, associazione non è sinonimo di causalità; ed anche nel caso in cui l’associazione fosse dichiarata causale, rimarrebbe comunque l’onere di dimostrare che i due fattori sono legati da un rapporto causa-effetto (causalità).

Nel 2012, il Cochrane Database Syst Rev afferma, in un articolo: “The design and reporting of safety outcomes in MMR vaccine studies, both pre- and post-marketing, are largely inadequate”. Per tutta risposta, nel 2013, Frank DeStefano si era impegnato a valutare l’associazione tra autismo e le stimolazioni immunitarie ricevute nei primi due anni di vita in seguito a tutte le vaccinazioni. Ha analizzato uno studio caso-controllo che ha studiato 256 affetti da ASD con regressione, con un gruppo di controllo di 752 bambini sani. Fatta salva la tecnica per diagnosticare l’ASD, è interessante la creatività nel valutare e quantificare l’esposizione totale alle proteine evocanti anticorpi ed ai polisaccaridi vaccinali, poiché ha sommato il contenuto antigenico di ciascun vaccino ricevuto, i cui dati derivavano da un registro e dai dati registrati dai medici. Dopo le sue belle e difficili analisi statistiche ha sentenziato: “In questo studio, l’incremento dell’esposizione a proteine e polisaccaridi vaccinali, durante i primi due anni di vita, non è collegato al rischio di sviluppare ASD”.
Qui non desidero entrare in merito e mi limito a ricordare a Frank DeStefano, che gli adiuvanti vaccinali viaggiano assieme ai vaccini, e che non è possibile dimenticarsi di loro impunemente.
Nel 2014, per meno di un mese, resta pubblicato un articolo di Hooker che aveva osato criticare il lavoro di DeStefano del 2004. Secondo Hooker, DeStefano et al. (2004), non avrebbero completato, come di dovere il loro studio, poiché quei risultati dimostravano una forte relazione tra l’età della prima somministrazione del vaccino MMR e l’incidenza dell’autismo esclusivamente nei ragazzi Afro-Americani, che potrebbe indicare un ruolo del vaccino nell’eziologia dell’autismo all’interno di questo gruppo della popolazione. Lo studio ritrattato forniva nuove evidenze di una relazione statisticamente significativa tra il tempo della vaccinazione MMR e l’incidenza di autismo nei maschi Afro-Americani. Gli editori con rammarico ritrattano l’articolo poiché vi erano interessi di parte non dichiarati dall’autore il quale avrebbe compromesso il processo di revisione tra pari. Inoltre, dopo la pubblicazione della revisione paritaria sono emerse preoccupazioni circa la validità dei metodi e delle analisi statistiche, quindi gli editori non hanno più fiducia nella solidità dei risultati. Certo, la confessione del dr Thompson non so fino a quando proteggerà questo oscuro e potente personaggio. Ci sarebbe dell’altro, ma per ora vi lascio metabolizzare tutto ciò.

PERHE’ NON SEMPRE IL VACCINO HA SUCCESSO. REPORT E COPERTURE
Una delle prime epidemie di morbillo che colpiva anche i vaccinati si verificò nel 1977, quando su 147 adolescenti colpiti, 54 erano stati vaccinati con una dose di vaccino antimorbillo. Nel 1998 in Alaska, un’epidemia di morbillo si verificò in una popolazione altamente vaccinata. I casi confermati erano 33, e 31 di loro avevano ricevuto una dose di vaccino anti-morbillo ed uno aveva due dosi. Nel marzo del 2003, in una scuola della Pennsylvania sono stati confermati 9 casi di morbillo e 6 avevano avuto due dosi di vaccino MMR. Nel 2006 a Duisburg in Germania, si è verificata una grossa epidemia di morbillo con 614 casi ed ha colpito vaccinati e non vaccinati.
Nel 2011 la stessa Germania ha registrato 1600 casi di morbillo. 55 casi si sono verificati in una scuola con 4 vaccinati colpiti. All’11 febbraio 2015 i casi californiani totali di morbillo sono 110, con una dose di vaccino ci sono 5 malati, con due dosi di vaccino sono 7, uno ha tre dosi ed un caso aveva IgG specifiche quale segno di pregresso contatto col virus del morbillo. Il totale è 14 e di questi 14 il CDC considera sicuramente immunizzati 9 (7 con due dosi di vaccino + 1 con tre dosi + 1 con IgG). La percentuale di 9 su 110 è di 8,18% che da sola basta per dire che la massima copertura teorica raggiungibile da una campagna vaccinale di massa potrebbe nelle migliori e più rosee ipotesi, avvicinarsi al 91-92% che non serve per eradicare il morbillo e serve ancora meno ai teorici della herd immunity. Da questi calcoli ho eliminato i 5 soggetti con una dose di vaccino, e l’ho fatto per concedere le migliori chance al CDC che sembra più tesa ad invitare alla vaccinazione che a proteggere la salute della popolazione; insiste sulla seconda dose senza ricercare i veri motivi delle ricorrenti epidemie che certo non finiranno qui.
Nel 2013 in Italia sono stati segnalati 2251 casi e nel 2014 i casi erano 1674, per un numero totale di casi di 3925. Leggendo questi numeri, fanno decisamente ridere i 140 attuali casi, che si sono verificati in USA tra il 2014 ed il 2015. Lo stato vaccinale degli italiani era noto nel 93,5% dei casi, di questi il 90,6% non era vaccinato, il 7,4% aveva ricevuto una sola dose di MMR e l’1% aveva ricevuto due dosi di vaccino.

STUDI SULL’IMMUNITA’ E EFFICACIA. COSA NON TORNA
Poland e Jacobson (2012), dicono che il 2–10% dei vaccinati con due dosi di MMR non sviluppa titoli di anticorpi protettivi, e l’immunità può svanire col tempo ed esita nel “fallimento secondario del vaccino” che sfocia nel morbillo in caso di eventuale contagio.
Nel 1989–1991, negli USA l’epidemia di morbillo aveva colpito il 20–40% dei soggetti immunizzati con una o due dosi di vaccino. Nell’ottobre del 2011 in Canada, si realizza un’altra epidemia con 98 casi, dei quali oltre il 50% avevano ricevuto 2 dosi di vaccino. Queste epidemie, che si realizzano in una popolazione altamente vaccinata a causa del fallimento primario (non responders) e secondario (declino del titolo degli anticorpi protettivi), trovano in questi due fattori il modo per ampliare il pool di persone suscettibili alla malattia una volta che un virus wild-type viene introdotto in questa comunità. La situazione paradossale è che il morbillo, nelle società altamente immunizzate, si verifica soprattutto tra quelli precedentemente immunizzati. Si stima che per eliminare la persistente endemicità del morbillo sia necessaria una copertura vaccinale superiore al 95%, necessaria per ottenere una herd immunity. Comunque, anche le 2 dosi di vaccino in 763 soggetti vaccinati hanno portato l’8,9% dei soggetti immunizzati a perdere i livelli protettivi degli anticorpi specifici neutralizzanti circolanti dopo circa 7.4 anni, in assenza di un boostering ambientale con un virus wild type.

MORBILLO, VACCINO MMR. CASI DI MIBE, SSPE IN BAMBINI VACCINATI
Poiché in questi giorni si sono pronunciati duramente delle eminenze scientifiche, che hanno tuonato contro due sfortunatissimi genitori senza adottare la benché minima sensibilità nei confronti della morte di una bambina, queste poche righe dovranno servire da monito ai tanti che credono di poter continuare sulla cattiva strada intrapresa. Bitnun et al., hanno pubblicato un caso di encefalite a corpi inclusi (MIBE) che si è verificato in un bimbo apparentemente sano di 21 mesi che era stato vaccinato con MMR al 13° mese. A questo bambino non era stata fatta una diagnosi precedente di immunodeficienza e non era stato affetto da Morbillo. Durante il ricovero viene fatta la diagnosi di immunodeficienza primaria caratterizzata da una profonda depressione della conta dei linfociti TCD8 ed una disgammaglobulinemia. Sono state condotte tutte le analisi idonee a dimostrare che la MIBE era prodotta dal virus del morbillo (su materiale bioptico sono state eseguite indagini istologiche ed immunoistochimiche) e la presenza del virus nel cervello era stata confermata dalla RT-PCR. L’indagine genetica ha permesso di stabilire che si trattava del ceppo vaccinale Moraten/Schwarz ed il gene della fusione differiva dagli altri genotipi A dei virus wild-type conosciuti.
Nel 2006 il WHO dice: “For situations where cases of SSPE occur in vaccinated individuals who have no previous history of natural measles infection, the available evidence points to natural measles infection as the cause of SSPE, not vaccine”. In altre parole, se si verifica un caso di SSPE in un soggetto immunizzato, che non ha una storia di morbillo alle spalle, le evidenze disponibili puntano in direzione di un’infezione naturale e non del vaccino. Scusatemi ma la logica ha una sua valenza: ma se non esiste una pregressa malattia naturale, come si può addebitare ad un’entità inesistente la SSPE?
Campbell et al. (2007), affermano che i dati epidemiologici e virologici suggeriscono che il vaccino del morbillo non causa SSPE. Dicono questo sulla base dei dati epidemiologici disponibili su incidenza di SSPE, incidenza del morbillo, copertura vaccinale e rapporti di SSPE in gravidanza o subito dopo il parto.
Malik et al. (2012), riportano il caso di un bambino di 7 anni che alla fine è diagnosticato come SSPE. Questo povero bambino aveva praticato la sua MMR a 15 mesi di vita. I livelli di immunoglobuline nel liquor cerebrospinale erano alti come il titolo degli anticorpi anti virus del morbillo. La lettura completa dell’articolo mi fa capire che questi autori verranno massacrati poiché non ci sono né risultati bioptici né autoptici che avrebbero validato al 100% il caso.

DOCUMENTO SECRETATO?
A giugno del 2014 la Merck Sharp & Dohme Corp., produce un documento pubblico del quale oggi sono entrato in possesso. Quando si parla di encefaliti ed encefalopatie si fa riferimento anche al famoso CDC che dice che un certo numero di encefaliti sono attese in una popolazione infantile a prescindere dalle vaccinazioni. Poi il documento torna ad essere realistico e dice: “Tuttavia, i dati suggeriscono la possibilità che alcuni di questi casi possano essere causati dai vaccini contro il morbillo. Il rischio di questi gravi disturbi neurologici, seguenti la somministrazione del vaccino con virus vivo ed attenuato del morbillo, rimane di gran lunga inferiore al rischio di encefalite ed encefalopatia che può far seguito all’infezione con virus selvaggio del morbillo (uno per due mila casi)”.
In altre parole si ammette la possibilità che alcuni casi di encefaliti ed encefalopatie siano provocati dal vaccino, anche se il rischio è inferiore rispetto a quello veicolato dal ceppo selvaggio, quello che provoca il morbillo naturale. Poi si spingono anche oltre le parole rassicuranti del CDC, dicendo: “Ci sono state segnalazioni di casi di panencefalite sclerosante subacuta (SSPE) nei bambini che non avevano una storia di infezione da virus del morbillo selvaggio, ma che avevano ricevuto il vaccino contro il morbillo. Alcuni di questi casi possono essere ricondotti ad episodi di morbillo non diagnosticati nel primo anno di vita o, eventualmente, alla vaccinazione contro il
morbillo”.

Insomma un viaggio lungo certamente, doveroso affinché possa entrare il mondo complicato delle malattie trasmissibili, dove il morbillo, con il suo volto, gli studi con le loro evidenze cristallizzano un dato certo, ancora ad oggi, nessuno abbia volontà di affrontare seriamente un’indagine sanitaria sul mondo dei vaccini. Il caso volle che alcuni documenti secretati sono ora disponibili.




MINISTERO DELLA SALUTE: SOLO 21 MEDICI "COMPETENTI" PER 450MILA LAVORATORI IN UNIFORME

Redazione
Ministero della Salute
– “I nomi degli ufficiali e dirigenti medici delle Forze armate e delle Forze di polizia sono stati quasi tutti cancellati dallo speciale elenco dei “medici competenti” tenuto dal Ministero della salute.” Lo comunica Luca Marco Comellini, Segretario del partito per la tutela dei diritti di militari e Forze di polizia (Pdm).
“Infatti – prosegue Comellini – sono solo 21 i medici che secondo il ministero possono esercitare la funzione di “medico competente” e compiere atti e impartire disposizioni per garantire la tutela della salute degli oltre 450mila lavoratori in uniforme e la sicurezza nei luoghi di lavoro e sono così ripartiti : 3 nel Lazio, 2 in Campania, 1 in Calabria, 4 in Emilia Romagna, 1 in Liguria, 2 in Lombardia, 1 in Puglia, 2 in Sicilia e 1 in Umbria e 4 nel Veneto.

E un numero pressoché irrilevante – prosegue – se consideriamo che quelle di cui stiamo parlando sono delle amministrazioni estremamente complesse e articolate dove la diversificazione delle attività lavorative e quindi dei rischi che devono essere costantemente oggetto di valutazione ne richiederebbe la presenza anche a livello di singolo Reparto o Ente. La sicurezza e la salute dei militari, carabinieri, finanzieri e poliziotti – insiste Comellini – è costantemente messa a rischio dalla particolare specificità del loro lavoro quindi – conclude – occorre che il Governo intervenga immediatamente per porre rimedio a questo pericoloso vuoto che si è venuto a creare con l'applicazione puntuale delle norme vigenti da parte del Ministero della salute.”
 




ADDITIVI ALIMENTARI: CRESCENTE INCIDENZA DI OBESITA’ E MALATTIE: COSA MANGIAMO?

Emulsionanti alimentari sono aggiunti a molti alimenti trasformati a migliorare la struttura e prolungarne la durata. Chimicamente simile ai detergenti, essi hanno dimostrato di alterare la barriera di muco e microbi esso associati. Collettivamente noto come microbiota intestinale, questi batteri aiutano con il metabolismo e mantengono un sano sistema immunitario. Ogni modifica in questa comunità microbica può causare malattie croniche

di Cinzia Marchegiani

L’industria alimentare è la responsabile di molte patologie dell’uomo vittima inconsapevole di alcuni disastri sanitari, spesso ricerche e studi confermano quello che i consumatori purtroppo scoprono sulla propria pelle, con un danno a livello personale irreversibile e anche a carico del sistema sanitario nazionale. Gli additivi alimentari si trovano ovunque, sono utilizzati per rendere stabili e super conservabili gli alimenti ma scatenano importanti cambiamenti e reazioni all’interno del nostro organismo, fino a sviluppare malattie serie e soprattutto croniche. Un altro studio da poco pubblicato dal National Institute of Health ricorda questa realtà, gli “Additivi alimentari comuni chiamati emulsionanti promossi colite e sindrome metabolica nei topi modificando microbi intestinali. I risultati suggeriscono che alcuni additivi alimentari potrebbe svolgere un ruolo nella crescente incidenza di obesità e malattie infiammatorie croniche dell'intestino.”

 

MA PERCHÉ? Il tratto digestivo è la patria di 100 trilioni di batteri. Collettivamente noto come microbiota intestinale, questi batteri aiutano con il metabolismo e mantengono sano il sistema immunitario. Ogni modifica in questa comunità microbica può causare malattie croniche. Uno spesso strato di muco separa batteri intestinali dal rivestimento dell'intestino. Un gruppo di ricerca guidato dal dottor Andrew T. Gewirtz presso la Georgia State University si chiese se le sostanze chimiche che distruggono la barriera muco potrebbero alterare la flora intestinale e svolgere un ruolo in disturbi associati con l'infiammazione, tra cui la malattia infiammatoria intestinale e la sindrome metabolica.
Emulsionanti alimentari sono aggiunti a molti alimenti trasformati a migliorare la struttura e prolungarne la durata. Chimicamente simile ai detergenti, essi hanno dimostrato di alterare la barriera di muco e microbi esso associati. Per determinare se questi potrebbero avere un ruolo nelle malattie croniche, il team nutrito topi bassi livelli di 2 emulsionanti comunemente utilizzati, carbossimetilcellulosa o polisorbato-80, in acqua potabile o nel cibo. La ricerca è stata finanziata in parte dal National Institute del NIH di diabete e Digestiva e Malattie renali (NIDDK). I risultati sono apparsi nella rivista scientifica Nature il 5 marzo 2015.
I topi nutriti con gli emulsionanti per 12 settimane hanno sviluppato basso grado di infiammazione intestinale e sindrome metabolica, un insieme di condizioni che aumentano il rischio di diabete di tipo 2, malattie cardiache e ictus. I topi che sono stati geneticamente modificati per essere più inclini a infiammazione e cambiamenti intestinali microbo sviluppato colite se somministrate le emulsionanti.

 

INDUSTRIA ALIMENTARE E MALATTIE CRONICHE, ILLOGICITA' DELLE REGOLAMENTAZIONI Eppure non servono studi promossi con spese onerose per sapere come l’industria alimentare produce malattie croniche nella popolazione che utilizza prodotti alimentari elaborati,raffinati e a lunga conservazione. Forse i finanziamenti andrebbero utilizzati per fare campagna di informazione. Troppo spesso introduciamo nel nostro corpo alimenti che hanno perso sostanzialmente il loro valore nutrizionale, dove questi additivi creano squilibri talmente grandi che andrebbero tolti dalla circolazione e cercare di capire come si può affrontare il tema della produzione nella filiera industriale, altrimenti il sistema così congeniato crea malati che vanno ad arricchire il solito business farmaceutico.. Insomma se si sa, perché non si vieta? Le dipendenze legalizzate sono queste quelle idee che creano ricchezza ma non salute, l’importante è che il consumatore ne sia consapevole, è questa la strategia per rimanere indenni da qualsiasi risarcimentO. Sia Chiaro, gli additivi alimentari si trovano in tutti gli alimenti lavorati e sono autorizzati per legge. Dagli edulcoranti, coloro nati, emulsionanti, conservanti e ogni ben di Dio, anche nei prodotti per bambini. E allora buon appetito a tutti!




SCLEROSI MULTIPLA E TERAPIE CON CELLULE STAMINALI MIRACOLOSE: TANTO RUMORE PER NULLA

di Cinzia Marchegiani

Accade e purtroppo anche di frequente che alcuni giornali riportino sensazionali ricerche nel campo delle malattie soprattutto neurodegenerative tali da dar false speranze, soprattutto perché i familiari dei malati o il malato stesso sono tratti in inganno dalle potenzialità di guarigione. A battere i pugni e dire basta è l’associazione AISM che in merito ai risultati di uno studio inglese ripresi da alcuni organi di stampa lanciati con euforia e un grande successo rispedisce al mittente la loro avanguardia sul fronte della sperimentazione delle cellule staminali mesenchimali con il progetto internazionale MESEMS, coordinato dal Prof Antonio Uccelli dell’Università di Genova, che si concluderà nel 2016. Così sotto il titolo “L’ultimo caso è lo studio per la sclerosi multipla: nessun miracolo e nessuna novità” l’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) spiega l’illusione che potrebbe derivare da una serie di titoli in cui si parla di miracolo di “guarigione” (anche se tra virgolette) dalla sclerosi multipla, di inversione della malattia apparsi sulla stampa inglese e poi a ruota su quella italiana (il classico copia e incolla NdR) i toni non consueti in ambito scientifico, che meritano alcune precisazioni: “Il casus è rappresentato da una ricerca inglese – condotta presso il Royal Hallamshire Hospital di Sheffield e il Kings College Hospital di Londra – che ha analizzato gli effetti del trattamento con cellule staminali ematopoietiche nella SM. La notizia è stata subito lanciata con titoli che richiamano appunto, a esiti miracolosi.”

L’articolo sul sito dell’AISM riporta le parole di Mario Alberto Battaglia, Presidente FISM (Fondazione Italiana Sclerosi Multipla): ”questo studio è uno dei tanti pubblicati in questi anni e si inserisce insieme a moltissime altre ricerche in un filone basato sull’utilizzo delle cellule staminali nella sclerosi multipla. In questo campo la ricerca è impegnata dalla fine degli anni Novanta: di recentissima pubblicazione, per esempio, lo studio condotto dal prof. Mancardi dell’Università di Genova, che ha confrontato gli effetti del trapianto di staminali ematopoietiche, rispetto a una terapia standard come il mitoxantrone. Non solo, bisogna evidenziare come molti centri italiani offrano già da tempo questo tipo di intervento a chi ne ha i requisiti, soprattutto legati alla gravità della malattia. Il Centro Trapianti di Midollo Osseo dell’Azienda Ospedaliera Careggi di Firenze nel 2014 risultava quello che ha effettuato il maggior numero di questi trapianti in Europa”.

Il Prof Gianluigi Mancardi, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze, riabilitazione, oftalmologia, genetica e scienze materno-infantili (DINOGMI) di Genova e Presidente del Comitato Scientifico dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla, spiega come funziona la tecnica: “Il trattamento è indicato per i casi gravi di sclerosi multipla e consiste nell'applicare un'intensa immunosoppressione seguita da trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche. Questa procedura – simile a quella che si applica per il trapianto nelle leucemie – è nota da tempo ed è indicata solo nei casi in cui il paziente è affetto da una forma molto aggressiva di sclerosi multipla, ma non per quelli costretti sulla sedia a rotelle. Si tratta infatti di un trattamento molto forte che ha un tasso di mortalità intorno all'1-2%. Non può quindi essere somministrato a cuor leggero".

PERO’… NELLA RICERCA ESISTONO TROPPI CONFLITTI D’INTERESSE

Interessante sono gli studi pubblicati nel sito AISM, dove si legge a chiare lettere che in uno studio condotto sulle cellule staminali mesenchimali, nel modello animale di SM, suggerisce che queste cellule abbiano non solo un potere immunosoppressivo ed immunomodulante, ma siano anche in grado di indurre rimielinizzazione (Ann Anat 2015;198:11-20). Il confronto tra cellule staminali mesenchimali di persone con SM e soggetti sani evidenzia un ridotto potere immunosoppressivo ed immunomodulante delle cellule di persone con SM, suggerendo la possibilità di utilizzare cellule derivanti da un donatore sano, ai fini terapeutici. E lo stesso professor Antonio Uccelli che si scagliò contro il metodo Stamina, nominato nel secondo comitato scientifico dalla ministra Lorenzin…fatto decadere per l’opposizione ai troppi conflitti d’interesse dei membri e proprio in questo articolo viene ricordato che sotto il suo coordinamento si sta concludendo la sperimentazione con le cellule staminali prese dallo stroma osseo per malati di sclerosi multipla e sarà terminata la fase III nel 2016.

Una fotografia lucida questo spaccato che mette gli scienziati in competizione tra loro. Condizione umana che impone quanto sia necessario fare riferimento sempre quel codice del “Conflitto di Interesse nella Ricerca Biomedica e nella Pratica Clinica” approvato nella Seduta Plenaria dell’8 Giugno 2006 dove a chiare lettere indica un percorso obbligato affinché si abbia la tutela del malato e della scienza medica e non una condizione affinché si possa usare la propria persona e autorevolezza come strumento per acquisire privilegi accademici e materiali: “E’ necessario invece riconoscere che, come è stato affermato da più parti, il conflitto d’interessi tende a configurarsi come una condizione che potrebbe dar luogo o addirittura promuovere comportamenti eticamente riprovevoli. In altre parole, il conflitto d’interessi non è un comportamento, ma una ‘condizione’ e, pertanto, esso non può essere in sé riprovevole: ogni uomo, infatti, lungo l’arco della sua vita, si trova innumerevoli volte in condizioni di conflitto d’interessi e questo status non è eliminabile dalla vita umana. Si possono avere grandi vantaggi da un’industria e si può mantenere ugualmente un’assoluta correttezza di comportamento, così come si può tenere un comportamento debole di fronte a chi ci può dare un dono insignificante. Nessuno può però negare che la prima condizione sia eticamente molto più rischiosa della seconda, e pertanto appare eticamente importante riconoscere il limite al di là del quale un conflitto d’interessi aumenta con grande probabilità forme di comportamento eticamente censurabili.”

LA SOLA SCIENZA NON PUO’ GUIDARE LA SOCIETA’

Un mondo agguerrito e verrebbe dire con i coltelli fra i denti quello dei ricercatori che dopo tanti anni di ricerche e fondi spolpati si vedrebbero vedere scippare il primato della scoperta e la possibilità di brevettare il proprio genio e intuizione. Ci si augura che non sia la Scienza a guidare la società, troppo spesso intrappolata in vicende non cristalline e al limite dell’etica, mentre la senatrice a vita Elena Cattaneo incalza all’Inaugurazione del 453° Anno Accademico con una slide che non lascia nulla all’immaginazione “da cosa i cittadini si auspica possano essere guidati” e sotto una gigantografia di Barack Obama che spiega: “dobbiamo essere guidati dalla scienza, dai fatti e non dalla paura” svela la sua linea che ha voluto portare all’interno del governo ma che per molti rappresenta un vero campanello d’allarme poiché nessun vessillo o portabandiera con il logo della scienza può arrogarsi il diritto di scegliere per le persone e condizionare la società in importanti decisioni.

DERIVA SCIENTIFICA POLITICIZZATA

Ci si augura che queste evidenze facciano riflettere chi al governo vorrebbe dare più potere agli scienziati e ricercatori, poiché la storia insegna come nessuno ha il patrimonio indiscusso della verità, e l’atteggiamento scientistico metterebbe su un piedistallo figure che si arrogherebbero il diritto di avere la verità assoluta…in tasca (poi da verificare se condizionata da una immensa autostima o semplicemente da squallidi conflitti d'interesse). La storia ha insegnato come innovative scoperte e sicuramente avanzate per i tempi che le dovevano accogliere ma contrastate fortemente, si sono rivelate non solo scientificamente esatte, ma che assolutamente hanno cambiato il destino dell’umanità. Si faccia tesoro, perché la deriva scientifica già è entrata di prepotenza nella nostra società.

Vi lascio con una bellissima riflessione del giornalista Giovanni Stelli

All'enunciato:"Bisogna lasciar fare alla scienza e quindi affidarsi agli scienziati e non interferire indebitamente nella ricerca con opzioni religiose particolari (in merito ad eutanasia e embrioni, ogm,)”

Stelli ricorda che la suddetta è una tesi che presuppone due condizioni:
1) la scienza sia in grado di dare risposte alla domanda su cio' che si deve fare;
2) che le risposte della scienza siano univoche, ma questa assunzione è smentita dalla più elementare esperienza: non c'è problema (come ad esempio il riscaldamento globale) su cui gli scienziati non siano divisi, su cui gli scienziati non diano risposte diverse e a volte, addirittura opposte. Ma anche laddove la comunità scientifica abbia tesi condivise, le loro risposte non riguardano e non possono mai riguardare in linea di principio ciò che si deve fare, ma solo a fornirci gli strumenti.

La scienza è fatta da uomini, con tutte le loro evidenti contraddizioni e fragilità, vanno incontro alla fenomenologia dei possibili conflitti d’interesse che è vasta ed estremamente polimorfa e lo stesso concetto di “conflitto d’interesse” non è sempre chiaro e univoco. Secondo una definizione, oggi largamente accettata, “si ha un conflitto d’interesse quando ci si trova in una condizione nella quale il giudizio professionale riguardante un interesse primario (la salute di un paziente o la veridicità dei risultati di una ricerca o l’oggettività della prestazione di un’informazione) tende a essere indebitamente influenzato da un interesse secondario (guadagno economico, vantaggio personale)” (Bobbio 2001)…e sulle ricerche e i fondi statali c’è chi ha fatto davvero carte false… 




FARMACO SOFOSBUVIR PER EPATITE C, COSTA TROPPO? IL PM GUARINIELLO VUOLE VEDERCI CHIARO

 

Il Pm Raffaele Guariniello insospettito dall’elevato costo di questo farmaco da poco approvato dall’AIFA vuole vederci chiaro soprattutto capire i costi sostenuti dalle Regioni, nello specifico la Regione Piemonte. Per ora il Pm Guariniello ha aperto un fascicolo, trattandosi solo di accertamenti esplorativi. Il Sofosbuvir sembrerebbe alla base di un trattamento ad uso compassionevole che costa quasi dai 45 mila euro a 75 mila euro prezzo al pubblico, mentre se sostenuto dalle ASL il prezzo si dimezza notevolemnte

 

di Cinzia Marchegiani

Torino – Finisce nell’occhio del ciclone il Sofosbuvir, il farmaco supercostoso dedicato ai pazienti affetti da epatite C che è stato autorizzato il 5 dicembre 2014 dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) e disposto la rimborsabilità a carico del Sistema Sanitario Nazionale.
Il nome commerciale è SOVALDI® il cui principio attivo appunto il Sofosbuvir rappresenta il nuovo farmaco antivirale che inibisce l’enzima “RNA polimerasi RNA-dipendente(NS5B)”, essenziale per la replicazione del virus dell'epatite C (HCV), è disponibile sotto forma di compresse. Può essere utilizzato esclusivamente per il trattamento dell’epatite C cronica nei pazienti adulti.
Il Pm Raffaele Guariniello, evidentemente insospettito dall’elevato costo di questo farmaco da poco approvato dall’AIFA vuole vederci chiaro soprattutto capire i costi sostenuti dalle Regioni, nello specifico la Regione Piemonte. Per ora il Pm Guariniello ha aperto un fascicolo, trattandosi solo di accertamenti esplorativi. Il Sofosbuvir sembrerebbe alla base di un trattamento ad uso compassionevole che costa 45 mila euro al pubblico. 

Ma a guardare bene il prezzo del farmaco è notevolmente differente, se la spesa è sostenuta dalle Asl il prezzo è pressoché dimezzato:

La confezione: 400 mg – compressa rivestita con film – flacone (HDPE) 28 compresse
Classe di rimborsabilità: A
Prezzo ex factory (IVA esclusa) € 15.000,00.
Prezzo al pubblico (IVA inclusa) € 24.756,00.

La confezione da 400 mg – compressa rivestita con film – flacone (HDPE) 84 compresse (3 flaconi da 28)
Prezzo ex factory (IVA esclusa): € 45.000,00
Prezzo al pubblico (IVA inclusa): € 74.268,00

Ai fini delle prescrizioni a carico del Ssn, i centri utilizzatori specificatamente individuati dalle Regioni, dovranno compilare la scheda raccolta dati informatizzata di arruolamento che indica i pazienti eleggibili e la scheda di follow-up.
La classificazione ai fini della fornitura del Sofosbuvir è quella di medicinale soggetto a prescrizione medica limitativa, da rinnovare volta per volta, vendibile al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri o di specialisti (RNRL)-internista, infettivologo, gastroenterologo.

La determinazione era già operativa, e, proprio in vista di questo, lo scorso 1° dicembre 2014 l’AIFA aveva sollecitato i Comitati etici regionali a rilasciare le autorizzazioni all’uso compassionevole del farmaco laddove fosse necessario, poiché le richieste di accesso gratuito al trattamento di nuovi pazienti non potranno essere più accettate da parte del titolare dell’autorizzazione in commercio.

Il 27 febbraio 2015 l’AIFA ufficializzava l’accordo con la Gilead Sciences per la rimborsabilità di Harvoni® in un comunicato: “Nel corso dell’ultima riunione del CPR (Comitato Prezzi e Rimborso), l’Agenzia Italiana del Farmaco e Gilead Sciences hanno raggiunto l’accordo per la rimborsabilità del farmaco Harvoni®(ledipasvir 90mg/sofosbuvir 400mg), il primo regime terapeutico orale, a singola compressa, per il trattamento dei pazienti affetti da epatite cronica C. Tramite una strategia di rimborso innovativa Harvoni utilizzerà lo stesso modello di accordo negoziale e lo stesso fondo già concordato per Sovaldi® (sofosbuvir) senza alcun ulteriore impatto di spesa per il SSN. La discrezionalità del regime terapeutico da scegliere tra Sovaldi® o Harvoni® è nella piena responsabilità degli specialisti prescrittori. L’Italia è uno dei primi Paesi in Europa a concludere anche il processo di negoziazione per la rimborsabilità di Harvoni® che sarà disponibile sul mercato italiano tra qualche mese appena completati i necessari collaudi delle relative piattaforme informative. La prescrivibilità e la rimborsabilità di Harvoni® saranno, infatti, soggette a scheda-registro AIFA.”

NOTE INFORMATIVE
La differenza sostanziale, si legge, tra sofosbuvir ed altri farmaci usati per eliminare il virus dell'epatite C (come Peg-IFN e ribavirina) sta nel fatto che questo nuovo farmaco agisce direttamente contro il virus, bloccandone il processo di replicazione. L'interferone invece, stimola la risposta del sistema immunitario contro il virus e la ribavirina interferisce indirettamente sulla replicazione virale. L'assunzione combinata di questi farmaci incrementa la possibilità di eradicazione definitiva del virus.
 

IL Sofosbuvir non può essere assunto da solo. Può essere assunto insieme a ribavirina e/o interferone pegilato, sin dal primo giorno di trattamento, formando una duplice o triplice terapia.
La dose di sofosbuvir non deve essere ridotta né interrotta.

La scelta di quale tipo di interferone pegilato associare a sofosbuvir e ribavirina (interferone alfa 2a o alfa 2b) sarà eventualmente indicato dal centro specializzato autorizzato a cui fate riferimento.
L’accesso al farmaco Sofosbuvir sarà per ora limitato ad alcune categorie di pazienti ben definite.

Di seguito sono riportate le tipologie dei pazienti candidabili al trattamento con sofosbuvir nell'ordine progressivo di priorità in base all'urgenza clinica definita dalla Commissione Tecnico Scientifica dell'AIFA secondo le indicazioni del Tavolo tecnico AIFA sull'Epatite C.
1. Pazienti con cirrosi in classe di Child A o B e/o con HCC con risposta completa a terapie resettive chirurgiche o loco-regionali non candidabili a trapianto
2. Recidiva di epatite dopo trapianto di fegato con fibrosi METAVIR ≥2 (o corrispondente Ishak) o fibrosante colestatica
3. Epatite cronica con gravi manifestazioni extra-epatiche HCV-correlate (sindrome crioglobulinemica con danno d'organo, sindromi linfoproliferative a cellule B)
4. Epatite cronica con fibrosi METAVIR ≥3 (o corrispondente Ishak)
5. In lista per trapianto di fegato con cirrosi MELD <25 e/o con HCC all'interno dei criteri di Milano con la possibilita di una attesa in lista di almeno 2 mesi
6. Epatite cronica dopo trapianto di organo solido (non fegato) o di midollo con fibrosi METAVIR ≥2 (o corrispondente Ishak)

Insomma, un farmaco supercostoso e una rimborsabilità che sta per finire sotto inchiesta, e Guariniello dovrà decidere a breve cosa fare.




GERMI MULTIRESISTENTI: IN ITALIA QUADRO PREOCCUPANTE

 

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Redazione

In Italia sono stimati 5000-7000 decessi annui riconducibili ad infezioni nosocomiali, con un costo annuo superiore a 100 milioni di euro.I progressi conseguiti nell'ambito della batteriologia ed immunologia e la scoperta prima dei sulfamidici negli anni Trenta e quindi degli antibiotici (penicillina) negli anni Quaranta, hanno contribuito a diffondere l'illusione che le infezioni ospedaliere potessero essere definitivamente sradicate. Tale illusione si è subito rivelata falsa: le infezioni ospedaliere hanno continuato a rappresentare la più frequente "complicanza" ospedaliera e il loro trend, in assenza di programmi di controllo, è in continuo aumento.

DIMENSIONI DEL PROBLEMA – Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), “la resistenza agli antibiotici da parte dei microrganismi rappresenta un problema sempre più grave per la salute pubblica. Molti governi in tutto il mondo hanno iniziato a prestare attenzione ad un problema  in grado di mettere a rischio i successi ottenuti negli ultimi decenni con la medicina moderna”.

E’ stato valutato che in media il 5% dei pazienti ospedalizzati contrae una infezione durante il ricovero e dal 7% al 9% dei pazienti ricoverati ad un dato momento è infetto. Negli Stati Uniti le infezioni ospedaliere allungano in media la degenza di 4 giorni, contribuiscono a 20000-60000 decessi annui comportando una spesa annua di 2-10 miliardi di dollari.

Nei Paesi della Unione Europea, circa 25.000 pazienti muoiono annualmente come conseguenza di infezioni da germi multiresistenti, con un costo associato di 1,5 miliardi di euro (ECDC/EMEA Joint Working Group. ECDC/ EMEA Joint Technical Report: The bacterial challenge: time to react. Stockholm: European Centre for Disease Prevention and Control; 2009. Available from : http://www.ecdc.europa.eu/en/publications/Publications/Forms/ECDC_DispForm.aspx?ID=444). In Italia sono stimati 5000-7000 decessi annui riconducibili ad infezioni nosocomiali, con un costo annuo superiore a 100 milioni di euro.

LE CAUSE – Le cause che sono alla base dell’antibioticoresistenza sono molteplici, ma un ruolo particolare gioca l’uso inappropriato di antibiotici.  Il largo uso che ne è stato fatto negli ultimi 60 anni in medicina umana, medicina veterinaria, in zootecnia e persino nell’agricoltura ha esercitato e continua ad esercitare una potente azione selettiva nei confronti dei batteri, che per sopravvivere sono costretti a mutare. L’uso inappropriato di questi farmaci rischia di disperdere una risorsa preziosa non immediatamente rinnovabile: negli ultimi anni l’industria farmaceutica ha registrato un numero sempre più limitato di nuove molecole antibiotiche, per cui già oggi è difficile trattare efficacemente alcuni microrganismi multiresistenti agli antibiotici disponibili.

“Un altro fattore importante nella diffusione dell’antibioticoresistenza – aggiunge il Prof. Massimo Andreoni, Presidente SIMIT, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali – è rappresentato dalla trasmissione di infezioni sostenute da microrganismi antibioticoresistenti, soprattutto in ambito assistenziale (ospedali, strutture di lungodegenza, ecc.), ma anche sul territorio (ad es. tubercolosi multiresistente). L’adozione di misure efficaci a prevenire la trasmissione delle infezioni correlate all’assistenza consente di limitare la diffusione di questi ceppi ad altri pazienti ed alla comunità.

LA SITUAZIONE ITALIANA
– Il fenomeno dell’antibioticoresistenza ha carattere universale, ma in Italia il quadro è decisamente più preoccupante:
•      il consumo di farmaci antibiotici in ambito umano è uno dei più alti in Europa e l’Italia è, inoltre, in controtendenza: in diversi paesi il trend si è generalmente invertito. In Italia, invece, si era rilevata una iniziale riduzione dei consumi in ambito territoriale, ma nel 2013 si è di nuovo osservato un aumento significativo del consumo di antimicrobici (+5,2%);
•         anche il consumo di antibiotici in ambito veterinario è fra i più elevati in Europa;
•         il consumo di soluzioni idroalcoliche per l‘igienizzazione delle mani, aspetto centrale della prevenzione della diffusione dei batteri antibiotico-resistenti, è fra i più bassi in Europa;
•         è attualmente in corso un’epidemia a livello nazionale di infezioni da Enterobacteriaceae produttrici di carbapenemasi, in particolare Klebsiella pneumoniae, il cui tasso di resistenza ai carbapenemi è passato fra il 2009 ed il 2012 dall’1,7% al 29%;
•         la diffusione di numerosi germi multiresistenti, quali Staphylococcus aureus meticillino-resistente, Acinetobacter baumanni e Pseudomonas aeruginosa multiresistente, è un problema rilevante in molti ospedali;
•         le multiresistenze si stanno rapidamente diffondendo anche al di fuori delle strutture sanitarie.
 
SOGGETTI MAGGIORMENTE COLPITI – Le infezioni da germi multiresistenti possono colpire qualsiasi individuo anche se abitualmente sono le persone maggiormente defedate quelle che più frequentemente presentano infezioni dovute a questi germi. In modo particolare i soggetti anziani, gli immunodepressi e quelli sottoposti ad intervento chirurgico presentano patologie dovute a germi multiresistenti.

“I grandi progressi della medicina in questi ultimi anni – spiega il Prof. Andreoni – che hanno permesso di ottenere risultati impensabili in termini di sopravvivenza grazie ai trapianti e alle chemioterapie dei tumori certamente ha aumentato la numerosità di persone fragili a rischio di infezione. Le manifestazioni cliniche più rilevanti sono polmoniti, infezioni urinarie, infezioni delle ferite chirurgiche e del catetere venoso con quadri di sepsi. Certamente il tempo di degenza e la durata di trattamenti antibiotici sono i fattori principali che si correlano al rischio di infezione”.

MISURE DA ATTUARE PER IL CONTROLLO – Le infezioni ospedaliere sono, almeno in parte, prevenibili. L'adozione di pratiche assistenziali "sicure", che sono state dimostrate essere in grado di prevenire o controllare la trasmissione di infezioni, comporta la riduzione del 35% almeno della frequenza di queste complicanze. Per questo motivo, la infezioni ospedaliere rappresentano un indicatore della qualità dell'assistenza prestata in ospedale.

Per controllare la diffusione delle resistenze è assolutamente necessario intervenire adottando anche in Italia strategie che si sono dimostrate efficaci in altri paesi europei. Tali strategie sono mirate a promuovere l’uso appropriato di antibiotici in tutti gli ambiti (ospedale, territorio, veterinaria) (i cosiddetti interventi di antimicrobial stewardship) e a limitare la diffusione dei germi multiresistenti, in particolare attraverso la corretta igiene delle mani e le altre procedure igieniche per il controllo della trasmissione degli agenti infettivi in ambito sanitario.
 




PSICOFARMACI AI BAMBINI: LO STUDIO SHOCK DIMOSTRA I RISCHI SIGNIFICATIVI DI DIABETE

 

In questo mese di aprile, i ricercatori dell'Ospedale dei Bambini di Philadelphia (CHOP) PolicyLab hanno pubblicato il più grande studio in JAMA Pediatria che documenta i rischi significativi per la salute dei bambini associati con antipsicotici di prescrizione, una potente una classe di farmaci utilizzati per il trattamento di disturbi di salute mentale e comportamentale: “l'avvio di antipsicotici tra i giovani della nostra nazione potrebbe elevare il rischio non solo di un significativo aumento di peso, ma anche per il diabete di tipo II di quasi il 50%. Inoltre, tra coloro che sono stati trattati anche con antidepressivi, il rischio può raddoppiare

 

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di Cinzia Marchegiani

Philadelphia (USA)
– Gli antipsicotici come Risperdal, Abilify, e Seroquel sono la seconda classe di farmaci più prescritti per problemi comportamentali nei bambini e negli adolescenti, secondo solo a stimolanti come Concerta o Adderall, che sono comunemente prescritti per l'ADHD. Negli ultimi anni, questi farmaci sono diventati l'approccio in voga per la gestione di gravi comportamenti distruttivi e aggressivi nei bambini a causa delle loro proprietà immediate e potenti sedativi e stabilizzatori dell'umore. Sono frequentemente prescritti anche per il trattamento dei bambini con diagnosi di depressione o ADHD. I ricercatori dell’ospedale pediatrico di Philadelphia confermano:”Per alcuni dei nostri bambini più a rischio, come i giovani in affido, che spesso presentano un comportamento distruttivo e opposizione come una manifestazione del loro trauma, la dipendenza antipsicotici per controllare il loro comportamento è diventata un'epidemia.”

IL FATTO
Negli Stati Uniti ad oltre undici milioni di bambini vengono somministrati quotidianamente anfetamine o psicofarmaci allo scopo di tentare di risolverne i disagi. A spiegarci meglio di cosa parliamo è il Comitato GIU LE MANI DAI BAMBINI che allarmato da questa tendenza ha fatto una vera campagna informativa poiché anche nelle scuole italiane, sono stati recentemente avviati programmi di screening di massa per individuare i bambini sofferenti di problemi di carattere psicologico: “La tendenza a sottoporre i bambini a terapie prolungate a base di psicofarmaci – al fine di risolvere problemi che andrebbero invece probabilmente affrontati con metodologie pedagogiche ed educative – è ormai sempre più diffusa, e riguarda ormai molti milioni di bambini in età scolare e pre-scolare in tutto il mondo occidentale.”

LO STUDIO SHOCK AVVERTE: USO ANTIPSICOTICI PUÒ AUMENTARE IL RISCHIO PER IL DIABETE IN ALCUNI BAMBINI
Negli ultimi dieci anni, il gruppo di ricerca interdisciplinare in PolicyLab ha esaminato il crescente uso di antipsicotici tra i bambini e gli adolescenti in programma Medicaid della nazione con l'intento di proiezione di un riflettore sulla portata di tali usi e le prassi e le implicazioni politiche che ne derivano. Questo mese di aprile 2015, i ricercatori dell'Ospedale dei Bambini di Philadelphia (CHOP) PolicyLab hanno pubblicato il più grande studio in JAMA Pediatria che documenta i rischi significativi per la salute dei bambini associati con antipsicotici di prescrizione, una potente una classe di farmaci utilizzati per il trattamento di disturbi di salute mentale e comportamentale:”La nostra ricerca suggerisce che l'avvio di antipsicotici tra i giovani della nostra nazione potrebbe elevare il rischio non solo di un significativo aumento di peso, ma anche per il diabete di tipo II di quasi il 50%. Inoltre, tra coloro che sono stati trattati anche con antidepressivi, il rischio può raddoppiare. Questi nuovi risultati ci devono far riflettere. Con tali gran numero di bambini esposti a questi farmaci, le implicazioni per potenziali danni di lunga durata possono essere stonata. L'inclinazione potrebbe essere di colpa dei medici o aziende farmaceutiche e di imporre severe restrizioni sull'uso di questi farmaci. Tuttavia, come un pediatra che ha attraversato questo problema clinico con i bambini e le famiglie a CHOP e viste da una prospettiva di salute della popolazione, sono favorevole a un approccio più equilibrato."

Gli stessi ricercatori affermano che riconoscono che esiste purtroppo l'elevato livello di utilizzo di questi farmaci che riflette una domanda crescente per affrontare comportamenti molto difficili nei bambini: "Questi comportamenti sono spesso non ben affrontati all'interno dei sistemi pubblici che mancano i servizi o manodopera necessarie per scambiare consulenza di supporto e basata su prove come alternativa. Anche in un contesto di servizi di consulenza facilmente disponibili – così ci auguriamo – ci saranno sempre i bambini e gli adolescenti che hanno bisogno di accesso a questi tipi di farmaci, anche se solo per un breve periodo di tempo. "

Lo studio appena pubblicato mette sulla bilancia importanti riflessioni degli stessi autori:”La mia sensazione crescente è che abbiamo bisogno di integrare queste nuove rivelazioni per il rischio del diabete e le sue complicanze potenzialmente di lunga durata attraverso una considerazione più riflessiva dei veri rischi e benefici nel prescrivere un antipsicotico ad un bambino. L'aggiunta di un antipsicotico ad un regime farmacologico di un singolo bambino che sta già ricevendo un antidepressivo può raddoppiare il rischio del bambino per il diabete, a livello di popolazione: “Tra i bambini 11-18 anni di età, il rischio di fondo per il diabete per coloro che non stavano usando antipsicotici nel nostro studio è stato di 1 a 400, in aumento di 1 a 260 tra coloro che hanno avviato antipsicotici, e 1 in 200 tra coloro che hanno avviato, mentre anche ricevere un antidepressivo. Per alcuni bambini in crisi immediata, il beneficio del antipsicotico per la gestione acuta può ancora superare questo rischio” conclude un ricercatore.

STUDIO E PSICOFARMACI: I RISCHI DEVONO ESSERE VALUTATI
Questo studio dimostra come spesso i bambini vengano trattati con farmaci che poco o nulla hanno alle spalle una vera sperimentazione clinica, anzi sono i piccoli pazienti a dare le prove documentali sulle evidenze cliniche, e quindi occorrerebbe capire che tipo di medicazione si è fatta finora sulla pelle di questi bambini. A testimoniare questo passaggio sono sempre i ricercatori dell’ospedale pediatrico PolicyLab che affermano: ”Allo stesso tempo, la nostra ricerca dimostra che il rischio non è zero, e può infine essere maggiore se avessimo seguito bambini per lunghi periodi di tempo. Per questo motivo, dobbiamo assolutamente cercare di ridurre il numero di bambini e adolescenti esposti a questi potenti farmaci. Se possibile, questi farmaci non dovrebbero nemmeno essere considerati fino a servizi di consulenza più appropriate e basate su prove, come la terapia cognitivo-trauma concentrato, sono impiegati per affrontare il trauma emotivo di fondo, che è spesso la causa principale di questi comportamenti. I medici e le famiglie che stanno prendendo decisioni per il trattamento deve costantemente rivedere la strategia con la quale si rivolgono i comportamenti difficili. Se hanno intenzione di prescrivere antipsicotici per un bambino, dovrebbero cominciare con cautela con la dose più bassa possibile, e strettamente monitorare per la prova iniziale dei relativi aumento di peso o prove di laboratorio anomali che spesso prevedono poi l'insorgenza del diabete. Una volta che un bambino è sul farmaco antipsicotico, il piano dovrebbe essere concordato e periodicamente rivisitata per garantire che altre strategie terapeutiche vengano massimizzati. Quella stessa revisione periodica dovrebbe anche cercare di passare il bambino fuori dalla antipsicotico più presto possibile una volta che questi problemi sono più adeguatamente affrontate attraverso la consulenza.”

LO STUDIO SCARDINA LA TERAPIA DEI PSICOFARMACI
Lo studio pubblicato mette al muro una scelta terapeutica finora sostenuta e forzata sui bambini con difficoltà comportamentali. Infatti si indica un’altra strada, quella di offrire una guida più regolare e di educazione per i loro fornitori in merito alle aspettative di qualità nella loro fornitura di servizi sanitari comportamentali per i bambini a rischio:” Essi potrebbero anche offrire risorse di supporto quali psichiatri consultivi e manager di crisi.”

Ricordiamo la gaffe dell’ISS che in data 17 luglio 2014 invia la risposta al comitato “Giù le mani dai Bambini” dove in merito ai report derivanti dal registro italiano ADHD rispondeva: “l'intento e la finalità del Registro non è stata quella di valutazione dell'efficacia dei farmaci che in generate viene effettuata a monte in fase di registrazione, ma del monitoraggio dell'accuratezza diagnostica e dell'appropriatezza della terapia farmacologica”. Un paese e una nazione che non ha cura dei suoi figli e delle future generazioni deve far preoccupare non solo i medici onesti, ma anche i genitori dei ragazzi sottoposti a terapie ancora poco conosciute, anzi che ad oggi si scoprono pericolose e forse inutili, come ricordava lo stesso Gianluca Poma: ”non esistono a tutt’oggi dati certi sull’efficacia di questi farmaci, le uniche certezze sono i potenziali gravi effetti collaterali. Si trattano bambini per anni con psicofarmaci, ma non uno è stato mai ‘curato’, perché interrompendo la somministrazione tornano tutti i disturbi che il bimbo aveva prima della terapia: perché si continuano a correre rischi e a spendere soldi pubblici per cure senza prove di reale efficacia?”

Interessante domanda di Gianluca Poma alla quale ancora nessuno è in grado di rispondere. Speriamo che alla luce delle nuove evidenze post-marketing effettuate sulla pelle di innocenti…. qualcuno favelli. 




AUTISMO E LA GIORNATA MONDIALE: NEL CHIASSOSO FRASTUONO DELLA GENETICA IRROMPE SILENZIOSA L’EPIGENETICA

 

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L’Osservatore d’Italia intervista il dr Girolamo Giannotta che in maniera realistica e concreta, spiega la sostanziale differenza dei fattori che influiscono sulla patologia, poiché anche se il substrato genetico ha un ruolo stabilito nell’autismo, sono i fattori ambientali prenatali e perinatali a rappresentare un rischio significativo per la malattia. Giannotta conclude, studiando i reports emersi, che la teoria genetica dell’autismo non si è mai spinta oltre la percentuale del 25-30%, e per tale implicita ammissione, spiega come il resto è dovuto al ruolo dell'epigenetica.
 

di Cinzia Marchegiani

Il 2 aprile è stata la Giornata Mondiale dedicata alla consapevolezza dell’Autismo, una patologia che sta allarmando seriamente molti medici e scienziati, il numero in crescita esponenziale dei bambini colpiti da questa malattia è un fatto ormai acclarato. Oggi dedichiamo la vera informazione cercando di essere vicino alle famiglie che si sentono oltraggiate dalle diatribe tra scienziati. I figli con questa patologia sono in aumento e pensare ad una dinamica essenzialmente riconducibile alla causa genetica fa emergere una logica con più ombre che luci su come si voglia affrontare con serietà questo argomento, che purtroppo rimane sulla carta pieno di tante pubblicazioni e scoop scientifici, mentre nella quotidianità le famiglie si sentono  troppo spesso abbandonate al loro destino, soprattutto quelle dei bambini danneggiati da vaccino o colpiti da questa terribile malattia, costretti a combattere contro il proprio riconoscimento al diritto di salute e all'assistenza.

Sull’autismo l’Osservatore d’Italia aveva già realizzato un’intervista al dr Girolamo Giannotta, che con molta professionalità aveva spiegato ai nostri lettori come per questa patologia, ancora oggi per molti versi dibattuta scientificamente, ci sono diverse linee di evidenza che supportano l’idea che sia un membro tipico di una grande famiglia di malattie croniche, non infettive, immuno-correlate ed associate alla società post-industriale. La famiglia di questa nuova nobiltà – spiegava il dr Giannotta – annovera tra i suoi membri le malattie auto-infiammatorie, allergiche ed auto-immuni che sono la conseguenza di una forte destabilizzazione del sistema immunitario. “Queste malattie sono il risultato dell’interazione tra genetica ed epigenetica, hanno cause scatenati, esiste un ruolo apparente del sistema immunitario nella patogenesi, sono altamente prevalenti, l’eziologia e le manifestazioni sono complesse. Se anche l’autismo è una questione associata all’ipersensibilità immunitaria, che si manifesta in modo epidemico in una società post-industriale, c’è da pensare che la sola presa di coscienza possa consentire di adoprarsi per la sua prevenzione” – nel dettaglio approfondiva il dr Giannota.

La progressione dell'autismo negli ultimi 20 anni ha visto un repentino peggioramento, da un rapporto di 1:10.000 ad 1:90-100 in Italia, negli USA addirittura 1:68. Dati agghiaccianti che non spiegano la correlazione di questa malattia con un fattore genetico. Dr Giannotta, ci spiega meglio questi numeri?
Eventi genetici che possano giustificare questa drammatica ascesa della prevalenza dell’autismo sono difficilmente concepibili, anche se ci spingessimo a guardare il problema nell’arco degli ultimi 50 anni (epoca tossicologicamente post-industriale), durante il quale al massimo possono essere state prodotte due generazioni umane. Con due sole generazioni umane non credo sia possibile cambiare in modo così drammatico la prevalenza di una malattia ed attribuite tale cambiamento ad un esclusivo fattore genetico. Più realisticamente, visto che il mondo accademico globale è cresciuto impregnandosi di teorie darwiniane, che governano la scena da 150 anni, è fin troppo semplice e semplicistico rifarsi ad esse più che a Lamark. Uscendo fuori da questo rigido schema, mi sento di dire che la sequenza del genoma (successione di basi nel DNA) può rimanere inalterata nel tempo e non codificare lo stesso fenotipo (soggetto così come appare) di qualche generazione fa poiché, pur rimanendo invariata l’informazione genetica in questi differenti soggetti, può essere cambiata la sua capacità di esprimere le informazioni che gli stessi geni veicolano, allora come ora. Altro equivoco del quale ci dobbiamo sbarazzare è la tesi che anche gli enzimi che modificano il DNA sono geneticamente determinati. Seppur ciò corrisponda a verità, sono tanti gli esempi di sostanze estranee al materiale genetico che condizionano la funzionalità degli enzimi epigenetici. In altre parole, gli enzimi che silenziano i geni sono codificati dai geni presenti nel DNA, ma la loro funzione è condizionata dai fattori ambientali che interferiscono con la loro funzione, ed in ultima analisi, stabiliscono se quel gene, e le informazioni che esso trasporta possono essere espressi in quel contesto biologico.

Dr Giannotta, in molti casi di autismo ed ASD esiste una disfunzione dell’immunità innata. Ne deriva che la disfunzione immune associata all’autismo e mediata dall’ambiente e/o da cause epigenetiche o genetiche?
La disfunzione dell’immunità innata è una disfunzione del sistema immunitario che mette in campo attivazione, infiammazione ed autoimmunità. Pensare che dei geni siano cambiati in modo così repentino è troppo audace ed irrealistico. Viceversa abbiamo prove concrete di eventi epigenetici in questo settore. Napoli et al., hanno dimostrato che il danno del DNA mitocondriale, forse provocato dalle specie reattive dell’ossigeno, era più comune in 67 bambini con ASD rispetto a 46 bambini normali.
Per Hertz-Picciotto et al., i PM 2.5 (componente del particolato dell’aria inquinata) possono alterare lo sviluppo del sistema immune neonatale. Questi autori hanno studiato nella Repubblica Ceca 1397 bambini che erano stati esposti in gravidanza ai PM2.5 ed ai PAH (idrocarburi aromatici policiclici) e tale esposizione era associata con la riduzione delle cellule T e l’incremento delle cellule B nel sangue del cordone ombelicale. Studi in vivo nei roditori, hanno dimostrato che i PM 2.5 attivano l’asse dello stress, attivano la microglia e provocano la produzione di citokine pro-infiammatorie nel cervello. Raz et coll., hanno esplorato l’associazione tra l’esposizione materna al particolato (PM) dell’aria respirata in gravidanza e la probabilità di ASD nel proprio bambino. Si tratta di uno studio caso-controllo nidificato che comprendeva 245 casi di ASD e 1522 bambini senza ASD. Gli autori hanno concluso dicendo che la più alta esposizione materna al PM 2.5 durante la gravidanza, particolarmente nel terzo trimestre, era associata con una più grande probabilità di avere un bimbo con ASD. Inoltre, ci sono numerosi lavori che dimostrano che tra soggetti autistici e normali esiste una produzione differenziata di citokine e recettori citokinici. Una selettiva riduzione della popolazione dei linfociti T è prodotta nella prole dall’esposizione a fumo materno, mercurio e PCB. Un incremento del rischio di malattie autoimmuni si ha con l’esposizione gravidica a diossina, mercurio e piombo; ed il consumo di alcool in gravidanza provoca l’incremento della produzione di IL-6 e l’eccessiva produzione di specie reattive dell’ossigeno. Secondo Beversdorf et al., lo stress materno è particolarmente nocivo nelle prime 32 settimane di gestazione in termini di rischio di autismo da componente ambientale. Tra la 21a e la 32a settimana si collocherebbe la finestra di suscettibilità per l’autismo correlata allo stress materno. Per altri autori, le finestre di suscettibilità al danno da fattori ambientali esisterebbero in tutti i tre trimestri di gravidanza.

Il CDC spiega che la diagnosi ASD può essere difficile in quanto non vi è alcuna prova medica, come un esame del sangue, per diagnosticare i disturbi, ma conferma che la prescrizione di farmaci come acido valproico e talidomide durante la gravidanza sono stati collegati con un rischio più elevato di ASD
Certamente, il danno indotto nella prole, in corso di gravidanza, è stato associato all’assunzione dell’antiepilettico acido valproico. Recentemente Christensen et al., hanno evidenziato che il suo uso in gravidanza era associato con un incremento significativo del rischio di disordini dello spettro autistico nella prole. In definitiva, le modifiche epigenetiche nei casi di ASD consistono di metilazioni, modificazioni degli istoni, rimodellamento della cromatica, ed altro. Le interazioni tra ambiente e geni che influenzano l’espressione genica includono processi metabolici quali lo stress ossidativo, le funzioni mitocondriali, le metilazioni, le funzioni immunitarie e l’infiammazione. In maniera realistica e concreta, mi sento di dire che il substrato genetico ha un ruolo stabilito nell’autismo, ma i fattori ambientali prenatali e perinatali rappresentano un rischio significativo per la malattia.

Autismo e genetica dr Giannotta, in questi giorni si è cercato di spiegare questa patologia multi complessa in questa direzione. Possibile un’etichetta così semplicistica?
In maniera realistica e concreta, mi sento di dire che il substrato genetico ha un ruolo stabilito nell’autismo, ma i fattori ambientali prenatali e perinatali rappresentano un rischio significativo per la malattia. Aggiungo, che la teoria genetica dell’autismo non si è mai spinta oltre la percentuale del 25-30%, e per tale implicita ammissione, il resto è epigenetica.

Il 2 Aprile è stato dedicato alla giornata mondiale all’Autismo, i monumenti del mondo si sono illumninati di blu. Un evento che però ha sollevato soltanto l’ennesimo chiassoso frastuono sulla natura genetica di questa patologia multi complessa, mentre silenziosamente l’epigenetica, come ci ha dettagliatamente spiegato il dr Girolamo Giannotta, irrompe e con assoluta evidenza medica e scientifica guarda seriamente in faccia questo mostro, indicandoci con umiltà che le cause sono essenzialmente pre-natali e sono rimediabili, perché il grosso lavoro per custodire la vita che nascerà si costruisce in gravidanza, perché nei nove mesi si esalta l’epigenetica.




ENDOMETRIOSI: L'EVENTO MONDIALE PER SENSIBILIZZARE IL MONDO

di Domenico Leccese

Si è svolta il #28marzo2015 a #Roma la manifestazione mondiale in favore delle donne affette di #endometriosi. Una marcia pacifica tra Piazza del Popolo, Piazza di Spagna e Piazza Montecitorio, con lo scopo di sensibilizzare le persone e le istituzioni affinché l’endometriosi venga riconosciuta e trattata come una malattia con gravi conseguenze mediche, aiutando milioni di donne ad ottenere una corretta diagnosi e cure mediche di qualità. Sabato 28 Marzo si è tenuta a Roma, come in altre 54 capitali mondiali, la seconda Marcia mondiale per l'endometriosi, Grande successo e grande soddisfazione per il #TeamItaly. Oltre 300 i partecipanti, che hanno sfilato per le vie del centro coinvolgendo molti passanti e turisti. Palloncini e braccialetti gialli hanno colorato Piazza di Spagna e Montecitorio. L'appuntamento è per il prossimo anno. #ENDOmarch 300 #braccialettigialli #sapevatelo2015


UNA MALATTIA CHE MOLTI NON CONOSCONO

Endometriosi, la malattia che ruba il corpo e l'anima "Endo-che"?
Una donna con endometriosi si sente rivolgere questa domanda quasi ogni giorno, ogni volta in cui cerca di spiegare la patologia da cui è affetta.
Glielo chiedono magari quando ha bisogno di un permesso per assentarsi dal lavoro perché i dolori sono insopportabili o perché deve subire un intervento, l'ennesimo, per tenere a bada la malattia.
Glielo domandano quando rinuncia ad un'uscita con gli amici perché non ce la fa a stare in piedi o perché ha una colica addominale.
Glielo domandano quando a una rimpatriata fra vecchi compagni di scuola lei è l'unica a non avere un figlio che ha dovuto lasciare con i nonni per uscire. Perché anche se è una patologia che colpisce allo stato attuale più di tre milioni di donne soltanto in Italia, nessuno la conosce. Nessuno. Tranne chi ne soffre. Come diceva mia nonna, "il guaio è di chi ce l'ha". E il guaio per una donna con endometriosi è proprio questo, è proprio che oltre alla malattia "fisica" si sente "sola" con il suo malessere, sola con il suo dolore. Il guaio è suo. E forse, non sempre, della sua famiglia. Del suo compagno. E basta.
E allora sorride a quella domanda semplice e innocua.
Sorride di fronte alla non conoscenza. Sorride e si sente ancora più sola.
E ancora più malata. E sorride quando a chiederlo sono gli stessi medici che per anni (si stima circa sette in media prima di avere una diagnosi…) le avevano ripetuto decine, centinaia di volte che aveva "solo" un problema psicologico, una soglia del dolore troppo bassa e che per riuscire ad avere un figlio sarebbe bastato rilassarsi. Che era una malata immaginaria.
Che era normale che il ciclo mestruale fosse doloroso.
Che era tutta una questione di testa.
Sorride ma dentro di sé si dispera, sorride ma un po' muore.
Perché quando non ti capiscono, quando ti fanno sentire "pazza", ti tolgono la stima e la dignità. E a una donna a cui togli la dignità, hai tolto la vita.
E cosa risponde a chi le chiede cosa sia l'endometriosi?
Dice che è una malattia ginecologica che provoca dolore, dolore e ancora dolore. Dice che è costretta ad operarsi una, due, tre volte per provare a stare meglio, per provare a vivere meglio.
Dice che non può mangiare la pizza troppo spesso, perché poi dopo sta male e deve passare la serata nel bagno del locale.
Dice che a vent'anni è in menopausa indotta dai farmaci perché solo evitando di avere le mestruazioni può provare ad avere qualche mese di "respiro".
Dice che non può andare a un concerto perché il suo nervo sciatico non è d'accordo e che non ce la fa a restare in piedi per due ore.
Dice che conosce tutti i nomi di antinfiammatori, antidolorifici e antispastici manco fosse una farmacista.
Dice che non fa l'amore con suo marito perché invece dei fuochi d'artificio per la passione, vede le stelle, per il dolore. E dice che è stanca.
Che non ce la fa più. Perché l'endometriosi è una malattia subdola, che le ruba il corpo e l'anima. Perché per ogni organo che le intacca e che perde, c'è un pezzo del suo cuore che va via con lui. Un ovaio, una tuba, l'utero.
Un tratto di intestino. Un po' di vescica. L'endometriosi non ha pietà.
Il suo addome è alla sua mercé. Se è fortunata si "limita" a fare pochi danni, e magari non prova nemmeno tanto dolore.
Magari si accorge di averla solo perché non riesce ad avere figli. "Solo".
Oppure è sfortunata.
E rientra nella casistica di un'Endometriosi severa, in cui vari organi sono interessati, in cui la sua vita diventa una lotta contro il dolore.
Una lotta fra lei e il suo corpo. Una lotta fra lei e "LEI".
E il non riuscire a diventare madre passa in secondo piano, perché nemmeno potrebbe crescerlo un figlio così come sta. Così come si sente.
E vorrebbe solo riuscire a svegliarsi la mattina senza quel dolore che non la fa respirare, senza quella sensazione di avere una bomba nella pancia pronta ad esplodere. Svegliarsi e magari fare pipì senza bruciore.
Svegliarsi e poter pianificare una giornata di lavoro senza dover fare i conti con la gamba bloccata o l'intestino birichino.
Svegliarsi e fare magari del buon sesso con il suo compagno.
E invece diventa un'esperta di alimentazione senza estrogeni, senza glutine e conservanti.
Diventa un'esperta radiologa che conosce i nomi di esami che quando il medico di famiglia deve prescriverli gli deve fare lo spelling al telefono.
Diventa una ginecologa ad honorem in grado di riconoscere ovulazione, giorni fertili e infezioni semplicemente ascoltando il proprio istinto.
Diventa più disinibita di una spogliarellista in un night per quanto è abituata a farsi vedere "come mamma l'ha fatta" da interi gruppi di dottori, specializzandi, studenti e semplici infermieri durante una delle tante, tantissime visite a cui si sottoporrà fino a quando andrà in menopausa.
E anche dopo. E mentre cerca di spiegare cosa sia l'endometriosi, si ritrova di fronte a una persona che la guarda con gli occhi sbarrati.
La guarda e magari pensa che sia una fanatica, una di quelle che la fa lunga per un po' di mal di pancia. E che fa i vuommechi. Si lamenta troppo.
E comincia a parlarle di Giggina, la sorella della cognata dell'amica del compagno di classe del suo salumiere, che non rimaneva incinta perché ci pensava troppo e che appena è andata a Lourdes, zac, ha avuto il miracolo ed è nato Totore. "Che poi devi vedere quanto è bello". Perché si sa, i figli desiderati assai sono sempre più belli. Più intelligenti. Più tutto. "Tu non ci pensare e vedi che pure a te ti arriva un Totore bello".
E lei ci prova a spiegare che non è quello il problema, che l'endometriosi è altro. Che rovina la vita. Al di là di un Totore che non arriva.
E allora quasi viene sfidata. Le si domanda: "E come viene questa "endomecome si chiama?". E lei prova a spiegarlo con parole semplici, dice che – in pratica – la mestruazione che normalmente si trova nell'utero, nella donna affetta da endometriosi si accumula all'interno dell'addome e non "esce" tutta fuori formando cisti e noduli negli organi ginecologici, nell'intestino, e in vescica. Spiega che i sintomi che possono far sospettare di essere affette da endometriosi sono il dolore durante le mestruazioni, il dolore cronico alla zona bassa dell'addome anche senza mestruazioni, il dolore durante i rapporti sessuali, il dolore lombare, i problemi intestinali, le mestruazioni Irregolari, il dolore/bruciore quando si urina e la sterilità.
Spiega che in presenza di uno o più sintomi ci si deve rivolgere al ginecologo che attraverso una visita accurata, una ecografia interna e il dosaggio di un markers tumorale si potrà avere una diagnosi di endometriosi e successivamente decidere con il medico la terapia adatta, chirurgica o farmacologica.
Una terapia che comunque dovrà fare per anni, tanti anni.
E operazioni ripetute. Non una. Due. A volte sette, otto. Dipende dalla gravità della malattia. A questo punto la donna ha detto tutto.
Tutto ciò che c'è da dire sulla propria patologia.
E spera che chi le sta di fronte abbia capito. Almeno un po'.
Abbia almeno un po' capito la complessità della sua condizione di salute, il suo grido di aiuto. Spera che domani quella persona la chiami non per uscire o per andare a fare baldoria.
La chiami per chiederle semplicemente: "Come stai?
Posso fare qualcosa per te?".
Ma probabilmente quella telefonata non arriverà mai.
O arriverà solo per educazione. Per mettersi la coscienza a posto.
Perché dell'endometriosi ancora non si parla in tv, sui giornali o dal parrucchiere. E chi prova a parlarne passa per petulante e visionaria.
In fondo, anche per il ministero della Salute ancora non è una malattia invalidante, perché mai dovrebbe esserlo per un datore di lavoro o per un amico? E quella donna "sola" si rifugerà in un qualche gruppo su Facebook o su un blog di donne con endometriosi, perché solo lì si sentirà capita e libera di piangere e di lamentarsi per i suoi dolori.
Perché solo lì sentirà di avere ancora un po' di dignità.
E di vita. Solo lì non si sentirà più sola.