The Crew Motorfest, Ubisoft torna in pista alla grande

The Crew Motorfest, disponibile per Pc, Xbox e PlayStation, rappresenta un cambio di rotta vero e proprio per la serie targata Ubisoft. Questo avviene da un lato ispirandosi in maniera fin troppo esplicita alla serie Forza Horizon, dall’altro perdendo di vista gli aspetti che hanno caratterizzato questa proprietà intellettuale sin dagli esordi, finendo per sfruttarli ben poco nel corso di una campagna che rappresenta senza né se né ma la fiera delle playlist. Anche dal punto di vista prettamente strutturale il ripensamento è evidente e vede passare dall’enormità delle precedenti mappe americane ai confini di un’isola hawaiiana, O’ahu, che tuttavia si presenta come uno scenario non solo suggestivo sul piano puramente estetico, ma anche dotato di una maggiore densità e coerenza per quanto concerne i contenuti da affrontare. Così facendo gli sviluppatori di Ivory Tower hanno voluto puntare su di uno scenario in grado di regalare scorci particolarmente suggestivi, specie in alcune ore della giornata, e di confezionare questa nuova esperienza in maniera simile a Forza Horizon. In effetti le sequenze iniziali di The Crew Motorfest riprendono davvero molti degli elementi tipici della serie di Playground Games: dall’alternanza di paesaggi e musiche latineggianti dei titoli di apertura alla fase introduttiva in cui ci si mette alla guida dei tanti veicoli differenti a cui si potrà accedere nel corso della campagna, per arrivare al concetto di festival per gli appassionati di motorsport, che viene presentato poco prima di passare all’editor per la creazione del proprio alter ego virtuale. La struttura su cui si poggia The Crew Motorfest è costituita da un buon numero di Playlist, competizioni di vario tipo dedicate ad una precisa tipologia di veicoli o di gare. C’è infatti la Playlist dedicata al Tuning Giapponese, oppure, rimanendo in tema Sol Levante, quella dedicata all’auto del paese orientale, passando poi a quella dedicata alle macchine classiche dagli anni ’50 in poi, o ancora quella dedicata alle Lamborghini, quella alle gare Off Road, quella alle Motociclette arrivando a Playlist con host più o meno famosi come i folli ragazzi di Donut Media o quella dell’influencer Supercar Blondie che darà l’occasione di guidare delle avveniristiche concept car. Ognuna di queste Playlist andrà a modificare più o meno profondamente anche il panorama delle gare, mettendo i giocatori, ad esempio, in gara di notte in mezzo a sgargianti luci al neon per la Playlist dedicata alle auto Giapponesi, con tanto di enormi dragoni che decorano le strade, oppure la particolarissima saturazione dei colori più soft nelle gare dedicate alle auto storiche. Una scelta non rivoluzionaria, sia chiaro, ma decisamente di effetto e che riesce a donare un’inaspettata varietà ai panorami dell’isola. Ogni Playlist presente in questo nuovo The Crew Motorfest è composta da un certo numero di eventi che è necessario compiere in successione per portarla a termine. Alcune saranno dei veri e propri campionati con punteggio ad ogni tappa e premiazione finale sul podio, altre invece offriranno eventi in cui sarà sufficiente arrivare al traguardo, come le suggestive gare con le auto storiche in cui, non avendo in questo caso l’ausilio del GPS, bisogna raggiungere il traguardo seguendo degli indizi fotografici che appariranno su schermo di volta in volta. Altre ancora invece chiederanno di completare la gara nelle prime tre posizioni, mettendo quasi sempre in condizione di compiere i vari obiettivi senza troppi pensieri. La fase iniziale di Motorfest è abbastanza rigida, visto che oltre alle Playlist non avremo molto altro da fare se si escludono gli sporadici Autovelox, o le brevissime prove di Slalom sparse nelle strade delle Hawaii, ma basterà cominciare a completare le Playlist per sbloccare moltissime sfide secondarie che andranno a riempire la mappa di nuove prove che spaziano dal compiere determinate manovre con una precisa macchina passando per la raccolta di innumerevoli collezionabili sparsi ovunque, arricchendo di molto l’offerta proposta man mano che si va avanti nella carriera. Un aspetto comune a tutte le Playlist disponibili nel gioco è la particolare scelta di mettere i giocatori sempre alla guida di veicoli offerti dal gioco stesso che da un lato dona una varietà notevole, ma che dall’altro lato sacrifica completamente le auto presenti in garage. Una scelta ancor meno comprensibile se si prende in considerazione la gradita possibilità di importare quasi tutte le vetture possedute in The Crew 2, ma che le mette nella non troppo piacevole posizione di semplici comparse che si possono usare a piacimento nel free roaming e nelle gare multigiocatore.

Naturalmente ad ogni vittoria si guadagnano diverse ricompense: dai crediti da investire in nuovi veicoli e nella loro personalizzazione estetica, agli immancabili XP che permettono di crescere di livello sbloccando ulteriori ricompense, titoli e quant’altro, sino al particolare sistema di modifiche tecniche rappresentato in The Crew Motorfest da un originale sistema paragonabile al Loot di un gioco di ruolo. Grazie all’ottenimento di alcune carte dedicate a varie parti da modificare suddivise per rarità, Non Comune, Raro, Epico e Leggendario, e accompagnate anche da un valore numerico che ne indica l’efficacia, modificare il bolide è ancora più intrigante. Queste particolari carte sono anche suddivise per categoria: in una gara dedicata al fuoristrada si ottengono pezzi per questo tipo di veicoli, così come in una gara dedicata alle moto si conquistano parti relative solo a questa categoria e così via. Anche in questo caso però ci si scontra con la scelta di dover usare delle auto a “noleggio” nelle gare, rendendo molto meno interessante ed utile la modifica dei propri veicoli, specialmente nell’ottica del progresso in giocatore singolo. Parlando sempre di veicoli, come da tradizione per The Crew, essi non si limitano solo alle auto, ma si possono usare anche moto, aerei, motoscafi, Monster Truck, fino ad affascinanti prototipi inventati di sana pianta da Ivory Tower arrivando infine al top per quel che riguarda sia le motociclette, con alcune MotoGP disponibili, che per le auto con alcuni modelli di RedBull Formula 1. Naturalmente è possibile affrontare tutte le Playlist con la Crew per un massimo di quattro giocatori e, oltre a questo, si può prender parte anche a gare esclusivamente multiplayer. La prima è la Grand Race, una competizione per 28 giocatori in cui utilizzare tre diverse tipologie di vetture, ognuna per un terzo di gioco. Appena prima di partire si ha la possibilità di selezionare cosa utilizzare in gara. Queste competizioni saranno mediamente abbastanza lunghe e piuttosto impegnative visto anche l’elevato numero di concorrenti che non si faranno troppi problemi a giocare sporco fra tamponamenti e sportellate. Nel Demolition Royale, invece, si prende parte ad un particolare mix tra un Demolition Derby ed una Battle Royale. In questo caso i giocatori saranno un massimo di 32 suddivisi in squadre di un massimo di 4 giocatori ed l’obiettivo è ovviamente quello di eliminare gli altri concorrenti distruggendone le auto con scontri spettacolari. Una volta provocati abbastanza danni è anche possibile trasformarsi in Monster Truck aumentando a dismisura la forza distruttiva per puntare ad essere gli unici sopravvissuti e quindi vincitori. Entrambe queste tipologie di gare sono sempre disponibili e, ad ogni mezz’ora, offriranno un’ambientazione diversa e anche classi di auto coinvolte differenti di volta in volta. Un altro aspetto peculiare di The Crew Motorfest è la presenza dell’Hub, una vera e propria base operativa in cui girare a piedi in un garage virtuale in cui saranno esposte le auto di altri giocatori che si possono ammirare in ogni minimo dettaglio, votare quelle che si preferiscono per il contest mensile legato alle personalizzazioni estetiche ed anche iscrivere uno dei propri veicoli a queste particolari gare. Si può addirittura sedersi al volante di ognuna delle auto presenti, accenderne il motore per sentirlo ruggire, un piacevole extra che consente di ammirare ogni auto presente. All’entrata sarà presente anche un’auto che rappresenta il bundle principale delle auto disponibili all’acquisto. Ovviamente si possono comprare coi crediti di gioco, ma i giocatori più frettolosi e facoltosi potranno anche utilizzare soldi veri per risparmiare tempo, ma non denaro. Sempre all’interno del Hub si può partecipare al Summit Contest, ossia una specie di Playlist Mensile, suddivisa in eventi settimanali, dedicata anche in questo caso ad uno specifico tipo di vetture. Compiendo le varie prove disponibili con le auto adatte, si ottengono ricompense di ogni tipo oltre a salire di livello andando ad accumulare anche i particolari Punti Leggenda. Questi punti possono poi essere investiti per migliorare alcuni aspetti in maniera permanente. Si può ad esempio investirli per ottenere un boost ai punti esperienza guadagnati, oppure ai crediti e così via. Si possono investire fino ad un massimo di 20 punti Leggenda per ognuna delle voci disponibili e questo offre dei bonus ragguardevoli, sebbene ci vorrà molto tempo e moltissime gare per accumularne a sufficienza per ottenere i bonus maggiori. Come da nuova politica Ubisoft, il gioco è localizzato in italiano nei soli testi, mentre il parlato rimane in inglese.

The Crew Motorfest può contare su un’enorme varietà dei mezzi disponibili. Da questo punto di vista il gioco è una festa vera e propria paragonabile al famosissimo Goodwood Festival che ogni anno fa la gioia degli appassionati di qualsiasi cosa sia mossa da un motore, a scoppio od elettrico. Avere a disposizione un parco vetture così eterogeneo porta ovviamente ad una quantità e varietà di gare davvero soddisfacente, e la scelta di modificare profondamente anche il paesaggio a seconda della Playlist in corso non fa altro che sottolineare tutte queste piacevoli sfaccettature. Peccato che in alcuni casi queste variazioni sul tema riguardano solo oggetti di contorno come enormi gonfiabili e cartelli vari, il gioco dà il meglio di sé quando modifica tutto, come nel caso delle gare dedicate alle auto Giapponesi decisamente d’impatto od anche ai particolarissimi circuiti dedicati al Drift che con le loro interminabili curve portano a decine di metri di altezza dal suolo. Le novità di The Crew Motorfest si estendono anche al gameplay, che presenta un modello di guida sostanzialmente migliorato rispetto al passato, capace di trasmettere in maniera molto più convincente il peso della vettura e di mantenere alto il coinvolgimento durante le gare nel tentativo di bilanciare accelerazione e freno, derapate e boost al fine di evitare impatti che potrebbero rallentarci parecchio. In tal senso si notano alcune importanti accortezze: la prima è l’introduzione di una funzionalità rewind che consente di riavvolgere gli ultimi quattordici secondi di azione, nel caso in cui si rimanga coinvolti in un incidente che potrebbe compromettere in maniera frustrante il piazzamento finale di una gara fino a quel momento perfetta. La seconda riguarda il design dei tracciati, quasi del tutto privi di ostacoli contro cui inchiodarsi e dotati di barriere laterali in curva che permettono di evitare scivolamenti eccessivi quando si arriva lunghi, cosa che potrebbe farci perdere il contatto con i checkpoint. Questi ultimi, peraltro, presentano una certa tolleranza al contatto, pensata per preservare quanto più possibile la fluidità della corsa ed evitare di rovinarla per qualche centimetro. Infine sono presenti diverse opzioni che consentono di scalare l’esperienza di guida sulla base delle proprie preferenze, dai banali indicatori della traiettoria al cambio automatico o manuale, passando per tutta una serie di assistenze elettroniche che possono rendere ancora più concreto e solido l’impianto messo a punto da Ivory Tower. Peccato che poi, quando ci si mette alla guida di un motoscafo o soprattutto di un aereo, questo spessore finisca per dissiparsi irrimediabilmente. Dal punto di vista tecnico The Crew Motorfest include due modalità grafiche su PS5 e Xbox Series X: una a 4K dinamici e 30 fps, l’altra a 1440p dinamici e 60 fps. Quest’ultima è ovviamente da preferire e si comporta molto bene anche sul fronte della nitidezza sugli schermi Ultra HD, sebbene soffra di qualche fastidioso calo di frame rate, di alcune mancanze e di fenomeni di pop-up abbastanza evidenti quando si corre a gran velocità. In generale, la resa visiva di The Crew Motorfest fa il possibile per avvicinarsi al suo più volte citato punto di riferimento, Forza Horizon 5, senza però raggiungere il medesimo livello qualitativo: in alcuni frangenti l’isola di O’ahu appare davvero affascinante e i suoi paesaggi regalano momenti emozionanti, ma quando il sole è alto il sistema di illuminazione tende un po’ ad appiattire gli elementi e alla fine ci si muove un po’ fra alti e bassi. Tirando le somme, il nuovo gioco di corse targato Ubisoft è sicuramente divertente, intrattiene con una rosa di veicoli davvero inimitabile, e lo fa in un panorama bellissimo e attraverso un enorme numero di gare ed eventi. La particolare progressione parte lenta, ma non bisogna temere, infatti il gioco offre moltissimi eventi proseguendo nella carriera. Peccato per alcune scelte che ne intaccano l’anima stessa, sacrificando aspetti che sarebbe stato meglio vedere sottolineati nella giusta maniera, garage personale e modifiche tecniche in primis. Lo stile di guida funziona, ma si inciampa in alcune fasi, come in partenza o quando il comportamento delle vetture cerca di essere verosimile, sbagliando clamorosamente. Fortunatamente l’utilizzo delle assistenze alla guida smussa questi angoli e ne amplifica il divertimento, ma probabilmente rinunciare a qualsiasi velleità realistica, anche la più piccola, avrebbe giovato non poco al gioco. Se siete quindi amanti dei racing games e state cercando qualcosa che affianchi Forza Horizon, allora questo The Crew Motorfest è ciò che state cercando.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 7,5

Gameplay:7,5

Longevità1. 8

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Nio Phone, un nuovo brand si prepara a entrare nel mercato degli smartphone

Nio Phone, con questo prodotto un nuovo attore si getta nel mercato già fin troppo saturo degli smartphone: il produttore cinese di veicoli elettrici Nio ha svelato il suo primissimo smartphone in un evento tenutosi a Shanghai. Si dice che l’obiettivo principale sia catturare l’attenzione dei proprietari delle loro auto in Cina con un modello top di gamma, confermando così l’espansione dell’azienda al di là del settore automobilistico. Il CEO William Li ha dichiarato a CNBC che mira a coinvolgere almeno la metà dei suoi clienti automobilistici nell’acquisto di questo dispositivo, sottolineando che l’applicazione Nio per auto vanta 600.000 utenti attivi, una cifra che supera di un’intera metà il numero di proprietari di veicoli Nio. Noi Phone vanta un display OLED curvo da 6,8 pollici e un processore Snapdragon 8 Gen2. È molto sottile, misurando appena 8,9 mm di spessore, e pesa soltanto 212 grammi. L’azienda ha messo in evidenza la capacità del telefono di accedere direttamente a 30 funzioni legate al controllo dell’auto con un semplice clic, e presenta anche un pulsante che funge da chiave dell’auto. Il prezzo di partenza è di 6.499 CNY (corrispondenti a 835 euro) per la versione con 16 GB di memoria. Questo smartphone è disponibile in sette colorazioni. Dopo aver ottenuto l’approvazione del Ministero dell’Industria e dell’Informazione Tecnologica a giugno, l’azienda ha varato il suo progetto Nio Mobile nell’agosto del 2022, preparandosi così per il lancio di questo smartphone da un anno. Nio sostiene di non essere semplicemente un costruttore di automobili, ma di offrire una vasta gamma di servizi, tra cui il cambio delle batterie, spazi di lavoro condivisi in 125 località diverse e una serie di prodotti “per uno stile di vita moderno”. L’azienda sta entrando in un mercato già molto affollato, con una domanda che si trova a livelli minimi degli ultimi dieci anni. Da notare che il produttore automobilistico cinese Geely Group ha acquisito una quota di maggioranza nella nota marca cinese di smartphone Meizu l’anno scorso, e a giugno ha presentato piani ambiziosi per integrare le tecnologie dell’elettronica di consumo nel settore automobilistico, sviluppando un sofisticato sistema operativo basato su Android e un avanzato sistema di infotainment per le auto basato sull’architettura software di Meizu. Riuscirà questo nuovo marchio a imporsi nel mercato e a combattere contro i colossi del settore? Lo scopriremo solo nei prossimi mesi.

F.P.L.




Lara Croft protagonista della quinta stagione di Call of Duty MWII

Call of Duty: Modern Warfare 2 e Call of Duty: Warzone si ampliano con il fantastico bundle dedicato a Lara Croft, iconica avventuriera creata nel 1996 da Eidos. Il pacchetto, disponibile già da ora all’acquisto sul negozio in game di Call of Duty, include tre progetti di armi: una versione della nuova arma da mischia “Ice Axe”, il mitragliatore “Mythic Defender” e la sua caratteristica “Mach-5”. “doppie pistole basate sulla nuova arma laterale in arrivo con l’aggiornamento Reloaded. Il design di Lara, come potete vedere nel video qui sotto, ricorda molto chiaramente quello dell’originale Tomb Raider uscito nel 1996 su PlayStation, SEGA Saturn e PC. L’arrivo di Lara Croft su Call of Duty con questa collaborazione potrebbe essere un antipasto in vista dell’annuncio del nuovo capitolo della serie, del quale gli stessi sviluppatori stanno disseminando alcuni indizi. Ricordiamo inoltre che tutti i bundle acquistati su MW2 saranno disponibili anche su Call of Duty: Modern Warfare 3, che condividerà vari contenuti tra cui armi, progetti e skin. La leggendaria avventuriera è solo l’ultima delle novità della Stagione 5 Reloaded di COD Modern Warfare 2 e Warzone 2, una fase ingame iniziata ufficialmente il 30 agosto e che, da qui al termine dell’attuale Season, darà accesso a una mappa multiplayer inedita, a una nuova esperienza per la modalità Resurgence e a missioni DMZ aggiuntive.

Ricordiamo che con la stagione 5 è tornata una vecchia conoscenza che i giocatori di Call of Duty: Modern Warfare II hanno imparato a conoscere piuttosto bene. Tra i nuovi operatori disponibile, infatti, spicca il nome di Phillip Graves che, dato per morto a seguito degli eventi della campagna single-player, è invece sbucato dal nulla per offrire il suo supporto alla Task Force 141 e quella della Shadow Company da lui gestita. Il fondatore della compagnia militare privata si unirà alla squadra del capitano Price e soci, con l’obiettivo di mettere freno alle attività terroristiche dell’organizzazione Al Mazrah e di fermare sul nascere l’avanzata di una nuova fazione: il gruppo Konni. Graves è disponibile per tutti coloro che acquisteranno il Battle Pass (1.100 PC, pari a 10,99 euro) che, oltre a fornire altre ricompense piuttosto allettanti, darà la possibilità di sbloccare oltre cento oggetti estetici, armi (disponibili anche per chi deciderà di non acquistare il pass stagionale) e fino a 1.400 PC.

Phillip Graves non è l’unico personaggio giocabile a unirsi al valzer degli operatori, considerando che nel corso della stagione entreranno in scena anche Oz, Artù, Mila, Velikan e Mace, che, come al solito, andranno acquistati a parte. Spostando l’attenzione fuori dai confini canonici del filone narrativo del franchise, gli sviluppatori hanno deciso di omaggiare l’hip hop di matrice americana proponendo tre bundle dedicati ad artisti di fama internazionale come Nicki Minaj, 21 Savage e Snoop Dogg. La quinta stagione di Call of Duty: Modern Warfare II si è dimostrata generosa anche per quel che riguarda il numero di mappe inedite e “riciclate” offerte a questo giro. Il team di sviluppo americano ha quindi provato a mettere una pezza a una delle principali criticità del comparto multiplayer di questo capitolo, proponendo nuove arene per le varie modalità PvP e riportando in auge vecchi scenari di guerra che sono stati ammodernati per l’occasione.

Francesco Pellegrino Lise




iPhone 15, Apple svela le sue novità per il nuovo anno

iPhone 15 arriva puntuale come ogni anno a settembre, ma questa volta i nuovi smartphone di Apple hanno la porta Usb-C, in linea con le norme europee sul caricabatterie unico. L’annuncio ufficiale, atteso da tempo e anticipato da diverse indiscrezioni, è arrivato alla presentazione della nuova linea di melafonini a Cupertino. Il Parlamento Europeo ha approvato lo scorso ottobre in via definitiva la norma, entro la fine del 2024 tutti i produttori tecnologici devono adeguarsi. Apple abbandona così il cavo Lightening adottato nel 2012 in occasione del lancio dell’iPhone 5. “Parleremo di Apple Watch e iPhone, che aiutano a salvare le vite e come la gente li usa ogni giorno. A giugno abbiamo fatto vedere il visore Apple Vision Pro che sta attirando l’immaginazione degli sviluppatori, stanno creando esperienze incredibili sulle piattaforme. Arriverà all’inizio del prossimo anno”, ha iniziato così Il Ceo Tim Cook il keynote sul palco dello Steve Jobs Theater di Cupertino. E’ stato introdotto da un video che ha mostrato le storie di diverse persone nel mondo che si sono salvate con le app Salute o con il sistema Sos emergenza satellitare, presenti su iPhone e Apple Watch.

I NUOVI MODELLI DI IPHONE 15

“Ogni anno cerchiamo di innovare la nostra linea di iPhone, per renderla più funzionale e utile. Questa volta siamo andati oltre”, ha aggiunto Cook svelando la nuova gamma di iPhone 15. Come da previsioni, tutte le versioni, a partire dall’iPhone 15 di base, integrano la Dynamic Island, la tacca superiore ridotta, che mostra notifiche e controlli multimediali interattivi. Al suo interno, si trova la fotocamera per i selfie. Al fianco dell’iPhone 15 da 6,1 pollici c’è l’iPhone 15 Plus da 6,7 pollici. Entrambi sono stati rivisti nel design, con angoli più arrotondati e quattro colori disponibili: rosa, giallo, verde, blu e nero. Con un retro in nano-cristallo, secondo Apple, gli smartphone oggi sono ancora più resistenti, anche nella parte frontale, che contiene lo schermo, grazie alle innovazioni del Ceramic Shield. Come da politica di Apple, i nuovi iPhone abbracciano la sostenibilità: per costruirli, l’azienda ha usato il 75% di alluminio riciclato e il 100% di cobalto riciclato. Sul retro di iPhone 15 e 15 Plus, una fotocamera principale da 48 megapixel mentre in basso il tanto atteso connettore di ricarica Usb-c, con cui Apple si allinea alle indicazioni dell’Unione Europea sul caricatore universale. L’Usb-c permette di caricare, trasferire dati, audio e video in maniera veloce tra i dispositivi supportati. Tutta la linea di prodotti Apple vedrà l’arrivo dello standard unico, anche la custodia delle cuffiette AirPods. Dal lato della ricarica, l’azienda introduce il nuovo MagSafe, ossia un metodo di ricarica wireless più veloce quando si usano caricatori, sia della Mela che di terze parti, compatibili con il protocollo. Il cuore dei telefoni è A16, il nuovo chip di Apple che promette prestazioni grafiche migliorate del 50% e funzionalità che integrano maggiormente l’uso dell’intelligenza artificiale, come la trascrizione di una telefonata in testo, in tempo reale. La Mela non dimentica la connettività: la novità qui è la seconda generazione della tecnologia Ultra Wideband che consente all’iPhone di individuare la posizione esatta degli amici che condividono la posizione dal loro iPhone, in maniera simile a ciò che accade con i localizzatori AirTag. Con l’opzione Voice Isolation invece, il telefono riesce a ridurre i rumori di fondi, per restituire una voce chiara durante una chiamata. Lo scorso anno, Apple ha introdotto la comunicazione di emergenza via satellite. Il passo ulteriore è il soccorso stradale via satellite, un modo con cui, a partire dagli Usa, gli automobilisti potranno sfruttare l’iPhone per richiedere assistenza per problemi durante il viaggio. La novità di iPhone 15 Pro e 15 Pro Max è una scocca in alluminio. Apple ha lavorato per ridurre al minimo le cornici, con un profilo ancora più curvo agli angoli. Il titanio, secondo il colosso americano, permette di realizzare un dispositivo durevole ed estremamente leggero. Il resto dei materiali vede l’utilizzo di elementi riciclati e una scocca che si potrà sostituire in maniera più semplice in caso di problemi. L’iPhone 15 Pro ha uno schermo da 6,1 pollici mentre il Pro Max conserva un pannello da 6,7 pollici. Sul lato destro dei 15 Pro, Apple ha inserito un pulsante personalizzabile, chiamato Action Button. Sarà possibile configurarlo per richiamare le app preferite oppure per accendere la torcia o far partire la fotocamera. Spostandolo su e giù si seleziona la modalità “muto” per la suoneria, come avviene sugli iPhone attuali. Il chip A17 Pro dei modelli di fascia alta si concentra su prestazioni e privacy. Senza mandare i dati personali sul cloud, la porzione definita Neural Engine impara dall’utente le modalità di utilizzo del telefono, per dosare le energie durante la giornata ma anche per rendere Siri più utile e pronta a rispondere alle necessità di ognuno. Le possibilità grafiche dell’iPhone 15 Pro e 15 Pro Max sono un punto su cui Apple si è concentrata in fase di presentazione. “È la nostra innovazione hardware più grande finora” sottolinea un ingegnere del gruppo. “Oltre a rendere i videogame più verosimili e belli da giocare, la scheda Gpu usa meno energia del passato, così da preservare anche la ricarica”. La fotocamera dei modelli si basa su un sensore principale da 48 megapixel che include una nuova tecnologia in grado di restituire foto più nitide anche con condizioni di scarsa luminosità. Il sistema di scatto vede una più ampia serie di impostazioni per i fotografi, che possono regolare ogni livello nell’applicazione Camera, portando l’iPhone a diventare ulteriormente uno strumento non solo per lo svago ma anche per l’attività professionale. Un design definito “tetra-prism” simula un gioco di specchi all’interno della lente telefoto, per aumentare la distanza possibile quando si vuole catturare un ambiente più largo. iPhone 15 e 15 Plus saranno in vendita da, rispettivamente, 799 e 899 dollari. Il 15 Pro parte da un cartellino di 999 dollari mentre il 15 Pro Max da 1.199 dollari con disponibilità dal 22 settembre, anche in Italia. Nel nostro paese iPhone 15 Pro ha un prezzo di partenza di 1.239 euro con capacità di archiviazione di 128GB, 256GB, 512GB e 1TB.iPhone 15 Pro Max ha un prezzo di partenza di 1.489 euro con capacità di archiviazione di 256GB, 512GB e 1TB. iPhone 15 e iPhone 15 Plus saranno disponibili nei modelli da 128GB, 256GB e 512GB a partire da 979 euro 1.129, rispettivamente. L’aggiornamento del sistema operativo iOS 17 sarà disponibile dal 18 settembre.

APPLE WATCH SERIE 9 E ULTRA 2

Sul palco di Cupertino, la Mela ha svelato i nuovi Apple Watch Series 9. “Se lasciaste uno dei due a casa, scommetto che tornereste indietro a prenderlo”. Si parte con il Watch Series 9, che ha una più profonda integrazione con Siri, l’assistente digitale di Apple. Il focus è sulla salute: basterà chiedere all’IA il proprio peso o il livello di battito cardiaco affinché l’orologio esegua le misurazioni dovute, in autonomia e senza toccare lo schermo. Su Watch Series 9 debuttano anche le “gestures”, movimenti delle dita che permettono di interagire con l’orologio. Basterà un doppio tap di pollice e indice per rispondere ad una chiamata o accendere il display. Una serie di funzionalità che guarda anche a chi ha difficoltà nei movimenti e potrebbe sentirsi limitato dall’uso del dispositivo. “Una volta cominciato ad usarlo, non ne farete più a meno” spiegano i manager di Apple durante la conferenza. Uno dei cambiamenti principali, dal punto di vista dell’hardware, è il nuovo chip Sip S9 (System in Package), con 5,6 miliardi di transistor, una scheda grafica più veloce del 30% e un motore neurale maggiorato. L’orologio è inoltre dotato di un chip a banda ultralarga di seconda generazione per una localizzazione più precisa da altri dispositivi della casa. L’Apple Watch Series 9 è, secondo l’azienda, il primo prodotto della casa a emissioni zero, come certificato da organizzazioni di terze parti. “Abbiamo ripensato e rinnovato i nostri sistemi di produzione per migliorare l’impatto della tecnologia sul Pianeta. Dal 2030, tutti i dispositivi Apple saranno prodotti con zero emissioni di carbonio da Cupertino. “Il prossimo passo è proseguire con la conversione delle nostre attività affinché siano tutte carbon neutral. Seguiremo tre filoni: materiali, elettricità e trasporti, assicurandoci che l’intera catena di fornitura segua i nostri principi”. Apple Watch Series 9 si inserisce in tale scenario, essendo prodotto in fabbriche che usano il 100% di energia rinnovabile. Il nuovo confezionamento, ridotto, permette inoltre di spedire il 25% di orologi in più con lo stesso ingombro di prima. “Per noi, vuol dire aver abbassato di un ulteriore 78% l’impronta di carbonio a livello globale”. Al fianco del Watch 9, Apple ha svelato anche Ultra 2, l’orologio dedicato agli sportivi e alle attività all’aperto. Il design dell’Ultra 2 è abbastanza simile alla prima generazione, con il grosso delle novità all’interno. Tra queste, l’autonomia capace di arrivare a 36 ore di uso normale e 72 ore a basso consumo e l’utilizzo del 95% di materiale riciclato in fase di produzione. Può sopportare immersioni fino a 40 metri e gira, come il Series 9, con watchOs 10. Apple Watch Series 9 parte da un prezzo di 399 dollari (459 euro), l’Ultra 2 da 799 dollari (909 euro), con preordini già aperti e arrivo nei negozi dal 22 settembre. Insomma, anche quest’anno gli appassionati della Mela morsicata non possono lamentarsi, in quanto la selezione dei nuovi device è veramente ricchissima.

F.P.L.




Roborock, la soluzione per le pulizie domestiche hi-tech

La presenza dei robot per le pulizie domestiche nelle nostre abitazioni sta diventando sempre più significativa. Roborock si sta confermando leader di settore grazie ai continui aggiornamenti e potenziamenti dei suoi prodotti. Il fondatore e Presidente Jing Chang ha recentemente affermato che Roborock pone i bisogni dei consumatori al primo posto e la filosofia di innovazione dell’azienda sviluppa soluzioni che rendono centrali la soddisfazione e il tempo dell’utente finale. La Serie S8 ha evidenziato ottime prestazioni nella capacità di aspirazione ma soprattutto nella gestione degli intasamenti dovuti alla presenza di capelli e nella gestione di autopulizia del contenitore della polvere e del panno. L’innovativo design DuoRoller Brush con due spazzole rotanti in direzioni opposte ha aumentato del 30% la capacità di rimozione dei capelli che combinata con la potente aspirazione di 6000Pa ha più che raddoppiato la capacità di pulizia. L’S8 vanta una potenza di aspirazione di 6,000 Pa e spazzole in gomma fluttuanti che eliminano la polvere in profondità. Con una batteria da 5200mAh, può funzionare per 180 minuti con una sola carica. ll Roborock S7 Max Ultra si presenta invece come un’eccellente opzione per coloro che cercano un robot aspirapolvere e lavapavimenti all-in-one di alto livello. Con il suo formidabile potere di pulizia, un’ampia varietà di funzioni questo robot si propone come una soluzione all’avanguardia per la pulizia del pavimento degli ambienti domestici. Dotato dell’esclusivo sistema di pulizia vibrante VibraRise di Roborock, l’S7 Max Ultra è in grado di sfregare i pavimenti con 3.000 vibrazioni ultrasoniche al minuto, applicando al contempo una pressione aggiuntiva di circa 600g. Roborock S7 MAX Ultra: Uno dei robot aspirapolvere più venduti.

F.P.L.




Agatha Christie, Hercule Poirot: the London Case, le indagini arrivano su Pc e console

Agatha Christie, Hercule Poirot: the London Case è un titolo per Pc è console che permette a chiunque abbia voglia di cimentarsi di entrare nella mente di uno degli investigatori privati più famosi di sempre. Nel corso dell’avventura sarà possibile indagare sfruttando tutte le abilità del re delle deduzioni per portare a soluzione un intricato caso apparentemente impossibile da risolvere. Riuscirà, dunque questo secondo capitolo a bissare il successo di Hercule Poirot: The First Cases? Andaimo a scoprirlo assieme nelle prossime righe. Il nuovo titolo della srerie è ambientato in un momento non meglio precisato della vita del detective, dopo gli eventi svoltisi nel primo gioco. Poirot viene ingaggiato dalla compagnia assicurativa Lloyd’s of London per proteggere un famoso dipinto raffigurante Maria Maddalena nel suo viaggio verso un prestigioso museo di Londra in occasione di una mostra. Sulla nave che trasporta l’opera, il detective farà la conoscenza di Arthur Hastings, che i fan dei libri conosceranno bene per essere uno storico assistente di Poirot in moltissimi casi. Qui lo si incontra come dipendente della compagnia di assicurazioni legata al quadro. Giunti a Londra, proprio il giorno dell’inaugurazione della mostra, il dipinto però viene rubato misteriosamente, ma quel che è peggio è che presto il detective Poirot si ritroverà a indagare non soltanto sulla scomparsa del quadro, ma anche su un caso di omicidio. Anche in questo titolo, proprio come nel suo predecessore, è presente un nutrito cast di personaggi, tutti legati, in un modo o nell’altro, ai misteriosi casi della scomparsa del quadro e dell’omicidio. Nel pieno stile dei romanzi di Agatha Christie, però, le apparenze inganneranno e ognuno dei comprimari avrà diversi oscuri segreti da celare all’acuta vista del nostro detective. La struttura narrativa di Hercule Poirot: The London Case, se paragonata direttamente al primo capitolo, funziona meglio in alcuni aspetti e peggio in altri. Il cast di personaggi, come già detto, è molto vario e interessante, ma una volta che tutti i nodi verranno al pettine ci si renderà conto che molti di loro sono poco approfonditi e meno importanti rispetto ad altri, con legami piuttosto deboli con il caso. A nostro avviso il cast del primo capitolo funzionava molto meglio, ma ciò non vuol comunque dire che in questo seguito non ci siano personaggi ben fatti, a iniziare dall’ottima rappresentazione di Hastings, che seguirà Poirot nelle sue indagini come un fedele assistente. Presente anche Zakariya Demir, personaggio già apparso nel precedente gioco e anche l’unico collegamento con questo. L’uomo è un gradito ritorno, con i suoi consigli e le sfide proposte all’orgoglioso detective. Troveremo poi un altro paio di personaggi molto interessanti, di cui non vogliamo svelarvi altro per non rovinarvi la sorpresa. Il titolo, sempre secondo il nostro punto di vista, riesce a rendere meglio, rispetto al primo gioco, l’orchestrazione del mistero dietro al trafugamento del quadro e al delitto, con alcuni colpi di scena inaspettati e ben fatti. Sicuramente un punto importante per una storia che fa di questi elementi il suo fulcro, come ogni buon giallo che si rispetti. In definitiva, il team di Blazing Griffin ha confezionato una buona storia in pieno stile romanzo giallo, che invoglia il giocatore a proseguire fino allo scorrere dei titoli di coda, raggiungibili in otto-dieci ore, a seconda del tempo impiegato per risolvere enigmi e formulare deduzioni. Il pregio principale del lavoro svolto dagli sviluppatori scozzesi risiede nelle atmosfere e nella resa dei personaggi, tutti perfettamente in linea con i toni tipici dei romanzi di Agatha Christie. Poirot stesso, in particolare, è reso davvero bene, sia nei dialoghi che nella sua caratterizzazione generale, anche se, come i fan più accaniti dell’investigatore sapranno, Poirot non era proprio longilineo come appare nel videogioco.

La struttura del gameplay di Agatha Christie, Hercule Poirot: The London Case è semplice e subordinata alla narrazione, ma è anche abbastanza strutturata. Non avrebbe avuto senso scrivere un giallo di Poirot, noto per la sua precisione al limite del fastidioso, in cui il detective non raggiunge una deduzione univoca e, quindi, con una trama non lineare. Pertanto il colpevole o i colpevoli sono individuati e isolati nella più classica delle scene “corali” di un romanzo di Agatha Christie, con tutti i personaggi radunati in una stanza chiusa e il protagonista che spiega per filo e per segno tutto ciò che ha scoperto. Ogni ritrovamento è propedeutico alla prosecuzione dei fatti e i capitoli funzionano più o meno così: una premessa riassume quel che è successo prima ed espone, a grandi linee, gli obiettivi futuri tramite cutscene animate in 3D, non più con semplici illustrazioni statiche come nel precedente. In realtà, questa scelta ci ha lasciati interdetti, perché se da un lato propone inquadrature e tagli più cinematografici, dall’altro la qualità e la mobilità dei modelli tridimensionali visti nei filmati lasciano un po’ a desiderare. Sia come sia, il prosieguo è sempre un’indagine dentro ambientazioni chiuse o limitate, piene di punti interattivi non sempre utili e anzi, spesso posti in loco come distrazioni. Se quando viene richiesto non si esamina attentamente “tutta la stanza” e non si trova ogni elemento per arricchire le “mappe mentali” del detective, non sono previsti suoni o guide luminose di supporto, perciò bisogna prepararsi a lunghe e lente passeggiate per setacciare palmo a palmo le aree. A tal proposito, vogliamo segnalare specifici “zoom” su parti delle location più importanti di altre. Quando se ne scova una la visuale passa in prima persona e bisogna utilizzare il “fiuto di Poirot” per scovare il maggior numero di prove, che si aggiungono in automatico a quelle rinvenute con la visuale isometrica. L’azione si conclude proprio tra i pensieri dell’investigatore, che vanno uniti nelle mappe mentali e sbloccano le ultime rivelazioni e idee di Hercule. Con tutti gli strumenti accumulati, infine, egli può affermare con assoluta certezza ai diretti interessati “sei tu il/la colpevole!”. Rispetto a The First Case, il processo di indagine si è fatto più sfaccettato. Abbiamo apprezzato che i modelli 3D e le texture in alta risoluzione siano stati adoperati per aggiungere profondità al titolo con le nuove meccaniche, ma a quale prezzo? Gli utensili che sbloccano porte o risolvono enigmi minori sono spesso mimetizzati fin troppo bene. La presenza di Hastings, è doveroso aggiungere, non è importante solo per la trama, ma parlare con lui sarà utile anche per ricapitolare meglio quanto scoperto fino a un determinato momento, evidenziando le prove, selezionabili tra quelle rinvenute, per confermare le tesi elaborate da Poirot sul caso. Sono poi presenti molti enigmi da risolvere, molti di più rispetto al precedente capitolo, legati soprattutto alla ricerca delle combinazioni di casseforti. Questi garantiranno una maggior sfida e doneranno varietà alle indagini, ma senza essere mai realmente troppo complessi o elaborati. Hercule Poirot: The London Case è insomma un gioco molto guidato, che sacrifica la difficoltà per il bene della scorrevolezza della narrazione, proprio per dare ai giocatori l’impressione di trovarsi dentro una storia in cui si vestono i panni di Poirot, sia essa letteraria o cinematografica. Bloccarsi è impossibile e sbagliare non porta a conseguenze, anche quando si faranno deduzioni cruciali nei dialoghi con gli indiziati: se si commetterà un errore, Poirot dirà semplicemente che quell’opzione non è corretta e permetterà al giocatore di riprovare finché non troverà la risposta giusta. Il gioco vuole essere un’avventura investigativa accessibile a tutti, in grado di offrire un po’ di sfida, tra enigmi e deduzioni, ma senza esagerare, in modo che anche chi non è molto pratico del genere possa arrivare senza troppi problemi alla conclusione della storia. I giocatori che prediligono un approccio più hardcore probabilmente non apprezzeranno queste scelte di design, ma è chiaro che The London Case non sia pensato per loro. Molto buono il doppiaggio inglese, soprattutto la voce di Poirot, che riesce a rendere bene il carattere del protagonista. Tirando le somme dunque questo Agata Christie, Hercule Poirot: the London Case è un titolo dedicato agli amanti dell’autrice che vogliono vivere un caso inedito senza imbattersi in grandi difficoltà, ma agendo come se si stesse leggendo un libro o vedendo un film. Un buon passatempo, questo è innegabile, che però riduce la rigiocabilità in maniera categorica.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5

Sonoro: 7,5

Gameplay: 7,5

Longevità: 7

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise




Armored Core VI: Fires of Rubicon, From Software colpisce ancora

Armored Core 6: Fires of Rubicon è l’ultimo capitolo della saga targata From Software che vede il combattimento fra mecha giapponesi al centro dell’esperienza. A 10 anni dall’ultimo capitolo e dopo il successo di Elden Ring, la software house nipponica ha portato su Pc e sulle console della famiglia PlayStation e Xbox un episodio del tutto nuovo che si presenta come uno fra i migliori titoli del suo genere. Ma veniamo al dunque: una volta avviato il gioco si viene subito lanciati nella storia. Sul pianeta Rubicon 3, l’umanità ha scoperto una fonte di energia, chiamata Coral, in grado di incrementare in maniera esponenziale il progresso tecnologico. Come da sempre nelle migliori produzioni mediatiche sci-fi, quando si parla della capacità di gestirsi del genere umano, la nostra razza non è mai molto capace e finisce sempre male. Infatti, in Armored Core VI l’abuso di questa sostanza ha causato un disastro naturale, il quale ha avvolto l’intero pianeta fra le fiamme, segnando la temporanea fine di Rubicon 3. Cinquecento anni dopo, però, il Coral riaffiora sulla superficie di un Rubicon 3 oramai abbandonato e in stato di perenne quarantena. Differenti fronti del genere umano, di fronte a questa scoperta, pensano che sia una buona idea ritornare sul pianeta per combattersi e quindi per avere il controllo della preziosa sostanza, dimostrando chiaramente che la storia non insegna nulla e che la razza umana brama il potere prima di tutto. In questo contesto socio-politico, il quale vede rivoluzionari, terroristi e mega-corporazioni contendersi il controllo del Coral su Rubicon 3, i giocatori vestiranno i panni di 621, un pilota al soldo della compagnia di mercenari gestita da Handler Walter, il quale prenderà incarichi da ognuno dei fronti coinvolti nella guerra per il Coral, rimanendo in una posizione neutrale rispetto al conflitto. Il passato di 621, però, nasconde dei segreti che potrebbero stravolgere tutto. L’incipit narrativo, così come la gestione della progressione della trama di Amored Core VI, sono perfettamente in linea con il passato della saga. Il gioco, infatti, si sviluppa attraverso una serie di capitoli suddivisi a loro volta in molteplici missioni di durata variabile. La storia, per lo più, viene narrata al termine delle varie missioni e durante i briefing preliminari di queste ultime. Le cutscene ci sono, e sono anche ben realizzate, ma tutto viene raccontato attraverso le comunicazioni radio che faranno da colonna sonora all’avventura di 621. Insomma, l’iter di gioco è sempre lo stesso: si avvia una missione, si ascolta il briefing preliminare, si eseguono i vari compiti nell’area di Rubicon in cui si verrà inviati, si ritorna alla base, si contano i soldi incassati e li si spende per migliorare il proprio mecha. Il tutto ascoltando le varie comunicazioni radio, le quali permettono di comprendere di più in merito alla lore del gioco e di capire quanto sia salita la reputazione di 621 come mercenario. Tutto molto classico; tutto molto in linea con il desiderio di FromSoftware di creare un capitolo che riprendesse lo spirito della serie. Se ci si aspetta un titolo open-world, con dinamiche da Souls-Like e una trama intricata, Amored Core VI non fa al caso vostro. Su Rubicon 3 si spara tanto, si legge poco e si modificano i mecha in ogni minimo dettaglio, sia estetico che tecnico. Prima di esplorare il gameplay di questo ultimo titolo targato From Software è bene sottolineare un aspetto legato alla longevità: la prima run di Amored Core VI potrebbe sembrare eccessivamente breve e, per certi versi, inconcludente. Almeno fino a quando non si comprende che per poter sbloccare tutto quello che il titolo ha realmente da offrire in termini narrativi e di contenuti è necessario concludere tre volte il gioco. Non vogliamo fare spoiler di alcuna natura a riguardo, ma sappiate che se volete godere pienamente del titolo, portarlo a termine una volta sola non basterà, ma anzi, così facendo si rischia di perdere molto. Proprio come accadeva in Nier Automata.

Parlando invece di gameplay, Armored Core VI, come già annunciato qualche riga più in alto, ruota attorno a due fattori chiave: l’azione e la personalizzazione dell’AC. Chi è già familiare con la serie sa che non si tratta esclusivamente di ritocchi estetici bensì della messa a punto di vere e proprie build che mai come in questo sesto capitolo sono fondamentali per superare le boss fight. Qui però si presenta il primo neo della produzione. A dispetto della quantità di elementi, da comprare due volte nel caso delle armi per braccia e spalle, ci si rende presto conto che pochi di essi sono realmente efficaci contro i boss di fine missione. Certo, è possibile sbizzarrirsi nel corso della storia con build stravaganti, azzardate e a volte curiosamente efficaci, salvo poi finire in mille pezzi nella battaglia conclusiva con la sua a tratti assurda curva di difficoltà. In particolare c’è un boss che richiede l’uso di una specifica configurazione dell’AC se si vuole uscirne vivi: qualunque altra significa quasi sempre morte certa. Il punto però è che un più che discreto numero di componenti cozza quando si tratta di affrontare la vera minaccia della missione; a volte ci si incastra anche nel corso della stessa ma in genere è dovuto al fatto di non sapere a cosa si vada incontro e non essere equipaggiati a dovere. Ben diverso dalla necessità di assemblare una build specifica per uscirne vincitori. Le difficoltà nelle bossfight di Armored Core VI spaziano dai tempi di cooldown assenti o estremamente ridotti, che non si arriva a eguagliare neppure con l’equipaggiamento migliore, a un consumo dell’energia altrettanto ridotto all’osso. Su quest’ultimo punto pesa di più l’utilizzo dei componenti indicati ma la differenza tra noi e loro è in ogni caso sensibile. Questo fortunatamente non vale per tutti i boss, anzi possiamo dire che succede nello specifico con uno, forse due di essi volendo estendere un po’ la questione, ma nonostante ciò il problema è che accade con quelli obbligatori a livello di trama: se Malenia poteva essere “perdonata” poiché facoltativa, sebbene poi si andasse incontro alla pessima (e obbligatoria) Elden Beast, Armored Core VI offre una serie di boss opzionali risibili laddove invece pochi principali rappresentano un assurdo picco nella difficoltà, sballandone completamente la curva. La difficoltà può concedersi di essere un po’ artificiale, se serve a dare un maggior senso di sfida, ci sono però confini che non dovrebbe superare perché altrimenti si va a vanificare gli sforzi del giocatore: si perde non perché non si è capaci abbastanza ma perché l’IA è inadeguatamente potenziata. Obbligando così a seguire un percorso a senso unico, una build che magari va persino contro lo stile di gioco del giocatore e che rappresenta tuttavia la sua unica speranza di successo. Una logica questa che a volte vanifica la quantità di elementi a disposizione per mettere a punto il proprio AC. A dar fastidio a chi gioca ci pensano poi altri due elementi, ossia: la telecamera, che persino con la sensibilità al massimo livello non riesce a stare dietro alla velocità e frequenza di spostamento di certi nemici, e la gestione dell’hard lock-on, che non sempre resta fissa sul bersaglio costringendo a riattivarla. From Software non è certo nuova soprattutto a una gestione della telecamera discutibile e, seppur vero che in questo caso il Fire Control System (FCS) è un accessorio più che indispensabile per mantenere l’obiettivo sempre sotto tiro a seconda della distanza, la telecamera riesce ancora a creare non poche difficoltà in partita. Non scordiamo inoltre che Armored Core in generale non è un gioco dove si può vincere anche senza aggancio: la mira manuale è un’opzione che si tiene in considerazione solo se si è veterani assoluti della serie e soprattutto se si utilizzano mouse e tastiera. Sperare di ottenere risultati decenti con un controller non è assolutamente consigliabile.

A parte i fattori sopra elencati, comunque, Armored Core VI ha tante belle cose da offrie: ad esempio il movimento omnidirezionale, che aiuta a inscenare battaglie frenetiche in cui la mobilità a terra e in volo risulta fluida e reattiva. Ovviamente se si opta per un Mecha che somiglia a un cingolato pesante è ovvio che esso non volerà veloce e leggiadro come una farfalla. Ne risultano scontri in cui la consapevolezza dei dintorni e la gestione degli stessi sono fondamentali per non subire troppi danni, tenendo conto del fatto che si hanno a disposizione solo tre kit di riparazione a missione (la cui efficacia può essere migliorata). Non si tratta di un aspetto tattico sempre presente, poiché la difficoltà delle missioni non è proibitiva e il giusto equipaggiamento può permettere di decimare le fila nemiche senza preoccuparsi troppo degli spostamenti, ci sono però casi in cui occorre prenderlo in considerazione. In generale, la maggiore mobilità è un aspetto graditissimo che dona agli scontri la giusta immersività limando le vecchie goffaggini. La caratteristica tuttavia migliore del gioco a nostro avviso è la presenza dell’SCA. L’indicatore in questione si riempie in base alla frequenza dei colpi inferti o ricevuti, a seconda che si parli del nemico o di noi, e una volta raggiunto il punto di rottura manda l’AC in stallo per breve tempo; sufficiente, tuttavia, a ribaltare la situazione. Come in Sekiro, l’indicatore si svuota se non si subiscono danni per diverso tempo ma la principale differenza è che “stordire” un nemico non è l’obiettivo: se il Lupo trovava forza, nonché la conclusione dello scontro, nello spezzare la guardia al nemico per mettere a segno il colpo di grazia, in Armored Core VI riempire l’indicatore SCA è una tattica fondamentale per portarsi in vantaggio, non per porre fine immediata a un combattimento. Essendo le armi a disposizione soggette a tempi di caricamento variabili, o a temporanee condizioni di surriscaldamento, è importante pianificare con estrema cura la rottura dell’SCA altrimenti il rischio è di trovarsi davanti a un nemico scoperto e non avere nessun’arma carica per riuscire a infliggere danni seri. Si configura dunque una maggiore necessità strategica, laddove in Sekiro era invece fondamentale mantenere una costante aggressività. In Armored Core VI occorre trovare il giusto bilanciamento tra le parti, poiché lo stordimento è sempre di breve durata, variabile a seconda del nemico, e persino un paio di secondi persi nel caricare le armi fanno la differenza. La questione non è dunque caricare a testa bassa scaricando tutta la potenza di fuoco a disposizione sul memico prima che apra il fuoco su di noi, ma prima di tutto scegliere se puntare sulla rottura dell’SCA e quindi armarsi di conseguenza; in secondo luogo essere sempre consapevoli dello stato del proprio equipaggiamento, così da non sprecare un’occasione che potrebbe non ripetersi. L’SCA infatti non è un indicatore semplice da riempire: ci sono armi più indicate così come nemici che lo ripristinano velocemente rispetto ad altri. Ognuno è a sé, motivo per cui bisogna capire se e in che modo occorre approfittarne, avendo in ogni caso un occhio di riguardo per il proprio: l’IA infatti non perde occasione per approfittarne, infliggendo un discreto quantitativo di danni qualora dovesse stordire il protagonista. Proprio grazie a tale sistema Armored Core è un titolo molto interessante e che spinge a dare sempre il meglio. Passando alle armi da fuoco, è necessario dire che non tutte si rivelano efficaci allo stesso contro i nemici. Ad esempio affrontare mezzi pesanti armati di magnum e mitragliette equivale a morte certa. Il fatto di poter equipaggiare quattro armi, due sulle spalle e due in mano, permette però di equipaggiarsi in modo da poter affrontare un po’ tutte le minacce. Questo è tendenzialmente il tipo di strategia che si adotta la prima volta in cui si affronta una missione, rifinendola poi una volta consapevoli di cosa bisogna affrontare. In generale, a prescindere da come si preferisce mettere a punto il proprio AC, è buona norma avere almeno un’arma per tipo e la ragione non può essere più semplice. From Software ha, per fortuna, deciso di non infierire fino in fondo inserendo la possibilità di ripartire da un punto di salvataggio nel caso si venga sconfitti, specialmente nelle boss fight, ma soprattutto di riassemblare il proprio AC: si tratta di un’opzione disponibile solo in caso di sconfitta e, se non si sta cercando di ambire al grado S, è da cogliere al volo per non dover ricominciare la missione da capo. Tuttavia, ed è logico, si può accedere unicamente all’assemblaggio dell’AC, non al negozio: ciò significa che se si è proprietari di un equipaggiamento migliore, esso può essere montato e si può riprovare lo scontro. Se invece i pezzi da sostituire non sono stati acquistati, è necessario abbandonare la missione, comprare ciò che serve e ricominciarla da capo. Sebbene a volte possa essere frustrante, non avendo alcuna idea di cosa ci sia in attesa a fine livello, giocare d’anticipo spendendo qualche soldo in più è sempre la scelta migliore. Fare in modo di accedere al negozio dopo una sconfitta sarebbe stato fin troppo semplice anche per uno studio diverso da From Software, la cui inclinazione a favorire i giocatori non è di casa. Nel complesso, tenendo in considerazione le critiche in merito alla telecamera e alla curva di difficoltà eccessiva nel corso della trama, una volta presa la mano il sistema di combattimento restituisce una piacevole sensazione di frenesia e di potenza.

Armored Core VI, oltre alla campagna offre anche una modalità multigiocatore PVP. In essa differentemente dalla modalità single player, l’enorme personalizzazione del proprio mecha assume tutto un altro spessore. Ogni giocatore delle due rispettive squadre, difatti, scende in campo con il suo mecha e questo da vita alla creazione delle più disparate build che asservano sia agli obiettivi individuali, che a quelli di squadra. Al momento, inoltre, tutto sembra molto ben bilanciato ma bisogna aspettare di vedere come si svilupperà il PVP non appena la maggior parte dei giocatori avrà accesso alla componentistica end-game. Attualmente, però, il multigiocatore competitivo di Armored Core VI risulta molto cavalleresco con un focus molto elevato sugli scontri 1V1 e con le azioni di squadra confinate ai momenti in cui è necessario sinergizzare le offensive per ottenere dei risultati efficaci. Dal punto di vista estetico Amored Core VI è davvero impressionante, non c’è che dire. Il colpo d’occhio offerto è sempre ottimo, le cinematiche sono ben confezionate e il motore di gioco risulta sfruttato a dovere. Abbiamo provato il titolo su Xbox Series X, in modalità performance, e non ho abbiamo ad alcun calo di frame rate. Artisticamente poi il titolo From Software è squisito e mostra chiaramente perché la software house nipponica, abbia aspettato di avere a disposizione i mezzi tecnici necessari per realizzare quello che aveva in mente da quasi dieci anni. Le ambientazioni reincarnano quella sensazione di solitudine, mista a malinconia, che da sempre accompagnano la serie. Spostarsi in aree desolate, che apparentemente sembrano semplici conformazioni metalliche in rovina, e notare solo successivamente che si tratta di palazzi abbandonati, oramai sommersi dalla sabbia o corrosi dal clima di Rubicon 3, è una sensazione tanto difficile da spiegare a parole, quanto capace di ammaliare quando si notano la moltitudine di piccoli dettagli disseminati qua e la dagli sviluppatori. Le dimensioni imponenti degli AC, e di tutte le altre tipologie di veicoli, vengono restituite da un notevole lavoro di level design, il quale sfrutta elementi della nostra vita quotidiana, come un banale traliccio della corrente, per far realizzare silenziosamente quanto gargantuesche siano le dimensioni del nostro mecha e di alcune delle minacce che andremo ad affrontare. Amored Core VI, infine, come da tradizione per le produzioni di FromSoftware distribuite da Bandai Namco, presenta la localizzazione in Italiano solamente per quanto concerne i testi, lasciando all’utente la possibilità di scegliere fra il doppiaggio originale in Giapponese o quello in Inglese. Tirando le somme, quest’ultimo esponente della saga ha tutte le carte in regola per diventare uno fra i titoli più apprezzati del momento. La grande versatilità dei mecha e la buona longevità fanno di questo titolo una vera chicca per gli amanti del genere, ma anche un ottimo punto di partenza per chi non ha mai messo piede a bordo di un AC.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9

Sonoro: 9

Gameplay: 8,5

Longevità: 9

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




Android 14, a ottobre il debutto del nuovo Os mobile di Google

Android 14 si prepara al debutto. Il 4 ottobre è considerato il giorno di lancio dei Pixel 8 e 8 Pro. I nuovi smartphone di Google, che nelle ultime ore sono apparsi online in foto e video ufficiosi, infatti, gireranno con il sistema operativo Android 14. Il software dovrebbe essere lanciato proprio in concomitanza con la presentazione dei due telefonini per poi approdare, entro la fine dell’anno, sugli smartphone dei principali produttori, a partire da Samsung. Tante le novità attese di Android 14, sin dal cambio di nome e logo. Adesso, il sistema operativo vede una prima lettera maiuscola e non più minuscola, con le sembianze del “robottino” verde che acquisiscono una fisionomia in 3D. Il logo aggiornato e la nuova brand identity, secondo quanto affermato da Google, “appariranno sui dispositivi Android a partire da quest’anno”. A livello di funzioni, Android 14 vedrà l’arrivo di un nuovo widget, chiamato Assistant At a Glance. Questo fornirà informazioni utili come avvisi meteo, promemoria degli eventi e aggiornamenti sui viaggi. Il widget usa l’intelligenza artificiale per mostrare i vari dettagli personalizzati per singolo utente. In linea con l’idea di digital wallet, su Android 14 si potrà aggiungere all’app Wallet tutte le principali tessere in possesso, come avviene già su app di terze parti. Basterà scansionare codici a barre e Qr code per digitalizzarli e portare sempre con sé carte fedeltà o sistemi di accesso a strutture, come le palestre e gli stadi. Spazio anche per l’accessibilità: Image Q&A su Lookout è la funzione pensata per non vedenti e ipovedenti che usa i comandi vocali per ottenere indicazioni audio su quello che sta passando sullo schermo del telefonino, ad esempio contenuti social o cercati sul web. Anche in questo caso, l’IA di Google contribuirà a “spiegare” in maniera dettagliata le immagini per chi ha difficoltà o impossibilità visive. In termini di sicurezza, Google ha ridisegnato l’app Emergenze, con l’obiettivo di semplificare la condivisione della propria posizione in tempo reale e accedere velocemente ai numeri di sicurezza in caso di necessità.

F.P.L.




Puffi Kart, corse sfrenate su minibolidi scatenati

Puffi e motori, gioie e dolori. Eh si perché Puffi Kart, l’ennesimo videogame in stile Mario Kart ha un’ottima idea di base, ma per via dell’inflazionatissimo tipo di gioco non riesce proprio a spiccare il volo. Il gioco, uscito lo scorso novembre su Nintendo Switch, è finalmente approdato su altre console ma purtroppo, ben poco è cambiato dalla prima release. Ci saremmo aspettati qualche miglioria degna di nota visto il potenziale offerto da Ps5 e Xbox Series X/S, ma purtroppo ciò non è avvenuto. Puffi Kart presenta purtroppo le stesse, grosse, problematiche che erano presenti con la prima release, ossia: pochi contenuti e poca varietà. Una volta avviato il gioco ci sono tre modalità a disposizione dei giocatori: Prova a Tempo, dove bisogna confrontarsi con tre diversi tempi che corrispondono a Bronzo, Argento e Oro; Gara Libera, dove si può scegliere il proprio circuito preferito dove correre e regolare vari parametri a piacimento; Coppa, dove bisogna affrontare un campionato e vincere le rispettive medaglie. Infine, è presente anche la modalità multigiocatore, quest’ultima limitata al locale fino a un massimo di quattro giocatori. In Puffi Kart sono presenti dodici circuiti, che possono diventare ventiquattro una volta sbloccata la versione al contrario. Le piste presentano solitamente un layout anche piuttosto accettabile, soprattutto se si ha poca familiarità col genere, ma che finiscono presto con il venire a noia piuttosto presto proprio perché di numero ridotto e soprattutto privi di stimoli per la rigiocabilità. Ogni singolo tracciato presenta un paio di scorciatoie o percorsi alternativi, ma nulla di particolarmente memorabile. Apprezzabile, quantomeno, la presenza di diversi elementi riconoscibili. Ci si potrà infatti imbattere in Gargamella intento a studiare se nell’orata all’acqua calda ci vada o meno il pachino; oppure il suo fidato gatto Birba, intento a dormire sul tetto della dimora dello stregone. Purtroppo però i lati negativi non finiscono qui, questi circuiti purtroppo non brillano nemmeno dal punto di vista estetico e non reggono il passo con le musiche, queste fortunatamente molto coinvolgenti. Graficamente, le piste presentano più di una lacuna, tra texture slavate, una mole poligonale abbastanza scarsa e un’illuminazione tutto tranne che perfetta, e la scarsa direzione artistica aiuta a enfatizzare il tutto. Non mancano inoltre problemi di telecamera che rendono alcune sequenze più confusionarie del dovuto. La già citata scarsità di poligoni si nota anche sui protagonisti del gioco: i Puffi stessi e i loro Kart. E purtroppo, questo non è l’unico problema che affligge i piccoli esserini blu.

A livello contenutistico in puffi Kart si avrà la possibilità di scegliere fra 12 Puffi diversi ma, a conti fatti, sono tutti troppo simili tra loro, quasi indistinguibili. L’unica differenza consiste in una singola abilità che si potrà utilizzare per vincere contro gli altri Puffi, sia essa un turbo più prolungato oppure un oggetto che i rivali non possono avere. Pad alla mano, però, tutti i Kart si guidano alla stessa identica maniera. Un gran peccato, perché i mezzi in questione sono esteticamente molto ispirati. Il Kart di Puffo Inventore, ad esempio, si presenta con un aspetto molto più tecnologico rispetto a quello di Grande Puffo, mentre quello di Puffetta è caratterizzato da colori più vivaci che rispecchiano il suo personaggio. Sui circuiti, come di consueto, si possono raccogliere diversi oggetti, da bacche con cui liberarsi di pacchi bomba rognosi a ghiande da scagliare contro gli avversari, passando per tornado, capaci di far andare molto più veloci degli altri e rovinando anche la loro corsa, o le vespe, l’equivalente dei razzi di Mario Kart che colpiscono e rallentano per qualche secondo il bersaglio. A questi si aggiungono poi i soliti “trucchi” visti in altri titoli di questo genere, come l’uso della derapata per accumulare abbastanza turbo da usare poi per ottenere uno sprint proporzionale alla durata della derapata. Quest’ultima rappresenta un ottimo modo per affrontare velocemente una curva e guadagnare terreno sigli avversari. Non aiuta, inoltre, l’assenza di una vera progressione. Una volta avviato il gioco, ci si troverà infatti tutti i contenuti subito sbloccati. È doveroso far notare che questo potrebbe essere un vantaggio per chi è semplicemente alla ricerca di un gioco da avviare sul momento per far divertire i propri bambini, ma è al tempo stesso non c’è nulla che spinga qualcuno ad avviare il gioco per sbloccare una determinata pista particolare o un personaggio o un’abilità. Si può dire che l’unico elemento di rigiocabilità è dato dal perfezionamento delle traiettorie e dagli elementi collezionabili: ben 110 adesivi differenti da guardare nel menu apposito. Essi consistono in immagini tratte dal cartone che rappresentano i Puffi in svariati outfit, così come Gargamella o il suo fidato gatto. Tirando le somme quindi questo Puffi kart è altamente sconsigliato a chi cerca un videogame che possa essere giocato e rigiocato per ore ed ore. Diciamo che rappresenta più che altro un punto d’inizio per chi non si è mai avvicinato al genere o per far divertire i propri figli. Intendiamoci, non è un brutto gioco, solo che nel 2023, soprattutto vista la concorrenza, da un titolo del genere ci si aspetta qualcosa in più.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 8,5

Gameplay: 7

Longevità: 7

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise




Huawei Mate X3 il nuovo smartphone pieghevole di fascia alta

Huawei Mate X3 è il nuovo smartphone pieghevole di ultima generazione. Il settore di questi particolarissimi telefoni è in continuo fermento, proprio per tale ragione in questo 2023, già diverse aziende hanno svelato i loro modelli e Huawei non ha voluto essere da meno. Il gigante cinese ha presentato qualche giorno fa in Germania la proposta europea dei suoi nuovi prodotti hi-tech, tra cui il Mate X3. Sui “foldable” Huawei ha sempre puntato parecchio e questo modello ne è la conferma. Rivisto nel design e funzionalità, di fatto il pieghevole ridefinisce gli standard di settore, a partire dal design. Secondo il produttore, il Mate X3 è lo smartphone con display flessibile più sottile al mondo, con uno spessore di 11,08 mm da chiuso e 5,3 mm da aperto. L’estetica viene valorizzata da una costruzione più curva sui quattro lati del pannello, il che rende più semplice e sicura l’impugnatura, nonostante l’ampiezza del pannello. Un risultato che è stato possibile raggiungere grazie all’utilizzo di alluminio e fibra di carbonio ultraleggeri, oltre che un ingresso più piccolo per la ricarica Usb-C. Il Mate X3 ha inoltre la certificazione Ipx8 per la resistenza all’acqua: il display rimane reattivo ai tocchi anche se bagnato. Lo schermo esterno, protetto con Kunlun Glass, è un Oled da 6,4 pollici, mentre quello interno ha una diagonale da 7,85 pollici, sempre Oled. Per garantire la massima tranquillità per tutto il giorno, Huawei Mate X3 dispone per la prima volta della doppia certificazione svizzera SGS five-star, per la resistenza di entrambi i display agli urti. Per ottimizzare la connettività in contesti come metropolitane o garage e in scenari di utilizzo sempre più complessi, il dispositivo introduce una tecnologia di comunicazione aggiornata, che garantisce agli utenti una potenza del segnale di alta qualità senza problemi. Il Wrap-Around Antenna Design aumenta efficacemente la potenza del segnale quando lo smartphone è aperto, mentre l’Intelligent Dual-Mode Tuning migliora la potenza del segnale quando il telefono è piegato. Ancora design, anche quando si parla di multimedialità. Ispirato agli oblò delle stazioni spaziali, il layout della fotocamera posteriore presenta un aspetto futuristico, con una lama diamantata personalizzata, un processo che richiede 29 passaggi e 12 ore. La fotocamera principale Xmage Ultra Vision è da 50 megapixel ed è affiancata da una fotocamera ultra-grandangolare da 13 megapixel e da un teleobiettivo a lenti periscopiche da 12 megapixel, che supporta uno zoom ottico 5x. Il Mate X3 è disponibile su Huawei Store, nelle colorazioni Feather-Sand Glass nera e nella versione Vegan in pelle verde scuro, al prezzo di 2199,90 euro in versione 12+512GB. Fino al 5 Giugno, sarà possibile ottenere in regalo con l’acquisto anche un Watch GT3 46mm Active Black oppure un Watch GT3 42mm Elegant White. Con Mate X3 Huawei si piazza fra le aziende di maggior spicco di smartphone pieghevoli proponendo un prodotto estremamente prestante e competitivo. Riuscirà a conquistare il cuore degli appassionati nonostante il prezzo non sia proprio alla portata di tutti? Non resta altro che aspettare per scoprirlo.

F.P.L.




Quake II Remastered, il capolavoro del 1997 torna in vita

Quake II torna in versione rimasterizzata per tutti i fan di vecchia data e per le nuove generazioni di giocatori. Il lavoro svolto dal team di sviluppo però è davvero così ben fatto che il titolo dovrebbe finire nei manuali destinati agli sviluppatori di tutto il mondo, per far vedere come andrebbe fatta una remastered. Il concetto su cui si è basato lo studio di sviluppo, del resto, è tanto semplice quanto efficace. Mantenere intatto il videogioco originale e al tempo stesso, aggiornare, ampliare, estendere. Questa nova versione di Quake II però accontenta tutti in quanto i più nostalgici e chi è in cerca dell’esperienza originale possono rigiocarsi il videogioco con lo stesso aspetto estetico che aveva nel 1997, anno della sua release originaria. Volendo, inoltre, è anche possibile attivare un filtro che simula l’effetto degli schermi dei vecchi CRT, così da restituire interamente il feeling visivo di una volta. Per chi invece cerca un approccio più moderno, Nightdive Studios si è ovviamente spesa per migliorare il comparto grafico del gioco. Selezionando la giusta voce nell’apposito menù, si assiste al globale rimaneggiamento dell’estetica di Quake II. Certo, non non bisogna aspettarsi un restyling totale, in quanto l’originale è ancora lì, ben visibile. Non si tratta di un remake, del resto. Eppure, le migliorie sono molteplici e tutte graditissime. Anti-aliasing, profondità di campo, ombre dinamiche, effettistica globalmente migliorata, texture ripulite, modelli poligonali rivisti, 120fps e 4K su PlayStation 5, Xbox Series e PC. Il gioco, insomma, pur non nascondendo la sua età, si presenta in forma smagliante s monitor e televisori di ultima generazione. Anche su Nintendo Switch, dove frame rate e risoluzione sono ovviamente inferiori, Quake II non sfigura affatto, con il vantaggio tutt’altro che secondario di potersi portare in giro il capolavoro senza tempo di id Software.

Anche per quanto riguarda il lato contenuti questa edizione rimasterizzata di Quake II è assolutamente promossa a pieni voti, infatti a rendere ancora più invitante il titolo è la presenza di “Call of the Machine”, un’espansione del tutto inedita e realizzata appositamente per l’occasione. Inoltre, gli appassionati della saga potranno rigiocare con Quake II 64, versione completamente differente da quella pubblicata su PC, pensata appositamente ed esclusivamente per il vecchio Nintendo 64. Oggi, come allora del resto, di tutto il pacchetto questa è senza dubbio l’offerta più debole. Schiacciato da un’orizzontalità dovuta alla difficoltà dovute all’utilizzo del pad, invece che di mouse e tastiera, il level design pecca anche di un’ostentata linearità, oltre che di una semplicità marcatissima già per l’epoca. Molto meglio la versione che tutti conoscono di Quake II, ancora perfettamente in grado di tenere i giocatori incollati allo schermo. Certo, chi è cresciuto a pane e FPS moderni come Halo e Call of Duty potranno sorridere teneramente della basilarità del level design e dell’artigianalità del gunplay. Eppure, tra una sparatoria e l’altra, anche i giocatori più pretenziosi si ritroveranno a passare molte ore di divertimento “old style”. Il merito va ricercato in una serie di elementi ancora in grado di far splendere questo gioco di luce propria: la varietà dei nemici da affrontare, tanto per cominciare, l’ampiezza dell’armamento utilizzabile, lo squisito feedback ad ogni colpo esploso, il ritmo incalzante dell’avventura, l’immaginario scaturito dalla lotta interplanetaria che gli umani decidono di spostare sul mondo natale degli alieni ostili che minacciano la sopravvivenza della nostra specie e molto altro ancora. Ovviamente il level design nonostante sia stato realizzato nel lontano 1997 è ancora in grado di sorprendere grazie ad ampie aree da esplorare a caccia di collezionabili o strade secondarie con cui ingaggiare il nemico.

Oltre al gioco base in questa Quake II remastered non mancano anche le due espansioni classiche, ovvero “The Reckoning” e “Ground Zero”, anch’esse giocabili nelle loro versioni originali, cioè senza upgrade grafici di sorta. A rendere ancora più invitante questa remastered del titolo, venduta tra l’altro a meno di dieci euro e inclusa nell’Xbox Game Pass, è come già detto la presenza di “Call of the Machine”, ulteriore espansione inedita e realizzata per l’occasione. Con i suoi 28 livelli questa nuova avventura è in grado di aggiungere un’ulteriore mezza dozzina di ore di intrattenimento almeno, che si sommano alle quasi venti degli altri contenuti, compresa la versione del gioco per Nintendo 64. Come se non bastasse, nella Quake II remastered torna il multiplayer, anche in locale con il caro e vecchio split-screen a quattro giocatori. Tra deathmatch e cattura la bandiera, anche in quest’ambito non mancano certo dei contenuti con cui intrattenersi. A ben vedere, tuttavia, questo è certamente l’aspetto del gioco che è più invecchiato e che potrebbe faticare ad entrare nel cuore dei giocatori. Se il single player conserva un fascino tutto suo, ovviamente a patto di apprezzare il gusto retrò di questo sparatutto in prima persona, sfidando altri giocatori online la macchinosità del sistema di controllo e la sostanziale linearità delle arene di scontro potrebbero annoiare i giocatori più giovani. Tuttavia, per qualche breve massacro con gli amici di un tempo, la remastered di Quake II è in grado di intrattenere più che a dovere. Tirando le somme quindi, questa nuova edizione del capolavoro del 1997 è una vera e propria lettera d’amore per tutti gli appassionati di vecchia data, ma è anche un bellissimo titolo da gustare per chi si avvicina per la prima volta a questa perla tirata a lucido 26 anni dopo dal lancio originale. Credeteci, lasciarsela sfuggire sarebbe davvero un peccato.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 9

Gameplay: 8,5

Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise