Assassin’s Creed Mirage, Ubisoft torna alle origini con un gioco dall’effetto nostalgia

Assassin’s Creed Mirage è il nuovo titolo della serie videoludica di Ubisoft per Pc, Xbox e PlayStation. Questa volta la software House Francese mette il giocatore nei panni di Basim Ibn Ishaq, un volto già noto a chi ha già giocato a Valhalla. Le avventure del protagonista infatti sono ambientate vent’anni dopo le vicende narrate nell’episodio ambientato nell’epoca dei vichinghi. Il titolo, c’è da dire prima di passare all’analisi vera e propria, non gode di una longevità paragonabile ai primi episodi in quanto da principio era stato pensato come espansione di Valhalla. Divenuto in seguito il capitolo che oggi andiamo a recensire, Assassin’s Creed Mirage rappresenta un vero e proprio flashback per gli amanti della saga in quanto abbandona lo stile open world di Origins, Odissey e Valhalla, per abbracciare una giocabilità più simile a quanto visto fino ad Assassin’s Creed Syndacate. Evitando spoiler a coloro i quali non hanno ancora vissuto la lunga epopea di Eivor in prima persona, possiamo dire che Mirage funge da classica storia di origine per un personaggio che i giocatori hanno già conosciuto nel pieno della sua maturità, quando già rivestiva un ruolo prominente all’interno dell’organizzazione degli Occulti, precursori degli Assassini. L’incipit di Assassin’S Creed Mirage, invece, lo vede giovane e scapestrato, sbruffone dal cuore tenero, a barcamenarsi tra piccoli furti, raggiri e lavoretti di giornata tra i vicoli polverosi di un sobborgo di Baghdad nel IX secolo. Invaghitosi della nomea di rivoluzionari e dell’aura di mistero che circonda gli Occulti, il giovane protagonista decide così di sfruttare la prima occasione che gli si presenta per farsi notare da questi ultimi. Purtroppo per lui, e nonostante i consigli contrari della sua compagna d’infanzia, la sua decisione si rivela a dir poco avventata, e porta a conseguenze terribili per tutte le persone che gravitano attorno a Basim, l’unico che riesce a fuggire lasciandosi dietro morte e distruzione. Spogliato dei suoi pochi averi, privato degli unici amici che gli rimanevano e di un rifugio dove nascondersi, Basim si arruola nella confraternita degli Occulti, sotto la tutela della sua ombrosa mentore Roshan, per mettere fine al dominio di una misteriosa setta che influenza tantissimi ambiti della vita economica, sociale e religiosa del califfato abbaside, uno dei regni più lunghi e prosperosi della millenaria storia del Medio Oriente. Nonostante la storia rappresenti, sotto multi punti di vista, una versione riveduta e corretta di quella che Ubisoft ha già narrato diverse volte durante i quindici anni di vita del franchise Assassin’s Creed, il fascino dell’ambientazione, delle motivazioni dei personaggi, del culto degli Occulti sono innegabili, e rimangono costanti per tutta la durata della campagna, con qualche frangente di stanca nella fase centrale, dopo un incipit scoppiettante ed un finale davvero niente male. A rendere la narrazione più fluida del solito ci sono tempistiche narrative assai più concentrate rispetto agli ultimi episodi del franchise, dove il plot veniva diluito su decine e decine di ore e finiva per annacquarsi, ed uno stile più diretto e conciso, senza troppi fronzoli e senza divagazioni eccessive. La durata stessa della campagna, completabile in una ventina di ore circa, al netto della discreta quantità di contenuti opzionali, favorisce la focalizzazione del giocatore su storia e personaggi assai più delle immense uscite precedenti, e il risultato finale è che, nonostante la generale mancanza di originalità, le avventure di Basim riescono a catturare l’interesse del giocatore. Non che in questo Assassin’s Creed Mirage tutto sia perfetto, beninteso: manca un antagonista capace di attirare l’attenzione, e molti dei bersagli del protagonista si riveleranno cattivi per il puro gusto di esserlo, ma la scrittura generale è apprezzabile e la grande attenzione riposta nei dettagli, dalla lingua parlata dagli NPC per strada ai riferimenti alla storia reale della regione, aiutano a calarsi nelle vicende controbilanciando la sensazione di già visto causata dal comparto tecnico di cui parleremo qualche riga più giù.

Nel ricercare le proprie origini a seguito della svolta ruolistica che ha caratterizzato i precedenti tre capitoli della serie, Assassin’s Creed Mirage non poteva che ricalcare le orme del primo capitolo, capace di gettare le basi di un franchise che, negli anni, ha portato i “seguaci del credo” a viaggiare tra le epoche storiche di maggiore rilievo. L’assassinio di bersagli di alto rango torna così a essere il cuore pulsante dell’esperienza di gioco, facendo avvicinare la serie al capostipite del 2007 di cui Mirage rappresenta una naturale evoluzione, sebbene in questo lungo lasso di tempo la proprietà intellettuale dell’azienda abbia scelto di allontanarsi sempre più dalle idee di gameplay del primo episodio. Per quello che concerne il gameplay a emergere in maniera più lampante sono i momenti investigativi che si ricollegano alla struttura delle missioni, organizzate per spingere Basim a svolgere tutta una serie di incarichi al fine di raccogliere informazioni e svelare l’identità dei membri dell’Ordine degli Antichi, anche mediante alcune eliminazioni secondarie e quest mediamente variegate. Nel tempo necessario per completare l’avventura abbiamo preso parte a pedinamenti, assassinii furtivi, borseggi e indagini portate avanti origliando conversazioni o leggendo documenti sparsi in giro. Azioni del genere si calano bene in un gioco che predilige sempre e comunque la furtività, al di là di una manciata di situazioni in cui si è chiamati inesorabilmente a sguainare la spada contro gruppi di mercenari piuttosto agguerriti. Forse avrebbe giovato di più una maggiore varietà generale in termini di missioni, poiché a lungo andare il senso di noia può sopraffare il giocatore, soprattutto quando si è chiamati a dover ripetere più e più volte azioni come la lettura di documenti contenenti informazioni rilevanti o l’appropriarsi indebitamente di un determinato oggetto. La musica non cambia più di tanto avviando uno dei contratti disponibili nei covi degli Occulti, visto che si parla di compiti secondari che vanno dall’eliminazione di un bersaglio al dover scortare un personaggio in una zona sicura, anche se i requisiti opzionali di ciascuna missione aggiungono un pizzico di brio e offrono delle ricompense aggiuntive evitando, ad esempio, di spargere del sangue o di farsi avvistare da un nemico. La natura investigativa delle quest principali offre degli aspetti positivi, specie quando si tratta di far assaggiare la propria lama agli affiliati di spicco dell’Ordine, in virtù di molteplici e variabili approcci da intraprendere per portare a termine l’assassinio. Assassin’s Creed Mirage offre la possibilità di scegliere almeno un paio di soluzioni differenti per infiltrarsi in palazzi ben sorvegliati e per sbarazzarsi del bersaglio designato, scoraggiando un assalto diretto per la netta inferiorità numerica con cui fare i conti qualora si decida di mandare a carte quarantotto la furtività. L’uso della forza è comunque contemplato, ovviamente, a patto di essere pronti a correre tutti i rischi del caso, ma vi assicuriamo che risulta molto più semplice e gratificante corrompere mercanti per trovare dei punti di infiltrazione in strutture all’apparenza impenetrabili, usare travestimenti per passare inosservati oppure ingaggiare dei mercenari per generare quel marasma ideale a sgattaiolare all’interno di aree interdette al pubblico.

Assassin’s Creed Mirage, insomma, è un’avventura che rimbalza continuamente tra azioni furtive e fughe tra gli stretti vicoli della “Città della pace”, dove la verticalità degli scenari si sposa perfettamente con il funambolismo di Basim, che non ha assolutamente nulla da invidiare ad altri protagonisti famosi della serie del calibro di Altair, Arno ed Ezio. Proprio in correlazione ai capitoli passati, il parkour non ha subito rivoluzioni ma si è arricchito di qualche mossa scriptata qua e là capace di regalare momenti di grande atletismo, sebbene in alcuni casi i comandi non siano sempre reattivi e puntuali. Darsi alla macchia saltando da un tetto all’altro, nascondersi in un cumulo di paglia o mimetizzarsi tra la gente sono invece parte del repertorio classico del franchise, tirato a lucido per l’occasione e supportato da un sistema di notorietà che prova a rendere più interessante la solita routine. Le azioni illecite del personaggio principale infatti faranno progressivamente salire la sua notorietà, suddivisa in tre livelli che ne indicano il grado di “infamia”, con Basim che potrà essere riconosciuto dagli abitanti e segnalato alle autorità con maggiore frequenza, trovandosi di fatto ad affrontare un maggior numero di vedette appostate sui tetti o a vedersela con una sorta di cacciatore di taglie incredibilmente impegnativo da mandare al tappeto. Per ridurre il grado di notorietà è necessario strappare i poster segnaletici affissi sui muri, oppure corrompere un araldo per ripristinare la propria fedina penale e ritrovare il piacere di muoversi tra la folla senza dover più scappare quando ci si imbatte in una pattuglia. L’amalgama tra nuove e vecchie dinamiche di gioco è dunque promossa, anche per quel che riguarda l’abilità di Basim di borseggiare i passanti per rubare gioielli da rivendere, manufatti o speciali monete da utilizzare come merce di scambio per assoldare un musicista per distrarre i nemici, oppure per abbassare i prezzi degli oggetti venduti da mercanti. La storia del personaggio principale, che ricordiamo essere stato uno scaltro ladruncolo di strada, trova così spazio in un minigame che richiede di premere un tasto nel momento giusto. Oltre alla lama celata che garantisce un’eliminazione furtiva di un nemico ignaro della presenza di Basim, quest’ultimo può contare su alcuni “gadget” extra, come coltelli da lancio per colpire dalla distanza, petardi per distrarre gli avversari, granate fumogene per svanire in una fitta coltre colorata e dardi soporiferi per mettere K.O. le guardie per pochi secondi. La presenza di strumenti simili va inquadrata nell’ottica di situazioni che richiedono spesso un’attenta pianificazione, da attuare attraverso una ricognizione aerea da parte dell’aquila Enkidu o sfruttando l’abilità del protagonista “Occhio di falco” per evidenziare le minacce o gli obiettivi di missione. Essere furtivi infatti eviterà tante rogne con i mercenari che si aggirano per le strade di Baghdad. Quando però l’approccio stealth fallisce o lo scontro si rivela inevitabile poiché previsto da una missione, entra in gioco un sistema di combattimento che si basa su di una sorta di “stamina” che regola le schivate e gli attacchi leggeri e pesanti, battagliare contro sfilze di mercenari inscenando il solito balletto di affondi, parate e scatti laterali, alla lunga, non offre le medesime soddisfazioni di un’incursione silenziosa portata a termine senza lasciare tracce come un vero assassino dovrebbe fare.

A livello prettamente estetico una delle critiche più diffuse che hanno accompagnato in questi mesi l’avvicinamento ad Assassin’s Creed Mirage è legata al comparto grafico, definito addirittura vecchio e non all’altezza di quanto visto in Assassin’s Creed Valhalla. La verità sta come sempre nel mezzo, perché sebbene il gioco faccia fatica a mettere in scena la stessa maturità tecnica che invece è stata raggiunta da altre esperienze open world, la Baghdad del IX secolo riesce a rapire con quel suo fascino da “Le mille e una notte” e un level design mai così attinente a un gameplay che sposa in pieno la verticalità degli scenari. Il lavoro svolto da Ubisoft Bordeaux va ben oltre la sufficienza e nel complesso il colpo d’occhio c’è tutto, soprattutto per i meriti dell’urbanistica dell’antica città mediorientale. Anzi, durante la nostra prova non abbiamo riscontrato nemmeno tutti quei bug che di solito infestano le versioni finali e persistono anche nei mesi successivi alla pubblicazione. Osservando il titolo con attenzione, non abbiamo notato grossi miglioramenti rispetto all’epopea vichinga, ellenica ed egizia. Ci riferiamo in particolare alla modalità grafica “Qualità”, che nel rinunciare ai 60 fps non ci ha regalato una resa visiva di notevole impatto come ai tempi di Assassin’s Creed Origins. Anche per quel che riguarda la modellazione dei volti e il livello di dettagli relativi agli elementi scenici la sensazione che si ha è quella di esclamare “bello si, ma si poteva fare di più”. In maniera quasi paradossale, invece, la modalità che privilegia il frame-rate mi ha restituito un quadro tecnico generale più coerente. Insomma, tirando le somme, questo nuovo Assassin’s Mirage si propone come un titolo che vuole riabbracciare le dinamiche divertenti di un tempo, concentra la trama in un lasso di tempo meno lungo e gode di un’ambientazione a nostro avviso “magica”. Poteva essere fatto di più sicuramente, ma nel complesso l’avventura proposta da Ubisoft è in grado di divertire come sempre. Se si è appassionati della saga, ma soprattutto delle avventure dei protagonisti più “vecchietti” del franchise allora questo Mirage non bisogna lasciarlo perdere. Sarà come vivere un meraviglioso flashback.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Microsoft acquisisce Activision Blizzard, la manovra da 69 miliardi di dollari è realtà

Microsoft ha comprato Activision Blizzard e questa volta l’acquisizione dal valore di ben 69 miliardi di dollari si può davvero considerare ufficiale e definitiva. Diciamo questo perché la manovra è avvenuta solamente dopo la lunga querelle tra il colosso di Redmond e l’autorità antitrust britannica che aveva bloccato l’affare lo scorso aprile. La chiave di volta è stata naturalmente l’accordo per consentire la giusta competizione nell’ambito del cloud gaming, aprendo i contenuti prodotti da Activision a sistemi non Windows, scongiurando così un monopolio Microsoft nella distribuzione di titoli molto popolari come Warcraft, Diablo, Overwatch, Call of Duty, Guitar Hero e Candy Crush.

Microsoft aveva annunciato l’intenzione di acquistare Activision Blizzard per la cifra record di 68,7 miliardi di dollari addirittura a gennaio 2022, per diventare la terza società di gaming più grande al mondo dietro a Tencent e Sony. Tuttavia, l’affare aveva riscontrato l’ostruzione delle autorità antitrust americane e britanniche, che temevano che la posizione di Microsoft nel settore ne avrebbe alterato gli equilibri a scapito dei consumatori. Il 26 aprile la Competition and Markets Authority (Cma) – il dipartimento del governo del Regno Unito responsabile della concorrenza – aveva quindi bloccato ufficialmente l’accordo, costringendo Microsoft a scendere a compromessi e ad accelerare i tempi per evitare anche la pesante penale di 3 miliardi di dollari in caso di non chiusura dell’acquisizione. Per ottenere il via libera dalla Cma, Microsoft ha quindi acconsentito a trasferire i diritti dei giochi attuali e futuri in cloud e fuori dallo spazio economico europeo nelle mani dei francesi di Ubisoft, per una somma non comunicata. Così facendo, si è concretizzata la possibilità di concedere la licenza dei contenuti Activision Blizzard anche a fornitori di cloud gaming con sistemi non Windows, garantendo la concorrenza. “Come un unico team impareremo, innoveremo e continueremo a mantenere la nostra promessa di portare la gioia e la comunità del gioco a più persone”, ha commentato l’amministratore delegato di Microsoft Gaming Phil Spencer.

F.P.L.




Payday 3, la gang delle rapine perfette torna su Pc e console

Payday 3 è il nuovo capitolo della saga criminale targata Starbreeze. A dieci anni dall’uscita del secondo episodio, lo studio di sviluppo torna in azione per una nuova serie di colpi a base di adrenalina, ingegno e improvvisazione. Prima di iniziare ad esaminare il titolo però è bene sottolineare che Payday 3 include al lancio unicamente otto missioni, e sebbene tali numeri siano giustificati da un prezzo di vendita ridotto su Pc, PlayStation e Xbox (39,99€, che diventano zero se si è abbonati al Game Pass di Microsoft), arriveranno immancabilmente nuovi contenuti a pagamento nel corso del tempo. Quindi ci sarà ancora molto da vedere in futuro. Detto ciò, cominciamo col dire che siamo rimasti purtroppo delusi dalla storia di Payday 3 e soprattutto dal modo in cui viene raccontata, ossia attraverso banali sequenze di artwork dialogate in inglese e sottotitolate in italiano. L’espediente narrativo dell’organizzazione segreta che minaccia la banda originale e la costringe a tornare in azione sa ampiamente di già visto e quindi non ci ha esaltato in particolar modo. Dopo aver eseguito il lungo, ma necessario soprattutto per i neofiti, tutorial e aver lanciato il gioco, ci ha lasciato perplessi il modo di presentare gli stage, che risultano tutti immediatamente accessibili, mentre a essere bloccate sono unicamente le banali scene di intermezzo statiche a cui abbiamo già accennato, che diventano visibili solo dopo aver completato la sequenza di missioni che le precede. A nostro avviso sarebbe dovuto accadere l’esatto contrario, così da regalare agli utenti un minimo di progressione iniziale al di là del semplice tutorial. Invece che lasciare integro l’approccio di Payday 2, basato su denaro e punti esperienza, che tanto era piaciuto, il team di Starbreeze ha deciso di legare la crescita del proprio personaggio, nonché la possibilità di accedere a nuove armi ed equipaggiamento, al completamento di una lunga serie di sfide. È vero, molte di esse rientrano nel naturale loop del gameplay, chiedendo a chi gioca ad esempio di eliminare un certo numero di poliziotti e portare a termine le rapine a specifici livelli di difficoltà, ma altre implicano azioni che possono potenzialmente rovinare l’esperienza cooperativa del gioco. Come se non bastassero le ben note difficoltà comunicative che si verificano di solito nell’ambito di una sessione multiplayer con dei perfetti sconosciuti, restii a parlare e a coordinarsi con gli altri (laddove si tenti di completare un colpo in maniera pulita e silenziosa il parlare è fondamentale), ci si trova infatti ad assistere a comportamenti in solitaria apparentemente privi di logica, ma che in realtà perseguono il completamento di specifici obiettivi. Quindi, salvo a patto di giocare con un team di amici, i colpi con gli “sconosciuti” diventano un vero e proprio incubo.

Fortunatamente però, in attesa che il team di sviluppo corregga il metodo di progressione dei personaggi, Payday 3 ha anche degli ottimi punti a favore. Punti che rendono l’esperienza di gioco interessante e altamente godibile. In termini di varietà, infatti, c’è poco di cui lamentarsi: i colpi e gli scenari di gioco, infatti, sono assolutamente diversi e divertenti: si spazia da una piccola filiale di un istituto di credito a una grande banca, dall’assalto a un blindato fin da subito votato all’azione all’immancabile gioielleria da depredare, da un nightclub pieno di luci al neon e droga a una galleria d’arte foderata di opere preziose da scovare e depredare, passando infine per un magazzino di autotrasporti con qualche segreto di troppo e una villa di lusso piena di guardie pronte ad aprire il fuoco su chiunque provi ad entrare. Come da tradizione per la serie, viene inoltre data la possibilità di portare a termine gli incarichi nella maniera che si preferisce, dunque procedendo in maniera cauta e silenziosa, rubando tesserini, neutralizzando agenti di sicurezza, disattivando la videosorveglianza e accedendo a specifici terminali; oppure, laddove qualcuno dovesse sorprendere i giocatori, indossando le maschere e procedendo ad armi spianate nell’attesa che arrivi la polizia. I due differenti approcci costruiscono gli ingredienti segreti che fanno della rigiocabilità di Payday 3 il punto di forza, e in tal senso è inevitabile notare un maggior numero di sfaccettature e possibilità rispetto a quanto visto nel secondo capitolo di dieci anni fa. Certo, lo scenario ideale, come dicevamo prima, sarebbe quello di giocare con tre amici, tutti muniti di cuffie e microfono, perché è chiaro che in qualsiasi altro contesto l’errore umano è quasi certo e a un certo punto si sarà costretti a correre e aprire il fuoco per fuggire via. In Payday 3 i personaggi che fanno parte della gang possono godere del supporto di alcune nuove leve, nello specifico la hacker Joy e l’ex spia Pearl, che si aggiungono a vecchie conoscenze come Wolf, Dallas, Chains e Hoxton. Il problema è che non abbiamo riscontrato effettive differenze fra un protagonista e l’altro che vadano al di là dell’aspetto estetico, personalizzabile attraverso l’acquisto di maschere, abiti e accessori. Sono più che altro equipaggiamento e abilità a differenziare le build, e sebbene il primo risulti sostanzialmente limitato dal sistema di progressione di cui abbiamo già parlato, pur concedendo l’accesso a importantissime modifiche per le armi, le seconde vanno a definire le capacità del personaggio all’interno di diversi percorsi, migliorando ad esempio l’efficacia offensiva e la resistenza oppure rendendolo in grado di inibire i sistemi di sicurezza della struttura che si sta provando a rapinare.

A livello di giocabilità il salto di qualità rispetto a 10 anni fa è stato fatto. In Payday 3, infatti, una volta indossata la maschera, ci si può muovere più rapidamente, al netto del peso delle protezioni che si indossano, e scavalcare in corsa determinati ostacoli oppure eseguire esaltanti spettacolari scivolate. Non è stato implementato però un sistema di copertura interattivo, mentre il gunplay ha mantenuto quelle peculiarità che da sempre lo contraddistinguono, con un’alta incidenza del rinculo, dei caricatori corti e del munizionamento in generale, che richiederà tattiche precise per evitare di restare senza armi proprio mentre l’azione della polizia si fa più intensa. Rispetto al passato, in Payday 3 è possibile eseguire alcune utili azioni extra anche in fase di approccio silenzioso, come ad esempio rubare tessere e chiavi alle guardie, che peraltro non tenderanno ad attaccare al minimo sospetto, ma adotteranno comportamenti più plausibili, mentre nella fase action oltre a legare gli ostaggi, essi possono essere usati come scudi umani nelle sparatorie o soprattutto possono essere liberati nella fase di negoziazione per guadagnare tempo rispetto all’irruzione delle forze dell’ordine. Queste ultime, inoltre, possono contare su strategie più articolate, che puntano a prendere di sorpresa i giocatori anziché affidarsi unicamente a cariche frontali. A rendere più vario l’approccio con gli agenti, poi, ci sono anche nuove tipologie di poliziotti, come le teste di cuoio con le loro arti marziali o gli “zapper” equipaggiati con i taser, che in alcuni casi si comportano come nemici speciali, atterrando i giocatori e infiggendogli danni finché qualcuno dei compagni non accorrerà in aiuto. Accanto agli evidenti miglioramenti, che tuttavia rappresentano per molti versi il minimo che sarebbe stato lecito attendersi dopo ben dieci anni dall’ultimo episodio, Payday 3 presenta purtroppo alcune problematiche di cui la serie sembra avere grosse difficoltà a liberarsi, a cominciare dalla discreta quantità di glitch in cui capita di imbattersi durante le missioni, e che in alcuni casi possono persino compromettere in maniera frustrante i progressi compiuti fino a quel momento. Dopodiché c’è l’annosa questione dell’intelligenza artificiale, intesa ovviamente come routine comportamentali, che è stata potenziata ma solo fino a un certo punto, anche perché in un’esperienza stealth è chiaro che avere a che fare con guardie troppo furbe o con comportamenti realistici andrebbe a limitare troppo il gameplay. Insomma, molte le novità ma non così tante come ci si sarebbe immaginati. Dal punto di vista tecnico, il passaggio all’Unreal Engine 4 ha portato a miglioramenti visivi solo parziali, mentre alcuni aspetti come gli asset generici e le animazioni dei personaggi sembrano aver subito poche modifiche significative. Il comparto audio è un punto di forza, con ottime performance vocali e effetti sonori coinvolgenti, ma il tutto è accompagnato da una colonna sonora poco memorabile. Infine, bisogna ricordare che ci sono stati problemi al lancio, inclusi bug e glitch che hanno compromesso l’esperienza di gioco. In definitiva, Payday 3 offre un’esperienza divertente e coinvolgente per i fan della serie, ma è afflitto da problemi tecnici e presenta delle lacune nella presentazione e nella trama. Lo studio di sviluppo sembra impegnato a risolvere alcuni dei problemi riscontrati, incluso l’obbligo di gioco online, ma al momento resta una proposta con alti e bassi. Resta da vedere come evolverà nel tempo e se riuscirà a catturare completamente l’essenza di un vero colpo ben pianificato. Nel frattempo noi consigliamo il gioco solo a chi gioca in compagnia di amici o a chi non vuole vivere le rapine in modo serio ma solo per il gusto di uscire vivi dalle strutture da derubare. Payday 3 è un gioco che attualmente potrebbe dare tanto, ma che fa fatica a farlo.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5

Sonoro: 8

Gameplay: 7

Longevità: 7

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise




Pixel 8, la nuova linea degli smartphone di Google

Google ha presentato la nuova linea di telefoni Pixel 8, lo smartwatch Pixel Watch 2 e gli auricolari Pixel Buds Pro. “L’intelligenza artificiale nelle mani”: con queste parole Rick Osterloh, senior vice presidente del colosso informatico, ha lanciato la conferenza MadeByGoogle 2023 dedicata ai nuovi prodotti. “Il 2023 è stato un anno importante per Google. Abbiamo compiuto 25 anni e dimostrato di poter accelerare l’innovazione tecnologica con l’intelligenza artificiale – ha aggiunto Osterloch – Dalle mappe alla ricerca, fino ai prodotti Pixel, siamo convinti che l’IA sia la porta di ingresso per nuove esperienze che rimettono al centro i consumatori, preservando la loro privacy”. Nel corso dell’evento Google ha lanciato anche Assistant con Bard, un modo avanzato di interagire con l’assistente digitale sugli smartphone Android. Basato sugli ultimi aggiornamenti dell’azienda nel campo dei linguaggi artificiali di grandi dimensioni, permetterà agli utenti di chiedere all’IA azioni più complesse, come la ricerca di un itinerario sulle mappe o la ricerca visiva attraverso una foto. “Un modo totalmente nuovo di interagire con il proprio smartphone” ha spiegato Sissie Hsiao, vice presidente dei prodotti Bard. Riguardo gli smartphones Pixel 8 e Pixel 8 Pro, essi sono alimentati dal processore Google Tensor G3 che potenzia le funzioni IA e lavora con il chip di sicurezza Titan M2 per proteggere le informazioni personali. Tra le funzioni c’è ‘magic editor’, che usa l’intelligenza artificiale generativa per riposizionare e ridimensionare i soggetti nello scatto; la ‘gomma magica audio’ che consente di ridurre facilmente i suoni che distraggono dal video; con ‘summarize’, invece, il Pixel può generare un riassunto di una pagina web; la nuova versione del ‘filtro chiamate’ infine riduce del 50% quelle spam e può rispondere silenziosamente a numeri sconosciuti usando una voce naturale. Gli smartphone, disponibili dal 12 ottobre, sono i primi nel mondo a ricevere 7 anni di supporto software. Per quello che concerne le tecniche, Pixel 8 ha un display Actua da 6,2 pollici, che è più luminoso del 42% rispetto al display del Pixel 7. Il display Super Actua da 6,7 pollici del Pixel 8 Pro è, secondo Google, il più luminoso mai realizzato. Ogni fotocamera del Pixel 8 Pro è stata migliorata. “Il nostro teleobiettivo cattura il 56% di luce in più e scatta foto di qualità ottica 10 volte superiore, e la fotocamera frontale è ora dotata di messa a fuoco automatica per i migliori selfie su un telefono Pixel”, spiega una nota di Google. La prevendita dei nuovi smartphone parte oggi: Pixel 8 da 799 euro mentre Pixel 8 Pro da 1.099 euro. Entrambi saranno in vendita dal 12 ottobre. Nel corso dell’evento Google ha presentato anche Pixel Watch 2, la seconda generazione dell’orologio connesso dell’azienda (che si può abbinare al fitness di Fitbit), e gli auricolari Pixel Buds Pro. Il Pixel Watch 2 parte da 399 euro mentre gli auricolari hanno un prezzo di 249 euro. A corredo delle novità hardware arriva infine la disponibilità di Android 14, l’ultimo aggiornamento del sistema operativo mobile, che è già da subito disponibile per gli smartphone Pixel e arriverà presto anche sui modelli che lo supportano.

F.P.L.




Separate Ways: Ada Wong protagonista del nuovo dlc di Resident Evil 4 Remake

Separate Ways è il nuovo contenuto scaricabile che espande l’esperienza di gioco offerta dal magnifico Resident Evil 4 Remake. Raccontato dalla prospettiva del sexy e misterioso personaggio vestito di rosso, Separate Ways rivela i retroscena sulla missione segreta di Ada Wong, mentre Leon S. Kennedy è impegnato a salvare la figlia del presidente. Ada è presente nella zona per conto di Albert Wesker per sottrarre l’Ambra dalle grinfie di Osmund Saddler, mentre Luis le fa da spalla. Ben sette capitoli riempiono i vuoti di trama, di quando Ada spariva misteriosamente dalla scena, ampliando le ambientazioni del villaggio, del castello e dell’isola del gioco base con nuove aree e caratteristiche che svecchiano ed integrano il titolo, facendolo apparire e sentire nuovo anche a chi conosce a memoria l’originale. Separate Ways non è lento e riflessivo come il titolo principale, ma si muove a un ritmo così serrato che c’è poco tempo per prendere fiato. Già abituati ai controlli e all’incredibile gameplay incentrato sull’azione del remake per le nuove console, Capcom alza il tiro con una maggiore densità di nemici e battaglie contro i boss più difficili, alcuni dei quali in comune con la campagna di Leon. Rinunciando alla natura esplorativa di Resident Evil 4, l’espansione è più condensata e lineare per rendere gli scontri la sua principale attrattiva. La struttura è simile a quella del gioco base, ma i nuovi gadget conferiscono alla narrazione di Ada un’atmosfera e uno stile del tutto nuovo. La vera novità del dlc, il fedele rampino della protagonista, è ciò che contraddistingue Separate Ways e permette ad Ada di attraversare rapidamente l’ambiente e di evitare i pericoli o di raggiungere nuove aree. Con i punti di presa indicati da icone circolari nel gioco, è possibile oscillare per la mappa e colpire gli infetti se si trovano nel raggio d’azione dell’atterraggio. Il rampino è altrettanto utile durante gli incontri di combattimento standard: dopo aver fatto barcollare un Ganado, è possibile eseguire un attacco in mischia a distanza che utilizza il rampino per tirare Ada verso un nemico e finirlo con un rapido calcio alla testa. Sebbene l’arma sia “scriptata” ed utilizzabile solo quando lo dice il gioco, si sposa perfettamente con lo stile e la natura più agile del personaggio. La differenza sostanziale con Leon, è messa in opera anche e soprattutto nell’approccio furtivo, che risulta molto più utile e praticabile nel DLC. Sebbene sia possibile evitare uno o due combattimenti nei panni di Leon, il titolo originale non è mai stato progettato appositamente per supportare lo stealth e gli scontri a fuoco in egual misura. Al contrario, Separate Ways permette di superare comodamente molti scenari senza sparare un colpo, affidandosi invece al coltello di Ada per fare il lavoro sporco. E quando il gioco si fa duro, nuove armi come la balestra esplosiva e il fucile a canne mozze, diversificano l’equipaggiamento, oltre alle pistole, ai fucili e ai mitragliatori della campagna base. C’è anche una nuova meccanica di risoluzione degli enigmi chiamata Sistema Interattivo di Indagine Retinica. Grazie alla scansione di impronte e tastiere, Ada è in grado di seguire i personaggi o di capire quali numeri devono essere premuti per sbloccare una porta. Con il suo piccolo HUD per accompagnare il tracciamento, è un ulteriore nonché indovinatissima idea messa in campo in Separate Ways che calza a pennello con le abilità da spia di Ada Wong.

A livello di trama, Separate Ways si incastra perfettamente con quanto visto nella storia principale. Le scene d’intermezzo rivelano come Ada influisca su alcuni eventi della campagna di Leon, ma il dlc riesce ad andare ben oltre, con tocchi di classe precisi ed incastrati perfettamente nel contesto originale. Ad esempio, si scopre che è Ada a suonare la campana della chiesa all’inizio del gioco per salvare Leon dall’orda di Ganados che lo attacca nel villaggio. Tuttavia, se si esplora un po’ l’area della chiesa nei panni di Ada, si sente Ashley piangere all’interno mentre aspetta di essere tratta in salvo. Piccoli dettagli come questo migliorano davvero l’esperienza, soprattutto per i fan più incalliti e attenti ai dettagli. In effetti, l’espansione riporta una manciata di scene dell’originale del 2005 che non sono state inserite nel remake completo, ma che i puristi avranno il piacere di riscoprire in Separate Ways. Un altro punto di forza, come accennato, sono le battaglie con i boss. Il braccio destro di Ramón Salazar, Black Robe, ha il suo spazio in diversi incontri che esplorano un lato più soprannaturale di Resident Evil 4, forse un cenno ad una direzione che Capcom aveva preso in considerazione per l’originale del 2005, durante lo sviluppo. Nel frattempo, i combattimenti con El Gigante e Osmund Saddler si svolgono in modo molto diverso rispetto alle loro controparti del gioco base, rendendo ogni scontro un vero piacere ed una riscoperta. L’unico problema di Separate Ways è un senso di frammentazione, dovuto al fatto che deve colmare le lacune di una campagna separata. In particolare, quando Leon è coinvolto in una cutscene, Separate Ways diventa improvvisamente nero e si verifica un salto temporale. Si riprenderà così il controllo di Ada in un’area diversa con un obiettivo diverso, senza una spiegazione di ciò che ha portato l’affascinante protagonista in quel preciso punto dopo la cutscene. Il dlc riesce tuttavia a offrire una quantità impressionante di contenuti. Per completare la prima partita ci vorranno fino a sei ore, poi si potranno ottenere gradi migliori e sbloccare armi speciali in New Game plus. Tirando le somme, possiamo con certezza affermare che Separate Ways è quanto di meglio possa desiderarsi per un dlc di un capolavoro del calibro di Resident Evil 4: colma le lacune narrative e modifica ed amplia sapientemente il ciclo del gameplay di un gioco già di per sé perfetto. Giocare nei panni di Ada Wong è diverso e dona nuova linfa all’avventura, grazie ai nuovi gadget e alle nuove armi, mentre le aree ampliate offrono un’ulteriore scusa per ritornare ad esplorare le oscure lande del gioco base. Insomma, Separate Ways è un’espansione a dir poco sensazionale per un titolo altrettanto incredibile. Date retta a noi, lasciarsi sfuggire questo dlc potrebbe essere davvero uno sbaglio imperdonabile.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9

Sonoro: 9

Gameplay: 9,5

Longvità: 8,5

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




Steve Jobs è morto da 12 anni, Tim Cook lo ricorda: “Visionario che cambiò il mondo”

Il 5 ottobre 2011, a causa di un cancro al pancreas, il mondo ha perso una delle più grandi figure del mondo hitech. Stiamo parlando del famosissimo fondatore di Apple, Steve Jobs, una delle menti visionarie dietro al mondo come lo conosciamo oggi. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quella presentazione del primo iPhone, ma le applicazioni ci fanno ancora compagnia nel quotidiano. Non è un caso che l’attuale CEO di Apple, Tim Cook, abbia utilizzato parole di ammirazione in un post in onore di Jobs su Twitter X: “Un pioniere che ha sfidato le convenzioni, un visionario che ha cambiato il mondo, un mentore e un amico. Ci manchi, Steve”. Jobs se ne andò all’età di 56 anni, in seguito a una lunga lotta contro il cancro al pancreas. Il decesso avvenne nella giornata seguente la presentazione dell’iPhone 4S, con quest’ultima che ebbe come figura chiave proprio quella di Tim Cook, come potete vedere nell’immagine presente in calce. L’attuale CEO di Apple presenziò inoltre all’evento “Celebrating Steve”, organizzato nel campus Infinite Loop in seguito alla scomparsa di Jobs. A settembre 2022 è stato lanciato il portale Steve Jobs Archive, un archivio online che include materiali storici relativi alla figura del visionario. A proposito invece della fondazione di Apple, quest’ultima avvenne, oltre che per mano di Jobs, grazie a Steve Wozniak e Ronald Wayne. L’obiettivo di Steve Jobs era quello di riuscire a cambiare la storia e così fu. A soli 21 anni, fu in grado di dar vita ad una azienda che sarebbe poi diventata una delle più importanti al mondo. Il primo prodotto che segnò la nascita di Apple fu l’Apple II. Il successo del computer fu incredibile e consentì ad Apple di quotarsi in Borsa nel 1980. A 25 anni, Jobs divenne così il milionario più giovane d’America con una fortuna stimata in 200 milioni di dollari. Nel 1979 Steve Jobs concepì l’idea di un nuovo computer dove tutta la grafica era controllata da un mouse che muove un cursore su uno schermo ad alta definizione. È il computer a icone e tendine che conosciamo oggi. Nacque prima un prototipo chiamato Lisa e poi, nel 1984, il Macintosh. Lisa, tuttavia, si rivelò un flop mettendo in difficoltà Apple. Jobs venne così licenziato ma ripartì fondando NeXT. La società non decollò ma divenne fondamentale per il suo ritorno alla Apple nel 1996. In quel periodo Steve Jobs diventò anche azionista della Pixar e assunse la carica di amministratore Apple. Oggi Apple è considerata una delle aziende più innovative e conta oltre 147mila dipendenti e un fatturato di 274,5 miliardi di dollari.

F.P.L.




Mercato Internazionale Audiovisivo (MIA): partita l’edizione 2023

Presentato in una conferenza stampa al cinema Barberini di Roma, introdotta dalla Direttrice del MIA Gaia Tridente e alla quale hanno partecipato Francesco Rutelli, Presidente ANICA, Chiara Sbarigia, Presidente APA, Luca Di Persio, Direttore Centrale Marketing e Innovazione ICE, e Lorenza Lei,Regione Lazio,  è partito il MIA 2023 il  Mercato Internazionale Audiovisivo diretto da Gaia Tridente che si svolge a Roma dal 9 al 13 Ottobre nelle sue storiche sedi di Palazzo Barberini e del Cinema Barberini.
 
Il Mercato romano si presenta alla sua 9a edizione  con oltre 80 eventi tra dibattiti e incontri, interventi, interviste e corsi, 5 content  showcase – da quest’anno tutti internazionali , 4 pitching forum,  50 proiezioni per il merrcato e 11 presentazioni di film ancora in fieri. E ancora, 9 premi, 5 esperienze immersive in realtà virtuale, una sala tecnologica dotata di uno schermo LED curvo Absen Cinema passo 2.5 di 8 metri per 4 e di un tappeto sensoriale per le demo di virtual production, 2 live podcast. 121 i progetti selezionati che saranno presentati tra Co-Production Market & Pitching Forum e Content Showcase, con titoli in sviluppo e work in progress, provenienti da ben 47 paesi.
 
L’edizione del MIA di quest’anno porta a compimento un processo di maturazione sviluppatosi nel corso degli anni che ha garantito al mercato una crescita continua e il riconoscimento internazionale da parte di tutta l’industria audiovisiva. Il MIA 2023 si presenta ricco e ampio in termini di contenuti e di ricerca, con un programma ambizioso ed “esteso”, che coniuga un attento lavoro di studio e ricerca del comparto industriale nelle varie categorie di formato e di generi di cui il MIA si occupa, per trasformarlo in uno strumento chiave per lo sviluppo del mercato nazionale e internazionale. Una fucina di discussione e confronto per i maggiori player del mercato, un fondamentale snodo di co-produzione e di vendita, con potenzialità di crescita ancora ampie per soddisfare le necessità del complesso ecosistema audiovisivo.
 
Il MIA rappresenta un unicum nel settore, uno dei pochi appuntamenti professionali a mettere realmente insieme industria e creatività. E’ dedicato a un’ampia gamma di generi e formati, rappresentando le istanze di tutti gli interlocutori della filiera e anticipando i temi e gli spazi del futuro, che troveranno una nuova sede proprio in questa edizione del mercato. Un teatro ideale per un business che si basa sulla visionarietà degli imprenditori, sulla loro passione e dedizione e sul rischio che si corre quando si lavora su un prodotto immateriale.
 
Tra le opere italiane presentate nei content showcase del MIA 2023, troviamo Sono ancora vivo, con la regia di Roberto Saviano, un progetto di animazione tratto dal suo racconto grafico autobiografico. Sempre tra i progetti di animazione anche il lungometraggio Fiammetta con la sceneggiatura di Enzo D’Alò, sulla storia di Fiammetta e Boccaccio. In ambito Doc, l’esordio alla regia dell’attrice Kasja Smutniak con Walls dedicato alla drammatica questioni dei migranti al confine tra Polonia e Bielorussia. Per i Drama, Miss Fallaci, nuova serie originale di Paramount+ per l’Italia prodotta da Minerva Pictures e Paramount Television International Studios, in associazione con RedString Pictures, che vede Miriam Leone come protagonista nei panni della giovane Oriana Fallaci; e ancora Fireworks di Susanna Nicchiarelli prodotta da Fandango e Rai Fiction. Tra i film Per amore di una donna di Guido Chiesa prodotto da Colorado Film Production e Vivo film con Rai Cinema.
 
Tra le opere internazionali, la serie A Prophet, co-produzione internazionale di  CPB Films e Media Musketeers Studios, Co-prodotta da UGC, Orange Studio, Entourage Series e Savon Noir, per OCS tratta dall’omonimo film di Jacques Audiard del 2009;  l’attesa serie The Count of Monte Cristo, diretta da Bille August e prodotta da Palomar, in collaborazione con DEMD Productions, Rai Fiction e France TV.  E ancora il nuovo atteso progetto di animazione del creatore di Paw Patrol Keith Chapman, PaddyPaws; e Savages! il nuovo lungometraggio in stop-motion del pluripremiato regista Claude Barras candidato all’Oscar nel 2017.  Per i film, Persona non grata di Antonin Svoboda, fondatore del collettivo austriaco Coop99 filmproduktion insieme ai colleghi registi e produttori Jessica Hausner e Barbara Albert; En vigília, opera prima di Vigília Collective, Clara Serrano Llorens e Gerard Simó Gimeno, prodotto da Ringo Media e ancora il terzo lungometraggio del portoghese André Gil Mata, Sob a chama da candeia/The Flame of a Candle.
 
Il MIA è oggi uno dei principali appuntamenti di mercato internazionali dedicati all’industria audiovisiva. Nato nel 2015 e cresciuto grazie alla consolidata joint venture tra ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Digitali), presieduta da Francesco Rutelli e APA (Associazione Produttori Audiovisivi) presieduta da Chiara Sbarigia, gode del supporto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, e del contributo di Creative Europe MEDIA. Riceve inoltre il sostegno del Ministero della Cultura, del Sponsor ufficiale della manifestazione è Unicredit. Il MIA 2023 ha ricevuto anche per questa edizione il patrocinio di Eurimages, il fondo del Consiglio d’Europa per la co-produzione, la distribuzione, esposizione e la digitalizzazione delle opere cinematografiche europee.
 
Anche per questa edizione è attiva la piattaforma MIA Digital che consentirà agli accreditati di accedere anche da remoto a tutte le sessioni (in diretta e a richiesta).
 

Privo di virus.www.avast.com




Mortal Kombat 1, un nuovo inizio per il re dei picchiaduro

Mortal Kombat 1 non è il remake del primo titolo della serie uscito nell’ormai lontano 1992, come i meno informati possono pensare, ma è il nuovo titolo della saga (disponibile per Pc, Xbox, PlayStation e Switch) che rappresenta un nuovo inizio. Ma andiamo a capire il perché: il finale dello scorso titolo della serie, MK11, ha “resettato” l’universo di Mortal Kombat, con Liu Kang che è diventato il nuovo Dio del Fuoco ottenendo il potere di riplasmare la realtà. Questo gli ha permesso di creare un nuovo universo dove tutti potessero vivere in pace, ma un conto è creare una possibilità, un conto è saperla sfruttare. Anche se si cambia l’ordine degli addendi, il risultato rimane lo stesso, e ad un certo punto la sete di violenza e di potere emerge anche in questa realtà, con i Regni che si sfidano ad un torneo apparentemente pacifico unicamente per dimostrare l’abilità dei propri combattenti, ma che non prevede esclusioni di colpi e macchinazioni dietro le quinte. Tra i Campioni a difesa del Regno terrestre, Liu Kang sceglie Kung Lao e Raiden, ma sono molto diversi da quelli che sono apparsi in precedenza. Entrambi infatti sono degli umili agricoltori che sognano di partire per delle avventure in terre lontane, e nelle pause durante il duro lavoro nei campi si addestrano nelle arti marziali da Madame Bo, un’all’apparenza innocua anziana proprietaria anche della locanda del villaggio. La pace viene interrotta dall’arrivo del Lin Kuei, un clan ninja a cui appartengono Smoker, Scorpion e Sub-Zero, i quali attaccano proprio Madame Bo, colpevole di non aver pagato il tributo per la “protezione”. Kung Lao e Raiden mettono a frutto il loro allenamento riuscendo a respingere il Lin Kuei, solo per scoprire che si trattava in realtà di un test organizzato dalla stessa Madame Bo insieme a Liu Kang, per verificare se i due fossero degni di rappresentare la Terra nell’imminente torneo contro il Regno Esterno. Inizia così un lungo viaggio per reclutare altri guerrieri e difendere l’onore della Terra, in una avventura ricca di colpi di scena e un finale inaspettato che apre l’orizzonte ad interessanti sviluppi futuri, nonché a molti altri titoli.

Il quantitativo di contenuti per giocatore singolo Offerti da Mortal Kombat 1 comunque è di tutto rispetto: oltre alla campagna è presente una modalità chiamata “invasioni”, che si aggiorna di stagione in stagione con nuove mappe esplorabili e vede il giocatore sviluppare i propri combattenti ad ogni scontro per ottenere oggetti estetici, costumi e altre sorprese; a tale novità si aggiungono le classiche torri con finali dedicati a ogni guerriero, meno interessanti, ma comunque rappresentano un must per gli amanti della saga. Nel complesso ci si trova dinanzi a degli extra molto interessanti, seppur la modalità invasioni sia un po’ ripetitiva e gli scontri, per i giocatori più abili, possono apparire abbastanza semplici, di carne a cuocere ce ne è davvero molta. Più che buoni poi i tutorial, completi e perfettamente in grado di spiegare dettagliatamente le basi anche ai giocatori che si avvicinano per la prima volta a un titolo della serie Mortal Kombat. Vera novità di questo titolo però è la presenza dei “Kameo”. Ma cosa sono di preciso? Prima di ogni battaglia viene chiesto di scegliere un secondo personaggio che farà da “assist” in battaglia, e tramite la pressione del tasto dorsale sinistro il Kameo entra in campo sferrando un attacco che se va a segno può risultare molto fastidioso per chi lo subisce. Una meccanica tutto sommato già vista, eppure in grado di cambiare gli equilibri di una partita. Ogni Kameo infatti può usare diversi attacchi a seconda di quale freccia direzionale si è premuta insieme al dorsale, ognuno con effetti e tempi di esecuzione differenti. Questo apre ad una serie di opzioni che vanno considerate nel corso di un combattimento, e imparare gli effetti di tutti i Kameo e quando sfruttarli al meglio può fare davvero la differenza. Non si tratta infatti di una meccanica di cui si può abusare, in quanto legata ad un apposito indicatore che si ricarica automaticamente con il tempo. Sbagliando il tempismo infatti le mosse Kameo possono essere interrotte da qualsiasi attacco nemico, sprecando così una preziosa opportunità di infliggere danni extra o addirittura estendere la durata di alcune combo e crearne di nuove normalmente impossibili da eseguire. I Kameo tuttavia non sono solo un’arma offensiva, ma anche difensiva, infatti si può decidere di usare l’intero indicatore per “spezzare” una combo nemica, permettendo di salvarsi e ribaltare lo scontro. Prendere confidenza con i Kameo e le nuove combo richiede parecchio tempo e pratica, e per allenarsi oltre al normale tutorial si possono trovare delle “lezioni” anche nella nuova modalità Invasione per avere un po’ più di azione rispetto al classico “manichino” nemico che prende schiaffi senza perdere vita.

Parlando in maniera più approfondita delle invasioni presenti in questo nuovo Mortal Kombat 1, possiamo dire che questa modalità va a sostituire del tutto la tanto amata Kripta, e si presenta come una sorta di gioco da tavolo con diverse ambientazioni e obiettivi. Il personaggio scelto può muoversi lungo vari percorsi a caselle, e a seconda di quale strada si sceglie ci si può imbattere in diverse sfide. Per la maggior parte di tratta naturalmente di battaglie, ma non sono scontri classici, infatti spesso sono presenti dei modificatori o eventi che cambiano le carte in tavola, passando da semplici boost o debuff alle statistiche fino a veri e propri ostacoli che influenzano le partite, come palle di fuoco dal cielo che possono colpire i lottatori casualmente, muri magici che limitano i movimenti, ghiaccio che blocca, elettricità che stordisce, fumo che rallenta e così via. Alcune arene poi, come già detto più sopra, sono create appositamente per insegnare al giocatore delle tattiche o approfondire alcune meccaniche, passando da quelle di base fino a quelle avanzate come capire quando attaccare dopo una parata per interrompere una combo o quando usare lo spezza-combo dei Kameo, con tanto di spiegazione visiva dei frame, molto utile soprattutto per i giocatori che con Mortal Kombat non hanno molta familiarità. Alcune caselle invece contengono ricompense come gettoni o valute da scambiare al Negozio per cosmetici o potenziamenti da sfruttare all’interno dell’invasione, mentre alla Forgia si possono creare Talismani che sbloccano degli attacchi speciali basati sugli elementi presenti in gioco. Nella modalità Invasione infatti è presente una sorta di sistema “debolezza/efficacia” per cui utilizzando un combattente di fuoco come Scorpion si ha un vantaggio contro personaggi basati sul ghiaccio come Sub-Zero, ma magari lo stile di Scorpion proprio non è nelle corde di chi gioca e quindi lo scontro si fa più duro. Grazie ai Talismani però si possono ad esempio far lanciare sfere di fuoco a qualsiasi personaggio, così da permettere comunque di avere un vantaggio senza dover essere costretti ad usare lottatori che non piacciono, anche se va detto che si tratta di aiuti opzionali che possono sempre essere ignorati, non ci sono vincoli su chi usare per superare gli stage, ma cambia solo la quantità di danno inferta e subìta. Tra una battaglia e l’altra alcune caselle vedono il ritorno delle famosissime sfide Test your Might, dove bisogna rompere con un colpo solo durissimi blocchi di minerali o le teste dei campioni del torneo, oltre a questa sono presenti anche la modalità di sopravvivenza dove bisogna schivare delle sfere elementali o le battaglie tempo. Tali elementi sono utili per spezzare il ritmo e variare un pò l’azione.

L’offerta multiplayer online di Mortal Kombat 1, invece, al momento è abbastanza spartana, ci sono solo le battaglie normali, quelle Classificate e la famosissima Re della Collina. Ovviamente non è escluso che in futuri aggiornamenti verranno aggiunti anche tornei e altre modalità che potrebbero far gola a tutti gli appassionati. Per quanto riguarda il sistema di combattimento, le basi delle meccaniche fondamentali sono rimaste più o meno le stesse: il gioco usa per l’ennesima volta il target combo system, che legge gli input in serie senza preoccuparsi troppo del tempismo dell’inserimento, ma richiede una certa precisione nelle combo complesse; la parata è ancora legata a un tasto e, al di fuori dell’uso dei Kameo, i ritmi del combattimento non differiscono molto dai capitoli passati, anche se la velocità generale dei match è sensibilmente superiore a quella di Mortal Kombat 11. Le novità qui sono legate per lo più alle meccaniche difensive: si possono eseguire parate alte che danno un vantaggio contro gli attacchi aerei, parate perfette leggermente più rilassate rispetto al passato e più importanti che mai, ed è persino possibile far seguire un montante da una sorta di scatto aereo se si spende barra per farlo. Parlando di barra, è ancora utilizzabile ovviamente per eseguire versioni potenziate delle mosse speciali o per spezzare le combo nemiche, nonostante ci vogliano ben tre tacche per farlo in questo caso. La riteniamo una buona scelta, considerando la rapidità con cui si riempie e la necessità tattica di regolare le proprie risorse durante un match. Sono stati riproposti anche i tanto amati attacchi X-Ray, qui chiamati Fatal Blow e ancora attivabili solo una volta per incontro (e non per round) una volta che si è quasi raggiunto il fondo dei propri punti vita. In parole povere, NetherRealm non ha tolto meccaniche, solo aggiunto roba, e nel farlo ha forse creato il suo gioco migliore in termini di gameplay puro. Per quello che concerne l’aspetto tecnico Mortal Kombat 1 si presenta davvero in forma smagliante (almeno nella versione su Xbox Series X da noi testata), e nonostante gli sviluppatori siano rimasti fedeli al “vecchio” Unreal Engine 4 sono riusciti a spremerlo fino all’ultima goccia regalando un titolo che è una vera e propria gioia per gli occhi. I modelli in 4K sono ricchi di dettagli così come le arene, piene di vita ed elementi in movimento che reagiscono anche dinamicamente a seconda di cosa succede durante il combattimento, rendendo il tutto ancora più immersivo. I 60 fps risultano stabili in ogni occasione, anche quando con i Kameo ci sono più personaggi a schermo e gli effetti speciali si accumulano, risultando sempre fluido e reattivo, una caratteristica fondamentale per un picchiaduro. Apprezzatissimo anche il fantastico doppiaggio italiano che aiuta a comprendere meglio i dialoghi ed è un valore aggiunto durante i combattimenti. Tirando le somme, Con questo nuovo Mortal Kombat 1 NetherRealm è riuscito a rilanciare un grande classico rispettando la sua natura e aggiungendo quel qualcosa in più che lo rende davvero unico. Se si amano i picchiaduro non avere Mortal Kombat 1 sarebbe un errore imperdonabile.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9,5

Gameplay: 9

Longevità: 9

Sonoro: 9

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




LG Gram Fold, presentato il notebook pieghevole con doppio schermo

Dopo gli smartphone pieghevoli è l’ora dei computer portatili. LG ha annunciato Gram Fold, il suo primo notebook con doppio schermo interno. Simile all’Asus Zenbook 17 Fold e al Lenovo ThinkPad X1 Fold, il dispositivo ha un pannello touch che, all’occorrenza, può essere utilizzato come un grande tablet, completamente aperto, oppure come un classico computer portatile, da chiuso. In questo caso, la parte inferiore si trasforma per mostrare una tastiera oppure una riproduzione di un touchpad, per muovere la freccia sul sistema operativo Windows mentre quella superiore, da 12 pollici, visualizza i contenuti. Il prezzo è fuori mercato: 3.700 dollari, con una vendita, per ora, solo in Corea del Sud. LG Gram supporta anche penne stilo, quindi può funzionare come un tablet tradizionale per disegnare e prendere appunti. LG afferma di aver testato il modello per circa 30.000 pieghe senza alcun danneggiamento per lo schermo. In confronto, Samsung, che è leader nel campo degli smartphone pieghevoli, testa le cerniere dei suoi telefoni Galaxy circa 200.000 volte, ma la maggior parte delle persone probabilmente accede ai propri telefoni molto più spesso che ai computer o ai tablet nell’arco di un giorno, il cui schermo può invece restare aperto piuttosto che richiuso ogni volta. Sotto la scocca dell’LG Gram Fold c’è un processore Intel Core i5 di 13a generazione e il sistema operativo Windows 11, aggiornato di recente per beneficiare delle innovazioni dell’intelligenza artificiale di Microsoft, Copilot, all’interno di software di produttività, come la suite Office. Stando a quanto detto possiamo dire senz’ombra di dubbio che dopo gli smartphone pieghevoli è l’ora dei computer portatili che si fanno a metà. La prossima frontiera dell’hitech sembra proprio puntare ai display grandi che però non occupano spazio e possono assumere una forma più semplice per il trasporto.

F.P.L.




Operation Wolf returns First Mission, il ritorno del grande classico del 1987

Operation Wolf è un nome che sicuramente farà balenare un sacco di ricordi a chi da giovane frequentava le sale giochi nel 1987. Il titolo infatti era ben noto perché a differenza dei soliti videogames, che si giocavano attraverso l’uso di stick e bottoni, per poter svolgere le azioni si utilizzava una riproduzione di una mitraglietta e si doveva mirare proprio al vetro del cabinato per fare fuoco ed eliminare i nemici. Adesso ad oltre trent’anni dal lancio Operation Wolf torna in versione reboot con Operation Wolf returns First Mission. Sviluppato da ancora una volta da TAITO e pubblicato su Microids, il titolo è disponibile su PlayStation 5, Xbox Series X|S, PlayStation 4, Xbox One, PC e Nintendo Switch. Per chi non lo sapesse poi, Operation Wolf Return: Firts Mission è stato pubblicato questa estate sulla realtà virtuale, ed è stato accolto positivamente dai fan che hanno potuto vedere la rinascita del grande classico. In questa nuova versione del successo di TAITO si può affrontare una campagna con sei livelli, ognuno suddiviso in tre sottoaree piene di azione, da solo o in cooperativa con un amico. Come berretti verdi in missione speciale il compito dei giocatori sarà quello di infiltrarsi nelle basi di una pericolosa organizzazione criminale che traffica in armi e droga. L’obbiettivo dei giocatori sarà fermare il Generale Viper, il capo dell’organizzazione, che oltre ad avere un folto quantitativo di ostaggi ha anche creato una nuova arma devastante per ricattare il mondo. Operation Wolf Returns First Mission è un’avventura davvero speciale che farà rivivere il classico gioco arcade del 1987 con uno stile artistico completamente rinnovato in cui bisognerà combattere il Generale Viper e i suoi scagnozzi con le armi più variegate, distruggere l’arma definitiva e salvare gli ostaggi che sono stati rapiti e portati nei campi di prigionia. Il tiolo, oltre alla campagna offre una modalità sopravvivenza in cui sfidare se stessi resistendo a ondate infinite di nemici sempre più numerosi e forti.

Volendo esaminare il gioco più nello specifico possiamo dire che a livello di Gameplay Operation Wolf Returns First Mission, come già detto qualche riga più in alto, si sviluppa su un totale di 6 livelli, anche se qui ognuno è a sua volta suddiviso in tre atti o fasi, di regola. I primi due di questi atti possono essere sezioni a piedi o montate su un veicolo, con spostamento laterale come nel gioco del 1987. Ma, proprio come nella versione originale del titolo non si controlla mai l’avanzamento, esso è sempre automatico. L’ultimo atto del livello è di solito un boss finale, un duello contro un soldato speciale o dispositivi di guerra come armature, pseudo mecha o carri armati giganti, che lasciano un retrogusto più fantasioso di quello visto nell’originale Operazione Wolf. Alcune di queste fasi di Operation Wolf Returns First Mission presentano, a loro volta, piccole deviazioni o bivi che portano su percorsi diversi, con situazioni e combinazioni di nemici ovviamente differenti, quindi l’avventura non si chide solo con una singola run. Se non si ha mai avuto la fortuna di aver giocato ad uno shooter arcade su binari, Operation Wolf Returns First Mission ha un piccolo tutorial che spiega tutto, da come cambiare arma o ricaricarle, a come lanciare granate. Come un buon sparatutto arcade su binari, il giocatore non controlla i progressi, e il suo unico compito è quello di abbattere i nemici usando i controller per mirare e sparare ed eseguire altre azioni, come ricaricare le armi (premendo un tasto). Naturalmente, bisognerà anche evitare colpi e proiettili (alcuni possono essere distrutti con i proiettili, altri vanno invece evitati rimuovendoli dalla loro traiettoria), recuperare la salute con i kit che si trovano lungo il percorso. Una delle novità di Operation Wolf Returns è rappresentata dal fatto che ci sono ben quattro armi a disposizione: l’iconico uzi, fucile a pompa, fucile d’assalto m16 e pistola. Ognuno di esse è utile in determinati contesti, quindi è bene farne un uso intelligente e non sprecare le munizioni. A livello estetico Operation Wolf Returns First Mission convince ma non al cento per cento. Dal punto di vista grafico è un gioco che non si distingue per bellezza, che manca del fascino del gioco originale (votato più al realismo) e del suo aspetto riconoscibile di “guerriglia”, così caratteristico dei film d’azione degli anni ’80. Tutto è abbastanza semplice e generico, i modelli poligonali sono un po’ brutti da vedere e gli sfondi molto semplici e stilizzati. Un vero peccato perché l’idea di base è davvero interessante. La mancanza poi di una sezione dove giocare il titolo originale è un vero peccato, soprattutto per chi ha speso monetine su monetine nei lontani anni ‘80 per arrivare alla fatidica scritta The End.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 7

Gameplay: 7,5

Longevità: 6

VOTO FINALE: 7

Francesco Pellegrino Lise




Google compie 25 anni e festeggia con un “doodle” esclusivo

Google diventa grande e mercoledì 27 settembre ha compiuto ben 25 anni. Chi ha aperto la home page del popolarissimo motore di ricerca ha potuto infatti vedere un 25 nel mezzo della scritta sullo schermo. Il “doodle” festeggia il quarto di secolo con una pioggia di coriandoli colorati, ringraziando gli utenti “per aver cercato con noi in tutti questi anni!”. Per chi non lo sapesse la sua invenzione si deve a Larry Page e Sergey Brin, all’epoca studenti dell’Università di Stanford, che dopo aver sviluppato la teoria secondo cui un motore di ricerca basato sullo sfruttamento delle relazioni esistenti tra siti web avrebbe prodotto risultati migliori rispetto alle tecniche empiriche usate precedentemente, fondarono l’azienda il 27 settembre 1998. Erano convinti del fatto che le pagine citate con un maggior numero di link fossero le più importanti e meritevoli: decisero perciò di approfondire la loro teoria all’interno degli studi che avevano seguito, ponendo così le basi per il loro motore di ricerca. Volendo proseguire con le informazioni possiamo ricordare che Google è nato a Menlo Park, città al confine orientale della contea di San Mateo, nella San Francisco Bay Area della California, e il suo quartier generale si trova a Montain View, nel cosiddetto Googleplex. Il nome Google è una variante di “googol”, in inglese il numero intero esprimibile con 1 seguito da cento zeri, scelto per suggerire cifre molto grandi. Con oltre il 90% delle ricerche a livello globale, Google è il motore di ricerca più utilizzato dagli utenti di internet e domina indiscusso la classifica dei motori di ricerca più utilizzati nel mondo. Cosa succederà adesso con l’arrivo travolgente dell’intelligenza artificiale, che può offrire dati e risposte altrettanto se non più rapidi e complessi? E’ una domanda a cui presto avremo risposta, infatti il prossimo passo per rendere “perfetta” una ricerca sarà proprio quello di rivolgersi a un’intelligenza artificiale che sappia rispondere alle esigenze dell’utenza.

F.P.L.