Nex 3, presentato in Cina lo smartphone 5G di Vivo

Dopo mesi di rumors e indiscrezioni sul web, Vivo ha finalmente
tolto i veli sul suo prossimo smartphone top di gamma. Il dispositivo si chiama
Nex 3 e si caratterizza per dimensioni, potenza e design raffinato. L’azienda
cinese, tra i primi 5 costruttori al mondo di telefoni, ha mostrato la novità nel
corso di un evento in Cina. La caratteristica che balza subito all’occhio è
l’ampio display, da 6,89 pollici e “a cascata”: un termine che
descrive il modo in cui i bordi laterali dello schermo “scivolano”
verso la scocca posteriore. Il rapporto schermo-scocca è del 99,6%:
praticamente privo di cornici e interruzioni, grazie anche alla fotocamera
anteriore a comparsa (da 16 megapixel) che evita fori e notch nel display. A
mancare sono anche i tasti fisici, sostituiti da tasti virtuali “Touch
Sense”; il lettore di impronte è integrato nello schermo. Il comparto
fotografico posteriore è inserito in un cerchio centrale come l’atteso Mate 30
di Huawei. Il sensore principale da 64 megapixel è affiancato da un
grandangolare e un teleobiettivo entrambi da 13 megapixel. Sul fronte della
potenza il Nex 3 monta un processore Snapdragon 855 Plus – il top di casa
Qualcomm – coadiuvato da 8 GB di Ram e 128 GB di memoria interna nella versione
4G, e da 8 o 12 GB di Ram e 256 GB di memoria nella versione 5G. Ha un sistema
di raffreddamento a camera di vapore e la batteria, da 4.500 mAh, supporta la
ricarica veloce a 44W. Quanto ai prezzi, in Cina saranno compresi tra i 5mila e
i 6.200 yuan (640-790 euro). Riuscirà questo dispositivo a catturare una buona
fetta di persone e a imporsi sui colossi di Apple e Samsung? Nel corso dei
prossimi mesi vedremo se Nex 3 sarà apprezzato oppure conquisterà solo una
piccola parte di pubblico.

F.P.L.




Final Fantasy 8 remasterd, il ritorno a 20 anni dal lancio

Final Fantasy 8 ritorna, in occasione dell’anniversario dei
suoi 20 anni dall’uscita, in versione rimasterizzata.  Questa edizione parte da quella già
disponibile per PC con l’aggiunta di miglioramenti grafici sui modelli e su
nuove funzionalità per rendere più leggera e vivibile la trama di quest’opera
che ha contribuito a rendere grande il brand. Il titolo è uscito il 3 settembre
in formato digitale per PS4, Xbox One, PC (Steam) e Nintendo Switch. Aspettando
la prossima primavera per mettere le mani sul promettente remake di Final
Fantasy VII, questa versione rimasterizzata dell’originale Final Fantasy 8
permette ai fan più datati e a quelli più recenti di rivivere le avventure di
Squall e di Laguna, con un comparto grafico migliorato e nuove funzionalità che
facilitano chi si approccia per la prima volta al gioco firmato Square Enix. Per
chi non avesse mai avuto l’occasione di giocare all’ottavo capitolo della saga,
è bene dire che il titolo è un JRPG vecchio stampo, con combattimenti a turni
in arene temporanee, grande varietà di ambientazioni, una caratterizzazione
profonda dei personaggi e minigiochi all’interno del gioco stesso. Il design e
le idee del direttore del gioco, Yoshinori Kitase, risultano così tutt’oggi
ancora estremamente avanzate e ricche di ispirazione. Rispetto ai precedenti
capitoli della saga, Final Fantasy VIII ha introdotto una serie di novità di
grande importanza, come la traduzione in lingua italiana, l’utilizzo della
grafica 3D e di sfondi pre-renderizzati e la stesura di una colonna sonora
creata ad hoc, composta da due canzoni: “Liberi Fatali”, brano corale in
latino, e “Eyes on me”, una ballata interpretata dalla cantante cinese Faye
Wong; entrambe sono state scritte da Nobuo Uematsu, compositore storico della
saga Final Fantasy.

Per quanto riguarda la trama in Final Fantasy 8 si vivono le
avventure di Squall, cadetto di una scuola di mercenari, i SeeD, che insieme ai
suoi compagni di battaglia finirà invischiato in vicende molto più grandi di
lui. Il mondo creato da SquareSoft è infatti sorretto da equilibri politici
precari dove gli Stati cercano di avere la meglio gli uni sugli altri in un
continuo scontro bellico intercontinentale. Squall è un talentuoso cadetto che
verrà inviato a supporto sia di fazioni di resistenza ribelle sia di città
sotto assedio. Ben presto però le priorità di ingaggio cambieranno quando i
protagonisti apprenderanno delle forze sovrannaturali che muovono il conflitto,
portando la battaglia per la salvezza del mondo a un livello superiore. Quella proposta
da Final Fantasy 8 è una storia intima ed in apparenza contorta, dove la
cornice politica è solo il punto di partenza per un racconto che diviene
un’epopea sull’amore e sui ricordi. Un intreccio poetico e destabilizzante che,
al pari del gameplay, non è invecchiato di un giorno. Come molti JRPG, il DNA
di Final Fantasy 8 è costituito da una crescita progressiva dei personaggi
basata su livelli e punti esperienza accumulati, scontri con mostri minori e
boss, magia e tanta strategia. Questi ultimi due elementi in particolare sono
legati tra loro dal Junction, feature inedita dalla quale dipenderà la maggior
parte delle abilità offensive e difensive dei protagonisti. Il Junction, come
lascia intendere il nome, è una connessione tra il personaggio e i Guardian
Force, creature magiche dalla grande potenza che possono essere chiamate sul
campo di battaglia e che donano numerose abilità, prima su tutte quella di
manipolare e utilizzare la magia. Attraverso questa capacità si avrà modo di
combinare le arti magiche con le statistiche di base sia per aumentare i valori
di attacco e difesa, sia per produrre alterazioni di stato sui nemici attraverso
i copi base. Inoltre lo sviluppo delle Guardian Force permette la possibilità
di apprendere nuove abilità e di poter sviluppare resistenze a incantesimi ed
elementi specifici. Padroneggiare il sistema di Junction è dunque essenziale
per prepararsi al meglio agli scontri, i quali sono liberi dalle logiche dei
turni e sono basati sulla priorità dell’ATB, che concede la mossa a chi riempie
la propria barra/timer più velocemente. In Final Fantasy VIII Square fece in
modo di ridurre al minimo i tempi morti in battaglia anche durante gli attacchi
speciali più cinematici: le Limit Break, ora attivate quando il personaggio
raggiunge una soglia critica di salute, sono accompagnate da brevi sessioni
interattive che incrementano le ferite inflitte; lo stesso vale per le
evocazioni dei Guardian Force, che attraverso l’abilità supporto ottengono una
percentuale di danno extra contro i nemici. Dal canto loro, i Guardian Force
non sono solo strumenti da usare senza ritegno in duello, infatti, come
accennato qualche riga più in alto, anche queste creature crescono acquisendo
punti esperienza per aumentare il loro potere offensivo e sbloccare abilità
utili con cui proseguire l’avventura. La relazione coi GF inoltre dipende da
un’affinità che aumenta in base alla frequenza dell’evocazione: più volte si
chiama in campo la creatura e meno tempo impiegherà per comparire sul terreno
del duello. Attraverso queste dinamiche belliche si dispiegherà di fronte a chi
gioca un universo sconfinato, fatto di scontri epici, incantesimi prodigiosi e
temibili boss.

https://www.youtube.com/watch?v=t-mK6Gkc7-Q

Final Fantasy VIII però non è un titolo composto solo da
battaglie frequenti e incontri casuali con nemici, bensì è ricco di attività
secondarie capaci di intrattenere chi gioca per svariate ore. Tra queste va
ricordato il Triple Triad, ossia il card game col quale Squall può
impratichirsi fin dai primi minuti di gameplay. Alla base del gioco vige la
regola fondamentale de “la carta più alta vince” con variazioni sensibili
in base alla regione in cui ci sposteremo. Intorno a questa attività c’è un
intero filone di quest, necessarie per ottenere le carte più rare. Triple Triad
inoltre è perfettamente integrato con le meccaniche gestionali del titolo:
convertendo le carte con speciali abilità è infatti possibile ottenere preziosi
materiali per produrre power-up per le nostre armi, oggetti dai poteri
superiori, curativi eccezionali e incantesimi proibiti. Addirittura sarà
possibile catturare i nemici trasformandoli in card, dando inizio a una caccia al
mostro per avere la collezione completa. Anche i Guardian Force stessi fanno
parte di una ramificata attività secondaria: per ottenere alcuni di loro sarà
richiesto di recuperare speciali oggetti da combinare insieme, mentre altri
sono in attesa di essere affrontati e sconfitti in angoli remoti del mondo di
Final Fantasy 8, raggiungibili solo rispettando particolari criteri. Specifiche
creature saranno poi evocabili esclusivamente utilizzando oggetti rarissimi, che
attendono di essere scoperti nelle attività opzionali a loro dedicate. Parlando
del comparto grafico è bene dire che nonostante la pratica della
rimasterizzazione sia senza dubbio benefica per tutti quei prodotti che, con il
passare del tempo rischiano di venire inghiottiti dall’oblio dell’obsolescenza
tecnica, in Final Fantasy 8 la percezione che si ha è quella di un lavoro
riuscito a metà. Questa nuova edizione remastered infatti gode di un restauro
completo di tutti i personaggi, i nemici e le animazioni legate alle magie. Per
contro, le componenti 3D della world map e gli sfondi della field map che
originariamente erano fondali bidimensionali pre-renderizzati, sembrano esser
stati esclusi dal processo di perfezionamento delle loro texture, creando così
un vistoso contrasto tra i due elementi presenti sulla scena. Collateralmente a
questa mancanza, l’impossibilità di ricreare da zero i fondali 2D non ha
permesso un adattamento adeguato dell’opera alle risoluzioni moderne,
mantenendo il gioco su un originale 4:3 vistosamente percepibile dalle ampie bande
nere che compaiono sui lati dello schermo.

Discutibile anche l’introduzione di determinati “hack”: come
in alcuni software di emulazione, in questa versione di Final Fantasy 8 sono
state inserite tre feature attivabili, nel caso della versione Xbox One qui
recensita, tramite la pressione combinata degli stick analogici del controller:
premendo L il gioco subirà una brusca accelerazione delle animazioni che darà
modo di muoversi molto più in fretta. L’adozione di una soluzione simile
probabilmente è dovuta alla volontà di avvicinare un’utenza non più
disposta/abituata a cimentarsi con titoli dai ritmi ludici molto dilatati. Allo
stesso modo premendo R si attiva un perk che facilita i combattimenti
garantendo Limit Break più frequenti, punti forza e HP maggiorati. La pressione
contemporanea di entrambi gli stick attiva e disattiva gli incontri casuali,
permettendo una più tranquilla esplorazione degli ambienti. Se da una parte
queste tre feature possano esser d’aiuto per avvicinare alla produzione
un’utenza più vasta, dall’altra sono implementazioni che tradiscono la natura
dell’ottavo episodio e che risolvono un malcelato tentativo di restaurazione e
ricalibrazione dell’architettura ludica. Così come le sue immortali sonorità
MIDI, in conclusione, Final Fantasy 8 Remastered porta con sé nel 2019 tutti i
sapori di 20 anni fa, trattati però con molto meno rispetto di quel che meriterebbero.
Tirando le somme, se vi state chiedendo se valga la pena acquistare questa
edizione celebrativa per i 20 anni dell’uscita del titolo originale, la
risposta è sì. L’essenza dell’ottavo capitolo della saga fortunatamente c’è
tutta, ed ogni elemento di gioco è lì al suo posto come due decadi fa. Detto
questo però bisogna tenere conto che l’aspetto estetico con cui Final Fantasy 8
si presenta al pubblico evidenzia la poca cura dedicata al comparto grafico.
Vedere Squall, che col suo modello poligonale rinnovato si muove su sfondi 2D
sgranati crea un contrasto francamente troppo marcato e sicuramente può far
storcere il naso a chi si aspettava un’opera di rimasterizzazione totale. Le
scelte adottate per far risultare il titolo più appetibile alle generazioni,
come l’aggiunta degli hack e i testi in italiano, sono a nostro avviso una
soluzione insufficiente per riportare sotto la luce dei riflettori e
modernizzare uno dei titoli più venduti della saga Square. Ad ogni modo, questa
rimasterizzazione resta comunque un gradevole viaggio di riscoperta per i più
nostalgici, ma nello stesso tempo è senza dubbio un ottimo modo di far avvicinare
le nuove generazioni e chi non ci ha mai giocato a un vero e proprio classico
del gaming.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5

Sonoro 8,5

Gameplay: 8

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Apple lancia tre modelli di iPhone 11

L’attesissimo evento Apple di presentazione dei nuovi iPhone
ha portato con se una valanga di novità: tre nuovi smartphone di ultima
generazione, iPad, Apple Watch 5 e servizi Tv e videogiochi. Il primo argomento
trattato durante la conferenza del colosso di Cupertino sono stati i nuovi
servizi: Apple Arcade per i giochi e Tv Plus per i contenuti originali in
streaming. Quest’ultimo sarà in diretta concorrenza con Netflix, Amazon Video e
tra poco anche Disney. Apple Arcade, invece, è il servizio in streaming per i
videogiochi e sarà disponibile dal 19 settembre in 150 paesi nel mondo a 4,99
dollari al mese e prevede un mese di prova. Nell’offerta iniziale sono presenti
in catalogo ben 100 giochi. Apple Tv Plus, servizio in streaming di contenuti
originali per cinema e tv, sarà invece disponibile dal 1 novembre a 4,99
dollari al mese in 100 paesi nel mondo. E chi acquista uno fra i tre nuovi
modelli di iPhone 11 avrà Apple Tv gratis per un anno.

https://www.youtube.com/watch?v=2rbBirL1OHk

Per quanto riguarda gli attesissimi iPhone 11, si può dire
che essi sostanza replicano la “line up” dello scorso anno. Tutti hanno al loro
interno il processore A13 Bionic un processore così potente in grado di
eseguire 1 trilione di operazioni al secondo e realizzato utilizzando la
tecnologia a 7 nanometri, in grado di ottimizzare i consumi energetici. Per
quanto riguarda l’iPhone 11 “base”, il dispositivo sarà venduto a un prezzo di
partenza più basso rispetto allo scorso anno (699 dollari). Per quanto riguarda
le specifiche tecniche il device possiede un display da 6,1 pollici, liquid retina
con true tone e due fotocamere posteriori racchiuse in un quadrato. Inoltre la
fotocamera anteriore è in grado di “girare” video in slow motion per i selfie
lenti, gli “slofies”. Il melafonino potrà essere acquistato in sei nuovi
colori.

https://www.youtube.com/watch?v=YWnuHYzNJK8

Nel corso della conferenza Apple ha inoltre presentato iPhone
11 Pro e l’iPhone 11 Pro Max. Questi ultimi due hanno un display Oled
rispettivamente da 5,8 e 6,5 pollici e un comparto fotocamera potenziato con
tre fotocamere sul retro racchiuse in un quadrato con ultra-grandangolo,
grandangolo e teleobiettivo. Ogni fotocamera del sistema registra video 4K con
una gamma dinamica estesa e una stabilizzazione “di livello
cinematografico”. A livello tecnico ecco che la nuova CPU possiede due
core per le prestazioni, quattro core per l’efficienza e un motore neurale a 8
core. Tutto questo è solo consumo? Assolutamente no perché il nuovo iPhone 11
Pro durerà addirittura 4 ore in più rispetto al passato iPhone Xs mentre la
versione iPhone 11 Pro Max addirittura 5 ore in più rispetto alla versione Xs
Max. Oltretutto viene fornito con un adattatore da 18W per la ricarica rapida
già nella confezione. Con iOS 13, poi, tutti hanno accesso a strumenti di
editing video, per ruotare, tagliare, aumentare l’esposizione e applicare
filtri all’istante.

https://www.youtube.com/watch?v=cVEemOmHw9Y

I nuovi smartphone arrivano dal 20 settembre anche in Italia
ad un prezzo di partenza rispettivamente di 999 e 1099 dollari (1189 e 1280
euro). Nello specifico: iPhone 11 Pro da 64GB sarà disponibile a un prezzo di
1.189€, iPhone 11 Pro da 256GB a 1.359€ e iPhone 11 Pro da 512GB a 1.589€. Invece
il modello topo di gamma costerà qualcosina in più: iPhone 11 Pro Max da 64GB sarà
acquistabile a un prezzo di 1.289€, iPhone 11 Pro Max da 256GB a 1.459€ mentre l’iPhone
11 Pro Max da 512GB, il top della gamma, costerà 1.689€. Ricordiamo che i nuovi
modelli di iPhone sono preordinabili già a partire da questo venerdì.

L’azienda statunitense ha anche lanciato un nuovo iPad che a
partire da adesso ha un sistema operativo proprio, per renderlo più
indipendente dall’iPhone. Il dispositivo di settima generazione ha un display
più grande e la compatibilità con la Smart Keyboard di dimensioni standard, è
un Retina da 10,2 pollici e la compatibilità con Apple Pencil, il chip A10 Fusion,
fotocamere e sensori evoluti. Può essere ordinato a partire da oggi e sarà
disponibile nei negozi da lunedì 30 settembre, a partire da 389 euro.

https://www.youtube.com/watch?v=5bvcyIV4yzo

 Novità in arrivo
anche per gli amanti degli orologi intelligenti della Mela, arrivano infatti
anche i nuovi Apple Watch series 5 con display always on, Retina, e un “Low
Temperature Polisilicon display”, in grado di fare il refresh dinamicamente per
risparmiare energia. C’è anche un nuovo sensore per la luce ambientale, che
insieme ad altre innovazioni nel software dovrebbero garantire una durata della
batteria per tutto il giorno. Gli schermi sono ottimizzati per tutti i tipi di
workout e sarà presente un compasso che rileverà la direzione come avviene
sugli iPhone. Ci sarà un modello con il case in titanio e uno in alluminio
ricilcato al 100%. Il prezzo di partenza è di 399 dollari, sarà disponibile negli
store dal 20 settembre e ordinabile da oggi. Insomma, anche per quest’anno
Apple si è presentata a settembre con una carrellata di novità. Riuscirà fra
prezzi più bassi, dispositivi sempre più potenti e servizi innovativi a
conquistare ancora di più consensi fra gli appassionati di tecnologia? Non
resta altro che attendere qualche giorno per capirlo.  

Di seguito, per i più interessati o per chi se la fosse persa, vi proponiamo la conferenza Apple per intero. Buona visione.

Francesco Pellegrino Lise




Huawei presenta il chip 5G all’Ifa di Berlino

Huawei presenta le sue novità all’Ifa di Berlino, fra queste
spiccano un processore per la connessione 5G veloce, il Wi-Fi domestico di
nuova generazione, nuovi auricolari e nuove colorazioni per la serie di
smartphone P30. Il processore Kirin 990 è la variante che supporta le reti 5G,
sarà disponibile per la nuova serie di smartphone Mate 30 che l’azienda cinese
presenterà il 19 settembre e a Monaco. “Consente agli utenti di accedere
ad una straordinaria e avanzata esperienza di connettività 5G, nel primo anno della
implementazione della rete” ha dichiarato Richard Yu, CEO Huawei Consumer
Business Group “Per offrire esperienze 5G avanzate, Kirin 990 (5G) è stato
completamente aggiornato in termini di prestazioni ed efficienza energetica, AI
computing e ISP, per portare l’esperienza di telefonia mobile ad un nuovo
livello”. Presentato anche il router Q2 Pro. Il dispositivo è invece
dotato del chip modem PLC Gigahome 5630 gigabit di Huawei e dell’innovativa
tecnologia PLC Turbo, “migliora notevolmente l’anti-interferenza della
rete PLC per assicurare trasferimenti dati veloci e bassa latenza, ponendo le
basi per l’adozione diffusa di nuove tecnologie, come la banda larga 200 Mbps e
l’ancora più veloce fibra ottica”. Da Huawei arrivano anche i nuovi
auricolari FreeBuds 3 che grazie al chip Kirin A1 inaugurano l’era del suono
intelligente con “sonorità superiori abbinate a eccezionali tecniche di
elaborazione del suono digitale”. Infine, Huawei ha lanciato due nuove
colorazioni per la serie di smartphone P30 Pro: sono Mystic Blue e Misty
Lavender. Inoltre, il dispositivo include anche nuove funzioni di editing foto
e video ed è pronto per EMUI10, l’interfaccia utente basata su Android 10. Il
prossimo appuntamento importante con Huawei è adesso, lo ripetiamo, il 19
settembre a Monaco. In molti infatti non aspettano altro che il lancio del
nuovo Mate 30.

F.P.L.




Man of Medan, il videogame in cui ogni scelta ha una conseguenza

Vi siete mai trovati al cinema a vedere un bel film horror e
di dire fra voi e voi: “io avrei agito così”, oppure di pensare: “Ma cosa sta
facendo? Scappa”. Bene, In Men of Medan, primo capitolo di un’antologia dell’orrore
per Pc, Xbox One e Ps4, sarà possibile decidere le sorti dei protagonisti,
instaurare rapporti solidi o antipatie che porteranno alla salvezza o alla
morte. Ogni dialogo è cruciale, ogni decisione importante, ogni dettaglio non
trascurabile. Insomma, Men of Medan è un vero e proprio horror movie da giocare
da soli, in coppia con un altro giocatore online o in 5 seduti sul divano di
casa. Prima di esaminare il software nello specifico però è bene spendere
qualche parola sul team di sviluppo. Supermassive Games non è un nome
particolarmente famoso presso il largo pubblico videoludico. La software house
inglese, fondata nel 2008, ha lavorato per vari anni a piccoli giochi o come
team di supporto nell’ecosistema PlayStation, trovando poi uno spazio sotto i
riflettori grazie ad Until Dawn (PS4, 2015), avventura narrativa
cinematografica dal taglio horror. Dopo di che, il gruppo si è dedicato di
nuovo a produzioni minori, perlopiù per la VR. Ora, Supermassive torna alla
ribalta con un nuovo progetto che è praticamente figlio di Until Dawn: The Dark
Pictures Anthology. Quest’ultimo non è un gioco ma, come il nome fa
perfettamente intuire, una raccolta di opere indipendenti che condividono lo
stesso stile. Il 30 agosto è uscito il primo titolo di questa antologia: Man of
Medan ed è proprio di questo capitolo che vi andremo a parlare in questa
recensione. A livello di trama il gioco si propone subito in maniera
intrigante, dopo un breve prologo ambientato subito dopo la seconda guerra
mondiale, che funge da tutorial ci si trova immersi nel presente, vero tetro
del gioco. I relitti sommersi, si sa, hanno sempre esercitato un certo fascino
nell’immaginario collettivo, attirando gli esploratori più avventurosi che
cercano di svelarne i segreti. Ed è proprio uno di questi relitti ad attrarre
un gruppo di amici: i ricchi fratelli Conrad, interpretato dall’attore Shawn
Ashmore, Julia, il fidanzato di quest’ultima Alex e suo fratello Brad. I
quattro si avventurano con la capitana polinesiana Fliss su una barca per
immersioni verso alla posizione di un vecchio aereo affondato, determinati a
scoprirne i segreti. E’ esplorando questo relitto che vengono a conoscenza
delle coordinate dell’Oro della Manciuria, quello che sembra essere un tesoro a
sole due ore di navigazione dalla loro posizione. Un obiettivo irresistibile
per il gruppo… e non solo per loro. Man of Medan è un’avventura narrativa che
segue la storia dei cinque protagonisti e che, da semplice escursione
esplorativa nel Pacifico meridionale, degenera velocemente trasformandosi in un
vero incubo per tutto il gruppo.

Come già vi abbiamo detto, il nuovo titolo di Supermassive
games è un’avventura fortemente ramificata, in cui ogni scelta, operata tramite
dialoghi (completamente doppiati in italiano) e azioni, può portare a
evoluzioni della vicenda molto diverse. Alcune delle scelte fatte nella prima
ora di gioco potrebbero avere impatti importanti non solo sul finale, ma
sull’intero svolgimento della trama. Anche la formazione dei vari
“gruppi” all’interno della storia può cambiare in base alle scelte
fatte; i protagonisti non sono infatti sempre insieme e spesso si separano in
due o tre gruppi la cui composizione dipenderà dalle azioni, influenzando di
conseguenza il resto della storia. Inutile dire che quest’alta possibilità di
situazioni porta ad un gran numero di eventi, dialoghi ed esiti diversi in base
alle scelte fatte. Di tanto in tanto nel corso della storia, poi, la narrazione
si interrompe portando i giocatori nella biblioteca del Curatore, un uomo
misterioso che sembra sapere tutto di quello che potrebbe o meno accadere. Il
Curatore ogni tanto fa la sua comparsa commentando le scelte fatte e mettendo
chi gioca in guardia su quello che il futuro potrebbe riservare. Questo sarà
l’unico personaggio ricorrente e filo conduttore che si troverà anche nei
futuri giochi della serie “The Dark Pictures”. Parlando di Gameplay,
Man of Medan si presenta come un’avventura in terza persona con ambienti a
telecamera fissa, quindi legata alla regia degli sviluppatori, in cui di volta
in volta si controllano le azioni dei vari personaggi mentre si dipana l’intera
storia. Nei panni del personaggio di turno sarà possibile esplorare l’ambiente,
interagire con alcuni oggetti raccogliendoli ed esaminarli oppure tirando leve,
aprendo porte e così via, o anche scegliere come condurre i dialoghi scegliendo
tra due risposte da dare entro un tempo massimo, oppure non dicendo nulla.
L’esplorazione si conduce in gran parte camminando più o meno lentamente,
talvolta accompagnati da uno o più personaggi, in ambienti prevalentemente
scuri, e senza grandi possibilità di deviazione. In buona parte degli ambienti
esplorabili è possibile trovare stanze opzionali per scoprire segreti ed
informazioni rilevanti sulla storia sotto forma di diari, lettere e telegrammi,
ma di fatto l’esperienza è totalmente lineare al netto delle scelte compiute
nei momenti chiave. Per quanto riguarda la componente horror, Man of Medan
gioca molto sull’atmosfera, sempre molto cupa e misteriosa. Essa aiutata anche
da un ottimo sound design, tiene sempre sulle spine. Inoltre a condire il tutto
non mancano ovviamente moltissimi “jumpscares” a base di teschi, morti e teste
mozzate, che avvengono nei momenti più inattesi provocando più di un sussulto.
Nei momenti più “concitati” ci sono poi le classiche sequenze di
tasti da premere col giusto tempismo, la cui corretta esecuzione può fare la
differenza tra la salvezza e la morte di un personaggio, e sui quali non si può
tornare indietro visto che il gioco salva istantaneamente le azioni compiute.
In alcuni momenti particolarmente tesi, quando ad esempio ci si stà nascondendo
da un pericolo mortale, interviene infine una sequenza “mantieni la
calma” che consiste nel premere un tasto a ritmo con il battito cardiaco
del personaggio, il fallimento di tale evento porterà il giocatore ad essere
scoperto con tutto ciò che ne consegue. Questi meccanismi fanno quindi sì che si
debba stare sempre ben attenti a quello che avviene sullo schermo, senza mai
mollare il pad; una distrazione qualunque o uno sguardo al telefonino possono
infatti modificare irrimediabilmente la storia per il resto della partita, con
l’unica possibilità di ricominciare dall’inizio oppure ricaricare il singolo
capitolo, opzione questa però disponibile solo dopo essere arrivati alla fine
della trama. Avviso per i “furbetti”, chiudere velocemente il gioco per poi
riavviarlo e ricaricare la partita non funziona, perché ogni azione sarà
salvata istantaneamente.

Il gioco non deluderà nemmeno gli appassionati di
esplorazione, infatti Man of Medan offre una buona dose di segreti
collezionabili, 50 in tutto, e 13 dipinti da cercare in giro per l’ambiente.
Questi quadri sono molto importanti in quanto offrono brevi visioni di quello
che potrebbe accadere in futuro. Ovviamente il condizionale è d’obbligo in
quanto il futuro dei protagonisti dipenderà solo ed esclusivamente dalle scelte
fatte da chi gioca. Ovviamente una singola partita non basterà per vedere ogni
singolo filmato o epilogo, quindi se si vuole vedere tutto è necessario
svolgere più di una “run”. Giocare più partite dall’inizio alla fine servirà
infatti non solo per raccogliere tutto ma anche per scoprire le varie
diramazioni della storia, cercare di salvare tutti o anche di trovare il finale
più negativo possibile. Arrivare dall’inizio alla fine della storia richiederà
ogni volta dalle 4 alle 6 ore e la rigiocabilità è molto alta grazie alle tante
variabili in gioco, per cui è necessario rigiocare il tutto almeno due o tre
volte, magari anche in compagnia di amici, se si vuole puntare a scoprire ogni
cosa. Come vi dicevamo all’inizio, Man of Medan vi dà la possibilità di
affrontare l’avventura da soli o in compagnia, il menu principale del gioco presenta
infatti due opzioni iniziali, “Non giocare da solo” e “Gioca da
solo”; mentre la seconda porta alla classica esperienza single player,
selezionando la prima si avrà la possibilità di accedere alle modalità
“Storia condivisa” e “Serata al cinema”. La prima permette
di giocare online con un amico, controllando ognuno un personaggio diverso:
quando i due personaggi sono insieme nella stessa scena, si potrà interagire e
portare avanti insieme la storia, ma poi se/quando si divideranno ognuno
continuerà la storia dalla propria prospettiva, raccontandosi a vicenda quello
che accade e dandosi consigli. La modalità “Serata al cinema” invece
permette ad un massimo di 5 giocatori di seguire l’intera storia davanti alla
TV, passandosi il controller quando è il momento di controllare il proprio
personaggio, o i propri, visto che i personaggi vengono spartiti tra i
giocatori presenti se sono meno di 5 e contribuendo così alle decisioni per
portare avanti la trama. Insomma, con Man of Medan c’è davvero molto con cui
divertirsi. A livello audio il gioco è impeccabile, infatti il titolo offre un
fantastico doppiaggio in italiano e una serie di effetti spaventosi e musiche
sempre consone con ciò che avviene sullo schermo. Anche a livello grafico Man
of Medan regala un buon colpo d’occhio. Gli ambienti di gioco sono ben
realizzati e particolarmente curati, i volti dei protagonisti sono espressivi e
assolutamente credibili. Peccato per il movimento dei ragazzi che a tratti può
apparire legnoso, ma nulla di eccessivamente grave. Durante la nostra prova
(avvenuta su Xbox One X) il titolo in alcuni rari frangenti è risultato
scattoso, però fortunatamente si è trattato solo di fenomeni sporadici. Tirando
le somme, l’ultimo lavoro di Supermassive Games è in generale un titolo che
merita di essere giocato. Parlando del team che ha sviluppato il bellissimo
Untill Dawn, il risultato non tradisce le aspettative, infatti Man of Medan è
un’avventura narrativa/esplorativa assolutamente ben riuscita ed estremamente
divertente. Ovviamente tale titolo non è consigliato a chi cerca un videogame
di azione o uno sparatutto. Lo ripetiamo ancora, Man of Medan è come vedere un
film al cinema con la differenza che saranno il o i giocatori a decidere come
andrà a finire la pellicola.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 9

Gameplay: 8

Longevità: 9

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise




Control, il nuovo incubo sovrannaturale di Remedy

Control è finalmente arrivato su Pc, Xbox One e Ps4. Il
titolo sviluppato da Remedy Entertainment, software house già ben nota per aver
prodotto capolavori del calibro di Max Payne, Alan Wake e Quantum Break,
irrompe sul mercato con una storia incredibile dove il sovrannaturale e l’alone
di mistero che avvolge la trama riescono a catturare il giocatore fin dai primi
minuti di gioco. Ma cos’ha di così speciale questo titolo? Andiamolo a scoprire
insieme. Jesse Faden è una ragazza di origini statunitensi che, a distanza di
tanti anni da un misterioso incidente durante il quale perse il fratello,
decide finalmente di fare chiarezza e si reca quindi al Federal Bureau of
Control, una struttura governativa impegnata nello studio di fenomeni
sovrannaturali.

 Varcata però la
soglia della sede newyorkese del Bureau, denominata Oldest House, Jesse capisce
che qualcosa non va: la reception è deserta, alcuni monitor mostrano la scritta
rossa “Isolamento Interno Attivo” ed anche nei primi uffici che
incontra non c’è traccia di dipendenti. Più si addentra nella struttura, più la
cosa si fa strana: incontra lo strambo custode del palazzo che, con accento
finlandese, le dice di procedere per il suo colloquio di aiutante custode, e
mentre procede sembra parlare con una qualche voce nella sua mente, apparentemente
qualcuno del suo passato. Alla fine arriva fino all’ufficio del direttore del
Bureau, sente il rumore di uno sparo fuori la porta e, quando si precipita
all’interno, lo trova morto con la sua pistola a terra, come se si fosse
suicidato. Sì, sta senza dubbio accadendo qualcosa di strano ed è da qui che la
trama di Control prende vita. Ancora sotto choc per il suicidio del titolare
dell’agenzia, Jesse raccoglie la pistola del direttore per trovarsi
improvvisamente a puntarsela alla testa, dopo di che ha la visione di una
piramide capovolta con una voce, “il Consiglio”, che le spiega che
deve superare una sfida per dimostrare di avere le qualità giuste per diventare
il nuovo Direttore. Improvvisamente si trova quindi nel “piano
astrale”, un’area/percorso composta da parallelepipedi fluttuanti, nella
quale deve dimostrare di saper combattere una serie di nemici usando sia gli
attacchi corpo a corpo che l’Arma di Servizio, la particolare pistola che solo
i direttori del Bureau possono impugnare. Questa sezione è di fatto un breve
tutorial al sistema di combattimento di Control. Superata questa fase, Jesse
viene suo malgrado nominata direttore e, come se non bastasse, inizia anche a
sentire la voce del precedente direttore, che le dice che deve salvare il posto
dalla crisi che sta attraversando. Da questo punto proseguendo con l’esplorazione
della “Oldest House” si verrà a conoscenza del fatto che il luogo è stato
invaso da una presenza sovrannaturale chiamata Hiss, che si è impadronita di
tutti i dipendenti tranne che per quei pochi che indossano dei particolari corpetti
protettivi. Ovviamente Jesse non ha bisogno di tale apparecchio in quanto
sembra che la protagonista sia naturalmente immune al contagio dell’Hiss, cosa
che la rende la persona più adatta per combattere l’invasione; forse il fatto
che sia arrivata proprio in questo momento non è un caso. Questo è solo
l’inizio della storia di Control, nella quale nei panni di Jesse si inizieranno
a scoprire tutti i segreti del Bureau, incontrando alcuni dei personaggi di
spicco, sbloccando un po’ alla volta tutte le aree del palazzo e cercando di
venire a capo del mistero della scomparsa di suo fratello, Dylan. Il tutto
mentre si acquisiscono gradualmente nuove abilità utili a combattere le schiere
di esseri che l’Hiss manderà contro il giocatore, liberando una dopo l’altra le
zone dall’infezione per riprendere così il controllo della struttura. Insomma, la
trama di Control è tutt’altro che semplice e per comprenderla sarà necessario
svelare numerosi segreti e misteri.

Per far vivere questa avventura in maniera degna, i ragazzi
di Remedy hanno scelto un formato con il quale si trovano ormai a loro agio,
quello dell’action-adventure in terza persona, ma introducendo numerose novità
rispetto ai loro titoli precedenti come Quantum Break ed Alan Wake. Per prima
cosa c’è la struttura aperta della mappa, anzi delle mappe, infatti, se
inizialmente si potrà esplorare un solo piano della Oldest House, una volta che
si riuscirà a revocare il blocco di sicurezza interno ci si potrà spostare a
piacimento tra i vari piani dell’edificio. Ogni livello ospita una diversa
divisione: manutenzione, ricerca, contenimento ecc… e ognuno di questi piani ha
la sua mappa diversa dagli altri sia per planimetria che per estensione. In
ogni ambiente di Control ci si trova in un luogo in cui viene fatto pesante uso
di “Oggetti del Potere”, ossia particolari oggetti intrisi di potere
sovrannaturale, fatti per stravolgere le leggi della fisica e creare spazi
enormi in quello che esternamente sembra un normale palazzo newyorkese. Ecco
quindi che alcuni piani dell’edificio contengono silo giganteschi o enormi cave
sotterranee, mentre altri sembrano maggiormente dei “semplici” uffici
e laboratori di ricerca, anche se di semplice in questo posto c’è davvero ben
poco. Tutto ciò che abbiamo descritto, una volta sbloccato, diventa liberamente
esplorabile – con tanto di sistema di viaggio rapido costituito da dei punti di
controllo “purificabili” dopo aver combattuto i soldati dell’Hiss che
infestano l’area – più o meno liberamente a seconda del livello di accesso
ottenuto da Jesse e dei poteri posseduti. Gli sviluppatori hanno infatti
strutturato la mappa del gioco in modo tale che molte aree sono bloccate da
porte che richiedono un certo livello di sicurezza o magari si trovano burroni
enormi a separare due aree, raggiungibili solo con il potere di levitazione.
Jesse è infatti molto speciale: oltre ad essere immune dall’Hiss, può anche
controllare alcuni particolari oggetti, chiamati “Oggetti del Potere” per
guadagnare nuove abilità come, appunto, la Levitazione, la possibilità di
compiere veloci scatti, la capacità di crearsi un muro di detriti per
proteggersi dal fuoco nemico, la telecinesi per afferrare e scagliare con forza
gli oggetti e altri che vi lascio scoprire da soli. Non tutti questi poteri
sono obbligatori; alcuni vengono recuperati nel corso della storia principale,
ma altri sono acquisibili solo svolgendo delle missioni secondarie. La
struttura “open” della mappa ha infatti permesso al team di sviluppo di Remedy Entertainment
di inserire anche una serie di quest non obbligatorie, assegnate da alcuni
personaggi come il Custode o scoperte tramite la lettura dei documenti sparsi
per il gioco, che permettono di ottenere risorse, utilizzabili poi per
potenziare sia Jesse e relativi poteri che la sua arma, e nuovi poteri, oltre a
scoprire maggiori retroscena sulla storia del Bureau. Svolgere queste missioni,
così come esplorare a fondo ogni area che si attraversa, è inoltre utile per
trovare i tantissimi oggetti collezionabili – documenti e registrazioni audio e
video – che permetteranno ai giocatori più incalliti di ottenere il 100% di
completamento del gioco.

Al di là dell’interessante storia personale di Jesse sono
probabilmente i personaggi “secondari” ad essere il vero fiore all’occhiello di
Control. Il burbero e misterioso inserviente Ahti, l’ex Direttore Trench e il
Dr. Darling sono alcuni esempi di una recitazione di altissimo livello in grado
di trasmettere a pieno la profondità di comprimari caratterizzati con notevole
maestria. Sia che si ami immergersi nella lore sia che si preferisca vivere la
trama in maniera lineare senza divagare più di tanto dall’azione, Controlnon
tradirà le aspettative in quanto ce n’è davvero per tutti i palati e la
longevità stessa dell’esperienza può passare dalle 10 ore al superare senza
alcun problema le 20. Una volta terminata la storia si resterà comunque nel
palazzo dell’Agenzia con la possibilità di completare le missioni non ancora
ultimate, quindi non serve necessariamente fare tutto prima dei titoli di coda;
Remedy prevede peraltro diverse espansioni nei prossimi mesi che introdurranno
probabilmente nuove aree dell’edificio e nuovi poteri, quindi ci sarà più di
un’opportunità per tornare a giocare.  Mantenendo
la cura nella narrazione e la grande capacità nella costruzione di universi e
lore abitati da esseri e personaggi complessi e affascinanti, il team
finlandese si è spinto oltre la propria zona di comfort abbracciando una
sperimentazione che ha dato vita ad aree che per level design, impatto visivo e
di gameplay ricordano i migliori lavori di Arkane Studios. Che si tratti di un
misterioso frigorifero da non perdere assolutamente di vista, della missione
Specchio Riflesso, del Labirinto del posacenere, o della “piccola”
deviazione alla ricerca dell’enigmatico Ahti, i momenti memorabili sono davvero
parecchi e si insinuano sia nella storia principale che nelle missioni
secondarie. Altro aspetto davvero ben riuscito è il combat system. I
combattimenti di Control si trasformano presto in un’apoteosi di distruzione
tra sparatorie, utilizzo di poteri e corse frenetiche sul campo di battaglia,
il tutto reso ancor più spettacolare non solo dagli effetti visivi di poteri ed
esplosioni, ma anche dall’enorme distruttività dell’ambiente che vede
praticamente qualsiasi elemento frantumarsi, scomporsi e rispondere fisicamente
alle sollecitazioni, creando un tripudio di frammenti e particelle che permeano
la scena durante gli scontri più intensi. A differenza dei precedenti titoli
Remedy, in cui il numero dei nemici in ogni scontro era tutto sommato
contenuto, qui possiamo trovare orde anche molto numerose di nemici, con
un’ampia varietà di tipologie che spazia dai soldati semplici ad esseri
esplosivi fino a quelli capaci di fluttuare nell’aria e lanciare attacchi
telecinetici o quelli protetti da uno scudo di detriti che sparano granate e
missili i quali possono essere rimandati indietro al mittente grazie all’utilizzo
dei poteri telecinetici della protagonista. Detto ciò va ricordato che control,
pur mantenendo il parlato in inglese, è localizzato in italiano nei testi, così
da permettere a tutti di godersi la trama. Certo, l’effetto non è lo stesso di
un doppiaggio, ma sicuramente i sottotitoli aiutano molto chi non parla la
lingua inglese.

Per quanto riguarda l’aspetto grafico, Control utilizza lo
stesso motore grafico utilizzato per Quantum Break, il Northlight, che ha permesso
agli sviluppatori di dar vita alla grande distruttività ambientale del titolo e
non dà cenno di cedimento neanche nei combattimenti più caotici, ma la resa
grafica pur mantenendo una certa suggestività non dà il massimo in quanto a
pulizia dell’immagine, mantenendo quella “sgranatura” dei materiali
che era presente anche nel precedente titolo di Remedy. Inoltre il fatto che il
gioco non supporti l’HDR è un vero peccato, perché le ambientazioni avrebbero
letteralmente brillato in questo formato. Da sottolineare poi che quando si
riavvia il gioco da una pausa o da una sospensione della console, il motore
arranca un po’ producendo cali di frame-rate che però durano solo un paio di
secondi. Nulla da dire invece sulle animazioni facciali, che si attestano
sempre a livelli eccellenti. Tirando le somme, con Control Remedy Entertainment
e 5050 Games hanno portato su Pc e console un vero e proprio capolavoro. Infatti,
tralasciando il fatto che manca il doppiaggio in italiano e che la grafica non
sia proprio sempre perfetta, la storia proposta è un vero e proprio capolavoro.
Lasciarsi sfuggire Control sarebbe un vero errore, infatti produzioni così
valide da un punto di vista narrativo raramente riescono a essere lanciate sul
mercato. Le grandi qualità di questo titolo sicuramente lo eleggono a uno delle
produzioni più interessanti attualmente in commercio.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8

Longevità: 8,5

Gameplay: 9,5

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise 




Huawei: il 19 settembre arriva il Mate 30, ma resta l’incognita Google

Huawei Mate 30 arriva il 19 settembre, la notizia è
ufficiale. Dopo le indiscrezioni dei giorni scorsi l’azienda cinese ha diramato
gli inviti per la presentazione della nuova serie di smartphone su cui però
resta ancora l’incognita Google. Per effetto del bando dell’amministrazione
Trump, infatti, il dispositivo al momento non potrà avere a bordo l’ecosistema
di Big G, compresi app e servizi Android. Se le cose dovessero restare così
fino all’evento di presentazione, Huawei potrebbe optare per una soluzione
diversa, ossia: adottare una versione modificata, “open source”, di Android
oppure mettere in pista il suo nuovo sistema operativo HarmonyOS, lanciato ad
agosto. Restano quindi i dubbi su una data di commercializzato nei mercati
internazionali. Sull’invito della presentazione del Huawei Mate 30, che si
terrà a Monaco di Baviera, c’è scritto “Rethinking Possibilities”,
“ripensare a delle possibilità” che fa ben capire lo spirito
dell’evento e il momento di cambiamento che il colosso della telefonia mobile
sta attraversando in questo periodo. Huawei con il lancio del suo Mate 30 sembra
dunque intenzionata ad andare per la sua strada con o senza Google che ha
bisogno di ottenere una licenza dal Dipartimento del Commercio degli Stati
Uniti per stipulare nuovi accordi con la società asiatica. Per quanto riguarda
invece le caratteristiche del dispositivo, è atteso uno smartphone con schermo
grande e sul retro un comparto fotografico con ben quattro obiettivi disposti
all’interno di una grande protuberanza circolare. Quindi il Huawei Mate 30
dovrebbe offrire prestazioni fotografiche di alto livello e ampio spazio per
utilizzare il dispositivo al meglio. Per capire come andrà a finire non resta
altro che attendere il 19 settembre.

F.P.L.




MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross

Come ogni anno, anche per questo 2019 è finalmente arrivata l’ora di MXGP 2019: il titolo Milestone per Pc, Xbox One e Ps4 dedicato all’adrenalinico mondo del motocross che arriva, con questa edizione, alla sua quinta apparizione sul mercato. MXGP 2019, differentemente da quello che i più potrebbero pensare, non è affatto un prodotto di nicchia: la grande cura dei dettagli che la software house milanese riversa in ogni sua produzione, specialmente in quelle più recenti, rende il titolo un qualcosa di godibile per ogni giocatore, dai casual gamers fino ai piloti più esperti. C’è da dire che già dal primo avvio del gioco è difficile non rimanere colpiti da ciò che si vede sullo schermo. Non c’è componente di MXGP 2019 che non abbia ricevuto limature consistenti, ed i frutti del lavoro di miglioramento si possono notare fin dal primo momento in cui ci si confronta con i menù, i tutorial, l’interfaccia e la colonna sonora, tutti protagonisti di un evidente e notevole balzo qualitativo. Ciascun elemento appare curato fin da principio, e questa piccola attenzione tecnica si riflette nella caratterizzazione di tutte le moto e delle componenti, che siano le finiture in carbonio di una marmitta della Arrow o le saldature sul metallo dell’Akrapovich. La licenza ufficiale del campionato Motocross ha permesso, come è ovvio, di riprodurre fedelmente piloti, livree, sponsor e tracciati, per una modalità carriera che ricalca le sequenze della stagione in corso. Ad ogni modo, è possibile anche “saltare” l’ostacolo, almeno in termini di personalizzazione dell’esperienza, affidando le fortune del pilota virtuale, creabile attraverso un editor, ad uno sponsor piuttosto che ad un altro. Si tratta, è bene precisarlo, di un’opportunità prettamente estetica, che garantisce all’utente di gestire a proprio gusto i “colori” e lo stile di moto, abbigliamento e accessori. Il vero modificatore dell’esperienza risiede però nella scelta di approccio. In pratica, è possibile tanto affrontare la campagna in modalità Standard, per un gameplay evidentemente arcade, quanto giocare di “fino” e, quindi, in modalità Realismo, per una fisica, specie quella legata ai pesi di moto e pilota, ben più intransigente. Proprio per queste ragioni, come accennavamo prima, il titolo può essere giocato e apprezzato da qualsiasi tipo di gamer. Ovviamente trattandosi di un gioco di motocross in gara bisogna badare non certo solo alla velocità, ma alla gestione dei salti e, quindi, al posizionamento del bolide piuttosto che del pilota. Insomma, la conoscenza dei tracciati, ma anche la corretta lettura delle varie situazioni, tra piloti avversari e ostacoli presenti a bordo pista, è essenziale per il raggiungimento delle prime posizioni. Anche ai livelli di difficoltà più bassi.

Oltre alla modalità Carriera MXGP 2019 offre anche un
simpatico editor dei tracciati. Imparando a utilizzarlo è quindi possibile
creare la pista dei propri sogni sfruttando una serie di strumenti e preset
estremamente semplici ed efficaci, ma il risultato finale corrisponde raramente
alle aspettative, perché la totale assenza di dislivelli e piccoli
“fronzoli” estetici finisce per disegnare piste eccessivamente piatte
e prive di una reale varietà. Per testare la propria moto poi esiste l’area
Playground dove è possibile correre in una zona collinare della Provenza. Qui non
solo è possibile confrontarsi con una simpatica serie di challenge capaci di
toccare la destrezza in sella, l’abilità nel trial e la pura velocità, ma
addirittura creare piccole gare “waypoint” artigianali attraverso le quali
sfidare altri membri della community. Insomma, il Playground si è rivelato
quella tavolozza che mancava all’editor dei tracciati, e risulta
particolarmente affascinante perché riesce a deviare efficacemente
dall’esperienza tradizionale, consentendo di scalare il fianco delle colline o
di lanciarsi a tutto gas in un downhill suicida. La ciliegina sulla torta, poi,
sta nella presenza di una “modalità finale” destinata esclusivamente
a coloro che riuscissero a completare ogni sfida presente fra boschi e
laghetti. Oltre a quanto elencato fino a ora, sono presenti altre modalità:
dalla classica prova a tempo alla gara veloce, dove si potrà decidere se
utilizzare il proprio pilota o uno dei campionati MXGP e MXGP 2. Insomma, a
livello di offerta ludica il titolo non delude. A livello tecnico ed estetico,
MXPG 2019 è il titolo di Milestone con la caratterizzazione del rider più
convincente in assoluto, e le decine di piccoli movimenti pensati per
accompagnare ciascun sobbalzo in gara fanno un ottimo servizio al realismo. Realismo
che si ritrova nell’estetica dei circuiti, ormai divenuti visivamente
impeccabili, impreziositi da un gradevole sistema d’illuminazione e da
immancabili effetti particellari. Gli skybox e gli sfondi regalano un’identità
ed una palette cromatica proprie a ciascuna location, dai monti di
Pietramurata, passando per le sterpaglie della Turchia, per arrivare infine
alle piccole superfici acquatiche che fanno capolino fra i dossi di Shangai ed
in Lettonia. Anche gli elementi storicamente più spigolosi, come le comparse
fra il pubblico ed i modelli scenografici, sono arrivate a presentarsi in forma
smagliante. La fase di gara scorre discretamente liscia, e non solo per merito
dell’ottimo comparto visivo; al di là degli spigoli, abbiamo particolarmente
apprezzato la marcia indietro fatta sul reset istantaneo al momento dell’uscita
dal tracciato, sistema che penalizzava l’immersione e che ha finito per essere
sostituito da un pratico timer. Le tanto discusse collisioni, invece, sembrano aver
trovato finalmente la quadra, e capita molto raramente di trovarsi con la
faccia nel fango senza una ragione precisa. Tirando le somme, si può senza
dubbio affermare come MXGP 19, al netto di qualche imperfezione come un frame
rate non sempre stabilissimo (unica vera pecca del gioco), risulti un titolo
più che godibile figlio di anni e anni di esperienza da cui Milestone è
riuscita a imparare dai propri errori. Lo specializzarsi in un genere
perfezionandolo sempre di più è ciò che, da sempre distingue l’azienda milanese
da molte altre presenti sul mercato. Grande varietà, possibilità di essere
goduto sia dai casual gamers, ma anche da chi cerca un’esperienza realistica,
un editor di mappe e la possibilità di affrontare sfide nel Playground fanno sì
che questo MXGP 2019 sia un titolo da tenere da conto. Fango, salti, velocità e
adrenalina vi aspettano.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Gameplay: 8

Sonoro: 8

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Galaxy Fold in arrivo a settembre, ma Samsung pensa già al successore

Samsung è ormai in dirittura d’arrivo riguardo al rilancio
ufficiale del suo primo smartphone pieghevole, ossia il Galaxy Fold che è stato
inizialmente rinviato a causa di problemi di progettazione. Il dispositivo potrebbe
debuttare sul mercato sudcoreano il 6 settembre, giorno di apertura dell’Ifa,
la fiera tecnologica di Berlino. La notizia è stata riportata dal quotidiano
coreano Yna, ma al momento non c’è una data della commercializzazione nei
mercati internazionali. Il Galaxy Fold è stato presentato a febbraio e l’arrivo
sui mercati era previsto ad aprile. Ma il lancio è stato rinviato dopo le
recensioni negative di alcuni esperti di tecnologia. Il colosso ha riposto
molte speranze nel dispositivo pieghevole, con il quale punta ad arrivare fra
le prime nel settore e imporsi. Il Galaxy Fold chiuso misura come uno
smartphone da 4,6 pollici, mentre aperto è come un tablet da 7,3 pollici. Tra i
cambiamenti apportati al dispositivo dopo la “bocciatura” degli esperti, uno in
particolate riguarderebbe la pellicola protettiva dello schermo, ora inserita
nelle cornici in modo da impedirne la rimozione. Stando alle ultime
informazioni trapelate in rete e riportate da Bloomberg, Samsung sarebbe anche
al lavoro su un nuovo pieghevole più piccolo e più sottile di Galaxy Fold: ci
si aspetta infatti un pannello da 6,7″ ed uno spessore più contenuto. Questo lo
renderebbe più maneggevole rispetto al primo pieghevole del produttore
sudcoreano. Sempre secondo Bloomberg, il nuovo smartphone integrerebbe un
sensore fotografico nella superficie interna, ovvero quella sulla quale si
piega il device, e due sensori posti su quella esterna. Il design dello
smartphone sarebbe caratterizzato da una forma quadrata, quando piegato, e
Samsung l’avrebbe commissionato al noto designer Thom Browne. Al momento non è
noto se il fatto che sia più “contenuto” rispetto a Galaxy Fold contribuirà a
renderlo più economico.

F.P.L.




Age of Wonders Planetfall, è tempo di colonizzare

Cercate un titolo strategico ambientato nel futuro e che
preveda la colonizzazione di nuovi pianeti? Volete un videogame in grado di
offrire ore ed ore di divertimento fra combattimenti a turni, raccolta di
risorse e la creazione di un pianeta governato come si desidera? Bene, allora
Age of Wonders Planetfall è il prodotto che fa per voi, sia che siate giocatori
Pc che Xbox One e PS4. Parlando di trama, pensate a una società evoluta
tecnologicamente che ha avuto modo di espandersi per il cosmo colonizzando
centinaia di pianeti, un impero in grado ti mantenere pace ed ordine tra le
numerose razze e fazioni diverse presenti nel cosmo. Ora immaginate che un
misterioso cataclisma di proporzioni cosmiche faccia crollare tale impero,
mandandolo in frantumi e rispedendo le civiltà che lo compongono centinaia di
anni indietro dal punto di vista tecnologico. Ecco, questo è a grandissime
linee il tetro in cui si svolgono le attività di Age of Wonders Planetfall. Nel
gioco si vestiranno i panni di un comandante impegnato nella ricostruzione del
proprio impero, facendolo risorgere dalle ceneri di ciò che era una volta
l’Unione Stellare Intergalattica. Ma per raggiungere tale scopo bisognerà
prendere con saggezza le proprie decisioni e valutare ogni mossa attentamente. Con
la caduta dell’Unione, la galassia ha visto le sue principali razze
organizzarsi in gruppi indipendenti, aventi come obiettivo quello di riportare
la propria civilizzazione a prima del cataclisma. E qui inizia il gioco,
infatti, ci sono ben sei fazioni selezionabili con cui intraprendere l’avventura,
ognuna con caratteristiche uniche che ne determinano i punti di forza. Ci sono
i Vanguard, la fazione umana, gli Assembly, una razza cibernetica votata alla
ricerca della perfezione fisica attraverso il massiccio utilizzo di impianti
biomeccanici, i Dvar, una specie nanica spaziale votata alla ricerca mineraria,
i Kir’ko, uno sciame di insetti senzienti, il Sindacato, razza dotata di poteri
psionici e infine le Amazzoni, razza guerriera specializzata nell’uso di armi
biologiche. Detto ciò è bene sottolineare che oltre che per il diverso
background, queste fazioni si distinguono tra di loro in maniera evidente per
una serie di caratteristiche che le rendono uniche, differenziando in modo
molto marcato l’approccio in-game e tutta una serie di dinamiche fondamentali.
Tale vastità di scelta nella giocabilità dona al titolo un alto tasso di rigiocabilità
a patto però di avere la pazienza di seguire il tutorial (esclusivamente in
inglese) e di non aver fretta. Age of Wonders Planetfall non è un gioco per
casual gamers e per raggiungere risultati concreti è necessario applicarsi.

Entrando nel vivo dell’azione, subito dopo l’atterraggio
della nave-colonia sulla superficie del pianeta, si inizia a prendere
confidenza le numerose dinamiche offerte dal titolo. L’interfaccia di gioco appare
fin da subito chiara e permette di visualizzare sullo schermo le informazioni
principali ma nonostante ciò lascia la maggior parte dello spazio libero per la
visualizzazione della superficie del pianeta. Il mondo di gioco è diviso in una
serie più o meno numerosa di settori, inizialmente oscurati e visibili solo nel
momento in cui si invieranno degli scout in avanscoperta. Ciascuno di questi
settori si differenzia dagli altri per morfologia, fertilità, clima o per la
presenza di strutture o variabili naturali che possono conferire allo stesso
dei bonus o dei malus in quelli che sono i fattori chiave per lo sviluppo della
colonia: ricerca, produzione agricola, industria. I piani di espansione del
giocatore, infatti, dovranno tenere in considerazione molto attentamente queste
variabili, in quanto i settori, una volta annessi ad una colonia, sono
determinanti per lo sviluppo della stessa e la generazione delle diverse
risorse fondamentali. Ogni colonia che si fonderà nasce con un determinato
numero di coloni, numero che nel corso dei turni di gioco andrà a crescere
permettendone la progressiva espansione: risulta importante gestire
correttamente le risorse, per far sì che i coloni prosperino felici, e non incorrere
in possibili sommosse dettate da un morale troppo. Il numero dei settori che
ciascuna colonia può controllare dipende dalla dimensione della stessa:
maggiore sarà il numero di abitanti in una città, maggiori settori potranno
essere controllati, in una meccanica che lega a doppio filo colonie e settori.
Oltre che allo sviluppo di questi settori, sarà necessario anche provvedere
alla costruzione di strutture all’interno della colonia vera e propria: caserme
e centri di addestramento avanzati sono essenziali per la costruzione di unità
da guerra sempre più efficienti, torrette e difese perimetrali conferiranno
alla colonia difese extra in caso di invasione, i centri ricerca aumenteranno i
punti generati sotto questa voce e così via. Ogni elemento che verrà aggiunto
alla coda di costruzione ha un numero prestabilito di turni necessario al
proprio completamento, turni che nel corso del gioco, con l’evoluzione
tecnologica o l’emissione di determinati editti potrebbero venire ridotti,
velocizzando considerevolmente la creazione di strutture o truppe. Insomma, l’attento
sviluppo della colonia, le scoperte scientifiche, il numero di abitanti e le truppe
militari, sono tutti fattori necessari per il controllo dei settori e del
pianeta stesso.

A questa complessa parte gestionale, che richiederà diverse ore per essere padroneggiata in maniera efficace, si aggiungono altri elementi altrettanto complessi tra i quali spicca la gestione delle truppe in battaglia. Sulla superficie del pianeta le truppe vengono mosse come pedine sulla mappa in base al loro numero di punti azione, che dipendono sia dalla tipologia di unità sia dalla conformazione del terreno su cui si stanno muovendo. Capiterà quindi durante gli spostamenti di imbattersi in gruppi di unità ostili non necessariamente legate a qualche altra fazione rivale, ma anche in gruppi di semplici banditi o più semplicemente creature selvagge che vedono le unità del giocatore come forze osili. Questi gruppi vengono evidenziati, sugli esagoni che compongono la mappa di gioco, con la riproduzione della loro unità principale, ma sono spesso composti da diverse tipologie di creature, fino ad un massimo di sei elementi per gruppo, discorso che vale naturalmente anche per le truppe del giocatore. Una volta venuti in contatto con le unità ostili starà a chi gioca gestire la situazione nel migliore dei modi: si potrà ad esempio decidere di attaccare con un singolo gruppo di unità, piazzandolo sulla casella adiacente a quella occupata dagli avversari per poi fare partire lo scontro vero e proprio, oppure decidere, qualora si abbiano a disposizione più gruppi di soldati, di attaccare con unità multiple, posizionandole sul bordo di due o più lati dell’esagono del nemico. Ovviamente nel caso in cui si ritenga che lo scontro sia fuori dalla propria portata, è anche possibile scegliere di ritirarsi per fortificare le proprie unità e procedere in un secondo momento con l’attacco. Caricare sempre i nemici a testa bassa, infatti, non è mai la soluzione migliore. Una volta che si decide di ingaggiare i nemici, ha inizio la fase di combattimento vera e propria. In Age of Wonders Planetfall, prima di iniziare a scontrarsi sul campo di battaglia viene data la possibilità di scegliere se scendere in campo controllando direttamente le truppe oppure lasciare che sia la CPU a calcolare l’esito dello scontro sulla base della potenza totale degli schieramenti. La scelta più appagante rimane ovviamente la prima, perché permette di godere delle tantissime soluzioni tattiche messe a disposizione dal titolo. Nel caso in cui quindi si scelga di giocare la battaglia, le unità vengono disposte sul campo in base alla loro collocazione nella mappa principale, offrendo la possibilità di creare strategie complesse per tentare manovre a tenaglia o accerchiamenti. Ogni truppa al comando del giocatore ha un numero determinato di movimenti, che ne costituiscono il range di spostamento: il numero di spostamenti dipende dal tipo di unità, con le unità leggere più agili e quindi più mobili. Ogni unità può utilizzare i punti a propria disposizione per spostarsi ed attaccare oppure può spenderli tutti semplicemente in uno spostamento di maggior portata. Il terreno di scontro offre sempre punti di riparo o zone di particolare vantaggio, come aree sopraelevate, che conferiscono bonus aggiuntivi a precisione o difesa. Una volta raggiunta la posizione desiderata si potrà sferrare l’attacco che in base a svariati fattori avrà una percentuale diversa di successo, l’attacco va a buon segno l’avversario subisce un danno e può ricevere, in base all’armamento in possesso, anche danni extra dovuti da status come avvelenamento, elettrocuzione, danni da esplosione o bruciatura. La vittoria va allo schieramento che elimina completamente
gli avversari o li costringe alla resa. Age of Wonders Planetfall unisce quindi
elementi strategico gestionali a una struttura di combattimento estremamente
complessa ed appagante.

I combattimenti, è bene sottolineare, non si riducono solo
alla caccia di gruppetti sciolti di banditi o creature del luogo, infatti il
gioco si fa molto più duro nel momento in cui si entrerà in contatto con
un’altra fazione. Oltre che mostrando la propria superiorità bellica il
giocatore avrà anche la possibilità di interagire con gli altri comandanti utilizzando
la sottile arte della diplomazia, cercando di stringere accordi commerciali,
patti di non aggressione o alleanze al fine di avere appoggio e maggior potenza
di fuoco in caso di guerra contro un nemico comune, spendendo oculatamente i
punti influenza che vengono guadagnati nel corso dei turni. Nel gioco potrà
capitare di essere contattati da gruppi “neutrali” che chiederanno alla fazione
del giocatore aiuto nel completamento di differenti compiti, grazie alle quali
ricevere ricompense costituite da punti ricerca, energia o persino unità
supplementari o armamenti migliori con i quali equipaggiare i propri comandanti.
In Age of Wonders Planetfall, ovviamente, per potersi imporre sugli avversari è
necessario dare ampio spazio al progresso scientifico e tecnologico. Il titolo
infatti presenta un albero tecnologico molto variegato; mano a mano che i punti
ricerca generati dalle colonie aumentano si può accedere ad una vasta gamma di
ricerche, che non si limitano a nuove unità o mod con cui potenziare le truppe,
ma consentono anche di aumentare la produttività delle fabbriche, la resa delle
colture, permettono di accedere ad attacchi missilistici di precisione, in
grado di indebolire strutture o unità nemiche, di mettere in atto strategie di
spionaggio e controspionaggio e via dicendo. Ovviamente più si avanza con la
ricerca, maggiori sono i vantaggi offerti da questa, quindi è sempre bene dare
una buona fetta di priorità a scienza e tecnologia. In Age of Wonders
Planetfall oltre alla modalità Campagna, attraverso la quale è possibile
seguire le vicende delle varie fazioni in un susseguirsi di mappe da completare
raggiungendo obiettivi precisi, si potrà decidere di affrontare il gioco in
modalità “scenario”, selezionando e personalizzando completamente uno dei
pianeti disponibili stabilendo il numero di avversari (da un minimo di 2 a un
massimo di 12) e stabilire se siano umani o controllati dalla CPU. Interessante
la possibilità di giocare una partita in tale modalità sfidando o collaborando
con un compagno umano sulla stessa console. Ed immancabile la modalità
multiplayer, che consente di sfidare invece fino a 5 avversari online. Anche
questo aspetto incrementa la longevità del titolo e dà la possibilità di
passare centinaia di ore gioco senza mai annoiarsi. Graficamente Age of Wonders
Planetfall si attesta su un buon livello, anche se, parlando di un titolo
strategico gestionale, la produzione non può essere paragonata a capolavori di
altro genere. Unica grande pecca del gioco è la mancanza totale della lingua
italiana. Tale assenza può risultare un ostacolo importante per chi non mastica
l’inglese, infatti, comprendere le complesse dinamiche di gioco è pressoché
impossibile senza una buona conoscenza dell’inglese. Tirando le somme, Age of
Wonders Planetfall è attualmente uno dei migliori esponenti del genere, ma
prima di procedere all’acquisto è necessario tenere a mente che il titolo non è
un prodotto adatto a tutti. Chi ha fretta di fare le cose, i casual gamers e
chi non apprezza tale tipo di giochi potrebbe trovarsi in grande difficoltà fin
dalle prime battute. Per chi invece è alla ricerca di uno strategico gestionale
che offra un buon livello di sfida, che offra tante cose da fare e che abbia un
gameplay profondo, il prodotto di Paradox Interactive e Triumph Studios sarà un
vero e proprio sogno.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8,5

Gameplay: 9

Longevità: 10

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




Wolfenstein Youngblood, è il momento delle gemelle Blazcowicz

In Wolfenstein Youngblood, spin-off della nota saga shooter
che si rifà a sua volta al capolavoro degli anni ’90, il detto buon sangue non
mente la fa da padrone. Nel nuovo titolo di Bethesda per Pc, Xbox One, Switch e
PS4, sviluppato a quattro mani da Machine Games, autori della serie principale
e Arkane Studios, non si vestiranno più i panni del protagonista storico, B.J.
Blazcowicz, ma delle sue due figlie: le gemelle Jessie e Sophia. Detto questo,
a livello di trama, Wolfenstein: Youngblood trasporta i giocatori all’inizio
degli anni ‘80 e li catapulta in un nuovo universo dove far stragi di nazisti
sarà lo scopo principale. Ma che fine ha fatto Blazcowicz? Bene, dopo aver
contribuito a gettare le basi per la Seconda Rivoluzione Americana ed essersi
ritirato a vita privata insieme alla sua famiglia, il biondo protagonista della
saga scompare nel nulla, o quasi. Jess e Soph, questi i diminutivi con i quali
si fanno chiamare le gemelle, decidono quindi di mettersi sulle sue tracce
partendo dall’ultima posizione nota: Neo Parigi, una delle roccaforti più
importanti del Reich nel vecchio continente. Una volta giunte in città, le due gemelle
si vedono “costrette” a collaborare con la resistenza locale per ritrovare il
padre e a contribuire, più o meno volontariamente, alla liberazione della città
attraverso una serie di missioni, suddivise tra principali e secondarie, capaci
di tenere occupato il giocatore per almeno 15 ore con un intreccio narrativo
semplice ma comunque godibile e perfettamente integrato con il resto della
saga. Detto ciò, per gli appassionati della serie, questo Wolfenstein Youngblood
avrà un’aria piuttosto familiare in quanto la struttura del gioco ricalca in
modo abbastanza evidente quella di The New Colossus, con un hub centrale che
ricopre il ruolo di base operativa dal quale è possibile raggiungere le varie
zone della città e da dove prendono il via quasi tutti gli incarichi.

Questi ultimi non si discostano molto dagli standard del
genere e prevedono la raccolta di specifici oggetti, l’attivazione di meccanismi,
il salvataggio di alcuni personaggi e via discorrendo. A questo si sommano poi
dei veri e propri “raid” ambientati negli edifici cardine del Reich, conosciuti
come Brother, e alcune missioni generate casualmente durante l’esplorazione. E’
bene sottolineare poi che in questo Wolfenstein Youngblood, parlando con uno
specifico NPC è inoltre possibile attivare alcune sfide, giornaliere e
settimanali, o scegliere di rigiocare alcune delle missioni principali, così da
ottenere ulteriori ricompense che possono poi essere spese, proprio come
capitava nel precedente capitolo, per migliorare l’arsenale in possesso o per
attivare dei bonus temporanei che consentono di incrementare per un una decina
di minuti il tasso di raccolta delle munizioni o il livello massimo di salute e
corazza. Nulla vieta inoltre ai giocatori di esplorare liberamente le varie
zone di Neo Parigi per scaricare un po’ di proiettili sui nazisti che
pattugliano le strade della capitale di Francia, per andare alla ricerca di
collezionabili o per sfruttare alcune armi speciali, ottenibili nel corso
dell’avventura, per aprire nuovi passaggi e contenitori inaccessibili fino a
quel momento. E’ bene sottolineare che Wolfenstein: Youngblood è prima di ogni
cosa un esperimento in funzione del futuro terzo capitolo, volto ad accettare
una totale integrazione dell’elemento cooperativo ed innumerevoli meccaniche
ruolistiche. Infatti durante l’intera avventura i giocatori saranno
accompagnati dalla sorella non selezionata, che può essere controllata sia
dall’I.A., non particolarmente sviluppata ma comunque più che sufficiente, che
da un compagno in carne ed ossa, che può essere reclutato tramite invito
diretto o sfruttando il classico matchmaking. Nel secondo caso è inoltre
fondamentale sottolineare che l’edizione Deluxe del gioco contiene il Buddy
Pass, ossia un contenuto aggiuntivo per chi possiede il gioco completo che gli
permette di invitare nella propria partita qualsiasi altro giocatore, senza che
questi debba necessariamente acquistare il titolo. A livello di giocabilità
Wolfenstein Youngblood garantisce lo stesso feeling dei suoi predecessori e
permette nuovamente ai giocatori di decidere di volta in volta quale approccio
utilizzare per superare una situazione, ma con qualche opzione in più. Si può scegliere
infatti per un’incursione silenziosa, sfruttando le capacità di occultamento
delle due protagoniste e la loro letalità negli scontri ravvicinati, tentare di
aggirare gli avversari trovando scorciatoie e passaggi alternativi, magari
sfruttando il doppio salto acrobatico per raggiungere punti altrimenti
inaccessibili, o passare alle maniere forti riversando quintali di proiettili
sugli avversari, che come da tradizione si differenziano notevolmente gli uni
dagli altri per livello di difficoltà, aspetto e punti deboli.

 Insomma, in
Wolfenstein Youngblood le modalità di approccio, le cose da fare e le
possibilità di scegliere come proseguire nell’avventura sono davvero tante. E’
importante sottolineare che la presenza di due protagoniste ha permesso agli
sviluppatori di offrire due diversi stili di gioco, soprattutto nella prima
parte della storia, quando le differenze fra le protagoniste sono più marcate.
Prima di avviare una partita, infatti, si deve infatti decidere quale delle due
sorelle impersonare e selezionare alcuni tratti distintivi, che andranno poi a influire
sull’arma di base e sulle abilità speciali in possesso. C’è da dire però che armi
e abilità peculiari non sono ad appannaggio esclusivo di una delle due sorelle
e potranno comunque essere ottenute nel gioco o sbloccate attraverso un
classico skill tree suddiviso in sezioni dove è possibile spendere i punti
abilità accumulati completando le missioni o salendo di livello. La crescita
del personaggio, oltre a garantire un incremento di alcune caratteristiche
base, è fondamentale quando si tratta di scegliere quali incarichi affrontare e
va ad influire dinamicamente sugli avversari che le due sorelle Blazkowicz
incontrano per le strade della città, così da garantire al giocatore il giusto
livello di sfida in quasi tutte le situazioni. Dal punto di vista estetico
questo Wolfenstein Youngblood si attesta su ottimi livelli, fluidità d’azione,
esplosioni e resa grafica del mondo di gioco sono veramente resi bene e sono
veramente appaganti. Il doppiaggio in italiano e l’avvincente colonna sonora
poi rendono l’esperienza ludica estremamente godibile. Tirando le somme, l’ultima
fatica di Bethesda è davvero un buon titolo, un gioco che diverte sia chi si
avvicina all’universo della famiglia Blazcovicz per la prima volta, ma
soprattutto che appassionerà i fan della serie.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise