GRID, si torna in pista con la serie racing di Codemasters

Dopo 11 anni di assenza Codemasters torna a calcare le competizioni automobilistiche a ruote coperte con il ritorno dell’attesissimo GRID.

Sarà riuscita la software house Britannica a ricreare quel mix di gare spettacolari e immediatezza che tanti giocatori aveva conquistato nella scorsa generazione?

Secondo noi sembra proprio di si, quindi sia che giochiate su Pc, che su Xbox One che su PS4, ma soprattutto se cercate un racing game che vi faccia provare le stesse emozioni del pasato, GRID è quello che state cercando. Ma andiamo subito a scoprire il perché.

Una volta avviato il gioco, il menu principale offre subito tre modalità: la Carriera, la Gara Veloce e il comparto Multigiocatore.

Naturalmente il fulcro del gioco è rappresentato dalla Carriera, che abbandona completamente l’impostazione cinematografica del primo episodio o quella manageriale del successivo, mettendo sul piatto la classica serie di gare e campionati senza alcuno spazio per divagazioni di qualsiasi altro genere.

Abbiamo quindi a disposizione sei Categorie caratterizzate principalmente dal tipo di vetture coinvolte, ognuna composta da più campionati che si possono affrontare a piacimento.

Per accedere ai campionati successivi, naturalmente, è necessario ottenere buoni piazzamenti e, una volta vinti almeno 10 campionati di una singola categoria, si potrà accedere agli Showdown finali che, a loro volta, dopo averne vinti quattro dei sei disponibili, daranno accesso alle GRID World Series. All’inizio di ogni gara si ha la possibilità di effettuare le Qualifiche Rapide, evento opzionale che decreterà la nostra posizione in griglia e che, se non affrontato, relegherà la vettura del giocatore in ultima posizione.

Aspetto non di poco conto, vista la brevità che coinvolge tutte le gare che il gioco propone e che difficilmente si spingeranno oltre i 5 minuti di durata. Nella carriera si hanno a disposizione tre tipi diversi di gare: la corsa tradizionale dove conta il piazzamento finale, quella da punto a punto su uno dei pochi circuiti lineari presenti e i Time Attack, che sono identici alle gare tradizionali ma che decreteranno il vincitore solo ed unicamente in base al tempo sul giro, ignorando il piazzamento nonostante la contemporanea presenza degli altri piloti in circuito.

Naturalmente vincendo gare si possono ottenere crediti necessari all’acquisto di nuove vetture che bisognerà utilizzare nei campionati successivi, ma oltre a questi si ricevono anche punti esperienza che serviranno per salire di livello dando accesso a nuove livree, oppure a nuovi stemmi e sfondi che ci permettono di personalizzare il profilo pilota e anche a nuovi compagni di team che si possono ingaggiare nella propria squadra. Uno degli aspetti peculiari di questo GRID è inoltre la possibilità di impartire ordini di squadra al compagno di scuderia tramite l’utilizzo della croce direzionale. Ad esempio si può chiedere all’ingegnere di pista di dire al compagno di team di attaccare chi gli sta davanti o di mantenere la propria posizione.

In GRID la Carriera inizia con un breve prologo/tutorial che mette il giocatore alla guida di tre diverse auto in altrettanti eventi nel tentativo di raggiungere il miglior piazzamento entro pochi giri e qui la guidabilità, le scarse differenze tra le tre tipologie di auto coinvolte, le “combo” delle manovre in gara piazzate in sovraimpressione in mezzo allo schermo ed il commento molto marcato denotano come la serie sia passata con questo episodio ad abbracciare completamente la filosofia arcade, abbandonando ogni velleità simulativa senza troppi pensieri.

Lo stile di guida è molto uniforme anche con vetture completamente diverse, ignorando parametri fondamentali come la trazione o anche banalmente il peso delle auto, che si rivelano tutte agilissime e con una rapportatura cortissima tanto da portare ad affrontare curve, che normalmente si dovrebbero affrontare in seconda, anche in quarta.

Discorso analogo anche per il sound dei motori che si rivela molto simile tra i diversi veicoli, anche quando invece dovrebbe avere differenze sostanziali a seconda del tipo di motore utilizzato. Insomma, GRID non è un simulatore di guida, sia ben chiaro, ma un divertentissimo quanto scatenato arcade automobilistico puro.

Passiamo ora però all’aspetto cardine del gameplay, ovvero
la guida e il concept delle gare. Innanzitutto si corre sempre e solo su
tracciati. Niente strade aperte e lunghe traversate. I circuiti sono misti tra
reali come Brands Hatch, Indianapolis, Sepang o Laguna Seca, e cittadini come
Barcellona e San Francisco, per un totale di 13 tracciati che danno vita a 80
diverse variazioni, un numero davvero buono. Su pista corrono fino a un massimo
di 16 vetture contemporaneamente, con tante auto che si sfidano
contemporaneamente in circuiti stretti, è facilissimo che si verifichino spettacolari
incidenti, specialmente alle prime curve. GRID, proprio come il titolo di cui è
il reboot, implementa un sistema di danni avanzato che coinvolge non solo
l’estetica ma anche la fisica, con danni alla meccanica che possono comportare
anche il ritiro dalla gara. GRID però, come abbiamo detto, fa
dell’accessibilità uno dei suoi cavalli di battaglia, e perciò ci sono diversi
livelli di difficoltà che modificano profondamente lo stile di guida. Il
livello medio preimpostato è tarato per i novizi, con traiettorie dinamiche,
freno e accelerazione assistita, cambio automatico, assenza di danni fatali e
possibilità di rewind in caso di errori grossolani. Tarato così, il risultato è
molto abbordabile. In parole povere, è facile vincere le gare di un paio di
giri anche partendo dall’ultima posizione e senza eseguire le qualifiche. Diverso
è il discorso se si imposta il massimo livello di difficoltà, con tutti gli
aiuti disattivati, assenza di rewind, e danni meccanici e fatali attivi. In
questo caso è necessario lottare a ogni curva, facendo attenzione a non
impattare su avversari e muretti. Anche un minimo contatto in curva può provocare
un testacoda, compromettendo quasi sicuramente la gara. In più, senza le traiettorie
dinamiche che indicano anche la velocità consigliata, diventa tassativo
conoscere a menadito i tracciati se si vuole sperare di arrivare sul podio.

 Ai livelli più alti
di difficoltà, anche gli avversari diventano più aggressivi e hanno la propria
personalità grazie a un’IA avanzata; in più reagiscono allo stile di guida di
chi sta dinanzi lo schermo fino a decidere di innescare dei veri e propri
duelli, diventando così la nemesi del pilota. Giocando senza gli aiuti GRID
diventa dunque più realistico, ma il suo DNA rimane sempre arcade. Tecnicamente
parlando GRID utilizza il celebre Ego Engine di Codemasters che, sebbene riesca
ancora ad offrire un discreto colpo d’occhio ed una buona fluidità specialmente
su Xbox One X, comincia a mostrare il peso degli anni. I modelli delle vetture
sono buoni, forti anche di un discreto sistema di danni che ne influenza le
prestazioni e che potrà portare ad una fine prematura della gara dopo aver
subito dei danni irreversibili, ma sono assenti tocchi di classe o cura
certosina nei dettagli degli interni come invece possiedono i titoli più famosi
del genere automobilistico. Discorso analogo anche per quel che riguarda la
realizzazione dei circuiti, infatti, il motore grafico fa il suo dovere senza
però mai spingersi al massimo sebbene l’orizzonte visivo e gli effetti meteo
come i riflessi delle fonti di luce o la pioggia riescano ad offrire un quadro
globale più che discreto. Parlando del comparto multigiocatore, esso non offre
particolari spunti, offrendo solo la possibilità di effettuare una gara veloce
o quello di creare una partita privata. Carina l’idea di creare una sala
d’attesa ambientata in un circuito ad 8 in cui sfidarsi in un rapido
Destruction Derby prima dell’inizio della gara vera e propria. Peccato che la
scarsa popolazione dei server fa si che spesso e volentieri le gare siano miste
fra piloti controllati dalla I.A. e persone vere. Tirando le somme, questo GRID,
nonostante i suoi limiti, è un prodotto per chi cerca un prodotto meno
simulativo e più arcade, con una grafica buona, che mostri i danni ad ogni
collisione e che possa far passare qualche ora di divertimento. Se tutto quel
che si vuole è quanto detto allora il titolo di Codemasters è quello che fa per
voi. Se invece si cerca qualcosa di più simulativo è meglio navigare verso
altri lidi.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8

Gameplay: 8,5

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Surface Laptop 3 e Pro 7 arrivano negli store italiani

Dopo il lancio dello scorso 2 ottobre, Microsoft annuncia la disponibilità in tutt’Italia di Surface Laptop 3, acquistabile nei formati da 13,5 pollici, da 15 pollici, e di Surface Pro 7.

I nuovi device, nati dall’evoluzione dei due modelli precedenti per offrire all’utente una maggiore potenza e un’esperienza d’uso senza precedenti, vanno ad ampliare la famiglia dei dispositivi targati Surface, la linea di Microsoft sinonimo di eccellenza, qualità e design. Perfetta combinazione tra potenza ed eleganza, Surface Laptop 3, disponibile in entrambe le sue varianti, si propone come il laptop perfetto per ogni giorno, è due volte più veloce e garantisce un’autonomia che consente di utilizzare il dispositivo per l’intera giornata lavorativa. Entrambi i formati sono dotati sia della porta USB-A sia di quella USB-C e supportano un processore Intel Core di decima generazione. In più, per chi desidera prestazioni grafiche senza precedenti, Surface Laptop 3 da 15’’, garantisce performance grafiche migliorate grazie al nuovo processore AMD Ryzen Surface Edition presente nella versione Consumer.

Surface Laptop 3 è disponibile anche nell’elegante colorazione Black, arriva sul mercato a partire da 1.169€ per il 13 pollici e 1.399€ per il 15 pollici. E’ disponibile per l’acquisto anche il nuovo Surface Pro 7, device perfetto per chi non vuole rinunciare al comfort e alla versatilità di un 2-in-1. Pro 7, che include il processore Intel Core di decima generazione e integra sia la porta USB-A sia quella USB-C, garantisce una velocità due volte maggiore rispetto al modello precedente. 

Surface Pro 7 è disponibile a partire dal prezzo consigliato di 919€. Al fianco delle configurazioni Consumer, la linea Surface propone Laptop 3 e Pro 7 anche nella versione commerciale, sfoggiando feature studiate appositamente per le esigenze aziendali, come ad esempio l’inclusione di Windows 10 Pro, Advanced Exchange Service 10 senza costi aggiuntivi e il supporto per Windows Autopilot. Le aziende che desiderano ampliare il proprio parco macchine e scegliere il meglio della tecnologia per incrementare la produttività, possono acquistare Surface Laptop 3 da 13,5 pollici e da 15 pollici sul Microsoft Store e presso i rivenditori autorizzati rispettivamente a partire da 1.269€ e 1.499€, e Surface Pro 7 a partire da 1.019€.

Francesco Pellegrino Lise




Ombre dal Profondo, il lato oscuro della Luna apre l’anno 3 di Destiny 2

Con Ombre dal Profondo, uscito il primo ottobre su Pc, Xbox One e Ps4, prende il via l’anno 3 di Destiny 2. Con questa nuova espansione finalmente lo sparatutto Sci-Fi targato Bungie sembra aver preso la giusta direzione e di seguito vi spiegheremo per filo e per segno tutto quello che c’è da sapere. Prima di esaminare le novità introdotte per questo terzo anno, però, è bene ricordare che il 2019 è stato un anno turbolento in casa Bungie, tra la scissione con Activision e l’acquisizione della totale indipendenza, si sono spalancate le porte a molteplici possibili scenari. Scenari che hanno portato a grosse novità. Destiny 2, infatti, è diventato ufficialmente free to play e per i giocatori pc è approdato su Steam. Ovviamente la versione gratuita è quella base (qui la nostra recensione) che comprende il primo anno di contenuti, e sebbene questa scelta potrebbe sembrare soltanto la naturale adozione di un modello di business differente, rappresenta in realtà una vera e propria presa di posizione sul prodotto attualmente in commercio. Tale decisione fa presumere l’intenzione da parte della software house statunitense di continuare a supportare il brand senza saltare subito, come molti temevano, a un terzo capitolo. Con Ombre dal Profondo, Bungie non offre solo nuovi contenuti e mappe ma un nuovo modo di giocare a Destiny 2 modificando le dinamiche che hanno caratterizzato The Forsaken (qui la nostra recensione) e migliorando il tutto. Questo nuovo dlc riporta i giocatori sulla Luna, quindi per chi è un fan di vecchia data sarà un vero e proprio ritorno alle origini, mentre per i nuovi giocatori ci sarà davvero tanto da esplorare e fare.

La Luna in versione Destiny 2 è una Luna molto simile ma
nello stesso tempo differente rispetto a quella esplorata nel titolo originale.
Un’intensa attività sismica ha attirato l’attenzione dell’Avanguardia e
ovviamente il protagonista viene chiamato ad indagare sulla presenza
dell’Alveare e delle inquietanti presenze dell’Oscurità che hanno invaso nuovamente
il satellite della Terra. L’Alveare ha iniziato a diffondersi su tutta la
superficie e oltre, costruendo l’imponente e inquietante Fortezza Scarlatta. In
Ombre dal Profondo fa il suo ritorno anche Eris Morn, la misteriosa cacciatrice
che ha osservato i movimenti dell’Alveare sin dalla morte di Oryx, il re dei
corrotti. Eris, che ha la funzione di Npc della nuova area di gioco, mostrerà
una piramide nera sepolta sotto la superficie della Luna che sembra generare
una forte Oscurità per contrastare la Luce del Viaggiatore. Lo scopo dei guardiani
in Ombre dal Profondo sarà quindi quello di scoprire i misteri della piramide e
penetrare al suo interno per svelare cosa si celi dietro alle inquietanti
presenze generate dall’Oscurità. La lore introdotta con il nuovo DLC ci è
sembrata interessante e ben realizzata. Bungie ha chiaramente puntato
sull’effetto nostalgia dei giocatori di vecchia data, riuscendo chiaramente
nell’intento. Il ritorno di vecchie ambientazioni e personaggi si incastra
perfettamente con le novità introdotte, accontentando sia i veterani che i neo
giocatori. La “nuova” area è ricca di dettagli e ambientazioni fantastiche che
arricchiscono il già ampio universo di Destiny 2. Le missioni della storia sono
ben equilibrate e si amalgamano davvero bene con le attività sia vecchie che
nuove. Assalti, Cala La Notte, Azzardo, Serraglio, Crogiolo e Stendardo di
Ferro vengono affiancati dalle cacce agli incubi, le Invasioni Vex e il raid
introdotto da una decina di giorni. Insomma il tutto sembra funzionare bene. Se
a questo si affianca un nuovo livello di luce da raggiungere, nuove
caratteristiche e statistiche per le armature e l’introduzione di un artefatto
stagionale che offre vari bonus, il tutto si traduce in moltissime ore di gioco
extra. Se proprio si vuole trovare un difetto in Ombre dal profondo, esso è la
miriade di cose che settimanalmente si devono fare per progredire in maniera
seria con uno o più personaggi.

https://www.youtube.com/watch?v=MJA-7HOKY4c

Durante il passaggio tra il primo al secondo capito di
Destiny, la sensazione era che il target a cui volesse rivolgersi fosse cambiato,
con l’intenzione di aprirsi a un bacino di utenza più occasionale, a discapito
dei player più hardcore che in realtà spendevano tempi di gioco maggiore tra i
mondi del sistema solare. Inutile dire, i risultati di questa scelta si sono
visti e I Rinnegati è stato soltanto il primo passo nel tentativo di cambiare
rotta. Con Ombre dal Profondo, questa inversione di tendenza si potrebbe dire
completata e Bungie sembra avere come primo obbiettivo, quello di dare maggiore
profondità alle dinamiche che regolano la giocabilità. La prima grande novità
di Ombre dal Profondo riguarda le armature, aggiornate ora alla loro versione
2.0. Queste adesso hanno ben sei statistiche, ovvero mobilità, resilienza,
recupero, intelletto, disciplina e forza, e ogni singolo pezzo fornisce
casualmente ognuna di queste sei caratteristiche. Inoltre, ogni pezzo potrà
essere potenziato fino al livello di energia 10, che rappresenta
sostanzialmente il numero di punti spendibili nelle modifiche equipaggiabili.
Perché sì, i pezzi di armatura non hanno più perk casuali, ma solo spazi per le
mod. Queste sono ottenibili dai giocatori semplicemente giocando, tra drop
casuali e ricompense e sbloccabili in maniera permanente. Vien da sé come la
personalizzazione del proprio equipaggiamento e delle proprie build acquisisca
quindi una profondità notevolmente superiore che non in passato, dando piena
libertà ai giocatori di sperimentare a proprio piacimento, a patto naturalmente
di aver ottenuto o acquistato le mod necessarie. La novità più interessante di
Ombre dal Profondo però è senza dubbio il manufatto, da non confondersi con gli
artefatti visti in precedenza nel terzo anno del primo Destiny con i Signori
del Ferro. Questo, piano piano che si potenzierà, consentirà di spendere i suoi
punti per sbloccare modifiche uniche, da utilizzarsi poi nelle proprie armi e
armature. Queste mod varieranno da quelle più semplici, che costano un semplice
punto energia delle armature, a quelle più efficaci, dal costo che raggiunge
persino le 7 unità, ma dagli effetti considerevoli o dedicati solo al raid. Una
volta potenziato al massimo, l’esperienza che viene guadagnata lo farà livellare
ulteriormente, dando ai guardiani livelli di potere bonus, che andranno a
sommarsi al livello luce del personaggio. Sebbene questi valori aggiuntivi non
si rifletteranno nel potere delle ricompense, virtualmente il livello totale
del guardiano potrà ora aumentare all’infinito. C’è da sottolineare una cosa
importante però: questi manufatti sono definiti stagionali, perché dureranno
soltanto il tempo della stagione in corso. Quindi una volta che si darà il via
alla nuova stagione, cambiando l’artefatto, si perderanno tutti i bonus e i
punti luce extra ottenuti e si dovrà livellare di nuovo per guadagnare i
benefici che saranno disponibili.  Tale
escamotage rende Ombre dal Profondo un gioco vivo e che per essere goduto
pienamente avrà bisogno di essere giocato per moltissime ore.

Per quanto riguarda la nuova area di gioco offerta da Ombre
dal Profondo, la Luna, essa è stata integrata perfettamente, ricostruendo
fedelmente tutte le aree esterne e gran parte di quelle sotterranee, con le dovute
modifiche causate dall’attività dell’alveare e con il dettaglio naturalmente
aumentato. Ma non è tutto qui, sono state aggiunte anche un buon quantitativo
di nuove aree, come il Porto del Tormento, o tutti i claustrofobici tunnel
sotto la Fortezza Scarlatta, molto ben caratterizzati, costruiti in puro stile
alveare, amalgamati perfettamente alle vecchie aree e senza dare quella
spiacevole sensazione di distacco tra vecchio e nuovo, e soprattutto sono
sufficienti a giustificare la re-introduzione della Luna. Se la location però
viene promossa a pieni voti, un discorso analogo non si può certamente fare per
la campagna principale, che ha come quasi unico risultato quello di lasciare
una strana sensazione. Ovviamente ogni stagione, differentemente da quanto
visto in The Forsaken, offrirà un pezzo di storia in più, però la storia
raccontata è veramente troppo breve. Era chiaro fin dai primi trailer
rilasciati in estate che gli eventi narrati in Destiny 2 fino al lancio di
Ombre dal Profondo avrebbero portato i guardiani ad affrontare, alcune delle
peggiori minacce che si sono dovute fronteggiare negli ultimi cinque anni, da
Crota fino a Ghaul, e a onor del vero Bungie non ha nemmeno voluto far passare
gli Incubi come una novità: sono quel che sono, degli incubi che ci tormentano,
e gran parte della narrazione ruota attorno a questo concetto. Il problema di
fondo è che nelle circa 6 ore necessarie a completare la storia principale,
composta da missioni principali, secondarie e assalti, si va davvero poco oltre
questo concetto, con un finale che lascia si la curiosità, ma a cui si arriva
con un climax crescente che chiaramente non genera l’esaltazione sperata,
sfociando in una conclusione momentanea che porta inevitabilmente il giocatore
a chiedersi “e adesso?”. La sensazione è chiaramente che la
narrazione non si concluda lì, e a dirla tutta, Bungie ha fatto esattamente
quello che aveva detto che avrebbe fatto, ossia sviluppare la narrazione lungo
tutto l’anno, non limitandosi alle sole missioni principali e non soltanto alla
stagione attualmente in corso. Fortunatamente però il bello di Destiny è che una
volta finita la campagna ha inizio il vero gioco: taglie giornaliere e
settimanali, assalti, cala la notte, crogiolo, azzardo, serraglio e adesso
invasioni vex, caccia agli incubi saranno le attività da svolgere in solitaria
o in compagnia per ottenere armi ed equipaggiamento migliore. Ovviamente poi,
per chi vuole godere del massimo dell’esperienza offerta da Destiny 2, come
ogni espansione “maggiore” che si rispetti, Bungie ha anche lanciato un nuovo
raid chiamato “Il Giardino della Salvezza”. Per chi non lo sapesse, in quest’attività
un gruppo di 6 giocatori dovrà affrontare una missione particolarmente lunga e
dalle dinamiche complesse che richiederanno gioco di squadra, coordinazione e
tanta, tanta pazienza.

Parlando del raid, possiamo dirvi che in “Giardino della
Salvezza” i guardiani dovranno combattere nel Giardino Nero, uno dei
“mondi” più affascinanti ma peggio sfruttati di tutto il brand. La
location è completamente inedita e i quattro step che compongono l’incursione porteranno
i giocatori a sfidare i Vex in una magnifica combinazione di geometriche
strutture amalgamate perfettamente alla straordinaria vegetazione. E’
sorprendente come il team in carico della progettazione di quest’attività,
riesca ancora una volta a creare interessanti dinamiche che ne aumentano sì la
complessità, ma senza sfociare nell’eccesso, integrando addirittura meccaniche
simili ad azzardo con le particelle da depositare o richiedendo ai giocatori di
utilizzare i guardiani come ripetitori per creare flussi di energia tra due
punti. Dovendolo paragonare a quanto visto in passato, il raid presente in
Ombre dal Profondo risulta essere un buon compromesso fra coordinazione e buona
comunicazione tra i players. Farsi prendere dal panico o fare le cose troppo di
fretta non porterà a nulla, quindi è bene aver presente tutte le dinamiche e
non essere mai avventati. L’unico ostacolo al completamento del raid è il
livello di luce che, specialmente per chi si avvicina per la prima volta al
mondo di Destiny, può apparire davvero alto. Sicuramente il Giardino della
Salvezza non è il raid più difficile visto fino a ora, ma in ogni caso offre un
buon livello di sfida, quindi, per chiunque volesse provarlo, consigliamo di
trovare un clan e di partire tutti insieme. Alla luce di quanto detto, vi
riassumiamo che cosa sarà presente con Ombre dal Profondo: nuova campagna, pattuglie
sulla Luna, due nuovi assalti, personalizzazione delle armature 2.0, manufatto
stagionale Occhio del Guardiaporta, nuove mosse finali, aggiornamenti del
Crogiolo, il ritorno di due mappe PvP dall’era di D1: la Corte della Vedova e
la Breccia del Crepuscolo, eliminazione nei Laboratori del Crogiolo, due nuove
armi di punta: una per Azzardo e una per il Crogiolo, ricompense di grado
stagionale gratuite, che includono: la nuova arma esotica, Promessa di Eriana,
tre set di armature leggendarie (uno per classe), due armi leggendarie. Inoltre
sono presenti gli engrammi luminosi Il meglio dell’anno 2, possibilità di avere
un tetto massimo di Lumen maggiore (da 100mila a 250mila) e moduli di
aggiornamento. Tirando le some quindi, con Ombre dal Profonda, Destiny 2 si
arricchisce di tante cose nuove e, se preso seriamente, il titolo riempirà le
vostre giornate senza mai deludervi. Ovviamente trattandosi di un MMO fermarsi
alla sola campagna è riduttivo e non valorizza assolutamente il titolo. Attualmente
il titolo di Bungie è davvero in grado di tenere incollati allo schermo per un
anno intero. Quindi, se avete voglia di un titolo appassionante, con tante cose
da fare e che vi dia la possibilità di stringere nuove amicizie, con Destiny 2
Ombre dal Profondo potreste aver trovato veramente ciò di cui avete bisogno.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 9

Gameplay: 9

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




Eccellenze italiane, Luca Parmitano al comando della Stazione Spaziale Internazionale

Luca Parmitano è il nuovo comandante della Stazione Spaziale Internazionale. L’astronauta dell’Agenzia Spaziale Europea è il primo italiano, e il terzo europeo, ad assumere questo ruolo. La cerimonia per il passaggio di consegne con il comandante russo Alexei Ovchinin è avvenuta su una stazione orbitale affollatissima, con ben nove astronauti a bordo. Ieri Ovchinin è rientrato sulla Terra e Parmitano ha iniziato ufficialmente la Expedition 61.

CLICCARE SULLA FOTO PER GUARDARE IL VIDEO SERVIZIO

Il video servizio trasmesso a Officina Stampa del 3/10/2019

“Ringrazio tutti per la fiducia che mi date”, ha detto Parmitano, emozionatissimo, in diretta dalla Stazione spaziale, collegato anche con la sede dell’Agenzia spaziale italiana. La cerimonia celebrata in orbita si è conclusa con il suono simbolico di una campanella di ottone. Felice per l’importante incarico anche il presidente dell’Agenzia spaziale italiana Giorgio Saccoccia, che ha fatto i suoi “auguri di buon lavoro a Parmitano”, sottolineanco che l’astronauta “permette all’Italia spaziale di raggiungere un grande traguardo”. 

Saccoccia ha poi commentato: “Diventare comandante della Stazione spaziale internazionale è un grande privilegio, il primo per un astronauta italiano. È il riconoscimento della sua grande professionalità e delle sue competenze dimostrate sul campo e in volo”. Parmitano era entrato a far parte nel 2009 del corpo astronauti dell’Agenzia spaziale europea.




eFootball PES 2020, il calcio di Konami torna alla grande

Per l’edizione del 2020, Pro Evolution Soccer ha cambiato nome fregiandosi del prefisso “eFootball” che sancisce apertamente la sua attenzione al crescente mondo degli esports. Ma perché un titolo riesca a riunire una vasta community sotto una sola bandiera, c’è ovviamente bisogno di un gameplay che possa incontrare i gusti di gran parte dei giocatori: eFootball PES 2020, in tal senso, rappresenta il capitolo della maturità per Konami, un gioco che migliora praticamente qualsiasi aspetto del predecessore, puntando dritto al trono del miglior titolo calcistico. Prima di addentrarci nell’analisi del gameplay di eFootball PES 2020, è necessario parlare di tutte le novità presenti nelle tante modalità di gioco che Konami ha inserito nel suo nuovo titolo. Partiamo dall’unica, nuova modalità del titolo, ossia: Matchday. Questa tipologia di gioco consiste essenzialmente in un torneo online strettamente collegato alle partite più importanti che settimanalmente si susseguono nei vari campionati europei e non. Matchday prevede dunque l’utilizzo e la scelta di una squadra da supportare durante tutto l’arco del già citato torneo grazie alle vittorie che raccoglieremo durante lo stesso; tali vittorie porteranno dei punti alla squadra ed al giocatore, utili eventualmente a portare il giocatore a cimentarsi in una finale trasmessa in streaming all’interno del titolo in esclusiva per tutti i giocatori di eFootball PES 2020. Ogni partita inoltre porterà al giocatore delle ricompense da utilizzare in MyClub, l’Ultimate Team del gioco di Konami, che si va perfezionando di anno in anno. Tale modalità rappresenta sicuramente un’aggiunta apprezzabile, ma assolutamente non rivoluzionaria; le partite di Matchday infatti potranno essere giocate solo in orari piuttosto precisi e decisi da Konami stessa.

Per quanto riguarda MyClub, possiamo affermare che poche sono le aggiunte apportate da Konami a quella che punta ad essere la vera e propria rivale di Ultimate Team, che dunque risulta essenzialmente identica a quella di PES 2019. Dopo aver creato un allenatore liberamente personalizzabile nell’aspetto, ci si troverà a comandare una squadra composta da perfetti sconosciuti, che bisognerà di volta in volta integrare con giocatori di alto grado da acquisire tramite la valuta ingame, i GP. Ogni giocatore sarà acquistabile tramite dei “palloni”, ordinati per grado di rarità, che garantiranno sempre un calciatore della rarità desiderata; ovviamente il ruolo dell’acquisto sarà praticamente sconosciuto sino all’apertura dei tanto discussi “pacchetti”. Unica vera novità da segnalare nella modalità MyClub è quella relativa alla presenza di una schermata riepilogativa dei vari calciatori disponibili per l’acquisto ad ogni accesso alla stessa. All’interno di eFootball PES 2020 ci sono poi le classiche amichevoli, da giocare contro la CPU, online o contro un amico, i vari campionati e coppe europee, le divisioni online già viste lo scorso anno e la storica e sempre gradita Master League, che è forse la modalità che ha ricevuto le aggiunte più sostanziose. Konami ha infatti provato ad innovare il suo storico e memorabile Campionato Master grazie all’inserimento all’interno dello stesso di una componente narrativa.

All’inizio della Master League bisognerà infatti scegliere le fattezze del proprio allenatore che non sarà più liberamente personalizzabile, ma da selezionare tra alcune vecchie leggende del calcio giocato, tra cui spiccano i nomi di Maradona, Gullit, Roberto Carlos (chiamato Larcos per via delle licenze), e così via. Una volta selezionato l’allenatore si verrà trascinati in delle sessioni puramente narrative che, grazie alle scelte fatte, potrebbero cambiare le sorti della squadra. Tali sequenze consistono essenzialmente nella scelta degli obiettivi stagionali, in delle interviste pre e post gara e così via. Tuttavia, se all’inizio il giocatore viene trascinato con forza all’interno di questa struttura, col passare del tempo le sessioni di intermezzo cominciano a lasciare un po’ l’amaro in bocca, in quanto troppo ripetitive e spezzettate. Tanti sono stati inoltre gli aggiustamenti apportati da Konami a questa modalità, che l’anno scorso soffriva di qualche problemino relativo soprattutto alle trattative utili a portare nuovi rinforzi alla propria squadra, che ricordiamo, potrà essere o composta da giocatori reali o da talenti di fantasia. Il Campionato Master offerto da eFootball PES 2020 dunque è sicuramente una delle modalità più riuscite di questo titolo, che speriamo venga migliorato ancor di più l’anno prossimo. Infine, è bene ricordare la presenza della modalità Diventa un Mito, che permetterà di creare un proprio alter ego virtuale il quale, a suon di gol e buone giocate, dovrà scalare le gerarchie di club e nazionali. Tale modalità è essenzialmente identica a quella dello scorso anno; divertente, curata e molto riuscita. In sostanza dunque l’offerta ludica di eFootball PES 2020, nonostante non abbia alcune aggiunte di rilievo assoluto rispetto allo scorso anno, è sicuramente da promuovere. Le modalità disponibili sono tante e ben strutturate, quindi c’è tanto materiale con cui divertirsi su Pc, Xbox One o PS4.

https://www.youtube.com/watch?v=V-mDyfoYYc8&t=13s

Dopo aver descritto le varie modalità di gioco, passiamo
finalmente al vero pezzo forte di eFootball PES 2020: il gameplay. Il titolo
targato Konami è il miglior simulatore calcistico attualmente sul mercato. Il
ritmo di ogni singola partita è parecchio ragionato e praticamente identico a
quanto si vede ogni fine settimana in tv o dal vivo negli stadi. Konami infatti
ha fatto tesoro delle critiche che i fan avevano rivolto a PES 2019, prendendo
di buono quanto fatto durante lo scorso anno e migliorando tutte le criticità
che affliggevano il titolo. Sono stati infatti totalmente eliminati i difetti
riguardanti l’arbitraggio, criticatissimo in quanto eccessivamente severo, e i
portieri, che adesso compiono balzi felini dando sfoggio a parate di altissima
qualità, animate in maniera molto realistica. Una volta avviata la prima
partita, ci si accorge subito di essere dinanzi a un titolo incredibilmente
profondo, realistico, il cui impatto sorprende fin da subito in maniera più che
positiva. Le animazioni di ogni singolo calciatore sono state riscritte e
migliorate, con risultati davvero eccellenti; la fluidità che queste donano ai
movimenti dei 22 giocatori in campo e al gioco stesso è praticamente tangibile,
non solo esteticamente ma anche in termini di puro gameplay. Addio quindi ai
giocatori legnosi e spaesati visti nelle scorse edizioni della saga, e benvenuta
riproduzione praticamente perfetta di quello che è il calcio giocato, fatto di
contrasti, inserimenti, tocchi sbagliati, dribbling e così via. Ogni singolo
passaggio, o meglio, ogni singola azione di gioco, tiene conto della posizione
del giocatore rispetto al pallone, in modo da riprodurre nella maniera più
fedele possibile il calcio giocato. Rari infatti sono i casi in cui un calciatore
mal posizionato o marcato stretto dal difensore avversario riuscirà ad eseguire
un tiro perfetto, uno stop a seguire o un passaggio pulito; per giocare a
questo titolo dunque, è necessario ragionare e tener conto di tanti fattori che
fino a qualche anno fa erano totalmente ignorabili.

A contribuire a questo enorme senso di realismo ci pensa
anche la dinamica della palla, perfezionata in maniera semplicemente fantastica;
deviazioni, rimbalzi, rimpalli e quant’altro hanno un impatto abbastanza
marcato sulla fisica del pallone, che prenderà traiettorie “anomale” ma
tuttavia parecchio fedeli alla realtà. Una delle nuove feature presenti in PES
2020 è quella relativa al cosiddetto Finesse Dribbling, supervisionata da Don
Andrès Iniesta, ex stella del Barça. Utilizzando entrambe le levette analogiche
del controller sarà infatti possibile eseguire trick di vario tipo che il più
delle volte, se correttamente utilizzati, lasceranno gli avversari di turno
inermi e apriranno la strada verso la porta avversaria. Per quanto apprezzabile
e ben costruita, abbiamo trovato questo nuovo sistema di controllo
particolarmente ostico, soprattutto nelle prime partite, poichè l’utilizzo di
entrambi gli analogici con un timing perfetto risulta piuttosto complicato e
artificioso. In sostanza dunque il gameplay di questo nuovo PES rappresenta il
massimo apice raggiunto da una simulazione calcistica negli ultimi anni:
ragionato, appagante, divertente, realistico. Un vero e proprio spettacolo per
chi cerca una simulazione calcistica realistica ed estremamente divertente. L’intelligenza
artificiale del titolo merita un’altra menzione anche per aver ben implementato
il modo in cui l’andamento della partita può influenzare la performance dei
giocatori. Arrivati per esempio a un vantaggio di 3 gol è palese come i
giocatori della squadra vincente giochino con molta più tranquillità,
addirittura diventando leziosi e rischiando talvolta errori banali, mentre chi
è in svantaggio può farsi prendere dalla disperazione con difensori che vagano
senza meta, rassegnati all’impossibilità di fermare le avanzate avversarie. Insomma,
le sensazioni sul campo quest’anno sono davvero positive. E’ forse dai tempi
della PlayStation 2 che un capitolo di Pro Evolution Soccer non aveva un
feeling così fresco e soddisfacente, dimostrando che Konami sembra sapere il
fatto suo su come far evolvere la formula in maniera sensata. Da segnalare che
anche quest’anno la console di Microsoft rimane purtroppo l’unica (a causa
delle policy restrittive del produttore) dove è impossibile importare pacchetti
non ufficiali di licenze aggiornate; pertanto chi vuole sistemare i nomi
“farlocchi” presenti in molte delle squadre dovrà farlo manualmente.
L’editor per farlo è comodo, ma è comunque un lavoro immenso se lo si vuole
fare bene. Per quanto riguarda la realizzazione tecnica, anche questa è
vistosamente migliorata, con una grafica più convincente di prima e con 60
frame al secondo piuttosto stabili. Riguardo alle performance, rimane qualche
caricamento un po’ lungo e le solite attese durante le rimesse o i calci
piazzati, ma complessivamente anche il comparto tecnico ha fatto un vistoso
salto in avanti. Il gioco è ovviamente tradotto per intero in italiano, con la
telecronaca nostrana che anche quest’anno è opera del duo Fabio Caressa e Luca
Marchegiani. Che dire di più, se si vuole giocare a una simulazione calcistica
bella da vedere, divertente e con una giocabilità impressionante, eFootball PES
2020 è la scelta migliore che si possa fare.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 9

Gameplay: 9,5

Longevità: 9

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




WhatsApp al lavoro sui messaggi che si “autodistruggono”

WhatsApp sta sperimentando una nuova, interessante
funzionalità, ossia: i messaggi che si autodistruggono. Ovviamente tale
procedura non comporterà nessuna “esplosione” o quant’altro di pericoloso,
infatti gli sviluppatori stanno lavorando su una feature che permetterà la
cancellazione automatica dei testi dopo un certo lasso di tempo. Il problema di
WhatsApp e delle chat in generale è che i messaggi, anche quelli scritti in
fretta e furia e senza pensare, rimangono lì per sempre. A volte capita di
chattare con leggerezza, come se si stesse parlando, ma tutto quello che si
scrive viene immortalato e può essere usato contro la persona che lo ha
digitato anche dopo anni. Da tempo esistono servizi come Snapchat, dove i
messaggi inviati e ricevuti spariscono dopo qualche secondo o qualche minuto,
esattamente come una battuta detta a voce, ma per la piattaforma di instant
messagging di proprietà di Mark Zuckerberg fino ad adesso tale funzionalità non
è mai stata presente. La feature, avvistata in una versione beta di WhatsApp
per Android, funziona per il momento solo nei gruppi ma verrà probabilmente
estesa alle chat singole. I disappearing messages, così viene chiamata la
funzione in inglese, avranno bisogno di essere attivati tramite una specifica
opzione che permetterà anche di decidere dopo quanto tempo il testo scomparirà.
Al momento ci sarebbero solo due opzioni riguardo la tempistica di
cancellazione automatica su WhatsApp, ossia: 5 secondi o un’ora, ma per quando
tale funzione sarà disponibile, crediamo che la durata del messaggio potrà
essere decisa direttamente dal mittente. Altra cosa molto importante riguarda
il fatto che non dovrebbe più apparire sul display di chi legge nemmeno la
classica dicitura “Questo messaggio è stato eliminato”. Come già detto, i disappearing
message per il momento sono disponibili solo per le chat di gruppo ma crediamo
che, se tale funzionalità dovesse riscuotere successo, verrà estesa anche per
le chat individuali. Stando alle ultime voci, la nuova funzionalità di WhatsApp
potrebbe superare la fase di test ed essere introdotta nel client di WhatsApp
entro la fine dell’anno, sia per i dispositivi iOS che per quelli Android.

F.P.L.




The Surge 2, lamiere e morte nel nuovo titolo “Souls-like”

Con The Surge 2, gli sviluppatori tedeschi Deck13 tornano
con un’avventura tutta nuova per Pc, Xbox One e PS4 che abbandona l’idea del
protagonista preimpostato e mette sul campo un personaggio creato dal giocatore.
Il titolo dà inoltre maggiore attenzione alla trama e soprattutto
all’ambientazione, sempre più distopica e cyberpunk. Le buone premesse quindi
ci sono tutte e il gioco, specialmente per chi apprezza il genere souls-like è
un buon prodotto per molti aspetti. The Surge 2 si lascia alle spalle l’ambientazione
del primo titolo trasferendo i giocatori nella nuova Jericho City, ossia una
città composta da vari distretti, tutti presidiati da mercenari più o meno
corazzati che hanno avuto l’ordine di tenere le strade sgombre e di eliminare
chiunque si trovi a esplorare la zona. Ma per quale motivo? Difficile dirlo: il
personaggio che si controlla, creato attraverso un semplice editor all’inizio
della partita, è miracolosamente sopravvissuto a uno schianto aereo ma c’è
qualcosa in quell’incidente che ancora non quadra. Ritrovatosi all’interno di
un carcere sotto attacco, il proprio alter ego virtuale riesce a liberarsi e si
pone l’obiettivo di scoprire cosa sia accaduto davvero. Riuscire nell’impresa
non sarà semplice, però: le mura in fiamme dell’istituto pullulano di criminali
assetati di sangue, avversari da sfruttare per fare pratica con un sistema di
combattimento che integra e arricchisce quello del primo episodio. Armati
inizialmente solo di due defibrillatori elettrici, il protagonista di The Surge
2 si dovrà aprire la strada fino alla prima MedBay e lì, finalmente, ci si
potrà equipaggiare con un esoscheletro potenziato. Il collegamento alla
macchina, tuttavia, resetta la situazione dei nemici nell’area e pone chi gioca
di fronte alle stesse minacce che si erano già affrontate: nemici agguerriti e capaci
di uccidere con solo due o tre colpi ben assestati. Una formula ben collaudata
per questo sottogenere degli action RPG, che tuttavia non trova supporto nella
narrazione, anche stavolta poco ispirata e priva di spunti degni di nota.

Nel primo The Surge, uno dei principali difetti lamentati
dal pubblico e dalla critica era proprio un’ambientazione asettica e piatta
dall’inizio alla fine, con pochi guizzi di design. Gli sviluppatori hanno
quindi pensato bene di passare ad un’enorme città piena di vicoli e segreti,
fatta di parchi, zone industriali e altri luoghi. Jericho City è infatti
composta da ben nove settori diversi tra loro, sia per difficoltà che per
design, che variano da una discarica piena di rottami a fogne putride e
velenose fino alla zona più ricca fatta di grattacieli di vetro, parchi per
bambini o, addirittura, aree forestali. Per quanto concerne la trama di gioco,
questa si muove su binari poco lineari e diretti, esattamente come in qualsiasi
altro souls-like che si rispetti. La storia viene raccontata tramite dialoghi
sintetici, registrazioni e documenti da trovare, oltre a delle missioni
secondarie che possono approfondire non poco il mondo di gioco. Incontriamo,
infatti, personaggi con particolari linee di dialogo utili a rispondere alle
nostre domande, ma non tutte avranno una risposta chiara e dettagliata.
Probabilmente una scelta voluta dagli autori visto che questi avevano
dichiarato di voler rendere la narrativa decisamente più contorta e complessa
del primo gioco. Nonostante le premesse, anche se non mancano personaggi sopra
le righe la storia narrata in The Surge 2 si rivela essere sempre meno
incisiva, tanto da non scostarsi molto da quella di Warren nel primo capitolo.
A stimolare il giocatore per arrivare ai titoli di coda, quindi, non è di certo
la narrativa di gioco, bensì la curiosità di affrontare i nuovi pericoli
misteriosi e nascosti di Jericho City. Purtroppo, nonostante si tratti di un
souls-like nudo e crudo, si arriva a fine gioco relativamente presto:
l’avventura non dura oltre le 20-25 ore di gioco, che non sono poche, ma
comunque restano e di molto al di sotto dei capostipiti del genere che possono
durare anche più del doppio del tempo. Sicuramente l’approcciarsi al gioco in
maniera calma e strategica, oltre alla voglia di dedicarsi a tutte le missioni
secondarie o a migliorare la propria build di gioco, rendono The Surge 2 un
gioco interessante da giocare, ma comunque si attesta ben al di sotto di altre
produzioni in quanto ad attività e longevità in generale.

A livello di giocabilità il titolo si difende bene. Risvegliati
dal profondo coma in il proprio personaggio si trova, si sarà liberi di
esplorare e comprendere cosa sia successo alla metropoli di Jericho, che è
ridotta ormai a un futuristico far west. A seguito del disastro generato dalle
nanotecnologie, la regola del più forte regna sovrana, e bisognerà applicarla
al più presto per farsi largo tra i tanti nemici presenti nella rinnovata
mappa, decisamente più ampia rispetto al passato. La progressione segue i modi
che già si conoscevano, e ci si troverà dopo poco tempo a passare dalla
semplice tuta con cui si è stati ricoverati a diventare dei veri e propri Terminator
armati di tutto punto, con tante alternative a disposizione. Anche l’originale
sistema per appropriarsi di armi e armature altrui torna in grande spolvero. Gli
innesti tecnologici che il protagonista possiede nel corpo permettono di
gestire armi e armature in modo calcolato e profondo, infatti, già dopo le prime
ore di gioco, l’inventario si popola di diversi tipi di pezzi e categorie, da
combinare a piacimento per trovare la build più utile allo scenario con cui
faremo i conti. In The Surge 2 è necessario ricordare che è l’energia del nucleo
del protagonista a limitare l’utilizzo di pezzi troppo potenti. Proprio per
tale ragione essi vanno gestiti al meglio per sfruttarne il più possibile.
Riuscendo ad unire più pezzi dello stesso set, poi, si ottengono bonus che
vanno aggiunti alle statistiche di attacco, difesa e cambio di status. In più,
stavolta, il protagonista non sarà da solo, ma avrà a disposizione un piccolo
drone volante che potrà essere richiamato ed equipaggiato a piacere con una
vasta gamma di componenti. Il drone gioca un ruolo interessante in The Surge 2:
si può usarlo per attirare i nemici, per curarsi o anche per lasciare dei
graffiti agli altri giocatori, segnalando minacce e segreti nascosti.

Il sistema di recupero dell’equipaggiamento dei nemici si
conferma essere il punto di forza di tutta la produzione. L’implementazione,
già notevole nel primo episodio, funziona fluidamente durante i combattimenti,
nei quali si può mirare ad una parte del corpo specifica per poi amputarla una
volta ridotto in fin di vita il nemico, e fare l’upgrade della propria build
con i nuovi componenti “rubati”. Il controllo del personaggio è deputato allo
stick analogico destro che si comporta egregiamente, senza complicare e
ostacolare le mosse che si hanno in mente. Torna poi anche la terza barra oltre
a quelle di vita e stamina, quella della batteria, da tener d’occhio quando si
vuole approfittare dei vantaggi degli innesti per recuperare energia o
indebolire i nemici. Insomma, quello di The Surge 2 è un sistema che funziona e
spicca per varietà di soluzioni e situazioni proposte, nonostante un design non
sempre raffinato, ma che riesce ad essere appassionante nell’ottimizzazione
delle build o nel superamento di scenari dove l’impianto giusto farà la differenza
tra la vita e l’ennesima morte. Altro punto forte, della produzione dei Deck13,
è la quantità di strumenti offensivi e difensivi a disposizione. La loro
presenza, infatti, stimola il giocatore ad un farming sì ripetuto e leggermente
ripetitivo, ma appagante quando si completa un set o si riesce a potenziare al
massimo. Per quanto riguarda l’aspetto estetico, The Surge 2 non fa gridare al
miracolo, ma resta comunque gradevole da vedere. Ad esempio, anche se Jericho
City rappresenta una metropoli interessante che si sviluppa anche in verticale,
il passaggio tra i diversi settori è spesso incoerente sia dal punto di vista
dell’art design che da quello narrativo. Si tratta di una costruzione spesso
confusionaria, nonostante la varietà non manchi. Mancano dungeon labirintici,
mancano strade tortuose e soprattutto mancano approcci di gioco diversi in base
ai nemici presenti in zona. L’ambientazione sci-fi cyberpunk è molto
appetibile, ma a nostro avviso poteva offrire molto di più visto il grande
potenziale che essa possiede. The Surge 2 inoltre è graficamente inferiore al
primo capitolo e anche sul piano delle performance il gioco originale ha la
meglio. Scalettature di ogni tipo, texture piatte e scialbe ed effettistica al
minimo storico. In termini di risoluzione e frame-rate, su Xbox One X, il gioco
offre due tipi di soluzioni: qualità e prestazioni. La prima porta il gioco in
4K upscalati e 30 fps con particolari problemi di frame-pacing, mentre in
modalità prestazioni si passa ad una risoluzione FullHD e 60 fps non
propriamente stabilissimi. Insomma, dal punto di vista grafico si poteva fare
sicuramente qualcosina in più. In conclusione, con l’uscita di The Surge 2 ci
si aspettava un salto di qualità rispetto al passato, ma purtroppo il titolo
non decolla più di tanto. Giocandolo ci siamo trovati di fronte ad un titolo
migliorato molto sul fronte del sistema di combattimento, ma ci aspettavamo un
guizzo in più in tutte le aree di gioco. Purtroppo The Surge 2 arranca su altri
aspetti importanti come level design ed art design, presentando peraltro una
narrazione scialba e poco convincente. A chiunque abbia amato il primo capitolo
consigliamo sicuramente di dare una chance a questo successore in quanto
rappresenta un miglioramento in quasi tutti gli aspetti, salve quello grafico.
Per chiunque invece si dovesse avvicinare per la prima volta al gioco,
consigliamo di provarlo prima di acquistarlo in quanto l’alto tasso di
difficoltà e il level design non proprio brillante potrebbero scoraggiare e
stancare presto.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5

Sonoro: 7,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 7

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise




Borderlands 3, varietà e humor per lo shooter targato Gearbox

Borderlands 3 arriva su Pc, Xbox One e Ps4 a 7 anni di
distanza dal secondo capitolo canonico della saga. Il nuovo titolo sviluppato
da Gearbox e prodotto da 2k Games si presenta come il capitolo più grande e
folle della saga e, dopo un’attenta analisi e moltissime ore passate nel mondo
di gioco, possiamo affermare che ci si trova davanti a un vero e proprio
capolavoro. Ma andiamo a capire il perché di questa nostr affermazione. Il
titolo è ambientato alcuni anni dopo gli eventi di Borderlands 2, con la
scoperta di numerose altre Cripte oltre quella di Pandora. La scomparsa di Jack
il Bello ha portato inoltre all’ascesa dei Gemelli Calypso, un duo di
psicopatici che sono riusciti in breve tempo a riunire tutti i clan di banditi
di Pandora in un unico culto chiamato “Figli della Cripta”, che venera i due
gemelli come divinità e che ha come unico scopo il ritrovamento della Grande
Cripta. Ad opporsi a questa nuova follia c’è la Sirena Lilith, una vecchia
conoscenza della serie che adesso è a capo dei Crimson Rider, l’unico gruppo
che si ribella ai Calypso e che tenta di fermare i loro folli piani. Tra i
Crimson Rider ci sono anche altri volti noti come la sexy barista Mad Moxxi, lo
storico mercante Marcus e l’immancabile robot monoruota CL4P-TP, meglio
conosciuto come Claptrap. Nonostante ciò però i Crimson Raider non riescono a
gestire la continua espansione dell’esercito dei Calypso, questo almeno fino
all’arrivo di quattro nuovi Cacciatori della Cripta: Amara, FL4K, Zane e Moze. Come
di consueto anche in Borderlands 3 il primo compito del giocatore è proprio
quello di scegliere quale di questi impersonare, ognuno che come da tradizione
rappresenta una diversa “classe” e stile di gioco, completamente diverso l’uno
dall’altro. Amara è una Sirena in grado di evocare delle braccia di energia con
cui picchiare, difendersi o immobilizzare i nemici, FL4K invece è un robot in
grado di stringere legami con gli animali e sfruttarli in combattimento
attaccando o distraendo gli avversari. Zane è un maestro dell’inganno ed è in
grado di creare ologrammi di sé stesso per confondere i nemici utilizzando
inoltre diversi gadget in battaglia, mentre la piccola Moze può evocare un mech
da combattimento dotato di un armamento letale e di una corazza in grado di
assorbire un gran numero di colpi. Ovviamente, proprio come avveniva già in
passato, anche in Borderlands 3 si punta tantissimo sulla componente ruolistica,
quindi ogni personaggio salendo di livello può essere personalizzato attraverso
tre diversi skill-tree con abilità attive e passive. Ogni abilità può essere
potenziata singolarmente per migliorarne gli effetti, inoltre si possono anche
mescolare bonus di diversi skill-tree per creare delle build “ibride” che
aprono potenzialmente a decine di combinazioni per soddisfare ogni esigenza.
Inoltre in qualsiasi momento si possono riassegnare i punti per sperimentare
combinazioni differenti.

A livello di gameplay Borderlands 3 riprende la tradizionale
formula di gioco tanto apprezzata dai fan, in cui l’azione adrenalinica dei
first-person shooter sposa la profondità dei giochi di ruolo in un mix a dir
poco perfetto. In questo terzo capitolo della serie il combat system in
generale e gli scontri a fuoco sono stati vistosamente svecchiati grazie a un
sistema di movimento più dinamico. I giocatori possono ora effettuare scivolate
durante le sparatorie, arrampicarsi per raggiungere eventuali alture e infine
schiantarsi al suolo, con uno scenografico attacco in picchiata. Tutto
contribuisce allo sviluppo di un’azione più trascinante rispetto al passato, destinata
a decollare con le stravaganti bocche da fuoco e le abilità dei cacciatori
della Cripta. Che sia l’erculea Sirena Amara, l’impertinente Zane, l’enigmatico
FL4K o la letale Moze, la scelta non cambierà il risultato finale, regalando
sempre del puro e coinvolgente caos dal primo all’ultimo minuto della campagna.
Per quanto riguarda le armi, in Borderlands 3 si possono raccogliere un numero
davvero impressinante di fucili d’assalto, SMG, shotgun e lanciarazzi che
sembrano concepiti da una mente folle, con significativi passi in avanti in
termini di fantasia e di mera potenza di fuoco; come se ciò non bastasse, molte
armi offriranno una modalità di fuoco secondaria, che permetterà di agganciare
un nemico con i proiettili traccianti, passare dallo sparo automatico alla
raffica o lanciare scariche di micro-razzi dalla canna di quella che sembra
solo un’”inoffensiva” pistola. Insomma, se non si fosse ancora capito il titolo
offre centinaia di scontri in cui il caos sarà all’ordine del giorno, talvolta
con effetti disorientanti sull’azione trasposta su schermo, ma Borderlands 3 offre
molto di più di qualche boss fight impegnativa o dell’ennesima carneficina di
nemici. Affiancando la storyline principale, le quest secondarie raccontano le
curiose vicende di alcuni personaggi fuori dal coro che, paradossalmente, si
riveleranno essere le figure più caratteristiche di Pandora e dintorni.
Puntando sulla varietà delle folli situazioni esposte, e su una scrittura, in
questo caso, sorprendentemente ispirata, gran parte delle missioni secondarie regalano
esperienze stimolanti e momenti di pura ilarità, che vanno ben oltre la
semplice consegna del solito pacchetto o della taglia da riscattare. Inoltre va
sottolineato il lavoro certosino svolto dal team di sviluppo in quanto il
titolo è stracolmo di squisiti riferimenti alla cultura pop anni 80 e infarcito
di continui rimandi agli altri episodi del franchise, The Pre-Sequel compreso. Inoltre
è bene sottolineare che le side-quest offrono ai Cacciatori più valorosi laute
ricompense oltre che essere un pretesto per esplorare a fondo la rumorosa
galassia di Borderlands 3.

Nell’ultima opera di Gearbox la varietà è l’aspetto
portante, infatti, il titolo offre il maggior numero di scenari esplorabili dai
fan della serie, che potranno finalmente abbandonare il pianeta Pandora per
intraprendere un viaggio interplanetario alla ricerca delle Cripte. Questa è
l’occasione per rifarsi gli occhi sui colossali grattacieli ultrafuturistici di
Promethea, per meditare nei templi di Athenas o per esplorare le paludi
selvagge di Eden-6. Per intraprendere i viaggi spaziali basterà impostare la
rotta dalla sala di comando della Sanctuary-III, nave dei Crimson Raider e hub
centrale della campagna, e preparsi all’atterraggio. Il mondo di gioco è
nuovamente suddiviso in macro-aree, collegate tra loro attraverso varchi e
stazioni adibite al viaggio rapido: insomma, un ritorno al passato che sà di
occasione sprecata nei confronti di un potenziale open world, ma che, se non
altro, può ora offrire dei caricamenti sensibilmente ridotti. Da apprezzare,
inoltre, l’inedita verticalità dell’ambientazione, che spesso invita i
giocatori a puntare gli occhi verso l’alto e a sfruttare la nuova scalata. In
Borderlands 3 una volta atterrati sul pianeta destinazione, ci si potrà dirigee
alla prima stazione Catch-A-Ride e utilizzare uno dei veicoli disponibili. Tra
questi si trovano le solite camionette corazzate e i runner in stile Mad Max,
affiancati dai nuovi futuristici Cyclone che permettono di sfrecciare a tutta
velocità verso l’ignoto all’interno di una ruota gigante. L’esplorazione dello
scenario è incentivata dalla presenza di oggetti collezionabili disseminati in
ogni area: tra questi sono presenti i diari di Typhon DeLeon, il primo
Cacciatore della Cripta, o dei nuovi componenti per i bolidi di Ellie. Tra i
contenuti da scovare ci sono anche alcune sfide esclusive, come le taglie di
Zer0 in cui sarà necessario uccidere i ricercati o le cacce leggendarie di Sir
Hammerlock, con creature esotiche da studiare e da far fuori, ovviamente.

https://www.youtube.com/watch?v=hdImDagjNGQ

Complessivamente l’avventura di Gearbox ha una durata che
spazia tra le 40 e le 60 ore, a seconda di come si gioca, ma il bello di
Borderlands 3 è che offre un alto tasso di rigiocabilità. Dopo aver portato a
termine la campagna infatti sarà possibile intraprendere diverse modalità di
gioco con cui proseguire nell’avventura o, in alternativa, ricominciare da capo
ma con una marcia in più. La prima novità endgame si chiama Modalità Caos.
Suddivisa in tre diversi livelli di sfida, essa dà una maggiore probabilità di ottenere
i pezzi di loot più rari e di ricevere percentuali bonus sull’esperienza, il
denaro e l’Eridium guadagnati. Il prezzo da pagare coincide con un
considerevole aumento dell’energia e della corazza dei nemici, così come
diverse mod che potenzieranno ulteriormente gli avversari con resistenze ai
proiettili, ai danni elementali e chi più ne ha più ne metta. Puro e semplice
caos, nulla da aggiungere. Segue la Modalità Vero Cacciatore della Cripta, anch’essa
contenente ricompense più ghiotte e criminali più ardui da affrontare, ma che
in questo caso non offre nulla di nuovo se non il rivivere la storia di
Borderlands 3, conservando tutti i progressi raggiunti fino a quel momento e
mettendo contro livelli molto più duri da abbattere. E’ bene sottolineare che il
sistema di progressione del gioco non è legato al singolo personaggio, bensì
all’intero account, permettendo quindi di guadagnare nuovi gradi utilizzando
anche altri Cacciatori. Un’aggiunta molto interessante, soprattutto agli occhi
di chi macina numeri per scovare le migliori combinazioni per la propria build.
Forti dei bonus e dell’equipaggiamento ottenuto sul campo, i giocatori in cerca
di una vera sfida potranno mettersi alla prova in Circle of Slaughter, la
modalità “orda” ideata dall’inimitabile Torgue, o nei Terreni di Prova. Mentre
la prima si presenta come un piacevole passatempo da sperimentare da soli o in
co-op, le arene di Terreni di Prova richiederanno grande concentrazione e,
possibilmente, l’aiuto di un amico (ricordiamo che in Borderlands 3 si può
giocare fino a 4 giocatori contemporaneamente in qualsiasi modalità di gioco),
nel disperato tentativo di superare le numerose ondate e lo scontro finale con
il temibile boss.

Sul versante grafico/tecnico Borderlands 3 sfoggia il suo
caratteristico stile “disegnato” che ha reso famosa la serie, e il
passaggio alle nuove console (se si esclude la remastered Handsome Collection)
si nota grazie ad una pulizia generale dell’immagine e un maggior numero di
dettagli a schermo, sia per quanto riguarda i nemici che per le stesse armi,
che possono anche essere decorate con diversi accessori. Peccato, però, che il
comparto visivo di Borderlands 3 cada in qualche imperfezione tecnica. I primi
problemi che affliggono le versioni PS4 e Xbox One si palesano nel framerate.
Su PS4 Pro e Xbox One X, Gearbox Software propone due diverse modalità
grafiche, Prestazioni e Risoluzione, che prediligono rispettivamente la
fluidità visiva (60 fps) e il livello di dettaglio (4K). A conti fatti, la
prima opzione si è dimostrata la scelta preferibile per godere pienamente del
titolo, là dove Risoluzione compromette in maniera evidente l’azione di gioco;
eppure, neanche i 60 fotogrammi al secondo si dimostrano solidissimi, perdendo
diversi frame nelle situazioni più concitate dell’avventura. È possibile
arginare tali problemi disattivando le notifiche Social, ma solo in piccola
parte. Passando sopra l’instabilità del framerate (fortunatamente rara), gli
occasionali pop-in delle texture e i bug si viene ricompensati con un clamoroso
colpo d’occhio, offerto dagli sconfinati scenari che si esploreranno e dai più
dettagliati modelli poligonali. Netto miglioramento anche per le curatissime
animazioni, che segnano un notevole distacco dalle precedenti avventure della
serie. Un elemento che ci ha davvero colpiti di Borderlands 3, tuttavia, è
legato al sonoro. Non stiamo parlando della soundtrack, che in ogni caso è
davvero molto bella da ascoltare, ma ci riferiamo al doppiaggio in italiano:
ogni singolo personaggio prende vita attraverso interpretazioni a dir poco sensazionali,
con una scelta delle voci sempre azzeccata. Un grande plauso al registro
umoristico scelto che fa letteralmente scompisciare dalle risate in quanto non
è mai esagerato ma si sposa perfettamente con le situazioni presenti sullo
schermo. Tirando le somme, se si passa sopra i leggeri problemi di framerate,
Borderlands 3 rappresenta pienamente tutto ciò che un vero appassionato della
saga desidera, ma è anche un ottimo titolo per chi si avvicina per la prima
volta al brand. La comicità travolgente e il gameplay semplice ma in grado di
creare dipendenza fanno trascorrere le ore in maniera piacevole e spensierata,
e non si vedrà l’ora di scoprire quali folli missioni aspettano ad ogni nuova
area e pianeta. Insomma, l’ultima fatica di Gearbox è un titolo di un certo
spessore, che non giocare sarebbe davvero un peccato e che continuare dopo l’endgame
sarebbe un vero spreco. Un arsenale spaventoso, mezzi assurdi, follia allo
stato puro, humor intelligente, riferimenti alla cultura pop e tantissime cose
da fare fanno di Borderlands 3 una vera perla nell’olimpo del gaming.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9

Sonoro: 9

Gameplay: 9,5

Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




Mi Mix Alpha lo smartphone Xiaomi tutto display

Xiaomi Mi Mix Alpha è realtà ed è senza dubbio uno degli smartphone più avveneristici del momento. La particolarità di questo dispositivo è quello di avere un display completamente “avvolgente” capace di rendere possibile un rapporto tra corpo e display pari addirittura al 180,6%. Questo significa che il pannello flessibile dello schermo corre lungo tutto il corpo dello smartphone sia davanti che dietro in una continuità che nessun altro brand aveva mai permesso fino ad oggi. Ovviamente Mi Mix Alpha offre un’interfaccia utente dedicata per sfruttare al meglio il display avvolgente, non ci sono infatti tasti fisici (sostituiti da una tecnologia che simula la pressione dei pulsanti) e sono presenti piacevoli effetti che colorano lo schermo ad esempio quando lo smartphone è in carica. E’ stato poi implementato un sistema per evitare i tocchi involontari, specialmente sui bordi. Grande lavoro è stato fatto anche dal punto di vista dei materiali, con l’impiego di vetro zaffiro per le fotocamere, titanio e ceramica per la fascia posteriore, scelte rese necessarie per garantire una maggiore protezione della tripla cam e dell’intero dispositivo. Il nuovo e futuristico Xiaomi mi Mix Alpha risulta effettivamente un concept per Xiaomi che dunque decide di renderlo tale anche nella commercializzazione che arriverà entro la fine dell’anno esclusivamente in pochi pezzi anche se ci si attende un’estensione poi in futuro. Il prezzo dichiarato al momento è di 19.999 yuan che equivalgono sostanzialmente a circa 2.550 euro.

Xiaomi Mi Mix Alpha specifiche tecniche:

  • Display: Surround display Super AMOLED da 6.39”
    HD+ densità 420ppi e rapporto schermo/scocca pari al 180,6%
  • Processore: Qualcomm Snapdragon 855+
  • RAM: 12GB LPDDR4X
  • Memoria interna: 512GB di tipo UFS 3.0
  • Fotocamere: 3 posteriori da 108MP con f/1.69,
    1/33”, pixel da 1.6um e AF + 20MP grandangolare con angolo da 117°, f/2.2 e
    1/2.8” + 12MP con f/2.1 e 1/2,8”
  • Batteria: 4.050 mAh con ricarica rapida 40W
  • Connettività: 5G, Wi-Fi, Bluetooth 5.0, NFC
  • Sistema Operativo: Android 10 con MIUI 11
  • Dimensioni: 157 x 74 x 8 mm
  • Peso: 199 grammi
  • Colorazioni: Bianco e Nero

Francesco Pellegrino Lise




Greedfall, il Gdr in stile coloniale

Greedfall, svilupato dai francesi Spiders, è il nuovo gdr
per Pc, Xbox One e Ps4 che catapulta il giocatore in un’epoca che strizza l’occhio
all’Europa all’Europa del diciottesimo secolo. Il titolo racconta le vicende di
De Sardet, un ambasciatore della Confederazione dei Mercanti in partenza da
Serene, sua nazione natale, alla volta dell’isola di Teer Frade. Questa terra è
un luogo misterioso e semisconosciuto verso il quale è iniziato un processo di
colonizzazione, e che pare custodisca la chiave per scongiurare la Malicore,
un’epidemia che imperversa sul continente e che sta mietendo migliaia di vite
umane. L’avventura inizia nel porto di Serene, subito dopo la creazione del proprio
alter ego virtuale attraverso un editor piuttosto profondo, dove oltre
all’aspetto fisico del personaggio, vengono applicate le caratteristiche legate
al gameplay come forza fisica, destrezza, carisma o conoscenza delle arti magiche.
Nel triplice intento di trovare nuove rotte commerciali, nuove risorse naturali
ed una cura per la malicore (la piaga di cui sopra), De Sardet viene affiancato
da suo cugino più giovane, che, in verità, necessita di una balia più di quanto
non dicano i suoi anni. L’incipit è promettente, e l’approccio con un nuovo
mondo, con le fazioni che lo animano, con la flora e la fauna locali è a dir
poco elettrizzante. In Greedfall più che l’intreccio in sé a destare interesse
sono la cura per i particolari, la costruzione dell’universo di gioco, la
differenziazione tra le fazioni presenti in game e, soprattutto, le quest
secondarie, foriere di informazioni aggiuntive e di abbondanti dosi di lore. Le
sei fazioni contribuiscono a rendere credibile il mondo di gioco e ad offrire
sempre una sponda al giocatore, con effetti evidenti sull’esito della storia,
che può contare su quattro differenti finali. Si spazia dalla popolazione
locale, che richiama fortemente i nativi americani, a Theleme, fazione
strettamente religiosa con tanto di Inquisizione, passando per i Nauti,
peculiare gilda marinaresca che ottiene i suoi membri come pagamento di
contratti di lavoro.

Tra tanti giochi di ruolo che scelgono di lasciare esplorare
al giocatore mondi devastati, classiche lande fantasy o ambienti urbani
contemporanei, allora, l’ambientazione scelta dal team francese, pur non del
tutto inedita, risulta fresca e stimolante, e mette realmente il giocatore di
fronte a scelte non banali. Peccato che la scarsa espressività facciale dei
personaggi di Greedfall e una serie di dialoghi a volte troppo prolissi
limitino la godibilità dell’intreccio e delle relazioni tra fazioni, che
rimangono comunque tra i punti più alti della produzione, anche in assenza del
doppiaggio italiano e con qualche strafalcione tra i sottotitoli. Sin dai primi
passi nel mondo di gioco si può respirare un’atmosfera davvero molto
particolare: le ambientazioni ricalcano il nostro continente in epoca
coloniale, sia per quanto riguarda l’architettura di abitazioni e vascelli che
nell’abbigliamento dei personaggi, chiaramente ispirato alle vesti iberiche
dell’epoca, e fanno da sfondo ad un mondo popolato da bizzarre creature,
mostruosità di ogni genere, magia e arti oscure. Le primissime ore del gioco si
svolgono all’interno dell’area portuale di Serene, fungendo un po’ da tutorial
per iniziare a metabolizzare le dinamiche del gioco prima di immergersi in un
così particolare universo. Diversi sono i compiti che vengono assegnati già in
questa fase e che permettono immediatamente di capire che in Greedfall ogni
incarico può essere affrontato in diversi modi, a seconda delle proprie
inclinazioni. Ad esempio quando ci si trova dinanzi a una persona da cui
ottenere preziose informazioni, ad esempio, si può scegliere di propendere per
l’utilizzo della dialettica, qualora il livello di carisma sia sufficientemente
alto per riuscire a convincerlo a parlare, oppure si può scegliere di optare per
le maniere forti, minacciandolo fisicamente facendo leva sul livello di costituzione
fisica, o ancora si può optare per la subdola arte della corruzione, offrendo
oro in cambio di favori. Libera scelta è lasciata in gran parte di queste
situazioni, e le scelte adottate influenzeranno in maniera importante
l’universo di gioco, facendo guadagnare lustro agli occhi di una fazione a
discapito di un’altra. In sostanza ogni azione avrà sempre pro e contro, quindi
grazie a questo sistema Greedfall offre un livello di giocabilità veramente
elevato.

Greedfall è un gioco complesso fin dalle prima battute, ma
dà grandi soddisfazioni per via delle meccaniche semplici quanto profonde. Una
volta avviato il gioco per la prima volta e creato un personaggio, esso va
indirizzato verso una delle tre classi iniziali, una basata sugli attacchi
corpo a corpo, una sulla magia ed una sugli attacchi indiretti e la furtività,
al giocatore sarà lasciata ampia libertà di scelta nel prosieguo della storia,
così da creare build miste come maghi/guerrieri capaci di brandire pesanti armi
a due mani o tecnici insospettabilmente abili nelle arti curative. Il sistema
di crescita del personaggio si basa su tre valori, ovvero abilità, che include
tutte le skill attive, attributi, che invece raggruppa quelle passive, e
talenti, ovvero ulteriori conoscenze, in genere non legate al combattimento ma
utili per facilitarsi la vita nel mondo di gioco, come la capacità di
scassinare serrature, preparare pozioni o disinnescare mine. I tre alberi sono
di dimensioni molto contenute, ed è possibile, dedicandosi con costanza alle
quest secondarie, riempirli tutti anche solamente in una prima run, svilendo un
po’ la rigiocabilità del titolo. Per quanto riguarda le missioni secondarie, a
nostro avviso, esse rappresentano uno dei punti più alti della produzione. A
fronte di un numero generale assai ristretto se confrontato con larga parte
della concorrenza, le side-quest risultano ben scritte e sufficientemente varie
da invogliare chi gioca ad affrontarle tra una missione principale e quella
successiva. Funzionano discretamente anche il sistema di crafting, basilare
nell’esecuzione ma sempre chiaro e mai troppo invadente, e la grande libertà di
scelta lasciata al giocatore anche in sede di scontro, con una pletora di
approcci possibili, dallo stealth alla diplomazia, passando per la coercizione
e l’approccio violento. In Greedfall l’esplorazione di Teer Frade avviene con
una struttura semi-open world: l’isola è esplorabile liberamente in tutta la
sua estensione, ma è suddivisa in zone in cui il passaggio tra una e l’altra
richiede un breve caricamento. In queste fasi gli sviluppatori hanno fatto
ricorso ad un escamotage semplice quanto geniale per evitare di tediare il
giocatore nella seppur brevissima attesa: durante il caricamento si accede
infatti ad una sorta di accampamento dove poter organizzare la propria squadra,
cambiandone i membri per renderla quanto più equilibrata possibile, modificare
il proprio equipaggiamento o potenziarlo attraverso lo strumento di crafting. A
proposito di team, è bene sottolineare che in Greedfall il protagonista durante
le sue peripezie non è solo ma è accompagnato da due compagni che lo affiancano
negli scontri. Essi possono essere reclutati tra i moltissimi personaggi che
incrociano il cammino del giocatore e vantano talenti e specializzazioni uniche.
Queste abilità possono essere miscelate a dovere per la creazione di una
squadra equilibrata e che funzioni. I compagni non rappresentano però delle
mere “bocche da fuoco” supplementari. Col passare del tempo infatti le relazioni
con loro si fanno più strette, si impara a conoscerli, si scoprono i segreti
delle loro vite e affrontando con loro missioni secondarie si potranno
instaurare legami sempre più forti.

Per quanto riguarda il sistema di combattimento di Greedfall,
esso si basa sull’utilizzo fondamentale di due colpi da breve distanza, attacco
leggero e attacco caricato, e da un attacco da lunga distanza, effettuato
mediante l’utilizzo della pistola. In fase difensiva due tasti frontali sono
designati alla parata ed alla schivata. Parlando delle armi da mischia, queste
si dividono in due classi, armi contundenti e da taglio: equipaggiate
contemporaneamente nell’inventario queste armi possono essere alternate
velocemente, ed il loro utilizzo combinato risulta determinante per distruggere
le armature con le prime ed infliggere ingenti danni a bersagli scoperti con le
seconde. A livello di giocabilità, tra fasi d’esplorazione, dialoghi con i
personaggi, missioni e combattimenti, Greedfall può tenere impegnati tra le 30
e le 60 ore a seconda se si vuole esplorare a dovere il mondo di gioco o se si
vuole fare solo l’essenziale. La versione Xbox One da noi testata per questa
recensione, offre un livello grafico buono ma non sempre eccellente. Ciò è
probabilmente dovuto al fatto che una tale produzione è troppo ambiziosa per
uno sviluppatore che ha comunque dei limiti di budget ben precisi. Greedfall, è
bene sottolinearlo, rappresenta l’apice della produzione del team transalpino,
grazie a scorci mozzafiato e a un lavoro scenico eccellente, tanto sui costumi
d’epoca quanto sulle ambientazioni, impreziosito dal supporto all’HDR. Purtroppo
però, c’è ancora tanto da lavorare sul comparto animazioni, che rimane povero e
generalmente legnoso, sui modelli poligonali, che sono passabili ma non
perfetti e, soprattutto, sul massiccio riutilizzo di texture ed asset, che
rende tutti gli interni delle case identici tra loro e costringe il giocatore a
parlare con i medesimi sette o otto NPC per tutta la durata dell’avventura.
L’ambizione del team di sviluppo è assolutamente ammirevole, e il risultato
finale è comunque buono in quanto, nonostante Greedfall non sia un titolo
perfetto, il gioco resta comunque un’avventura profonda e bella da portare a
termine. Tirando le somme, l’ultima opera del team Spiders è sicuramente una
sorpresa gradita per gli amanti dei gdr. Una buona giocabilità, la possibilità
di fare tante cose e una trama ben strutturata fanno si che non ci si annoi
mai. Se quello che si cerca è un gioco di ruolo mediamente difficile, in grado
di offrire diverse ore di gioco e abbastanza profondo, allora Greedfall è un
titolo che non bisogna lasciarsi scappare.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5

Sonoro: 7,5

Gameplay: 7,5

Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise




Gears 5, l’evoluzione dell’esclusiva Microsoft

Gears 5 arriva su Xbox One e Pc a distanza di quasi tre anni
dal quarto capitolo della serie. Con questo nuovo episodio, gli sviluppatori di
The Coalition sembrano ora aver dato libero sfogo a tutta la loro creatività
con lo scopo dichiarato di realizzare il Gears più vasto e profondo di sempre.
E a nostro avviso ci sono riusciti in pieno. Ma andiamo a scoprire il perché.
La trama si collega benissimo con il finale del gioco precedente, infatti, dopo
gli eventi narrati in Gears 4, la situazione sul pianeta Sera è sull’orlo del
baratro. Lo Sciame, l’esercito generatosi dall’esposizione prolungata di
Locuste ed esseri umani agli effetti nocivi dei cristalli di Imulsion, è uscito
allo scoperto e si sta preparando per attaccare gli Insediamenti e le città
gestite dalla Coalizione dei Governi. Una nuova guerra sembra quindi
inevitabile e i COG, nonostante il loro esercito, sanno di non poter resistere
a lungo senza armi adeguate. L’unica opzione plausibile, per quanto il Primo
Ministro Jinn Desai non sia d’accordo, sembra essere legata al Martello
dell’Alba, la “vecchia” tecnologia satellitare sviluppata durante le Guerre
Pendulum che permise ai Gears di sopravvivere dopo il Giorno dell’Emersione. Su
indicazione di Baird la squadra Delta, composta da Marcus Fenix, suo figlio JD,
Kait Diaz, figlia della leader degli Estranei rapita dallo sciame nel
precedente capitolo, e Delmont “Del” Walker, torna quindi ad Azura per lanciare
in orbita un vecchio prototipo di Martello rimasto miracolosamente intatto. Una
volta rientrati a Nuova Ephyra i soldati scoprono però che l’arma non sta
rispondendo nel modo corretto, solo per scoprire che le cose stanno per
precipitare. Le creature si sono infatti evolute, generando nuovi giganteschi
abomini e sviluppando la capacità di prendere il controllo dei Dee-Bee, i robot
utilizzati dalle forze governative come strumento di difesa e controllo. Una
situazione imprevista alla quale si aggiungono l’esuberanza e gli errori di JD,
che aveva già rischiato di compromettere l’incursione su Azura, i conflitti
interiori di Kait, tormentata da visioni e incubi, e la scarsa affidabilità del
satellite appena messo in orbita. La somma di tutti questi fattori influisce in
modo irreversibile sull’esito della missione, finendo per creare una profonda
frattura all’interno dei Delta. Kait, spalleggiata dagli inseparabili Del e
Jack, viene quindi inviata in missione negli angoli più remoti di Sera con
l’obiettivo di convincere altri Estranei ad unirsi alle forze COG per respingere
definitivamente lo Sciame. Ed è proprio a partire da qui, il secondo atto per
essere precisi, che Gears 5 mette in mostra tutto ciò che c’è di nuovo: l’attenzione
infatti si sposta da JD alla giovane Kait e sulla sua missione, che ben presto
si trasforma in un’indagine sul suo oscuro passato e sulle vere origini dello
Sciame. Un viaggio pericoloso, che attraverserà biomi e ambientazioni molto
differenti e dal quale dipenderà non solo il destino della giovane protagonista
ma anche quello di tutto il popolo di Sera. Fra intense sparatorie, colpi di
scena e una trama sempre coinvolgente, Gears 5 offre un viaggio di una quindicina
di ore che possono diventare anche il doppio se giocato alla difficoltà
massima.

Come vi dicevamo però, Il cambio di protagonista e le nuove
ambientazioni non sono le uniche novità introdotte da The Coalition, lo studio
di Vancouver infatti, ha infatti deciso di imprimere con maggiore forza la
propria impronta nella saga, apportando alcune importanti modifiche al sistema
di gioco originale. La prima, quella che salta subito all’occhio, riguarda la
possibilità di affrontare l’intera campagna con altri due amici, sia in
split-screen sia tramite Xbox Live, formando una squadra composta dai due
protagonisti più il robot di supporto Jack, il quale diventa a tutti gli
effetti un personaggio giocabile dotato di caratteristiche proprie che gli
consentono di attivare interruttori, di intrufolarsi nei condotti di aerazione,
di diventare invisibile per un breve lasso di tempo e di
raccogliere/trasportare oggetti quali armi, munizioni o altro. Quando su gioca
a Gears 5 in singolo, tutte queste azioni di Jack vengono sempre gestite dalla
I.A., liberamente o su specifica indicazione del giocatore, mentre quando si è
in coop sarà un giocatore in carne ed ossa a dover interpretare il ruolo di
supporto. Supporto che, in questo nuovo capitolo, non si limita solo alle
azioni appena citate. La nuova versione di Jack dispone infatti di 11 abilità
speciali suddivise in Assalto, Supporto e Passive. Queste ultime sono
utilizzabili fin dal primo minuto e influiscono su parametri quali la sua
salute, la capacità di curare gli altri o la durata dell’invisibilità. Le altre
abilità, che permettono di scansionare le aree per individuare nemici e
rifornimenti, di curare o rendere invisibile la squadra, di controllare per un
tempo limitato gli avversari, di accecarli e così via, funzionano invece in
modo leggermente diverso. Innanzitutto devono essere sbloccate, collegando al
robot specifici accessori ottenibili nel corso dell’avventura, e poi vanno
equipaggiate sfruttando i due slot disponibili, uno per ogni tipologia di
abilità. Solo così possono poi essere utilizzate sul campo di battaglia,
tenendo però sempre presenti i tempi di ricarica necessari dopo ciascun utilizzo.
Tutte queste skill, così come quelle Passive, possono poi essere potenziate su
4 differenti livelli. I primi 3 sono accessibili consumando Componenti, delle
parti elettroniche speciali che i giocatori avranno l’opportunità di
raccogliere durante l’esplorazione, mentre l’ultimo livello, denominato
Ultimate, può essere sbloccato solo ottenendo specifici moduli, generalmente
legati al completamento di missioni principali o secondarie.

Missioni secondarie? Eh sì, avete capito bene perché una fra
le novità più interessanti di questo Gears 5 è data dal fatto che nel corso
dell’avventura, i protagonisti raggiungono due remote regioni open world di
Sera. Tali zone possono essere esplorate liberamente e sempre da queste è
possibile accedere non solo ai luoghi teatro dei capitoli principali, che mantengono
la medesima struttura lineare e guidata dei precedenti episodi, ma anche ad
altre aree, di dimensioni più limitate, nelle quali è possibile completare
alcuni incarichi opzionali quali missioni di salvataggio o ricerca, utili per
raccogliere nuovi potenziamenti o per scoprire importanti retroscena sulle
vicende narrate nel titolo. Tutti questi incarichi, così come gli eventuali
punti di interesse, vengono memorizzati da Jack, il quale ha anche acquisito la
capacità di visualizzare la mappa di queste regioni così da fornici
costantemente indicazioni sulla direzione da seguire tramite una pratica
bussola visualizzata nella parte superiore dello schermo. Attenzione però a non
farsi trarre in inganno: Gears 5 non è diventato un titolo open world puro, però
offre due grandi “hub” che possono essere esplorati a piedi o, più rapidamente,
sfruttando una sorta di slitta trainata da una vela chiamata “Skiff”, sulla
quale possono anche essere riposte due armi aggiuntive. Il passaggio da una
regione all’altra è inoltre sempre vincolato al completamento del relativo
Atto, con punti di non ritorno segnalati chiaramente nel corso dell’avventura.
Giocare ogni missione secondaria, ovviamente, è il modo migliore per godere pienamente
della spettacolare campagna di questo Gears 5, quindi, il nostro consiglio è: mai
avere fretta. A livello di meccaniche di gioco sono state introdotte anche
alcune piccole chicche, adesso, è possibile cogliere di sorpresa gli avversari
con un’uccisione silenziosa, il che permette di superare alcune sezioni senza
sparare nemmeno un colpo, e si possono sfruttare nuove armi come il
mitragliatore leggero Claw, la cui precisione aumenta con il fuoco continuato,
la pistola automatica Talon e il cannone Criogenico, che congela gli avversari lasciandoli
alla mercé dei proiettili del giocatore o delle altre creature. A queste si
sommano poi alcune armi uniche dotate di caratteristiche speciali, che possono
essere raccolte nel corso dell’avventura. L’esercito nemico offre poi una gran
varietà di unità e riversa sul campo di battaglia la consueta varietà di
creature che vanno dalle minuscole sanguisughe ai giganteschi Swarmack,
passando per un paio di classi inedite come i pericolosi Sorveglianti o i
fastidiosi robot volanti corrotti dallo Sciame, chiamati Bastion. Anche a
livello estetico l’ultima fatica dei The Coalition sembra riprendere il
discorso interrotto in GOW 4: aree molto ampie, palette di colori molto
variegata per un capitolo della saga e in generale una mole poligonali
imponente. Qualche piccola sbavatura su alcune texture che forse avrebbe
meritato qualche attenzione in più, ma in generale il quadro estetico riempie
gli occhi come mai prima d’ora. Sarà anche molto appagante, una volta terminata
la battaglia, vedere quanti pezzi di armature e avversari rimangono a terra, a
creare una veridicità davvero molto elevata. Sugli scudi anche gli effetti
volumetrici e particellari, nonché un sistema di illuminazione che in alcuni
passaggi riesce davvero a stupire. Ottimo come sempre il doppiaggio a dir poco perfetto
in lingua italiana e il comparto sonoro che offre effetti da brivido. Squisita
anche la colonna sonora che è sempre coerente con gli eventi che avvengono
sullo schermo e mai fuori luogo.

Ovviamente anche Gears 5 offre un ampio comparto multigiocatore,
ma stavolta c’è davvero l’imbarazzo della scelta grazie a una serie di modalità
di gioco differenti pensate per accontentare quanti più giocatori possibili. A
partire dalla classica modalità competitiva Versus, che racchiude al suo
interno varie tipologie di partite suddivise tra Arcade, Classificate, Coop vs
I.A. e Personalizzate; la prima rappresenta un’assoluta novità e propone ai
giocatori deathmatch tra squadre di 5 elementi scelti in una rosa di 11
personaggi diversi, tutti dotati di skill peculiari e di un equipaggiamento
iniziale fisso, che può poi essere modificato spendendo i punti ottenuti
uccidendo gli avversari. Tra le Classificate, che permettono di selezionare gli
stessi personaggi, figurano invece una selezione delle 8 modalità di gioco
distinte presenti nel gioco, che vanno dal classico deathmatch a squadre al
sempreverde Re della Collina, passando per una buona varietà di tipologie di
match differenti già presenti nel precedente capitolo. Coop Vs I.A. permette
invece, come facilmente intuibile, di affrontare squadre controllate dalla CPU
insieme ad altri 4 giocatori umani, mentre il menu delle sfide Personalizzate
consente di creare liberamente le proprie partite, anche in LAN, selezionando
non solo la modalità di gioco, ma anche su quale delle 12 mappe presenti al
lancio disputarla e quali opzioni specifiche attivare. In Gears 5 fa poi
ritorno la tanto blasonata modalità Orda, che vede una squadra formata da 5
componenti, umani o bot, scontrarsi con 50 ondate di nemici di difficoltà
crescente sulle stesse mappe pensate per le sfide Versus. Ogni 10 ondate si
affronta un boss, e per ogni nemico abbattuto si ottiene energia da spendere
per fabbricare e/o potenziare le proprie difese, per acquistare equipaggiamenti
o, novità assoluta, per incrementare le caratteristiche del proprio
personaggio. La nuova struttura dell’Orda permette infatti ai giocatori di
selezionare i rispettivi alter-ego da una selezione che al lancio includerà 9
personaggi differenti, tra i quali anche il robot Jack, suddivisi in 5
categorie: Scout, Ingegnere, Attacco, Tank e Supporto. Ogni categoria è
specializzata in uno specifico aspetto, ma questo non significa che due Tank
siano identici perché ogni singolo personaggio dispone di una propria abilità
passiva, di una Ultimate, che si ricarica con il passare del tempo e che
potrebbe influenzare anche gli altri membri della squadra, e di 4 diverse
caratteristiche base, ciascuna delle quali può essere potenziata attraverso 10
differenti livelli consumando energia.

https://www.youtube.com/watch?v=ErqsgG0HRR8

A completare il tutto in Gears 5 c’è anche l’inedita
modalità Fuga. Essa rappresenta un’altra novità assoluta per la serie, sia per
la tipologia di match sia per quanto riguarda il numero di giocatori coinvolti.
Si tratta infatti di una tipologia di gioco cooperativa pensata per un massimo
di tre giocatori nella quale l’obiettivo finale non è quello di uccidere il
maggior numero di avversari ma piuttosto di uscire indenni, o quasi, da un
Alveare dello Sciame, il tutto senza dimenticarsi di lasciare in pegno una
discreta quantità di gas velenoso. Il funzionamento di questa tipologia di
scontri è molto semplice: all’avvio i giocatori fuoriescono da uno dei bozzoli
dello Sciame e posizionano delle granate, le quali inizieranno a rilasciare gas
dopo un certo lasso di tempo riempiendo progressivamente ogni parte
dell’alveare, composto generalmente da un’alternanza di corridoi stretti, svincoli
e stanze di varie dimensioni. Mentre ciò accade, i giocatori devono avanzare
verso l’uscita per non rischiare di finire soffocati dal loro stesso veleno,
affrontando nel frattempo i nemici che incontrano sfruttando al meglio le poche
armi che riescono a recuperare durante il percorso. Una volta raggiunta
l’uscita devono sigillarla per massimizzare l’effetto del gas, e procedere con
l’estrazione. In questo caso i personaggi selezionabili al lancio del gioco
sono solo 6, con modalità di suddivisione, progressione e personalizzazione
identiche a quelle della modalità Orda. Le mappe invece sono 4, create
specificatamente per questa modalità. Un numero effettivamente ridotto, ma
destinato a crescere rapidamente vista la presenza di un editor tramite il quale
è possibile creare le proprie mappe, che possono poi essere giocate o condivise
con l’intera community. Insomma, tirando le somme, questo Gears 5 è un gioco
assolutamente incredibile, che offre la possibilità di divertirsi da soli o in
compagnia e lo fa grazie a una valanga di possibilità fra campagna,
multigiocatore cooperativo o competitivo e l’introduzione di tantissime novità.
Se si è possessori di una console Xbox One o di un Pc e si cerca qualcosa di
davvero “tosto”, Gears 5 è un titolo che dovete assolutamente giocare.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9,5

Sonoro: 9,5

Gameplay: 9,5

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9,5

Francesco Pellegrino Lise