WhatsApp, una funzione nascosta svela con chi si parla di più

Volete sapere con chi chiacchierate di più su WhatsApp? Bene,
per chi non lo sapesse, l’app della popolarissima piattaforma di instant
messaging ha una funzione nascosta per mostrarlo, con tanto di dettagli
relativi all’esatto numero di messaggi scambiati con uno specifico contatto. La
funzionalità è molto semplice da trovare, ma non è ancora molto utilizzata in
quanto è ben nascosta nelle impostazioni dell’applicazione. Per visualizzarla è
necessario accedervi e selezionare la voce “Utilizzo dati e archivio”. Da lì,
scegliendo l’ultima opzione della lista, vale a dire “Utilizzo archivio”, si
aprirà una schermata contenente tutte le conversazioni dell’utente su WhatsApp
ordinate dall’alto verso il basso in base allo spazio da esse occupato. Se si
seleziona una specifica chat si potranno poi visualizzare tutti i dettagli
dell’interazione. Con ciò si intende il numero totale di messaggi scambiati
divisi in testi, gif, foto, video, registrazioni audio, sticker e documenti.
Per ogni categoria viene poi fornita anche l’esatta porzione di memoria che
occupa. Quest’ultima feature è molto utile in quanto grazie ad essa è possibile
gestire al meglio l’applicazione per eliminare tutti quei contenuti troppo
pesanti che occupano la memoria del dispositivo mobile. Va sottolineato inoltre
che il fatto che una chat di WhatsApp occupi tanto spazio non vuole
necessariamente dire che è quella con cui si hanno più interazioni. Se infatti
i media inviati sono foto e video, la pesantezza aumenta. Potrebbe dunque
accadere che una chat in cui si mandano molti messaggi di testo risulti in una
posizione più bassa nella classifica perché questi occupano meno spazio. Per lo
stesso motivo le conversazioni di gruppo peseranno di più perché contengono
messaggi inviati da più utenti. In ogni caso, da oggi grazie a questa
particolare funzione, gestire WhatsApp sarà sicuramente molto più semplice, ma
soprattutto riuscire ad avere la memoria di archiviazione del proprio
telefonino occupata in maniera non eccessiva è finalmente un sogno facilmente
realizzabile.

F.P.L.




Just Dance 2020, ballare non è mai stato così divertente

Just Dance 2020 (disponibile su PlayStation 4, Nintendo Switch, Wii, Xbox One, Google Stadia) è il decimo capitolo del franchise di Ubisoft, il cui primo capitolo debuttò nell’ormai lontano 2009. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, anche se a conti fatti negli ultimi cinque anni la produzione si è mostrata estremamente conservativa, e la software house sembra essere particolarmente restia nell’introduzione di novità sostanziali. In questa recensione cercheremo di capire sia come è strutturato Just Dance 2020, sia quanto c’è di nuovo nell’offerta principale per aiutarvi nella fatidica scelta se acquistarlo o meno. Una volta avviato il titolo, i fan della serie si troveranno subito a loro agio in quanto il menù iniziale è identico in tutto e per tutto a quello dello scorso capitolo: titoli di apertura, logo, si ricorda al giocatore che per i propri figli c’è Just Dance Kids con nuove proposte ecc… Fortunatamente però Just Dance 2020 individuerà i dati di salvataggio di Just Dance 2019 già presenti sulla console, dando così il bentornato ai players di vecchia data e portando con sé una minima parte dei contenuti già sbloccati a livello estetico. Il livello del giocatore ricomincia invece da 1, per non rovinare il sistema di progressione. Anche a livello di giocabilità Just Dance 2020 non offre sorprese, infatti avviando la riproduzione dei primi brani presenti, risulta evidente come il titolo non abbia modificato, neppure parzialmente, il solito gameplay. Al giocatore tocca quindi nuovamente mettersi a ballare imitando il più fedelmente possibile i buffi personaggi e manichini in movimento sullo sfondo, accumulando punti su punti e riempiendo così la barra sul lato sinistro dello schermo.

È possibile ottenere da una a cinque stelle, e in casi di
notevole bravura anche la dicitura Superstar, con il massimo dei punti
consentito. Ogni punteggio viene registrato in locale sulla console, così che
tra diversi profili di diversi giocatori si possa mantenere costante una sana
competizione. Insomma, la filosofia adottata da Ubisoft sembra proprio essere
quella della “squadra che vince non si cambia”. 
Purtroppo il rischio che si corre optando per una scelta simile è che i
giocatori si trovino fra le mani un gioco troppo simile al passato e non siano
spinti all’acquisto. Certo, parliamo sempre di un prodotto destinato a un
pubblico di nicchia o a chi vuole utilizzare il titolo per animare una festa,
ma in ogni caso, a nostro avviso, un prodotto fotocopia (dal punto di vista del
gameplay) non è proprio il massimo. Per chi non lo sapesse, ci teniamo a
sottolineare che per giocare a Just Dance 2020 si possono utilizzare ancora una
volta più sistemi di controllo: i Joy-Con della vostra console Nintendo, oppure
scaricare l’App per dispositivi mobile Android e iOS. La Switch resta
probabilmente la piattaforma perfetta per questo tipo di esperienza, sia per la
responsività e l’accuratezza nella registrazione del movimento dei Joy-Con, sia
perché giocare con uno smartphone come controller dopo aver scaricato l’app, non
risulta particolarmente eccitante. Davvero poco da segnalare per quanto
riguarda il comparto grafico e tecnico di Just Dance 2020, anche in questo caso
sostanzialmente immutato rispetto a Just Dance 2019. Abbiamo notato tuttavia
una maggiore cura per i fondali e nei dettagli delle coreografie: osservando
attentamente gli sfondi, questi ultimi appaiono più nitidi e definitivi, e
generalmente soddisfano in modo maggiore il colpo d’occhio. Ma è davvero
l’unica annotazione degna di nota che sia possibile fornire.

 Ovviamente la cosa
che cambia in Just Dance 2020 sono le canzoni offerte nel pacchetto. La
tracklist a disposizione è infatti notevole e piuttosto coraggiosa per varietà:
magari qualcuna delle tipiche “top 40” statunitensi è stata sacrificata, ma a
guadagnarne è la multi-culturalità dell’offerta: molti sono i pezzi che vengono
dagli altri continenti come Africa e Asia. Ovviamente non manca il Sud America
con numerose versioni di balli latini. Ogni brano gode di una personalità tutta
sua grazie alle coreografie studiate per ciascuno di esso, molto colorate e ben
studiate sia nei costumi che negli sfondi: viene voglia di guardarli anche
quando ormai si è sudati marci dopo essersi scatenati con cinque o sei canzoni.
L’acquisto di Just Dance 2020 fornisce per un mese l’abbonamento Unlimited che,
oltre alle 43 canzoni base, offre più di cinquecento altri brani tutti da
ballare da soli o in compagnia. Tirando le somme, grazie alla sua immediatezza
e alla grande carica di divertimento, Just Dance 2020 non aspetta altro che la
serata giusta con degli amici che hanno voglia di divertirsi. Pezzi divertenti,
coreografie coloratissime e sorprendenti, e fino a 6 giocatori in contemporanea
sono ingredienti che farebbero esplodere qualsiasi festa. Anche in singolo il
titolo di Ubisoft riesce a divertire, unico rischio, ed è bene che lo si
sappia, è che essendo un titolo dalla natura particolare, il gioco venga scelto
raramente o solo in determinate occasioni. Quindi alla luce di quanto detto, se
siete delle persone dall’anima festaiola o amanti del ballo, Just Dance 2020 fa
al caso vostro. In caso contrario però, se state cercando un party game dove
non sia necessario “sudare” o affaticarsi il nostro consiglio è quello di
guardare altrove.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 8

Gameplay: 8

Longevità: 6,5

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise




Plants Vs. Zombies torna con La battaglia di Neighborville

Plants Vs. Zombies la Battaglia di Neighborville è il nuovo
videogame della serie di PopCap ed Electronic Arts già disponibile per
Playstation 4, Xbox One e PC. Per chi non lo sapesse, vogliamo ricordare che sono
passati ben dieci anni dall’uscita di Piante contro Zombi, peculiare “tower
defence game” che, prima su PC e successivamente su piattaforme mobile e
console, ha saputo guadagnarsi una fetta considerevole di appassionati.
L’aspetto strategico nei tower defence è sicuramente di prim’ordine e Piante vs
Zombie ha saputo coniugare a dovere l’aspetto “tattico” con l’immediatezza di
gameplay, rendendo di fatto il gioco godibile sia dai grandi che dai piccini.
La “genialata” dei PopCap Games di contrapporre due fazioni così diverse e
assurde, ovvero le piante e gli zombie mangia cervelli, si è dimostrata la
chiave vincente che ha portato questo brand al successo. Il team di Seattle,
tuttavia, cinque anni fa decise di affiancare alla serie principale,
esclusivamente tower defence, uno spin-off multiplayer, che avrebbe sempre
visto contrapposte le due assurde fazioni, ma riproponendo lo scontro con un
gameplay tipico degli sparatutto in terza persona. Plants vs. Zombies: Garden
Warfare è stato infatti il primo “esperimento” di PopCap Games, in congiunta
con Electronic Arts, capace di rivelarsi un successo sia di critica che di
pubblico.

L’immediatezza di gameplay, unita ad uno stile grafico unico
e cartoonesco, spinsero il team a riproporre un sequel l’anno successivo. A
circa tre anni di distanza dall’uscita di Plants vs. Zombies: Garden Warfare 2,
ecco arrivare Plants Vs. Zombies Battle for Neighborville, sequel spirituale
dei due precedenti spin-off, carico di novità in termini di modalità e
meccaniche di gioco, ma sempre ricchissimo di spunti intelligenti ed esilaranti.
Esaminando più da vicino il titolo possiamo dire che, questo terzo capitolo
della serie in versione shooter riparte dalle ottime basi gettate da Garden
Warfare 2 e prende tutto quello che c’era di buono per elevarlo alla massima
potenza. Inoltre, sono riscontrabili alcuni graditi miglioramenti che
sicuramente dipendono da un’attenta osservazione dei “rivali” nell’ambito degli
shooter online. Ad esempio, la presenza di variazioni delle classi è totalmente
scomparsa, rispetto alle precedenti iterazioni, lasciando spazio ad alcuni
personaggi base, più alcuni unici da aggiungere al roster principale, portando
il numero di personaggi giocabili a un totale di venti. Tra le novità, in
termini di pg giocabili, per le piante sono presenti la ghianda, mentre per gli
zombi un “pilota” spaziale in un minuscolo UFO circolare. Entrambi abbastanza
agili sul campo, sono dotati di una potenza di fuoco sostenuta, bilanciata però
da una difesa piuttosto fragile, anche se forniti di un’abilità unica in grado
di ribaltare le sorti dello scontro: la ghianda, ad esempio, potrà trasformarsi
in una quercia, mentre lo zombie spaziale potrà trasformarsi in una fortezza
galleggiante, lenta ma devastante. Le cose diventano più interessanti quando ci
sono più cadetti o ghiande in una squadra, perché più giocatori possono saltare
su una controparte più grande, con tutti i vantaggi e le complicazioni del
caso. Non è una novità per il genere di appartenenza, ma una grande novità per
la serie di PopCap Games, capace di rendere gli scontri multiplayer ancor più
variegati e divertenti rispetto al passato. Sul fronte meccaniche, ogni eroe di
Plants Vs. Zombies Battle for Neighborville possiede un’arma da fuoco e un set
di abilità unico. Di grande pregio, inoltre, la cura per i dettagli riservata
ai diversi personaggi che compongono i due roster. Tale attenzione per i
dettagli e la caratterizzazione dei singoli personaggi saranno sicuramente
apprezzate dai giocatori. La quantità di nuovi contenuti da cui si viene
accolti nel nuovo mondo hub è davvero sorprendente, l’opening del gioco è
semplice ma efficace e la struttura di gioco a dir poco entusiasmante. Una
volta lanciato il titolo ci si troverà subito catapultati in un mondo vivo,
denso di attività e ricco di cose da fare. Nella modalità single player ad
esempio sarà necessario correre, intraprendere missioni più facili, cercare
tesori, sconfiggere nemici e molto altro ancora. Ovviamente, questo da solo non
offre un motivo sufficiente per acquistare il gioco (è richiesta una
connessione a Internet), ma siamo rimasti molto soddisfatti dall’aggiunta della
modalità single player, soprattutto vista la varietà che offre al gioco. Altra
modalità presente in game è Garden/Graveyard Ops, che è fondamentalmente una
modalità orda in cui bisogna affrontare nemici sempre più difficili
all’avanzare dell’esperienza. Poiché le classi del gioco sono diverse e
variegate, si può facilmente cambiare le sorti in battaglia semplicemente
cambiando personaggio, quindi è importante non focalizzarsi su un solo tipo di “soldato”
ma sfruttare quello con le abilità più adatte al tipo di cosa che si vuole fare.
Abbiamo anche apprezzato molto la modalità Arena Battaglia, che mette in
competizione squadre di quattro persone in cui ogni giocatore che ha una sola
vita, uno contro l’altro. Questa nuova modalità di Plants Vs. Zombies Battle
for Neighborville ha aggiunto rapidamente un po’ di frenesia all’esperienza ed
è stata più intensa di quanto pensassimo fosse possibile da un gioco su piante
e zombi. Torna anche Turf War, modalità che consente di collaborare con altri
giocatori per raggiungere obiettivi specifici comuni. Questa modalità di gioco
è divertente, ma dal momento che non c’è molta strategia in gioco quando si è
accoppiati con giocatori casuali che sembrano pensare che ogni modalità sia un
deathmatch, purtroppo essa non raggiunge mai il suo pieno potenziale.

Oltre alle modalità sopra citate, è ovviamente presente il
classico Deathmatch, che è sempre divertente. Decidere se giocare al nuovo
Night Cap (un ninja furtivo di funghi), al brutale Kernel Corn o al classico
Peashooter ha un impatto importante su ciò che accadrà nel gioco e ci sono
anche obiettivi che incoraggiano a cambiare costantemente personaggio, per
spingere il giocatore a provare la varietà che il gioco ha da offrire. Proprio
come nelle precedenti iterazioni della serie, Plants vs.Zombies, questo nuovo Battle
for Neighborville si concentra principalmente sullo sbloccare oggetti cosmetici
come cappelli divertenti, pantofole consumate, combinazioni di colori e molto
altro. Ogni attività presente in game, che sia legata ad attività della storia
o partite competitive online, ricompenseranno i giocatori con delle monete,
spendibili nell’apposita slot machine presente nell’hub centrale, dove si verrà
premiati con componentistica estetiche in maniera randomica, come ad esempio
costumi ed emote per il proprio personaggio. Per quanto riguarda la nostra
prova, su Xbox OneX, ci sentiamo di elogiare il lavoro svolto dagli
sviluppatori per quanto concerne la cura del comparto audiovisivo. Battle for
Neighborville gode di una serie di effetti grafici ancor più avanzati rispetto
al passato, grazie all’utilizzo dell’ottimo Frostbite Engine di Electronic Arts,
in grado di riempire lo schermo di coloratissime esplosioni. La cura dei
dettagli e della composizione delle texture è quella di sempre, ma la varietà è
nettamente aumentata, anche all’interno della medesima mappa. Discreto il
comparto sonoro che, propone musiche divertenti, versi “gutturali” e rumori,
rimanendo però ancora distaccato da un doppiaggio classico e legato ai canonici
sottotitoli in italiano. Parlando di lati negativi, purtroppo c’è da dire che nel
corso della nostra prova purtroppo abbiamo riscontrato una presenza
fastidiosissima di freeze del gioco che ci ha costretto a riiniziare attività
più e più volte rendendo l’esperienza complessiva piuttosto frustrante. Speriamo
che gli sviluppatori riescano a risolvere questo problema in tempi brevi con
una patch ad hoc. Tirando le somme, con Plants vs. Zombies: Battle for
Neighborville annoiarsi è davvero impossibile in quanto è uno shooter online
immediato e divertente, caratterizzato da toni leggeri e da un comparto tecnico
colorato e convincente. La possibilità di affrontare le modalità cooperative e
competitive in compagnia di amici, grazie all’utilizzo dello split screen, è un
valore aggiunto in questa nuova produzione targata PopCap Games. Problemi,
annosi, di bilanciamento a parte che ci auguriamo vengano risolti con i
prossimi aggiornamenti, ci sentiamo di consigliare il titolo a tutte le persone
che cercano uno shooter leggero, intuitivo, originale e senza troppi fronzoli.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8

Gameplay: 8

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




WhatsApp, un file Mp4 mette a rischio la sicurezza

Utenti di WhatsApp attenzione, un file Mp4 può mettere a
rischio la sicurezza della popolare applicazione di instant messagging e
consentire a malintenzionati di prendere il controllo del dispositivo. L’allarme
è stato lanciato dalla stessa società di proprietà di Mark Zuckerberg che conta
oltre 1 miliardo e mezzo di utenti attivi ogni mese. Viene consigliato agli
utenti di aggiornare l’app all’ultima versione in cui è stata inserita una
correzione di sicurezza. Secondo il sito GbHackers, al momento non ci sono prove
concrete del fatto che questa vulnerabilità sia stata sfruttata, ma in ogni
caso è bene proteggere il proprio WhatsApp eseguendo l’update. A fine ottobre
l’applicazione ha fatto causa alla società israeliana Nso, accusandola di
essere responsabile di attacchi mirati a circa 1.400 suoi utenti, utilizzando
uno spyware, cioè un software spia. Il problema è stato classificato come
“critico”. Un attacco di questo tipo avrebbe permesso all’hacker di
scaricare e installare sui dispositivi violati un malware, un software maligno,
oltre a rendere accessibili e trasferibili i dati sensibili contenuti nello
stesso. E tutto questo a insaputa dell’utente. Facebook ha dichiarato di aver
preso in carico il problema, etichettando la vulnerabilità come “CVE-2019-11931”.
“WhatsApp lavora costantemente per migliorare la sicurezza del servizio.
Rendiamo pubblici i potenziali problemi che abbiamo, risolvendoli con le
migliori pratiche del settore. In questo caso, non vi è motivo di credere che
gli utenti siano stati colpiti”, ha spiegato un portavoce della società. Sempre
secondo il sito GbHackers, le versioni interessate da questo problema sono,
nello specifico, quelle precedenti alla 2.19.274 su Android e alla 2.19.104 per
quanto concerne Whatsapp Business, alla 2.19.100 su iOS e alla 2.19.100 per
Business, e pari o inferiori alla 2.18.368 su Windows Phone. Per mettersi al
sicuro gli utenti devono mantenere l’applicazione aggiornata e non aprire file
o filmati, in particolare quelli con estensione MP4, provenienti da fonti non
conosciute. Eseguire costantemente gli update, ricordiamo, è l’unico modo di
mantenere le applicazioni al cento per cento sicure e non incappare in alcun
tipo di problemi. Non ignorate mai gli aggiornamenti.

F.P.L.




Planescape Torment e Icewind Dale sbarcano su Xbox One, Ps4 e Switch

Planescape Torment e Icewind Dale arrivano su Xbox One, Ps4 e Nintendo Switch. Dopo la recente uscita di Baldurs Gate 1 e 2 (qui la nostra recensione), anche questi titoli vedono nuova vita sulle console di attuale generazione e sono pronti a farsi conoscere dalle nuove generazioni di gamers, ma anche a fare la gioia di chi li ha giocati nello scorso millennio. Planescape Torment e Icewind Dale rappresentano due modi diversi, quasi opposti di vedere i giochi di ruolo. Torment è un rpg a tutto tondo dove la storia la fa da padrone pur con una certa dose di libertà. Una sceneggiatura degna di un ottimo film, personaggi caratterizzati e ben definiti, e una serie di sidequest splendide ne fanno un gioco di ruolo una spanna sopra ai Baldur’s Gate. Icewind Dale invece, propone un’avventura lineare, in certi versi simile ad una sessione cartacea vera e propria di Dungeon’s and dragons, con missioni a “moduli” e un party tutto da costruire, dove la storia è sì importante, ma di contorno rispetto a strategia e combattimento. Ma andiamo ad esaminare i tioli: Icewind Dale si propone come una sorta di Baldur’s Gate più concentrato sul sistema di combattimento. Certo, una storia è sempre presente, e al giocatore è richiesto di affrontarla dalla propria prospettiva: il che significa che risolvere determinate situazioni in un modo o nell’altro spetta alla sensibilità del giocatore, con tutte le conseguenze del caso. Per tutto il resto, Icewind Dale è molto simile a Baldur’s Gate, ossia è un classico gioco di ruolo con visuale isometrica, con sistema di combattimento in “tempo reale” con la possibilità di poter usare una pausa tattica per poter gestire al meglio le azioni dei membri del party del giocatore. Il party, infatti, è una delle prime differenze rispetto a Baldur’s Gate che saltano all’occhio. Mentre in BG il giocatore deve costruire il suo party mentre avanza nell’avventura selezionando i compagni man mano che si avanza, in Icewind Dale si comincia immediatamente con un party formato di tutto punto. Questo potrebbe allungare decisamente i tempi della creazione dei personaggi, ma per fortuna, il gioco mette a disposizione un party di base creato precedentemente, facendo così risparmiare tempo al giocatore. Inutile dire che l’editor di creazione è sempre lo stesso ed offre, come al solito, un’elevatissima mole elevata di opzioni di personalizzazione della propria squadra. D’altronde, si parla sempre di una campagna di D&D, e Icewind Dale riesce a catturare lo spirito pienamente, regalando centinaia di ore di gioco. Parlando di Planescape Torment, invece, possiamo dire che il titolo riprende le meccaniche dei giochi D&D precedenti e le rielabora per presentare un tipo di esperienza unica nel mondo dei giochi di ruolo. Infatti, a differenza degli altri titoli di cui abbiamo parlato, Torment è quello che presenta il livello di scrittura più alto, con uno stile che non disdegna anche picchi di black humor.

Il giocatore veste i panni del Nameless One, e le
informazioni che il giocatore ha su di lui sono uguali a quelle che il
personaggio stesso è a conoscenza: ovvero, niente. Tutto quello che si sa è che
il protagonista è stato portato in un obitorio perché si credeva fosse morto,
solo che all’improvviso si alza e cammina. Uno scheletro fluttuante si avvicina
e interagisce con il protagonista, e decide di accompagnarlo per scoprire cosa
gli è successo. Infatti, il personaggio principale soffre di un’amnesia che non
gli consente di ricordare assolutamente nulla degli eventi che lo hanno portato
a finire in un obitorio. Starà al giocatore guidarlo alla ricerca della verità,
in un mondo incredibilmente complesso e tutto da scoprire. Come già detto,
Planescape Torment ha un accento decisamente maggiore sulla storia e su come il
giocatore la può navigare ed influenzare. I testi a schermo sono tantissimi,
scritti in maniera davvero squisita. Nonostante la storia abbia una trama
assolutamente straordinaria però resta comunque un gioco con vent’anni alle sue
spalle. Infatti, chi sta dinanzi lo schermo non sa mai bene quello che deve
fare, dove deve andare, e soprattutto come farlo. Tutto ciò è lasciato al
giocatore stesso da scoprire; questo perché Torment richiede un’immedesimazione
molto elevata, richiede di tuffarsi nel mondo di gioco con grande attenzione e
concentrazione, senza lasciarsi sfuggire dettagli e cercando di non tralasciare
nulla. Se si è in grado di superare gli ostacoli iniziali dovuti all’età di
questo titolo, ci si ritroverà davanti uno degli esempi più sopraffini di
narrativa videoludica e credeteci, vivere un’esperienza del genere è davvero
fantastico. Adesso che abbiamo fatto un veloce excursus su ciò che i due titoli
hanno da offrire, andiamo ad analizzare il comportamento di Icewind Dale e Planescape
Torment su console. Come per Baldur’s Gate, il lato puramente estetico non
rappresenta un problema, e anche lo zoom che va a “distorcere” le texture, è
parte integrante di un compromesso impossibile da risolvere. Non è possibile, a
meno di non ricreare completamente la grafica partendo da texture ad alta
definizione, ma è una discussione prettamente accademica in quanto questo tipo
di lavoro richiederebbe una mole di risorse tale da scoraggiare qualsivoglia
progetto. E forse, soprattutto per i puristi, non sarebbe nemmeno corretto.
Infatti, questi giochi vanno goduti per ciò che offrono in termini di storia e
gameplay, non certo per l’aspetto estetico. Dal punto di vista tecnico,
esattamente come con la collection di Baldur’s Gate, anche qui Skybound Games e
Beamdog hanno fatto un lavoro molto ben riuscito. Il sistema di controlli funziona
alla perfezione: anche se stiamo anni luce dalla precisione che tastiera e
mouse, per cui questi giochi erano originariamente pensati, la mappatura dei pulsanti
però è decisamente convincente. Certo, c’è bisogno di un primo periodo di
apprendimento; ma dopo un po’, navigare il mondo di gioco e fra le varie
finestre dei menu diventerà facile come bere un bicchiere d’acqua, specialmente
per chi è abituato ad avere a che fare con i giochi di ruolo. Tirando le somme,
possiamo dire che con Planescae Torment e Icewind Dale su console, i giocatori
si trovano in mano due rpg indimenticabili. Strategia e personalizzazione ai
massimi livelli faranno la gioia degli appassionati di D&D, mentre le ambientazioni
da brividi, soprattutto quelle di Planescape Torment sono quanto di meglio si
possa trovare in circolazione. Certo, ve lo ripetiamo, questi titoli sono adatti
a utenti esperti, ma se si ha pazienza e costanza, anche un giocatore di primo
pelo può imparare e apprezzare la maestosità di queste vere e proprie opere
videoludiche.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 9

Gameplay: 9,5

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




Call of Duty Modern Warfare, il reboot che rilancia la saga

Call of Duty Modern Warfare è un reboot della saga che ha
rivoluzionato il concetto di sparatutto in prima persona ed è disponibile su
Pc, Xbox One e Ps4. Per anni gli appassionati di questo genere, dopo una prima
trilogia indimenticabile e diversi titoli futuristici che non hanno avuto lo
stesso impatto della serie MW originale, hanno desiderato un ritorno alle
origini, e quest’anno Activision e Infinity Ward hanno deciso di accontentare i
fan. Il nuovo capitolo di Call of Duty, infatti, non è altro che una rilettura
del titolo uscito nel 2007 che utilizza alcuni fra i personaggi iconici del
brand e apre la strada verso un futuro che sembra essere pronto a riscrivere
una delle storie più amate dal popolo dei gamers. Call of Duty Modern Warfare
ripropone i tre pilastri storici del brand, ossia: la Campagna single player,
una corposa componente multiplayer, vero fulcro del gioco per milioni di
appassionati, e una componente cooperativa basata su orde di nemici IA con le
Operazioni Speciali. Prima analizzare queste modalità, è però doveroso parlare
di un’altra novità: dopo anni e anni di riciclo e ritocchi del motore originale
della serie, lo studio stavolta ha introdotto un engine grafico completamente
nuovo, pensato per gli hardware di prossima generazione che anche sulle console
di attuale generazione si difende davvero bene con modelli estremamente curati,
animazioni fluidissime ed effetti speciali hollywoodiani che rendono tantissime
parti della campagna realistiche quasi quanto un film di guerra.

Come già detto, per quanto riguarda la storia in singolo, Infinity
Ward ha deciso di tornare ai suoi titoli più famosi, con un vero e proprio
reboot che riprende personaggi e tematiche dei vecchi titoli, inserendoli in un
nuovo contesto. La campagna, come detto dallo stesso studio di sviluppo, vuole
essere uno spaccato sulla guerra moderna. Nel 2007 Call of Duty 4: Modern
Warfare aveva lo stesso obiettivo, ma era figlio di un’altra epoca; 12 anni fa,
erano ancora forti tematiche come la guerra in medio-oriente, una guerra
diversa da quelle del passato, ma in cui ancora si potevano vedere eserciti,
regolari e non, scontrarsi tra loro. Dodici anni sono passati e con essi è
cambiato, almeno per il team di Infinity Ward, il significato di “guerra
moderna”. Per questo Call of Duty: Modern Warfare non presenta battaglie tra
eserciti di soldati, ma una guerra più subdola, che entra nelle vite di tutti i
giorni. Per far comprendere pienamente i toni di questo gioco e che cosa si intende
per “guerra moderna” ci basterà descrivere brevemente una missione: in una di
quelle iniziali, infatti, il giocatore si trova a Picadilly, una delle strade
più famose di Londra. La vita scorre come da norma per la metropolitana: folle
di persone che sciamano lungo i marciapiedi, le strade bloccate dal traffico,
le luci elettriche che illuminano la serata. Il giocatore, però, nei panni di
un agente delle forze speciali, stiamo cercando di fermare una cellula
terroristica che, a bordo di un veicolo, si lancia tra la folla e facendosi
esplodere. La battaglia comincia così, tra le strade di Londra, in mezzo ai
civili, in mezzo alle grida disperate. Le tematiche toccate dal gioco sono
forti e riguardano argomenti davvero contemporanei, che non sono affatto
semplici da trattare. Fortunatamente, Call of Duty: Modern Warfare riesce anche
a evitare un approccio eccessivamente apodittico all’argomento. Se in molte
missioni ci si trova nei panni di soldati occidentali, in altre si vestono i
panni dei ribelli dell’Urzikstan, che hanno intenti simili alle cellule
terroristiche di Al-Qatala, vale a dire la liberazione del loro Paese. In
particolare, ci sono missioni ambientate nell’infanzia della comandante dei
ribelli, Farah, che mostrano la violenza che è stata usata contro il suo popolo
e che portano a capire tanto i suoi motivi quanto quelli delle cellule
terroristiche, di cui Farah e i suoi ribelli non condividono i metodi. In
questa situazione è difficile fare una divisione netta tra buoni e cattivi. Ci
sono personaggi ambigui tra le forze occidentali, ma ve ne sono anche negli
altri gruppi. Infiltrarsi nei covi dei terroristi significa infiltrarsi in case
di persone che non sono dei veri soldati, persone che hanno una famiglia,
mogli, mariti e figli. Sono queste missioni, più di altre, che generano una
sensazione contrastante, gettando veri dubbi su quale sia la cosa giusta da
fare in queste situazioni. La campagna di Call of Duty Modern Warfare ha una
tenuta narrativa che la serie non vedeva dai tempi di Black Ops 2, e che
sicuramente rientra tra le migliori offerte dalla serie fino ad ora. Questo,
grazie anche ad un cast di personaggi che rimane impresso, anche dopo
l’avventura. Le storie dei quattro protagonisti sono ben delineate e, alla fine
della campagna, è chiaro che i loro volti sono destinati a tornare presto, ma saranno
accompagnati da alcune vecchie conoscenze. Chi vivrà vedrà. Volendo essere
puntigliosi e trovare un difetto per questa modalità, possiamo dire che la
durata della campagna è piuttosto breve, intorno alle sei/7 ore, e ad essere
penalizzata è la parte finale. Il ritmo narrativo subisce infatti un’improvvisa
accelerata verso la fine, che stona con il resto della storia. La sensazione
che si ha una volta portata a termine la storia è infatti quella che manchi
qualcosa per completare il tutto.

Lo step successivo alla Campagna in singolo è quello della
modalità cooperativa Operazioni Speciali, che è possibile affrontare in locale
(fino a 2 giocatori) e online (fino a 4 persone). Tale tipologia di gioco
permette ai giocatori di affrontare missioni top secret ad alto tasso di
adrenalina contro orde di soldati IA sempre più equipaggiati e letali. A
differenza della storia proposta da Call of Duty Modern Warfare, però, questa
modalità sembra realizzata in maniera piuttosto frettolosa, con poca cura per i
dettagli ed asset che sembrano quasi nati per altri utilizzi. Una volta
lanciata una delle missioni disponibili, ci si trova infatti in una gigantesca
mappa con strade, edifici e punti di interesse basati su mappe storiche della
saga, divisa in aree accessibili a seconda delle operazioni, che sembra
palesemente creata per una qualche modalità Battle Royale non ancora rilasciata
(ma si mormora che arriverà ad inizio 2020). Qui le missioni presentano
obiettivi piuttosto semplici come l’uccisione di determinati nemici o la
conquista di alcune aree, il tutto mentre si affrontano orde di soldati IA
sempre più forti, che vanno dai soldati semplici fino ai temibili Juggernaut o
altri che utilizzano carri armati ed elicotteri, fino a completare gli
obiettivi per poi essere estratti da un elicottero per terminare la missione. Il
tutto sembra molto bello se non che, ad oggi, raggiungere questo obiettivo è
praticamente impossibile: infatti i nemici respawnano di continuo anche a pochi
metri dai giocatori o addirittura alle loro spalle, e grazie al time-to-kill
bassissimo che accompagna ogni modalità del gioco, restare in piedi è un’impresa
disperata vista anche la scarsità delle coperture in giro per la mappa. L’unica
strategia che funziona al momento, ma solo in alcune aree, sembra essere quella
di nascondere un giocatore in un punto irraggiungibile all’IA, perché se
qualcuno resta in vita anche i compagni morti possono rientrare dopo circa un
minuto di attesa. Insomma, le operazioni speciali di Call of Duty Modern
Warfare a nostro avviso rappresentano una modalità sfruttata male e che al
momento offre pochi motivi per essere giocata. Tale tipologia di gioco necessiterà
di diversi aggiornamenti per diventare degna di attenzione o quanto meno al
pari di quelle viste nel 2009 con CoD MW2. Peccato davvero.

Differentemente dalle operazioni speciali, le modalità online di Call of Duty Modern Warfare raggiungono in pieno l’obiettivo: una partita tira l’altra ed è un piacere ritornare nelle mappe per un altro scontro. C’è da dire che fortunatamente quest’anno il multiplayer ha subito più di una rivoluzione soprattutto per quel che riguarda le modalità di gioco, che guardano sia a giochi di guerra su grande scala come Battlefield che a titoli che prediligono le lotte due contro due. Ovviamente è presente anche il multiplayer “classico”, dove due squadre di 5 o 6 giocatori si affrontano in mappe medio-piccole nelle classiche modalità che ormai famose della saga come il Deathmatch a Squadre, Cerca e Distruggi ma anche lo spassoso Attacco Hacker che ricalca le regole del CeD tranne che per il fatto che i compagni possono essere rianimati, creando così dinamiche di ingaggio molto più variegate con un 1v4 che può tranquillamente diventare 4v2 se il giocatore rimasto è bravo ad aggirare i nemici. On Call of Duty Modern Warfare anche le meccaniche di gioco hanno subito alcuni cambiamenti: velocità di movimento ridotta, tempi di mira allungati, possibilità di agganciarsi alle coperture per sbirciare più al sicuro e ottenere una mira più precisa a discapito della mobilità, mappe con tanta verticalità e dove lo scavalcamento degli ostacoli risulta molto più immediato rispetto a prima hanno portato a un approccio più cauto e meno da “Rambo”. Da tutto questo e da livelli di salute molto più bassi rispetto ai classici CoD ne deriva uno stile di gioco più fluido ma anche più lento e ragionato, amplificato dall’impressionante volume sonoro dei passi che rivelano rapidamente la posizione ai nemici circostanti e dal ritorno delle letali mine claymore. Ovviamente in Call of Duty Modern Warfare c’è anche la possibilità di personalizzare le proprie classi. Via il sistema Pick 10, si torna al sistema inventato nel 2007 da Infinity Ward stessa nel primo Modern Warfare, dove ogni slot ha un utilizzo specifico e vanno occupato per forza partendo dall’arma principale fino ad arrivare alle granate e ai perk. Tra questi si sottolinea la presenza di ritorni eccellenti come Fantasma, che nasconde i giocatori ai radar degli aerei spia, o un perk inedito che ricarica automaticamente ogni 30 secondi granate, claymore, flashbang o qualunque altro equipaggiamento in possesso del giocatore. La chicca del multiplayer di Call of Duty Modern Warfare però è l’Armeria, luogo dove è possibile creare migliaia di combinazioni letali per personalizzare al meglio qualunque arma, cambiandone anche drasticamente l’utilizzo. Insomma, in questo nuovo capitolo della serie sparatutto più famosa del mondo i contenuti non mancano di certo e non resta altro che vedere come se la caverà poi Infinity Ward con il supporto post-lancio. Al momento non ci sono neanche microtransazioni (con gli sviluppatori che hanno dichiarato di rilasciare tutte le mappe gratuitamente e di non introdurre meccaniche loot-box), mentre diverse novità come il cross-play tra tutti i sistemi e il supporto mouse e tastiera sono già delle novità più che benvenute. Presente ovviamente anche la localizzazione completa in italiano del titolo che rende l’avventura ancora più bella da vivere e totalmente immersiva.

Come già accennato, grazie al nuovo motore grafico Call of Duty: Modern Warfare porta la serie Activision verso nuovi standard qualitativi. Chiaramente ciò va a incidere sulle prestazioni del gioco in termini di frame rate e se vi state domandando su quale piattaforma gira meglio il titolo? Bene ecco il mostro responso riguardo la campagna: la maggiore risoluzione utilizzata da Infinity Ward su Xbox One X rende questa versione del gioco non sempre stabile e talvolta soggetta a cali anche abbastanza vistosi, cosa che di contro non accade su PS4 Pro dove la console Sony offre più stabilità a scapito di una qualità grafica leggermente inferiore. Per quanto concerne invece i modelli base, PS4 e Xbox One, la situazione appare decisamente più problematica dove il target dei 60 fps spesso e volentieri non viene raggiunto. Ovviamente, quest’utima analisi di Call of Duty Modern Warfare è mirata a evidenziare aspetti assolutamente non percettibili da occhi inesperti. Il titolo offre un’ottima esperienza su entrambe le console e ovviamente anche su Pc. Quindi, alla luce di quanto detto, se siete alla ricerca di uno sparatutto in prima persona che ricordi i CoD di fine decennio scorso, il nuovo prodotto di Activision e Infinity Ward sarà una vera e propria gioia. Con questo reboot della saga il brand sembra finalmente aver trovato la via d’uscita dal tunnel di buio e monotonia in cui era finita negli ultimi anni. Quindi, tirando le somme, siamo assolutamente certi che la riedizione del grande classico del 2007 sarà decisamente un prodotto apprezzato dalle nuove generazioni di gamers, ma anche da chi 12 anni fa giocava al titolo originale.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9

Gameplay: 9

Sonoro: 9

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




TikTok dall’app di successo al nuovo smartphone

Annunciato a gran voce come il TikTok Phone, in realtà il “Jianguo
Pro 3” (questo il nome del dispositivo) è soltanto prodotto dalla stessa
società dietro l’applicazione in testa a tutte le classifiche di download del
momento, Bytedance. Ufficializzato per il mercato cinese, il nuovo dispositivo
non dovrebbe avere molte possibilità di giungere fin da noi in Europa ed è un
peccato dato che si tratta di uno smartphone dalle caratteristiche davvero
niente male. Lo smartphone Targato TikTok arriva sul mercato con un prezzo di
ingresso tutt’altro che economico (2.899 yuan, l’equivalente di circa 410
dollari). Ovviamente fra i servizi preinstallati è presente Douyin, la versione
di TikTok destinata agli utenti cinesi: basta passare il dito sulla schermata
di blocco e immediatamente si applicano gli effetti e i filtri dell’app ai
video in memoria. Definirlo lo smartphone di TikTok è però forse improprio,
visto che proprio i portavoce di ByteDance hanno confermato come questo
dispositivo sia di fatto la continuazione dei progetti già in essere prima
dell’avvio della partnership con Smartisan, ma è certo che si tratti di un
apparecchio con caratteristiche tecniche non banali. A livello tecnico il “TikTok
Phone” si presenta con una dotazione da dispositivo di fascia alta, a
cominciare dal processore Snapdragon 855 Plus, cui fa pendant una batteria da
4.000 mAh, per finire con un comparto fotografico forte di quattro camere
posizionate sul retro (un sensore principale da 48 Megapixel, un obiettivo
ultra wide da 13 MP, un teleobiettivo da 8 MP e una camera macro da 5 MP) e un
sensore 20 megapixel per i selfie sulla parte anteriore del display, dove trova
posto anche il sensore per il riconoscimento delle impronte digitali. Il
telefonino di TikTok si troverà nei colori verde, bianco e nero, più che
probabile la sua disponibilità tramite il mercato grigio d’importazione.

F.P.L.




Baldur’s Gate 1 e 2 arrivano su console

Baldur’s Gate Enhanced Edition, pacchetto contenente
Baldur’s Gate 1 e Baldur’s Gate 2 più le relative espansioni è finalmente
arrivato su Xbox One, Ps4 e Nintendo Switch. Questa collezione, ci teniamo a
sottolineare, fa parte di una linea di uscite che ripropongono i migliori gdr
ispirati a D&D, quindi: Planescape Torment, Icewind Dale e Neverwinter.
Dopo questa doverosa premessa, torniamo a Baldur’s Gate. L’importanza del brand
per il medium dei videogiochi è indiscussa. Il capolavoro uscito nel lontano
1998 su Pc fu il primo esempio di come utilizzare le regole di Dungeons &
Dragons in maniera credibile per sviluppare la struttura ludica di un
videogioco. Ambientato nel mondo dei Forgotten Realms, il giocatore si trova a
dover affrontare una vera e propria epopea disseminata di eventi epici e
personaggi memorabili. A prescindere dalla console scelta per godere di questa
storica Enhanced Edition – che pur conserva l’eccellente impronta pixellosa
dell’originale – il lavoro del team di Beamdog è piuttosto evidente, e va ad
impattare soprattutto sui controlli di gioco su Baldur’s Gate II, che poggia
sull’ultima versione dell’Infinity Engine. In particolare, sebbene sia sempre
possibile indirizzare il party verso un punto preciso attraverso la modalità
tattica, adesso è possibile guidare il gruppo autonomamente utilizzando lo
stick sinistro per farlo camminare e lo stick destro per direzionarlo, muovendo
al tempo stesso la telecamera. Il controllo “sui pollici” è un chiaro requisito
da console, che si sposa perfettamente con ciascuna delle piattaforme su cui
approda questa Enhanced Edition. Ciò detto, la modalità tattica con il
puntamento preciso nell’area della location rimane la più adatta quando non si
è in fase esplorativa; ad esempio, dovrete utilizzarla per combattere o usare
magie puntuali. Ovviamente anche l’interfaccia grafica è stata reinventata per
adeguarsi alla navigazione da pad, con menu radiali e non, comandabili tramite
dorsali e grilletti. Ottima anche la telecamera intelligente che, in modo
autonomo, va a puntare sia gli oggetti di interesse che i personaggi,
facilitando un po’ i controlli durante l’esplorazione dei dungeon e
svecchiando, di fatto, un sistema di gioco estremamente rigido e complesso. La
difficoltà di fondo legata al sistema Advanced Dungeon & Dragons rimane
tutta, il che ne fa un titolo adatto soprattutto a chi già ne sa, perché un
neofita andrebbe incontro ad una curva d’apprendimento estremamente rigida e
non paragonabile agli action RPG attualmente in commercio sotto diversi punti
di vista. Tuttavia, chi deciderà di non gettare la spugna dopo alcune ore, da
un certo momento in poi riuscirà a sentire la difficoltà più dolce, complice
sia un party più forte che l’ottenimento di una maggiore esperienza di gioco.
C’è, poi, tutta la gestione delle arti magiche e delle caratteristiche dei
personaggi, che richiedono davvero tanto tempo da investire per padroneggiare a
dovere ogni aspetto di ciascuna avventura. In Baldur’s Gate è fondamentale non
correre: il tempo speso a leggere le informazioni di corredo e a pianificare
ogni attacco risulta essenziale, tanto per non morire dopo poche azioni, quanto
per arrivare a un livello di coinvolgimento e appagamento post-vittoria che
forse non ha ancora eguali. La cosa veramente ammirevole di questa coppia di
giochi importantissima è il sistema di controlli. Adattare un gioco nato e
cresciuto con mouse e tastiera per essere giocato con un controller non è
assolutamente un’operazione semplice. Skybound Games e Beamdog hanno fatto un
lavoro decisamente pazzesco: la mappatura dei comandi è fatta sulla falsariga
di Pillars of Eternity, ma in Baldur’s Gate sembra addirittura funzionare
meglio. Certo, siamo ben lontani dalla precisione e dall’accuratezza che mouse
e tastiera concedono, ma è incredibile pensare di poter giocare in questo modo
un gioco per computer storico come Baldur’s Gate.

Il sistema di combattimento segue delle regole modificate
della seconda edizione di Dungeons & Dragons: per esempio, le battaglie in
Baldur’s Gate sono molto più impegnative, e fanno molto più affidamento sui “roll”,
esattamente come in una qualsiasi campagna di D&D. Non è raro che,
soprattutto all’inizio, il party del giocatore cerchi di sconfiggere un mostro
deboluccio impiegandoci una quantità di tempo forse pure un po’ troppo
eccessiva: si vedono infatti i protagonisti mancare il nemico più e più volte,
allungando la durata dello scontro. Infatti, nonostante la bontà estrema di
questo sistema, è innegabile che sia Baldur’s Gate sia Baldur’s Gate 2 mostrano
decisamente la loro provenienza da un’altra era videoludica. Al giocatore è
infatti richiesto di calarsi completamente nel mondo di gioco, e di viverlo pienamente
così da poter capire le pieghe più nascoste e vederne l’immenso valore. Trattandosi
di videogiochi degli anni ’90, non esistono indicatori sulla mappa, o qualsiasi
elemento che faciliti la progressione: Baldur’s Gate 1 e 2 non perdonano
nessuna disattenzione. Quindi, soprattutto per i neofiti consigliamo caldamente
di salvare molto spesso. Questo elemento può forse rappresentare quello più
difficile da digerire per chi si avvicina a questi capolavori per la prima
volta, ed è assolutamente normale. Baldur’s Gate 1 e 2 sono giochi molto
complessi, che richiedono dedizione, ma che sono in grado di regalare
esperienze che ben pochi altri giochi sono in grado di regalare. Come detto, la
storia in tutti e due i giochi rappresenta uno degli aspetti più importanti, e
il giocatore deve navigarla influenzandola con le proprie decisioni e azioni.
Il mondo di gioco è vivo, vibrante, con un fortissimo carattere, popolato da
una grandissima varietà di personaggi e personalità, alcuni dei quali si
uniranno a noi nella nostra avventura, mentre altri cercheranno di metterci i
bastoni tra le ruote. Ed è esattamente questa una delle qualità maggiori di
Baldur’s Gate: l’incredibile complessità della storia e del mondo di gioco
permettono al giocatore di affrontare l’esperienza dalla propria soggettività,
dal proprio punto di vista. Dal punto di vista estetico, nonostante le
migliorie tecniche, l’Enanched Edition di titoli con alle spalle 20 anni non
può proporre certo miracoli grafici, ed è anche per questo che gli sforzi del
team di sviluppo si sono concentrati sugli aspetti di gioco anziché su texture,
ombre ed effetti di illuminazione. Se il lato tecnico non è stato quindi troppo
ritoccato rispetto all’edizione speciale di qualche anno fa per pc, la versione
console viene impreziosita anche dalla presenza di Siege of Dragonspear e
Thrones of Bhaal, le due espansioni che chiudono l’arco narrativo della saga
Baldur’s Gate. La prima è un’esperienza che va a collocarsi tra i due capitoli
principali della serie, ed è molto importante perché non rientra nella versione
base dell’Enanched Edition pubblicata per PC, anzi, ne è a sua volta uno
spin-off. Thrones of Bhaal, invece, è più vecchiotto, e racconta gli
accadimenti dopo l’epilogo di Baldur’s Gate II. In attesa della modalità
multiplayer, per adesso solo presente nel menu ma senza alcuna proposta, le due
espansioni vi regaleranno ancora tante altre ore di quest interessanti e importanti
per approfondire la storia. Tirando le somme, possiamo dire che la grandezza di
questa coppia di titoli è dimostrata dalla freschezza dell’esperienza,
nonostante siano passati più di 20 anni dalla loro uscita originale. Questa
collection presenta pure le varie espansione, rendendo il totale di ore di
gioco per completare entrambi i titoli quasi incalcolabile. Certo, il prezzo
della collection è un po’ altino considerando che questi giochi vengono
letteralmente dallo scorso millennio; però, il sistema di controlli è stato
implementato in maniera molto convincente, e in aggiunta, la possibilità di
poter giocare in modalità portatile (su Intendo Switch) queste perle è
semplicemente meravigliosa. Unica pecca veramente grave, riscontrata durante la
nostra analisi su Xbox One, è la totale assenza della compatibilità con la
lingua italiana. Elemento davvero devastante se non si mastica l’inglese in
quanto entrambi i giochi sono costellati di dialoghi e testi che devono essere
compresi bene. In entrambi i Baldur’s Gate, infatti, trascurare libri,
documenti o dialoghi, vuol dire non riuscire a completare come si vuole le
quest o addirittura rimanere bloccati. Proprio per tale ragione speriamo che
presto vengano adattati i dialoghi e i testi in italiano, proprio come già
erano presenti più di 20 anni fa. Ovviamente se si è appassionati di Dungeson’s
& Dragons, ma anche di Gdr in generale, questa collezione va assolutamente
giocata. Se invece si è alla ricerca un titolo veloce, di facile comprensione e
poco complesso, I capitoli 1 e 2 della saga di Baldur’s Gate non vanno presi in
considerazione. Detto ciò è bene ricordare che questa collezione rappresenta un
vero e proprio gioiello per chi, come chi scrive, ha amato e giocato le
versioni originali dei titoli, ma è anche un punto d’inizio per tutti quei
nuovi giocatori che vogliono approcciare al mondo dei gdr in maniera seria e
complessa.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8

Longevità: 9

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Facebook si rinnova e cambia il logo aziendale

Facebook si rifà il look grazie a un nuovo logo aziendale “che aiuta a fare miglior distinzione tra la società e l’app”.  Si tratta di una scritta tutta maiuscola “FACEBOOK” e sarà anche in vari colori, non solo nel classico blu. Il marchio, infatti, contraddistinguerà app come Instagram e WhatsApp, si troverà nelle pagine iniziali o nelle impostazioni, o in prodotti come i visori per la realtà virtuale “Oculus” e l’altoparlante intelligente Portal. Tale mutamento non avverrà invece nel social network, che manterrà l’attuale scritta in minuscolo nel colore blu. L’azienda non possiede solo Facebook, ma da tempo è proprietaria anche di Instagram e WhatsApp e questo sarà evidente anche dal cambio di look del logo dell’azienda annunciato in via ufficiale sul blog della società.  “FACEBOOK” a carattere tutto maiuscolo si colorerà infatti anche delle tonalità calde di Instagram e WhatsApp, “facebook” a caratteri minuscoli in bianco e blu rimarrà invece al social network. Ma la lettura di questo cambiamento va oltre quella comunicata ufficialmente. Ciò che ne emerge è una sempre maggiore interconnessione tra le tre applicazioni, già culminata con l’annuncio nello scorso aprile della volontà di creare un unico ambiente di comunicazione condiviso tra Instagram, WhatsApp e Messenger. Un disegno che si delinea sempre più come un processo di accentramento. E guardando ancora più indietro appariva già chiaro che l’addio dei due fondatori di Instagram, Kevin Systrom e Mike Krieger, fosse legato a una sempre minore indipendenza garantita al social acquisito da Facebook nel 2012. Ma prima era stata già la volta del passo indietro dei fondatori di WhatsApp, Brian Acton e Jan Koum, in disaccordo con i progetti di Mark Zuckerberg. In ogni caso, è probabile che l’azienda voglia separare chiaramente tutte le altre app da Facebook (social network), soprattutto per via delle numerose controversie che ha dovuto affrontare. In questo modo Facebook sottintende che compagnia e servizio sono due cose diverse, e le varie applicazioni – sebbene strettamente legate all’azienda – non hanno le stesse finalità del social network.

F.P.L.




Ghost Recon Breakpoint, tornano i “fantasmi” di Ubisoft

Ghost Recon Breakpoint arriva su Pc, Xbox One e Ps4 a due anni e mezzo di distanza dal lancio del suo predecessore. Questa volta Ubisoft ha proposto un titolo che ha preso quanto di meglio ci fosse dal capitolo precedente, Wildlands (qui la nostra recensione), lo ha ampliato con meccaniche interessanti e gli ha donato una grafica del tutto più curata e ancora più bella da vedere.

Visto che squadra che vince non si cambia, la formula di gioco di Ghost Recon Breakpoint rimane fedele all’originale, offrendo un vasto open world liberamente esplorabile che fungerà da ambientazione per la nuova missione di Nomad, capitano della squadra Ghost che si trova ad affrontare in questo capitolo una situazione del tutto inedita, almeno per gli standard della serie.

Il palcoscenico è l’esotico arcipelago di Auroa nel sud dell’Oceano Pacifico, centro nevralgico delle operazioni della Skell Technology, azienda miliardaria e tentacolare che qui ha stabilito la sua personale Silicon Valley, libera da qualsiasi vincolo giuridico.

In questo paradiso in cui le migliori menti del pianeta si sono riunite per studiare e progettare la tecnologia del futuro che avrebbe dovuto migliorare la qualità di vita dell’uomo però, non tutto è andato come ci si aspettava.

Jace Skell, capo della Skell Technology si ritrova prigioniero delle sue stesse creazioni. L’isola di Auroa viene totalmente isolata dal resto del mondo dopo un colpo di stato militare ad opera di Cole D. Walker, ex Ghost interpretato da Jon Bernthal (lo Shane di The Walking Dead).

La scoperta della situazione avviene però dopo che una nave della marina americana affonda misteriosamente nelle acque vicine ad Auroa, e la CIA invia una squadra di circa 30 Ghost ad indagare.

Purtroppo anche questa spedizione non va per il meglio: gli elicotteri che trasportavano gli agenti vengono abbattuti da qualcosa di praticamente invisibile non appena entrano nello spazio aereo dell’isola. Adesso sta a chi gioca vestire i panni del Ghost Nomad, uno dei pochi sopravvissuti a questo attacco, per scoprire la verità dietro al tradimento di Walker e sventare una potenziale minaccia per il mondo intero.

Con queste premesse Ghost Recon Breakpoint è pronto a offrire ore e ore di gioco fra sparatorie, agguati, inseguimenti e molto altro ancora di cui a breve andremo a parlarvi.

Fin dalle primissime battute di gioco è possibile notare alcune importanti differenze che rendono Breakpoint sostanzialmente molto diverso dal precedente capitolo.

La prima cosa che inevitabilmente salta all’occhio è la posizione della telecamera alle spalle del protagonista, percettibilmente più vicina rispetto al passato. Questa scelta rende l’avventura di Nomad più personale, intima, anche perché Ghost Recon Breakpoint affida il sostentamento e la sopravvivenza del Ghost come mai la serie aveva fatto in passato. Gli elementi survival di cui parleremo in seguito rappresentano una graditissima novità, così come il rinnovato sistema delle armi che avvicina questo capitolo a un looter shooter, per non parlare dell’assenza dei compagni di squadra gestiti dal computer, che tra polemiche e ripensamenti non sono in ogni caso presenti in questa nuova avventura.

Tutte queste novità sul fronte del gameplay non vanno a intaccare la limpidezza dell’infrastruttura di gioco, molto coerente con quanto già visto in Wildlands nel 2017.

La nuova fatica di Ubisoft Paris non è altro che uno sparatutto in terza persona con elementi tattici, dotato di un sistema di coperture fluido e non legato alla pressione di un tasto, che può essere giocato dall’inizio alla fine da soli o in compagnia di altri tre amici.

Come fu per il capitolo precedente, anche in Ghost Recon Breakpoint l’elemento di gameplay principale è rappresentato sempre dalla minuziosa pianificazione e dallo svolgimento degli attacchi agli avamposti controllati dai Lupi e dai contractor della Sentinel, che punteggiano le 21 provincie in cui si divide Auroa.

La fase preparatoria che precede un assalto vede ancora come protagonista indiscusso il drone da ricognizione, che può identificare e marcare i nemici che sono segnalati sulla mappa con un generico alone rosso. In queste fasi l’HUD diventa un preziosissimo alleato, con cui tenere d’occhio la posizione dei soldati ostili e le informazioni su armi e attrezzature. Anche se l’uso della forza bruta è sempre un’opzione, la prassi largamente riconosciuta nel franchise Ghost Recon prevede che i giocatori operino in religioso silenzio, ed è proprio in queste situazioni che il gioco dà il suo meglio.

Questo risultato viene raggiunto in larga parte grazie al lavoro svolto sul gunplay, che si presenta all’appuntamento con la recensione in gran forma e privo di sbavature.

Complici alcune animazioni che ricalcano i movimenti tipici delle forze speciali, ripulire soldato dopo soldato un accampamento nemico è l’attività più piacevole che Ghost Recon Breakpoint possa offrire, specialmente se ci troviamo in squadra con altri giocatori.

Se da un lato i nemici non sono adeguatamente caratterizzati, una grossa variabile di gameplay è costituita dalla massiccia presenza dei droni, chimere tecnologiche costruite dalla Skell Technology e che popolano il gioco in tanti modelli diversi.

Oltre a droni di piccole e medie dimensioni, in alcune località dell’arcipelago si nascondono i Behemoth, le macchine più letali mai realizzate dalla compagnia, messe a difesa di tesori inestimabili. Affrontarli sarà molto impegnativo, esaltante, ma soprattutto anche molto appagante.

Parlando della componente survival in questo Ghost Recon Breakpoint, la prima, nonché più importante delle novità risiede nella rinnovata gestione della salute di Nomad.

Il protagonista infatti durante il combattimento può subire degli infortuni di tre diverse entità, che limiteranno progressivamente la capacità operativa sul campo del protagonista.

Per riprendersi da questi ferimenti, che riducono in via definitiva la barra della salute, saremo costretti a metterci al riparo per bendarci e curarci, un’operazione che dura momenti interminabili quando si è sotto il fuoco nemico.

Ad avere un impatto sull’esito dei combattimenti è anche la stamina, che può velocemente esaurirsi correndo e saltando da un riparo all’altro. Non è una buona idea trovarsi senza resistenza nel bel mezzo di uno scontro a fuoco, soprattutto quando si ha a che fare con terreni scoscesi, e questo aspetto, in concomitanza con l’introduzione degli infortuni, evolve secondo noi di tantissimo le fondamenta del gameplay della serie.

L’idea che Nomad abbia debolezze e vulnerabilità intensifica la percezione d’immersione, convincendoci di avere tra le mani la sopravvivenza di un vero soldato in un ambiente ostile e pericoloso. Le dinamiche survival di Ghost Recon Breakpoint orbitano poi attorno ai bivacchi, i piccoli accampanti disseminati per Auroa che i giocatori possono utilizzare per rifocillarsi, prepararsi e armarsi, ma anche e soprattutto per servirsi del viaggio rapido attraverso le diverse località dell’arcipelago.

Raggiungendo un bivacco si ha la possibilità di richiamare un veicolo, di consultare il negozio delle armi e delle attrezzature, ma anche di dedicare del tempo a una delle sei diverse attività che offrono buff consistenti alle statistiche di Nomad. Ad esempio, mangiare aumenta la resistenza agli infortuni e idratarsi fornisce un bonus alla stamina, mentre fare stretching garantisce più resistenza. Controllare armi e droni migliora le performance di entrambi, oppure è sempre possibile optare per un bonus all’ottenimento di punti esperienza con il quale livellare più velocemente.

Altra grande novità proposta in questo Ghost Recon Breakpoint è rappresentata dalle classi, ossia ruoli che ricalcano quelli che ognuno finisce con l’interpretare sul campo di battaglia. Le classi sono quattro, Medico da Campo, Assalto, Pantera e Tiratore, e danno accesso ad una serie di abilità e perk specifici che aiutano a rendere significativamente più variegato il gameplay di squadra. Ciascuna classe mette a disposizione un’abilità e un gadget unici, che nella classe Medico sono naturalmente orientati al curare i compagni, in quella Assalto a ridurre i danni subiti e a rendere più letale il Soldato, in quella Pantera a essere più furtivi e in quella Tiratore a visualizzare e a eliminare con più efficacia i nemici distanti.

Completando una serie di compiti sarà inoltre possibile livellare una classe per sbloccare perk aggiuntivi, aspetto che favorisce l’immedesimazione del giocatore nel suo ruolo. Naturalmente, tanto in PvE quanto in PvP si potrà passare in ogni momento da una classe all’altra, senza subire penalizzazioni di sorta. Insomma, scegliere quella adatta al proprio stile di gioco sarà uno dei piaceri offerti da Ghost Recon Breakpoint, che sotto questo aspetto riesce a offrire una nuova meccanica dall’indiscusso fascino.

Oltre al leveling delle classi, il giocatore può scalare ben 30 livelli ottenendo di volta in volta punti abilità, che possono essere investiti sui rami di un albero delle abilità non dissimile da quello di Wildlands ma molto, molto più folto, composto da oltre 50 perk attivi e passivi con cui personalizzare ulteriormente le abilità di Nomad sul campo di battaglia. Il titolo di Ubisoft può anche essere definito un vero e proprio loot shooter, infatti, tra le infinite influenze che hanno caratterizzato lo sviluppo di Ghost Recon Breakpoint è evidente la volontà della casa francese nel riprendere alcune caratteristiche dal suo The Division.

Infatti l’isola di Auroa è letteralmente disseminata di casse tramite le quali ottenere equipaggiamenti di ogni tipo.

https://www.youtube.com/watch?v=_RE1dX-9NQE&list=PLw5Dt8Rh0GQfeDqnHn6hMAF8AK3ap1Xna

Il livello di combattimento di Nomad viene definito dalla qualità del suo equipaggiamento, per cui è sempre una buona idea cercare di aprire più casse possibile nella speranza di trovare qualche arma, cappello, guanti e così via con statistiche migliori e magari qualche bonus passivo per essere sempre pronti ad affrontare nemici sempre più impegnativi… più o meno.

Qui infatti Ubisoft non sembra aver bilanciato benissimo il tutto, e la differenza tra armi che nella realtà hanno potenze di fuoco anche molto diverse è abbastanza minima, quasi da non giustificare l’impegno nell’esplorare e magari rischiare di essere scoperti pur di raggiungere una cassa; ben presto la voglia di cercare loot viene meno e ci si limita a raccogliere solo le casse che si trovano sul proprio cammino, senza impegnarsi più di tanto nella ricerca.

Interessante invece è il level system armi/equipaggimento. Esso è calcolato sulla media aritmetica dei valori di armi e vestiti inseriti negli 8 slot disponibili, e condiziona l’efficacia del protagonista quando affronta i nemici, anche loro dotati di livello. I modificatori ai danni inflitti e ricevuti dipendono in larga parte dalla difficoltà selezionata tra le quattro a disposizione (Arcade, Regolare, Avanzata ed Estrema), c’è da dire però che anche ad Arcade non sarà possibile caricare a testa bassa un gruppo di nemici, quindi, livello e difficoltà selezionata non salveranno il giocatore da azioni avventate o sciocche.

Per non nuocere al realismo, caratteristica centrale dell’intera serie, Ubisoft Paris ha scelto di applicare questa nuova filosofia del Livello Attrezzatura con alcune limitazioni, per evitare quel fastidioso effetto “bullet sponge” che spesso è una peculiarità di moltissimi looter shooter. In tal senso ogni nemico, anche i membri dei Lupi che sono di livello 150 o più, verranno abbattuti da un singolo colpo alla testa, quindi esiste la concreta possibilità di affrontare un loro accampamento senza i requisiti adeguati.

In Ghost Recon Breakpoint è stato rivoluzionato anche il processo che porta all’ottenimento delle armi, che possono essere acquistate dal negozio, trovate nelle casse nascoste nei punti di interesse di Auroa o ricevute come drop casuale dai nemici uccisi. Dal momento che è proprio attraverso i drop che Nomad sale di Livello Attrezzatura, capiterà spesso di dover aggiornare il proprio setup e utilizzare un vasto numero di bocche di fuoco, che si dividono tra fucili d’assalto, mitragliette, fucili a pompa, mitragliatrici leggere, fucili di precisione, DMR e pistole. Nel corso dell’avventura, non sarà tuttavia necessario affidarsi sempre al caso per giocare con la propria arma preferita, poiché nascosti nel mondo di gioco sono nascosti i progetti relativi a ognuna di esse, che una volta ottenuti offrono la possibilità di “forgiare” il fucile al Livello Attrezzatura corrente.

Questa funzione è utile inoltre per sorteggiare nuovamente le statistiche di un’arma: ognuna ha caratteristiche prestabilite, ma gode di due bonus casuali che sono determinati dalla rarità con cui viene ottenuta. Come ogni titolo di questo tipo, anche Ghost Recon Breakpoint offre i fantomatici livelli di rarità di ogni oggetto. Esistono cinque livelli di rarità, e proprio per questo può essere utile di tanto in tanto cercare di riottenere un fucile con statistiche migliorate, specialmente nella fase di endgame.

Ovviamente non manca il Gunsmith, ossia la sezione del menù dedicata alla personalizzazione delle armi. Le bocche di fuoco possono infatti montare una moltitudine impressionante di accessori ed essere colorante in ogni singola parte con tantissime mimetiche. Tutte le armi, in ottica endgame, possono essere inoltre potenziate attraverso tre livelli di qualità, che vengono preservati quando si scarta e si riceve nuovamente lo stesso fucile. Insomma, Ghost Recon Breakpoint è un titolo davvero molto complesso anche per quanto riguarda la sezione “equipaggiamento e armi”.

Se vi state chiedendo, ma Quanto dura questo Ghost Recon
Breakpoint? La risposta è: solo la campagn principale, circa una 25ina di ore.
Sempre in base poi a che difficoltà si gioca. A contorno delle 28 quest che
compongono la storia principale ci sono tantissime missioni secondarie, la
maggior parte di esse collegate alle due fazioni dell’isola (Coloni ed Esclusi)
che nel corso del supporto post-lancio si evolveranno con nuovi spunti
narrativi. L’unico elemento che riesce a spezzare la monotonia delle missioni è
il taglio investigativo che lo studio parigino ha voluto applicare alla maggior
parte delle attività, che impone al giocatore di trovare indizi, prove e
testimonianze che lo possano portare alla prossima fase della missione. Nel
menù principale è addirittura presente una sezione dedicata alla soluzione dei
grandi misteri di Auroa, che possono essere risolti scovando collezionabili e
altri indizi nel vasto mondo di gioco di Ghost Recon Breakpoint. Ma non finisce
qui, infatti il titolo di Ubisoft offre anche una modalità Multigiocatore PvP chiamata
Ghost War. Questa al momento non include moltissimi contenuti con due sole
modalità (deatmatch a squadre e cerca e distruggi) e sei mappe, ma sarà espansa
nel corso delle settimane e senza dubbio sa offrire spunti interessanti. La
nota positiva è che si può finalmente partecipare alle partite online con il
proprio avatar del PvE, che riceverà oggetti e armi dal multigiocatore in un
sistema di progressione condivisa che era fondamentale per legare
indissolubilmente le due esperienze. Le partite coinvolgono due squadre da
quattro Ghost ciascuna, che cominciano il match agli antipodi di mappe molto
grandi che favoriscono almeno in questa prima fase i cecchini e i tiratori
dalla distanza. Caricare a testa bassa potrà comunque essere molto
remunerativo, poiché risorse come medikit e batterie per il drone possono
essere trovate solo all’interno degli edifici che solitamente sono al centro
dell’ambientazione. Insomma, Ghost Recon Breakpoint è un gioco davvero pieno di
cose da fare e che per venire alla noia ci metterà davvero molto tempo.  A livello grafico/estetico, il gioco naviga
fra alti e bassi. Il colpo d’occhio generale è tutto sommato buono, ma spesso
ci sono momenti in cui si resta quasi a bocca aperta per lo stupore e altri in
cui invece si storce il naso davanti a modelli fin troppo legnosi e con pochi
dettagli, a volte anche nel corso delle stesse cut-scene. Sembra quasi che ci
siano problemi di caricamento delle texture (fortunatamente su Xbox One X
questo fenomeno è marginale e la situazione migliora notevolmente rispetto a
una S). A questo poi si uniscono anche numerosi bug grafici che, se possono
essere perdonati in un open world così vasto, in alcune occasioni hanno
compromesso la mia esperienza di gioco come la selezione rapida degli oggetti
che ogni tanto decide di non funzionare o personaggi chiave con cui parlare che
spariscono misteriosamente, bloccando così la missione e costringendo al
riavvio. Buono invece il frame-rate, che si è sempre mantenuto stabile a 30
fps, mentre su Xbox One X è possibile anche scegliere tra due modalità che si
concentrano di più sulla grafica o sulla fluidità. A livello audio il videogame
offre un ottimo doppiaggio in lingua italiana e sia dal punto di vista degli
effetti sonori che delle musiche il risultato è davvero stupefacente. Insomma,
tirando le somme, nella speranza che con il passare dei giorni Ubisoft rilasci
qualche patch correttiva per i sopracitati bug, Ghost Recon Breakpoint risulta
essere uno dei titoli migliori del momento: lungo, avvincente ed estremamente
divertente. A nostro avviso lasciarselo sfuggire potrebbe essere un vero
errore.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 9,5

Gameplay: 9

Longevità: 9

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




Emoji, in arrivo 168 nuove “faccine”

Sono ben 168 le nuove emoji che si preparano a popolare le tastiere dei nostri smartphone.

L’Unicode Consortium ha annunciato la versione 12.1 del suo standard per caratteri digitali che, come noto, include anche le celebri faccine.

Le emoji sono diventate così importanti nella nostra vita da rappresentare la lingua più parlata al mondo, nonché un mezzo per descrivere il nostro stato d’animo utilizzando una semplice segno grafico.

Attualmente nel mondo sono oltre due miliardi le persone che utilizzano le faccine per comunicare.

Del resto, una emoji è molto più semplice da capire e permette a coloro che non parlano la stessa lingua di intendersi a vicenda. L’ultimo aggiornamento delle emoji risale allo scorso luglio quando, in occasione del World Emoji Day, era stato annunciato l’arrivo di nuove faccine dedicate all’inclusività e alle diversità.

Tra queste sono comparsi cani guida, protesi per gli arti e sedie a rotelle, nonché un maggior numero di emoticon dedicate alle etnie e ai diversi generi sessuali. Per ora non è stata annunciata una data ufficiale del rilascio delle nuove emoji versione 12.1, ma è normale supporre che le nuove faccine verranno introdotte durante le prossime settimane attraverso un aggiornamento di sistema sia su smartphone Android sia su iOS.

Come dichiarato dall’Unicode Consortium, i nuovi emoji non sono poi così “nuovi”. Per lo più si tratta di variazioni applicate alle emoji già presenti. In particolare, 138 sono state ideate per rappresentare le persone senza però indicarne il genere, mentre le restanti 30 raffigurano una combinazione tra le faccine esistenti caratterizzate da una diversa tonalità della pelle che si tengono per mano.

Sono solo 26 le emoji inedite che rappresentano diversi tipi di persone con diversi stili di acconciatura. Sono state inserite persone calve, ricce, insegnanti studenti cuochi, meccanici, giudici, agricoltori, cantanti e altro ancora. Tutte le versioni, naturalmente, comprendono entrambe i sessi. Insomma, le emoji sono pronte a rinnovarsi per stare al passo coi tempi e ad accompagnarci ogni giorno in tutte le nostre conversazioni.

F.P.L.