Ai Castelli Romani arriva “Come Back Home”: la nuova App per la sicurezza dei ragazzi

ALBANO LAZIALE (RM) – “Come Back Home” è il nome della nuova app ideata per i ragazzi che vivono nella periferia di Roma e ai Castelli Romani di prenotare nel weekend un Autobus con servizio di sicurezza incluso che li accompagnerà da un luogo di ritrovo ad una discoteca interna al perimetro di Roma.

A idearla Matteo Quattrocchi un giovane ventunenne di Albano Laziale che ha deciso di diventare imprenditore proprio nel suo territorio attraverso questa app.

Sull’app i giovani da 16 anni in su potranno scegliere a
quale serata partecipare e sempre tramite l’applicazione, i genitori potranno
pagare il servizio di trasporto in una somma che rientra nei 10 euro.

Lo scopo dell’app è anche quello di permettere ai ragazzi,
minorenni e non, di muoversi in estrema sicurezza evitando così drammatici
incidenti autostradali che le cronache quotidianamente ci riportano.

Matteo per dar vita a questa idea, maturata 5 anni fa con degli amici, ha deciso di rivolgersi ad un giovane dell’Università di Bologna della facoltà di ingegneria informatica, Angelo Affatati, il quale a creato l’app con un team di colleghi.




Dragon Ball Z Kakarot, un sogno che diventa realtà

Dragon Ball Z Kakarot è più di un semplice videogioco per
Xbox One, Ps4 e Pc, ma è un vero e proprio sogno per gli appassionati del manga
di Akira Toriyama. Ripercorrere tutte le vicende del fumetto e vivere gli
scontri visti nell’anime, infatti, è davvero una vera e propria gioia per chi è
cresciuto a pane e onde energetiche, sognando di combattere al fianco di Goku e
compagni per difendere la terra. Questo titolo infatti non è un prodotto
dedicato solo alle nuove generazioni di giocatori, ma soprattutto sarà
apprezzato da chi ha superato la soglia dei trenta e che nei lontani anni ’90 aspettava
l’uscita dei fumetti per capire come sarebbero finite le avventure del Saiyan
più amato di tutti i tempi. Ma andiamo al dunque, Dragon Ball Z: Kakarot è
un’esperienza che vive di tutte quelle cose che hanno reso l’anime di Toriyama
un’opera incredibile. Non bisogna cercare l’anima del videogioco negli scontri
all’ultimo sangue, nei tecnicismi o nelle sfumature del gameplay, infatti il
titolo non è un picchiaduro fatto per affrontare gli amici o sconosciuti
online, ma è un action-rpg per giocatore singolo che punta alla scoperta della
trama del fumetto. Certo, ci si può avvicinare al titolo con fare circospetto
diffidando della classica trasposizione videoludica di manga e anime. Ma la
verità è che quando si preme il pulsante start e parte l’indimenticabile
opening originale “Cha La, Head Cha La”, Goku è già riuscito a far breccia nei
cuori degli appassionati con una potenza inaudita. La forza dell’opera messa in
piedi dai ragazzi di CyberConnect2 è davvero incredibile: quando si ha
occasione di visitare in prima persona luoghi storici come la Kame House, il
pianeta di Re Kaioh e il piccolo cottage di Nonno Gohan, ciascun elemento del
gameplay finisce per passare in secondo piano.  Esaminando più da vicino il titolo possiamo
senza dubbio asserire che Dragon Ball Z Kakarot si pone l’ambizioso obiettivo
di racchiudere in un videogame l’epopea dei Guerrieri Z, ovvero l’intera
seconda serie animata tratta dall’opera di Toriyama, dall’arrivo del Saiyan
Radish fino al tramonto del terribile Majin Bu. Inutile dire, quindi, che si
tratta di una vera e propria fornace di momenti leggendari, dall’epico scontro
contro Nappa e Vegeta, passando per la prima trasformazione di Goku sul pianeta
Namecc, attraverso gli epici scontri con i Cyborg e Cell, fino all’epico
scontro con Majin Bu, una pellicola che si srotola senza sosta sullo sfondo dei
combattimenti più iconici della saga. Sono circa trenta le ore
d’intrattenimento offerte dall’avventura (ma seguendo le quest secondarie e
cercando tutti i collezionabili si arriva tranquillamente a 50), che al cuore è
semplicemente una riproposizione in scala uno a uno delle quattro grandi
minacce al centro dell’anime. I capitoli si susseguono come vere e proprie
puntate, con tanto di narratore esterno e anticipazioni dell’episodio
successivo, snocciolando interminabili scene d’intermezzo che reinterpretano i
momenti chiave coprendo la maggior parte dell’intreccio, ma glissando su
qualche elemento considerato secondario, come ad esempio la vicenda ambientata
nel futuro di Trunks che fa capolino solo nell’endgame.

In Dragon Ball Z Kakarot, dietro la realizzazione delle
strutture, delle immense vallate e delle metropoli che caratterizzano da sempre
l’opera di Toriyama, si nasconde un profondo rispetto per il tratto
dell’autore, e anche le animazioni più complesse durante i combattimenti
rendono onore alle indimenticabili immagini del manga. Il comparto estetico,
nei momenti che contano, sprizza fedeltà all’opera originale da tutti i pori,
realizzando un perfetto tributo alla storia di Goku e, attraverso
l’Enciclopedia Z accessibile in gioco, il più grande compendio mai dedicato
all’universo delle Sfere del Drago. Il problema è che, fra una sequenza
cinematica e un volo su Namecc, arrivano anche i momenti in cui Dragon Ball Z:
Kakarot si ricorda di essere un videogioco. Il sistema di combattimento, figlio
della tradizione anime fighter in 3D, mescola elementi della serie Budokai
Tenkaichi con le più recenti caratteristiche di Xenoverse, e tale miscela non
si discosta particolarmente dalla formula del button smasher. Fra tempeste di
colpi e tecniche speciali, l’obiettivo è quello di sovrastare l’avversario
sfruttando al massimo schivate perfette, assist, inseguimenti e fendenti per
spezzare la guardia. Purtroppo il combat system non è particolarmente difficile
da gestire, e alla fine ci si riduce a caricare la propria aura e scagliare
super mosse, piuttosto che concatenare pugni e calci, teletrasportarsi e
colpire alle spalle. Nonostante la componente estetica sia impeccabile e trae
grande beneficio dalle animazioni e dalle arene distruttibili, lo stesso non si
può dire della realizzazione tecnica in generale. Le battaglie sono perlopiù un
caos nel quale riempire di botte l’avversario prima che sia lui a fare lo
stesso, e l’intero sistema di bilanciamento è costantemente diviso fra scontri
di una semplicità disarmante e inspiegabili picchi nella curva della difficoltà.
Affrontare nemici anche solo di 3 livelli di potere più alti può rivelarsi
fatale e frustrante. Il nostro consiglio per affrontare al meglio il gioco è
infatti quello di affrontare molti combattimenti casuali, svolgere tutti gli
allenamenti e fare le missioni secondarie. Così facendo non ci si troverà quasi
mai in situazioni di estremo svantaggio. Per quanto riguarda l’aspetto più rpg
di Dragon Ball Z Kakarot possiamo dire che il sistema di progressione è legato
a doppio filo con l’incedere della trama, e nonostante la deriva GDR assunta
dall’esperienza open-world, l’unico modo per stare al passo con la forza
combattiva dei nemici è proseguire nell’avventura. Insomma, se da una parte
bisogna scordarsi il farming nonostante la presenza degli scontri casuali e
delle attività secondarie, dall’altra è più che mai evidente la difficoltà
emersa nel bilanciare l’equazione fra fedeltà narrativa, combat system e
sfumature free roaming. Quando non si è impegnati nelle attività inerenti alla
trama, Dragon Ball Z: Kakarot alza il sipario su una completa riproposizione
dell’universo della serie, per l’occasione trasformato in un parco di
divertimenti a tema. Si può andare a pesca dietro casa di Goku, cacciare cervi
nei pochi boschi accanto alla Capsule Corporation, fare una capatina all’arena
del Torneo Mondiale, andare a ritirare un paio di Senzu da Korin e svolazzare
fra una regione e l’altra in cerca delle Sfere del Drago. Ed è proprio in
questi segmenti che risiede l’essenza del titolo, nella possibilità di
respirare l’atmosfera di Dragon Ball a pieni polmoni, di poggiare i piedi nei
luoghi più iconici della serie, di sfrecciare nel cielo alieno vestendo i panni
del principe dei Saiyan, di Piccolo, Gohan o chiunque sia possibile controllare
in quello specifico frangente.

Nel corso della fase esplorativa dell’universo offerto da
Dragon Ball Z Kakarot i protagonisti sono costantemente presi di mira da perfidi
robot dell’esercito del “Fiocco Rosso”, Saibaiman, scagnozzi dell’esercito di
Freezer e poche altre varianti degli stessi nemici minori che si è costretti ad
affrontare più e più volte, praticamente ad ogni avvio di una Storia
Secondaria, mentre le poche attività che non implicano il combattimento si
riducono a semplicissime missioni di raccolta che rispetto alla carica della
trama principale stonano un po’. Questo è un vero peccato, perché gli
sviluppatori avevano perseguito l’ottima intuizione di riportare in scena
numerosi protagonisti dell’originale serie animata attraverso le attività
collaterali. Lunch, Taobaibai, la banda di Pilaf, l’androide Numero 8 e
tantissimi altri volti noti fanno spesso capolino fra un viaggio e l’altro, ma
salvo rarissimi casi non riescono ad incidere sul giocato né sulla qualità dei
contenuti, presentandosi come situazioni riempitive più che mai trascurabili.
Dove, invece, riescono a lasciare il segno, è nell’interessante sistema di
progressione rappresentato dalle Comunità. Le Comunità non sono altro che
piccoli alberi delle abilità che incarnano una determinata categoria di
personaggi, come ad esempio combattenti, cuochi e insegnanti. Sbloccando i
soliti noti del manga, è possibile inserirli in una determinata Comunità per
accrescere le statistiche dell’intero cast, ed è bene tener conto del legame
che intercorre fra figure adiacenti. Affiancando Piccolo a Gohan, giusto per
citarne uno, si otterrà un considerevole bonus alle statistiche di entrambi, e
lo stesso risultato si raggiungerà intrecciando ad esempio gli insegnamenti del
Maestro Muten con quelli di Shen della Scuola della Gru. Per quanto strano
possa suonare, Dragon Ball Z: Kakarot è al tempo stesso molto vicino ed
estremamente lontano dall’essere il miglior videogioco dedicato alla storia di
Goku e compgni. Ciascuna buona intuizione avrebbe potuto essere realizzata
meglio, e questo pensiero è una costante che emerge fin dalle prime battute del
gameplay per poi esplodere nel comparto endgame, segmento che più di ogni altro
soffre dell’assenza di qualsivoglia modalità versus, dell’impossibilità di
incarnare buona parte del cast e delle sopracitate mancanze fra le attività, i
minigiochi e la componente GDR. Tirando le somme, Dragon Ball Z: Kakarot è un
titolo imperdibile per qualsiasi fan dell’opera originale, un tripudio di
ricordi che non può far altro che accontentare chiunque fosse in cerca di un
nuovo viaggio attraverso la Serie Z, giocatori volenterosi di salutare ancora
una volta l’eroe della terra con un largo sorriso dipinto sul volto. Ovviamente
se quello che si vuole è un titolo che ripercorra la storia in single player
dell’opera di Toriyama, allora questo titolo è ciò che state cercando. Se però
avete voglia di un prodotto che offra una natura da picchiaduro, che abbia una
componente di lotta profonda e che soprattutto abbia una componente
multigiocatore solida, allora è meglio navigare verso altri lidi. In sostanza
Dragon Ball Z Kakarot è come sfogliare un bellissimo libro, con la differenza
che le gesta dei protagonisti sarà il lettore a viverle in prima persona, A
nostro avviso il titolo, dopo una vastissima gamma di picchiaduro ispirati alla
saga è quello che ci voleva per ricordare la storia dei Saiyan, per farla
conoscere ai più giovani e per cambiare finalmente direzione rispetto a quanto
già visto negli ultimi anni. Nonostante qualche imperfezione la produzione di
Bandai Namco, a nostro avviso, è una vera e propria perla che è destinata a
risplendere per molto tempo nell’universo dei videogame dedicati a Dragon Ball.
Non giocarlo sarebbe un vero peccato.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 9

Gameplay: 8

Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise




Rotary Cellphone, il telefono vintage con rotore

Voglia di vintage? Non ne potete più della supertecnologia che ormai ci circonda? Bene, è in arrivo un telefono con un rotore per comporre il numero, simile a quello che montavano i telefoni casalinghi anni fa, per combattere le distrazioni da notifica. Si chiama Rotary Cellphone, ed è il progetto originale e vintage dell’ingegnere Justine Haupt che in una intervista a Wired ha dichiarato esplicitamente di essere “anti-smartphone”. “In un mondo iperconnesso con persone che usano telefoni che non controllano e non comprendono, volevo qualcosa che fosse interamente mio, personale e assolutamente tattile, che mi desse anche una scusa per non mandare messaggi – scrive Haupt sul sito del suo progetto -. Ma anche per dimostrare che è possibile avere un telefono perfettamente utilizzabile che va ben oltre il touchscreen”. Il Rotary Cellphone, oltre all’iconico disco rotante per comporre i numeri, ha uno schermo a inchiostro elettronico che mostra eventuali chiamate perse. A governare il funzionamento c’è una scheda Arduino. Sul lato c’è anche un piccolo indicatore a led che indica la situazione del segnale. Tutti i pezzi fisici provengono da un vecchio telefono Western Electric Timeline, mentre il corpo è stato ottenuto grazie ad una stampante 3D. Sul sito ufficiale, Justine Haupte ha condiviso tutti passaggi del progetto nel caso qualche utente fosse interessato a costruirsene uno a casa. Rotary Cellphone è la dimostrazione che nell’ultimo periodo l’invasione di dispositivi sempre connessi, in grado di far tutto, che “capiscono” i nostri gusti, memorizzano i nostri percorsi preferiti e che sanno fare qualsiasi cosa, iniziano a non essere così amati. Sarà per la loro “invasività” nelle nostre vite, per il bombardamento di notifiche, per il fatto che ogni anno ne esce una versione aggiornata o per via del fatto che i prezzi sono sempre più proibitivi, in ogni caso, la voglia di tornare al passato si fa sentire sempre più forte, e Rotary Cellphone ne è la riprova.

F.P.L.




Journey to the Savage Planet, il nuovo mondo ci aspetta

Journey to the Savage Planet è il titolo di debutto del
Typhoon Studios, il prodotto è un gioco estremamente interessante, che vede l’esplorazione
e la ricerca sposare l’avventura e il divertimento puro. Il titolo, disponibile
su Pc, Xbox One e Ps4, offre oltre a quanto detto una modalità cooperativa che
raddoppia la componente ricreativa e rende ogni situazione ancora più
interessante da vivere. Ma veniamo al dunque, una volta lanciato il gioco la
prima cosa che si udirà è l’esuberante quanto fastidiosa voce di Martin Tweed,
CEO della Kindred Aerospace. Il suo parlare rimbomba nella sala comandi del
Javelin, l’astronave, nonché base operativa del giocatore in Journey to the
Savage Planet. Sullo schermo continua ad andare una trasmissione di benvenuto
che ricorda i capisaldi della missione: esplorare, catalogare, inviare i dati
alla casa base, sopravvivere e valutare se il pianeta AR-Y 26 è idoneo per un
insediamento terrestre. Ed è proprio questa la missione del giocatore, capire
se è possibile stabilire una colonia su questo sperduto mondo valutando rischi
e vantaggi, scoprendo la flora e la fauna, ma anche cercare di restare in vita
per trasmettere i dati sulla Terra. Journey to the Savage Planet, insomma, è un
gioco divertente e sufficientemente profondo, creativo nei limiti di una
struttura piuttosto canonica, bello da vedere e da ascoltare per merito di uno
stile ben tracciato. Il collante di tutta l’opera è un’efficace e a tratti
irriverente comicità, capace di donare a questo primo lavoro targato Typhoon
Studios un carattere piuttosto raro di questi tempi. Il coloratissimo Journey
to the Savage Planet propone una ricca varietà di uccelli palla ma anche di
altrettante creature decisamente bislacche, come una sorta di tacchino stellare
a due teste talmente vile da urlare a squarciagola dalla paura ogni volta che
noterà un nostro tentativo di avvicinamento. L’incipit del gioco non è meno
strambo: il o i protagonisti, a seconda se si gioca da soli o in compagnia,
sono stati pagati per esplorare un nuovo mondo dalla quarta migliore compagnia
specializzata in viaggi spaziali, e per via di importanti tagli al budget non è
stato fornito nessun tipo di equipaggiamento che potrà però essere costruito
sul posto grazie a una futuristica stampante 3D. Il vero lusso è un sistema di
clonazione automatico che permetterà ai giocatori di tornare in vita ogni volta
che accadrà qualcosa di brutto come ad esempio l’essere sbranati da qualche bestia
del luogo o quando si precipiterà in un mare di lava o in un profondo
crepaccio.

La missione che i protagonisti di Journey to the Savage Planet dovranno portare a termine è composta da diversi obiettivi: per la compagnia che li ha spediti nello spazio il più importante, come già detto, è capire se il pianeta su cui si è atterrati è abitabile o ha risorse da sfruttare, mentre per chi gioca sarà necessario anche rimettere a posto l’astronave per avere almeno una chance di tornare sani e salvi a casa sul pianeta Terra. Del tutto opzionale, ma assolutamente consigliato, studiare le diverse creature e animali presenti, anche compiendo diversi esperimenti come far esplodere gli uccelli palla mentre sono in aria, o prelevando dei campioni da soggetti ancora in vita, quindi avvicinandoci a nostro rischio e pericolo. Nel corso dell’avventura si scoprirà ben presto anche la presenza di un’altra civiltà su cui la compagnia per cui il protagonista lavora vorrà saperne a tutti i costi di più.  Tutti gli obiettivi opzionali sono naturalmente facoltativi ma è solo portando a termine le diverse missioni secondarie si potranno sbloccare tutte le migliorie all’equipaggiamento disponibili. Anche se una volta ottenute, queste andranno costruite con la stampante apposita, che richiederà alcune materie prime per portare a termine il processo. Ogni creatura rilascerà carbonio e altre sostanze necessarie allo scopo, permettendo così di creare modifiche alla propria arma capaci per esempio di sparare dei blob che amplificheranno i salti, donando allo zaino di ordinanza l’abilità di un piccolo jetpack o, ancora meglio, fornendo un comodo e versatile rampino per raggiungere le zone meno accessibili. Quello di Journey to the Savage Planet è un continuo introdurre nuove meccaniche che funzioneranno come chiavi di accesso per le diverse aree in cui sono suddivisi i suoi quattro biomi, alle quali si aggiungono gli accessori secondari che solitamente servono per accedere alle numerose zone segrete disseminate sulla mappa, oltre che ad aiutare nei combattimenti. Il primo bioma di cui si compone il pianeta AR-Y 26 si presenta come una sorta di eden, ma già a metà della seconda area, popolata da più tipologie di creature contemporaneamente, le cose si faranno ad intervalli decisamente pericolose. Un conto infatti è sparare due colpi a un polpo volante, un’altra è doverne affrontare cinque e più potenti dei precedenti, mentre un’altra dozzina di bestie è pronta ad attaccare alle spalle correndo, volando e sparando contro. Se la situazione dovesse volgere al peggio si può sempre contare su un amico a sorpresa: Journey to the Savage Planet, infatti, come dicevamo, può essere giocato totalmente soli o in compagnia di un amico.

Ovviamente trattandosi di un gioco prodotto con un budget
non “stellare”, man mano che si va avanti Journey to the
Savage Planet
non diventa improvvisamente un brutto gioco, ma ovviamente
perde irrimediabilmente parte del suo fascino e della sua inestimabile
freschezza iniziale. E questo scivolo verso la normalità lo danneggia
particolarmente, in fondo parliamo di un gioco estremamente compatto che,
puntando alla fine a testa bassa, può essere portato a termine in una dozzina
di ore, longevità che può essere riempita facilmente da contenuti interessanti.
Journey to the Savage Planet rimane comunque una piccola ma efficace perla in
grado, prima di convincere il suo potenziale pubblico, di attirare l’attenzione
di un gigante come Google che, vista la qualità di questa opera prima, ha
subito acquistato i Typhoon Studios per renderli parte integrante del futuro di
Stadia. Tirando le somme, possiamo comunque dire che Journey to the Savage
Planet è un gioco davvero interessante, che merita di essere assolutamente
giocato in singolo, ma che dà il meglio di se viene affrontato in compagnia. La
forte comicità. La grafica interessante e il clima scanzonato che si avverte
durante tutta l’esperienza di gioco fanno sì che questo titolo sia in grado di
regalare diverse ore d’intrattenimento. Insomma, essendo un gioco di debutto
possiamo dire che i ragazzi del Typhoon Studios hanno fatto davvero centro.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise




Ai nastri di partenza la BTO di Firenze: alla Stazione Leopolda il 12 e 13 febbraio

È stato presentato a Roma, durante un’affollata conferenza stampa, il programma dell’edizione 2020 di BTO: due giornate di incontri e workshop dedicati agli operatori del settore, ispirati quest’anno dall’Onlife Manifesto della Commissione Europea, con protagonisti le nuove tendenze in materia di ricerca scientifica e innovazione tecnologica applicate al viaggiare.

Tra gli interventi, le presentazioni dell’evento da parte di Stefano Ciuoffo, assessore al Turismo della Regione Toscana, Claudio Bianchi, membro Giunta della Camera di Commercio, Francesco Palumbo, direttore Toscana Promozione Turistica e Francesco Tapinassi, direttore BTO202.

Da sin:_Palumbo, Ciuffo, Bianchi, Tapinassi

Il BTO 2020 si svolgerà alla Stazione Leopolda il 12 e 13 febbraio

Legati al Manifesto diversi appuntamenti dedicati al rapporto tra
tecnologia e dimensione umana tra cui la tavola rotonda Travel onlife e la
civiltà delle (nuove macchine) con Giovanni Boccia Artieri e Stefano Quintarelli.
BTO2020 si presenta come un
viaggio tra innovazione e ospitalità che porterà a Firenze alcuni tra i più
importati operatori del settore:
da Google a Booking.com.
Confermati anche marchi di
riferimento nel mercato nazionale e internazionale come Best Western Italia, Marriott,
Accor Hotel insieme alle più importanti associazioni italiane. Forte presenza
di eccellenze in campo formativo e nella ricerca come: Fondazione IBM Italia,
Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Università Statale di Milano, Luiss, Ciset,
Università Iulm, Università di Firenze, Campus Lucca, Università Parthenope,
Università di Sassari. BTO è un marchio di proprietà di Toscana Promozione
Turistica e Camera di Commercio di Firenze. L’organizzazione è affidata a
Toscana Promozione Turistica, PromoFirenze – Azienda Speciale della Camera di
Commercio di Firenze e Fondazione Sistema Toscana.

Quattro i percorsi tematici di BTO2020:

Hospitality, dedicato all’hotellerie, indipendente e di catena; Destination, percorso pensato per le destinazioni, dalla governance al marketing territoriale; Digital Strategy & Innovation, contenuti trasversali, di supporto a manager del turismo, consulenti e web agency; Food & Wine dedicato agli operatori del settore della ristorazione e dell’agroalimentare. Grande spazio è dedicato al tema della sostenibilità applicata al viaggiare con un focus sugli strumenti digitali di gestione, su cui i più importanti marchi si stanno impegnando in prima persona. Ad esempio il main sponsor di BTO2020, BWH Hotel Group – con i suoi marchi World Hotels, Best Western e Sure Hotel – illustrerà i suoi progetti Stay for the Planet e StayPlasticLess, quest’ultimo si è già concretizzato con l’installazione di Seabin in alcune località balneari italiane il cui obiettivo è raccogliere fino a 2 tonnellate di rifiuti di plastica e microplastica in 12 mesi. Sullo stesso tema Accor parlerà di Planet 21, progetto con cui sensibilizza i propri ospiti verso un’esperienza di soggiorno sempre più attenta al pianeta (grazie al risparmio su acqua e corrente, la catena francese si è impegnata a piantare un albero ogni minuto). Non ultimo, il motore di ricerca Skyscanner ha deciso di abbracciare la sostenibilità partendo dal restyling green del proprio logo e convincendo 10 milioni di viaggiatori a scegliere voli a minor impatto di CO2. A raccontarlo il vicepresidente della gestione prodotto, Piero Sierra.

BTO giornata 1

Per la sezione Hospitality riflettori puntati sul fallimento del più longevo tour operator al mondo, nell’incontro La distribuzione del dopo Thomas Cook, un’occasione per riflettere sui futuri scenari della distribuzione internazionale. I pagamenti digitali (by face recognition, in modalità vocale e sottopelle) saranno al centro dello slot Meet the future of payment systems dove è atteso Jowan Österlund, fondatore e Ceo della svedese Biohax. Una ricerca della stessa Biohax rivelerà se gli italiani sono pronti a farsi impiantare id e sistemi di pagamento sottopelle. James Kay global corporate communication di TripAdvisor, sarà tra i protagonisti dell’incontro dedicato alla Reputazione mentre, tra le sessioni più operative, si segnala la “cassetta” sul revenue, tenuta da Luciano Scauri (SKL International Hotel Consulting) e Silvia Cantarella (Revenue Acrobats). Nel programma Digital Strategy & Innovation, tra gli appuntamenti clou: Internazionalizzazione e SEO per il tuo hotel e Web Usability per il turismo con Jacopo Romei, Daniele Radici e Rodolfo Baggio.

La sezione Destination quest’anno è dedicata agli esempi virtuosi di strategie digitali e di innovazione nei processi organizzativi dell’offerta. Si parlerà di ospitalità non convenzionale nel panel Quando l’ospitalità ‘fa destinazione’, un viaggio alla scoperta di strutture ricettive uniche: dall’esperienza più spirituale di Eremito nei colli umbri fino all’emozione di una tenda sospesa fra gli alberi.

Undertourism

proporre e commercializzare esperienze uniche di un’Italia nascosta è il titolo dell’incontro dedicato alle strategie per promuovere le destinazioni “off the beaten track”. Inoltre, tra gli esempi virtuosi di collaborazione tra destinazioni e Online Travel Agency, si parlerà di Wonder Grottole, progetto nato in un piccolo borgo lucano e diventato un successo anche grazie al supporto di Airbnb.

Nella sezione Food & Wine riflettori puntati su case history internazionali di successo. Nel panel Qual è la ricetta del successo del turismo enogastronomico? spazio alle esperienze realizzate in Scozia con il progetto “The year of food & drink”, e in Francia con il Museo Citè du Vin nella città di Bordeaux. Verrà poi affrontato il tema del Food Delivery nel b2c (Daniele Contini, Just Eat) ma anche nel b2b: un cambiamento che genera altri cambiamenti nel mondo della ristorazione.

A FutureBrand e al Consorzio Parmigiano Reggiano, si affronteranno invece le potenzialità della gastronomia e del cibo italiano nella promozione, non solo dei prodotti ma anche del turismo. Di evoluzione delle PR, sempre più digitali anche per i grandi chef, si parlerà nel panel Chef e web reputation: tutte le ricette con Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba e i social media manager di importanti ristoranti italiani. Food-Image & Cervello.

Le neuroscienze applicate alla fotografia digitale del cibo è il titolo dell’incontro dedicato alle più recenti ricerche nel campo della percezione del cibo. Tra gli appuntamenti più attesi: l’incontro curato da Barbara Sgarzi, Dai social in cantina e viceversa, e il panel La blockchain è un fine o uno strumento? Tra le case history anche il progetto regionale di Vetrina Toscana che da 20 anni promuove tipicità e identità territoriali, attraverso storytelling e narrazione digitale.

BTO giornata 2

Nella seconda giornata grande attenzione al fattore umano nell’offerta turistica. In Hospitality focus su personalizzazione dei servizi di viaggio. Si parlerà di design emozionale nel panel Alla ricerca del benessere nell’ospitalità e non mancherà un approfondimento sulle opportunità “rainbow” del mercato LGBT.

In Digital Strategy & Innovation, tra gli appuntamenti più attesi

Lo Human Intelligence dell’AI: strategie conversazionali . Altro momento molto atteso su Facial Recognition and Travel. Da segnalare poi: il panel su Innovazione e Blockchain al servizio del pubblico esercizio e l’intervento di Giovanna Manzi, Ceo di Best Western Italia, Reinventare il management nel turismo partendo dalle persone. Di futuro parlerà Mauricio Prieto, imprenditore della Silicon Valley e già co-fondatore di Edreams che, insieme a Giorgio Ventre, direttore scientifico Apple Academy, parlerà di scenari internazionali nel campo dell’innovazione tecnologica nel turismo.­ Due le cassette degli attrezzi imperdibili: il mini corso Google per il travel e il doppio appuntamento sui segreti dell’influencer marketing. 

Diversi i temi al centro della sezione Destination

si parte con una riflessione sul valore dei dati che fotografano il comportamento online dei turisti nel panel From big to meaningful data. Spunti di riflessione per le DMO ai tempi del data driven marketing. Si passa poi all’analisi dei contenuti generati dagli utenti con Trasformare il destination marketing attraverso i contenuti generati dagli utenti insieme a Adam Lacombe (Crowdriff), Vappu Mänty (MyHelsinki), Elia Frappoli (consulente di turismo). I millennials sono protagonisti dell’incontro La destinazione vista dai millennials tra top things to do ed esperienze uniche . Smart destination: la destinazione del futuro, oltre il digitale è il titolo del panel con Giacomo Costantini, architetto specializzato in smart building e sustainable design, Maria Elena Rossi, direttrice marketing ENIT, István Ujhelyi, rappresentante della Commissione Europea e referente del progetto europeo Smart Tourism Capital.

Il tema dell’innovazione gioca un ruolo importante anche nella sezione Food & Wine: nell’incontro Online restaurant reservations due grandi aziende leader come OpenTable e TheFork, con le quali si indagheranno le dimensioni del mercato e le strategie in atto. Dalle App a sistemi di management sempre più complessi dove la tecnologia aiuta il cliente e favorisce ulteriori sviluppi. Altra novità le cryptovalute: se ne parla in una delle cassette degli attrezzi dal titolo Crypto Menu: i pagamenti innovativi nella ristorazione. All’interno di BTO sarà ospitata l’istallazione “Sound of the Crowd” che, attraverso il riconoscimento facciale genererà un’esperienza visiva e acustica davvero unica.




Monster Hunter Iceborne, la maxi espansione del capolavoro di Capcom

Dopo il lancio di Iceborne su console, avvenuto durante lo scorso settembre, la maxi espansione di Monster Hunter World (qui la nostra recensione del gioco base) è stata da poco rilasciata anche su Pc. Iceborne è un’espansione che sin dal suo annuncio si è presentata come qualcosa di molto diverso da una semplice aggiunta di qualche contenuto in più per garantire ore extra di gioco. Infatti l’espansione per quantità di novità e cose da fare, è praticamente un nuovo gioco, che, seppur non apporti sostanziali modifiche al titolo di base, lo completa in tantissimi aspetti. Per chi non lo sapesse fin dal primo capitolo di Monster Hunter, Capcom ha sempre avuto l’abitudine di far uscire una versione aggiornata e migliorata del suo gioco, inserendo nuovi mostri, nuove storie e soprattutto il famoso “G Rank”, ossia un nuovo grado di missioni dalla difficoltà molto elevata. Questo era talmente importante che in Giappone ogni nuova versione aveva nel titolo la “G” del nuovo rango. In Occidente queste versioni sono state chiamate Ultimate. Iceborne è in pratica una versione Ultimate di Monster Hunter World, ma con la differenza che stavolta Capcom ha inserito un’espansione letteralmente gigantesca da aggiungere al World originale (o acquistabile in bundle anche in edizione fisica per chi non ha mai giocato al gioco base) e da giocare rigorosamente dopo aver finito il titolo base. Infatti per accedere ai contenuti di Iceborne è necessario aver finito la storia di World e il grado di Hunter dovrà essere di almeno 16. Se molti veterani della saga lamentavano un leggero calo di difficoltà in World rispetto al passato, in Iceborne dovranno ricredersi dopo essersi addentrati nelle tante missioni del nuovo Master Rank. La cornice della nuova avventura è rappresentata dalle Distese Brinose, luogo completamente nuovo dove si svolgerà la nuova storia di Monster Hunter World. Nonostante la parte narrativa resti un pretesto per affrontare decine di mostri, è interessante vedere come Capcom stia cercando di migliorare sempre più anche quest’aspetto, da sempre relegato in secondo piano. La storia è godibile e coinvolge diversi personaggi già incontrati nell’edizione base, ampliando anche il background narrativo del Nuovo Mondo, dov’è ambientata questa quinta generazione di Monster Hunter. La nuova zona di caccia è stata realizzata con grandissima cura per i dettagli, portando all’interno dell’universo di gioco l’area ricoperta da neve e ghiacci che tanto mancava nel titolo di base. Impossibile non fermarsi a osservare i bellissimi paesaggi offerti dalle Distese Brinose, tra foreste innevate dove la calma regna sovrana (quando non si combatte) e impervie aree montane. Anche in Iceborne il tutto è ancora più vivo e realistico grazie alla fauna rappresentata dai mansueti Popo, creature simili ai Mammoth, o da nuovi animali molto più piccoli che entrano a far parte del ciclo naturale della nuova zona. Andando avanti con il gioco, inoltre, l’area si espanderà sempre più, diventando davvero molto vasta, con in più qualche sorpresa che non menzioniamo per non rovinare la sorpresa. Ad affiancare le Distese Brinose vi è anche un nuovo HUB centrale, ossia Seliana. Questa nuova cittadina è molto più variopinta della vecchia Astera e aggiunge ai classici servizi di base per ogni cacciatore delle divertenti varianti da sfruttare soprattutto in compagnia di altri giocatori, come ad esempio un impianto termale per poter dare sollievo dal freddo al proprio cacciatore e al proprio Palico.

Come già detto, la nuova espansione non aggiunge soltanto una
nuova area e un nuovo livello di sfida, ma include diverse novità nel gameplay,
anche piuttosto importanti. La fionda ha assunto un ruolo centrale nelle
battaglie, grazie soprattutto alla funzione del rampino. Tramite questo strumento
ci si potrà letteralmente aggrappare addosso al mostro e colpirlo con l’arma
per indebolirlo. A seconda del tipo di arma usata dal giocatore gli effetti
saranno due: un indebolimento della pelle per un lasso di tempo limitato, in
modo da evitare che le armi rimbalzino contro quella specifica parte e possano
infliggere più danni, o il rilascio di munizioni per la fionda da parte del
mostro. Inoltre sarà possibile anche far girare la creatura bersaglio verso
un’altra direzione oppure usare il Colpo Sussultante, un attacco che scarica
tutte le munizioni della fionda in una volta sola. In questo caso la creatura
caricherà tutto ciò che ha davanti e sarà dunque utile per farla andare a
sbattere contro un muro o un altro mostro e stordirla. All’apparenza il rampino
introdotto con Iceborne sembra facilitare di molto il combattimento, tanto da
rendere inutile il tradizionale salto in groppa al mostro, ben più difficile da
attuare. In realtà aggrapparsi ai mostri non è una cosa che si può fare a cuor
leggero. A differenza del saltargli in groppa, il mostro non entra in uno stato
vulnerabile quando gli si sale sopra, ma anzi continua a combattere normalmente
cercando di colpire il giocatore. Restargli troppo a lungo aggrappato fa
consumare molta stamina e inoltre aumenta il rischio di subire dei danni. Se
poi il mostro è infuriato, non sarà possibile usare né l’attacco per fargli
cambiare direzione né il Colpo Sussultante e si verrà sbalzati via molto più
facilmente. L’attacco con il rampino va quindi utilizzato con parsimonia e in
maniera tattica, aspettando soprattutto che la stamina del mostro sia esaurita
per evitare che sia troppo aggressivo durante la manovra. Inutile dire che, se
possibile, è sempre meglio saltargli in groppa da una posizione sopraelevata
per il massimo danno con il minimo rischio. Tra le altre novità presenti in
Iceborne vi sono diverse nuove mosse per ognuna delle 14 armi presenti, molte
legate proprio alle novità del rampino e della fionda, che è ora possibile
utilizzare anche con la spada sguainata. Le nuove combo si potranno poi provare
in una zona d’addestramento migliorata e fornita di tutto il necessario per
testare anche le nuove funzioni del rampino. Anche il fedele Palico (il
compagno di ogni hunter) avrà qualche gadget nuovo e interessante da usare,
come la Vigorvespa in grado di resuscitare una volta sola per combattimento,
fondamentale nel Master Rank, oppure uno speciale oggetto che permette di
creare un’esca per attirare la furia dei mostri e dare un po’ di respiro
durante i combattimenti più pericolosi. In Iceborne anche il multiplayer presenta
alcune piccole novità soprattutto legate al bilanciamento degli scontri in
cooperativa. Adesso, infatti, la difficoltà dei mostri sarà diversa a seconda
se ad affrontarli saranno 2 oppure 3 o 4 giocatori. Inoltre, se
malauguratamente qualcuno dovesse disconnettersi per qualche problema, la
difficoltà della creatura cacciata scalerà di conseguenza, adeguandosi al
numero di giocatori rimasti. Oltre a questo fra le novità è presente anche un
sistema che permette ai veterani del gioco di ottenere ricompense speciali nell’aiutare
cacciatori di rango più basso del proprio. Quindi, anche aiutando i neofiti,
sarà possibile ottenere componenti utili.

Per quanto riguarda le vere star di Monster Hunter, ossia i
nuovi mostri, possiamo dire cha Capcom con Iceborne ha svolto un lavoro che
farà la gioia dei fan, nuovi e di vecchia data. Probabilmente non si sarebbe
potuto chiedere di meglio per quanto riguarda le aggiunte di quest’espansione.
Se nel titolo base mancavano tanti volti noti della saga, con l’espansione
questo problema è stato risolto aggiungendo tutti i più importanti pilastri
delle passate generazioni. Iceborne dona quindi nuova vita ad alcune delle
creature più richieste dai fan: l’agile e aggressivo Tigrex (mostro di
copertina di Monster Hunter Freedom 2), viverna dalla testa simile a un T-Rex
famosa per non stare ferma un secondo; il feroce Glavenous (mostro di copertina
di Monster Hunter: Generations), dotato di una coda tagliente in grado di
incendiarsi e di dar fuoco a tutto ciò che tocca; il brutale Brachydios, che fa
ricorso a una melma esplosiva estremamente dannosa; il regale Zinogre, il lupo
elettrico che torna in tutta la sua maestosità. Questi ovviamente sono solo
alcuni degli oltre venti mostri aggiunti, che metteranno a dura prova anche i
cacciatori più esperti. Naturalmente, ogni nuovo mostro porta con sé una gran
quantità di nuove armi e set di armature da forgiare, ben più potenti di quelle
viste nel gioco base. Questi strumenti saranno fondamentali per riuscire ad
abbattere le creature più forti del gioco, cosa che onnligherà i giocatori al
grinding più estremo, che è a tutti gli effetti forse l’anima principale del
titolo di Capcom. Alle vecchie glorie poi vanno aggiunti i nuovi mostri
totalmente inediti, come il già ben noto Velkhana, creatura appartenente alla
categoria dei Draghi Antichi e dotato di un incredibile potere legato al
ghiaccio, il che è anche il motore della storia principale di Iceborne. Non
mancheranno poi delle novità non ancora annunciate nei diversi trailer.
Inoltre, sono state aggiunte anche le sottospecie, varianti di mostri già incontrati
che di solito hanno elementi e pattern d’attacco diversi dalle loro
controparti. Ad esempio, bisognerà affrontare il Fulgur Anjanath, che invece di
utilizzare attacchi di fuoco userà quelli di fulmine, o il Viper Tobi-Kadachi,
sottospecie dotata di una temibile coda velenosa. Insomma, affrontare la nuova
fauna di Iceborne, soprattutto con la difficoltà del Master Rank, è una grande
emozione per ogni cacciatore, sia neofita che veterano. Molte delle creature storiche
tornano con nuovi attacchi e modalità offensive, facendo provare al giocatore
il piacere della riscoperta mista alla nostalgia di poter riaffrontare queste
vecchie creature. Visivamente, poi, ognuna delle bestie presenti in Iceborne è
uno spettacolo da vedere: tra artigliate poderose, balzi che coprono distanze
impensabili, potenti attacchi elementali in grado di devastare l’intera area di
gioco e urla agghiaccianti, affrontare i nuovi mostri fa ricordare che
l’essenza del titolo Capcom sta proprio nella semplicità della caccia, con alla
base una preparazione meticolosa, con la forgiatura di nuove armature e armi
per affrontare esseri sempre più pericolosi. Anche assistere alle lotte
territoriali tra le nuove aggiunte del cast mostruoso sarà una vera e propria
gioia per gli occhi. Visivamente il gioco mantiene gli alti standard già visti
in Monster Hunter World, quindi da questo punto di vista il titolo offre una
vera e propria gioia per gli occhi. Dal punto di vista del doppiaggio anche
Iceborne è completamente in italiano, inoltre offre anche i sottotitoli nella
nostra lingua. Straordinaria come sempre la colonna sonora che alterna brani
epici (durante le fasi di combattimento) a melodie sempre attinenti con ciò che
accade sullo schermo. Tirando le somme, Monster Hunter Iceborne è a tutti gli
effetti la ciliegina sulla torta che mancava. Il costo, superiore a un classico
dlc, è pienamente giustificato dalla mole di contenuti e dal fatto che ci si
trova dinanzi a un vero e proprio “gioco nuovo” da affrontare. Dopo aver
passato diverse ore con la produzione Capcom possiamo assolutamente dire che l’espansione
era ciò che ci voleva in quanto farà felici coloro i quali hanno spolpato fino
all’osso il titolo base, ma sarà assolutamente apprezzato anche da chi acquista
il titolo in bundle e vorrà cimentarsi nelle avventure partendo da zero. Monster
Hunter World Iceborne è un videogame sensazionale, e adesso che è arrivato su
Pc chiunque potrà godere delle tantissime avventure che il titolo offre.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9,5

Sonoro: 9

Gameplay: 8,5

Longevità: 9

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




Da Google 3 app per ridurre la dipendenza da smartphone

Google ha lanciato tre nuove applicazioni pensate per far
usare di meno lo smartphone, favorendo il digital detox e quindi di conseguenza
riducendo la dipendenza da cellulari. Due di queste particolari applicazioni
puntano a rendere gli utenti più consapevoli del tempo che trascorrono con il
telefonino in mano, mentre la terza offre un aiuto pratico per disintossicarsi
dal “morbo del cellulare”. Proprio quest’ultima si chiama Envelope e propone
degli involucri per avvolgere lo smartphone. In pratica consiste in alcuni Pdf
contenenti le cover di carta che l’utente può stampare e avvolgere intorno al
telefono, così da limitarne le funzionalità. Una cover consente soltanto di
fare telefonate, mentre un’altra lascia abilitata solo la fotocamera. Un
approccio più morbido è rappresentato dalle app Screen Stopwatch e Activity
Bubbles. La prima lanciata da Google consiste in una schermata che tiene a
caratteri cubitali il conto delle ore, minuti e secondi che trascorriamo con lo
smartphone in mano. Activity Bubbles ha un funzionamento simile: ogni volta che
si sblocca lo schermo del dispositivo, la schermata mostra una bolla in più,
che diventa tanto più grande quanto più lunga è la sessione d’uso dello
smartphone. Le tre app fanno parte della Digital Wellbeing Initiative,
l’iniziativa per il benessere digitale che Google definisce come “una
raccolta di idee e strumenti per aiutare le persone a trovare un equilibrio
migliore con la tecnologia”. Con questa mossa Google vuole dare il suo
apporto a quella che di fatto sta diventando una patologia che colpisce sia le
nuove generazioni che le persone più avanti con l’età. E’ bene ricordare
infatti che un utilizzo più sano ed oculato degli smartphone migliora la
qualità della vita e soprattutto può evitare rischi per la salute delle
persone. L’iniziativa di Google quindi rappresenta a tutti gli effetti un primo
passo, da parte di un colosso del web, per ridurre drasticamente la dipendenza
da cellulare. C’è da sperare che tale idea sia d’esempio per tutti.

F.P.L.




Civilization VI, la storia dell’umanità arriva su console

Civilization VI è finalmente disponibile su console. La pazienza dei fan è stata ripagata e il risultato è fortunatamente un buon risultato. A tre anni dal lancio su PC, il gestionale/simulativo di Firaxis che permette di plasmare il destino dell’umanità, creando la propria civiltà a suon di guerre, gestione economica e progressi scientifici, potrà essere giocato anche su Xbox One e Ps4. La serie, nata la bellezza di ventotto anni fa dal genio di Sid Meier e dal connubio con MicroProse, non ha praticamente mai abbandonato i giocatori nel corso degli anni pur facendo i conti, man mano che il tempo passava, con qualche inciampo lungo il cammino, afflitto da una sostanziale immobilità evolutiva e da alcuni spin off non proprio memorabili. Ciò nonostante, ogni capitolo del franchise è sempre entrato di diritto nelle collezioni degli appassionati del genere, indipendentemente dalla piattaforma o dal risultato. L’arrivo di Civilization VI sulle piattaforme di gioco dell’attuale generazione segna quindi una graditissima sorpresa per tutti gli “strateghi” che da tanto attendevano questo momento. Proprio come nelle vecchie edizioni, anche in quest’ultimo capitolo della serie i giocatori prenderanno il comando di una civiltà a scelta e potranno deciderne il destino grazie alle scelte fatte, scelte che saranno figlie degli obiettivi che ci si porrà o che il gioco imporrà di raggiungere per proseguire nella storia del popolo selezionato. Sta a chi gioca decidere che tipo di capo supremo essere; si potrà decidere di affidare sempre e comunque la parola alle armi, oppure affrontare i propri avversari sul piano della politica e della diplomazia, del commercio o ancora sulla base di un determinato orientamento religioso. Per riuscire in tutto questo ci si deve muovere su una mappa di gioco basata sulle famose caselle esagonali, costruendo nuovi edifici e pianificando le azioni grazie anche ad una delle novità di questo capitolo: i “distretti specializzati”, che cambiano radicalmente l’approccio allo sviluppo delle nostre città.

Questi nuovi distretti di Civilization VI, sono delle vere e
proprie entità “fisiche” che occupano una casella della mappa entro
il “raggio amministrativo” delle città. Se ne possono trovare una
dozzina, ciascuno con la propria funzione: si parte da quelli delegati allo
sviluppo industriale, culturale e militare a cui si aggiungono quelli
logistici, come il porto, l’aeroporto e lo spazioporto. I distretti
rappresentano la condizione necessaria affinché l’insediamento possa generare
le diverse risorse locali (come cibo e produzione o manodopera) e
“nazionali” (cultura, fede e oro). La presenza dei distretti e la
distribuzione degli edifici diventa complementare all’altra novità presente per
la crescita delle città: l’aumento degli abitanti è legato non solo alla
presenza di surplus nella produzione di cibo, ma anche alla presenza di
sufficienti “spazi abitativi” e “attrattive”. Queste ultime
contribuiscono anche a determinare il punteggio di Felicità, che torna ad
essere diviso per le singole città e non più un parametro collettivo del proprio
impero. In Civilization VI, una fra le più importanti novità è rappresentato
dal così detto sistema civico, ossia l’insieme delle politiche che definiscono
il comportamento di una data civiltà. E’ stata accantonata quindi la vecchia
meccanica delle Politiche Sociali a favore di un sistema basato sullo sblocco
delle “tecnologie civiche” in un albero dedicato, che include unità e
strutture particolari, nuove forme di Governo e “carte Politica” che
possono essere associate. Quest’ultime, divise nei tre periodi storici che
hanno influenzato lo sviluppo civile dell’umanità, vantano ognuna un bonus
particolare e un numero di slot per “carte Politica”, a sua volta
distribuito fra le quattro categorie Militare, Diplomatica, Economica e Jolly,
quest’ultima capace di accogliere qualsiasi tipo di carta. Ovviamente i Governi
totalitari come Monarchia e Fascismo includono una maggior parte di slot
Militari, mentre la Democrazia si basa maggiormente su sviluppo economico e
diplomazia.  Anche i Grandi Personaggi
storici hanno subito una modifica sostanziale, sia per quanto concerne il modo
in cui ottenerli, sia in merito alla loro implementazione. Ogni Grande
Personaggio è dotato di abilità particolari, come bonus passivi solo per
determinati tipi di unità, abilità speciali impiegabili una sola volta durante
il gioco ed, infine, “Ispirazioni” per determinate ricerche
tecnologiche. Rispetto alla precedente edizione, la ricerca scientifica è forse
l’aspetto che ha subito meno modifiche. La presenza del consueto albero
ramificato rappresenta un elemento di continuità, e l’unica aggiunta è
rappresentata dalla meccanica dell’Ispirazione che consente di garantire una
velocità extra per portare a determinate ricerche. E’ stata, invece, modificata
la gestione delle singole Unità: è tornata infatti la possibilità di impilare
le unità combattenti, sia terrestri che marittime, ma solo per elementi dello
stesso tipo ed in numero massimo di tre con una potenza bellica che non
corrisponde alla sommatoria dei singoli punteggi. Inoltre, alle armate è
possibile unire le unità di supporto e quelle “civili”, che includono
lavoratori, coloni, predicatori vari e i Grandi Personaggi. Per quanto riguarda
la Diplomazia: Civilization VI propone un sistema d’interazione che fa fare un
salto nel passato. E’ stata scartata l’opzione di vittoria diplomatica, e tutto
il meccanismo diplomatico si basa sul rapporto tra i Leader che, se controllati
dall’IA, seguono un percorso preimpostato su comportamenti che vanno ad
influenzare lo stile delle loro Civiltà.

Insieme a quanto detto, esiste un secondo programma casuale
e nascosto che va scoperto dal giocatore gestendo e migliorando i rapporti con
i Leader, attraverso i metodi ben conosciuti (invio di delegati e mercanti,
scambi commerciali, trattati di apertura dei confini e collaborazioni
commerciali e, ovviamente, inviando spie). Civilization VI, nonostante possa
apparire come un episodio intuitivo sotto il profilo della razionalizzazione
dell’esperienza ludica, rimane pur sempre un gioco di strategia complesso e
raffinato, quindi in quanto tale, estremamente lento, complesso e di non
semplice assimilazione. Ci vuole tempo e costanza per metabolizzare e imparare
a gestire la mole di informazioni a cui è necessario prestare attenzione, dalle
peculiarità di ogni civiltà, passando per eventi ambientali che rischiano di
sconquassare i propri possedimenti, sino alle nobili arti della diplomazia e
del buon governo. Una volta superato lo scoglio iniziale, giocare a
Civilization VI diviene parecchio assuefacente e l’esperienza di gioco è in
grado di regalare un’esperienza di gioco single player praticamente infinita. Sempre
parlando di longevità, se ci si vuole cimentare anche nel multiplayer, il
titolo è in grado di occupare veramente moltissimo tempo. Ci teniamo a
ricordare che la versione console di Civilization VI giunge arricchita delle
due espansioni “Gathering Storm”, la quale include il Congresso Mondiale e i
disastri ambientali e “Rise and Fall”. Quest’ultima introduce Età, lealtà, i
governatori e le cosiddette Emergenze. In tutto sono sedici le nuove civiltà e
diciotto i leader contenuti nelle due espansioni uscite sino a questo momento.
Un bel po’ di contenuti a cui i giocatori possono aggiungere, tramite
l’acquisto, anche il “Khmer and Indonesia Scenario Pack” e il
“Nubia Scenario Pack”. Insomma, di sicuro la varietà non manca. Bellissimo
l’accompagnamento musicale di Civilization VI, con una colonna sonora
“dinamica” e perfettamente allineata con l’andamento di gioco. I temi delle 19
civiltà giocabili sono divisi in quattro melodie di crescente complessità, che
contraddistinguono il progresso del popolo da un’era all’altra. Le poche note
dei tempi antichi, suonate con strumenti rudimentali, evolvono con il passare
delle epoche in canzoni moderne, fino a diventare vere e proprie opere
orchestrali e la presenza della maestosa “Sogno di Volare”, fa da degno sfondo
ad un’opera videoludica già di per sé estremamente ambiziosa. Graficamente Civilization
VI resta la stessa splendida creatura che tre anni fa ha debuttato su PC,
grazie sicuramente a un motore grafico ben realizzato. Nessun rallentamento
riscontrato nella versione per Xbox da noi provata e ogni caricamento, al netto
della porzione di mappa esplorata su schermo, e quindi di tutte le unità
visibili in movimento, non ha rallentato nemmeno per un secondo. Tirando le
somme, se si è alla ricerca di un videogioco strategico/gestionale dalle
potenzialità enormi, complesso e che sia in grado di garantire migliaia di ore
di gioco, Civilization VI rappresenta senza ombra di dubbio quello che più
desiderate. Del resto stiamo parlando di uno dei brand che ha fatto la storia
di questo genere, quindi scegliendolo avrete la garanzia di avere tra le mani
un titolo con tutte le carte in regola per regalarvi ore e ore di grande
divertimento e soddisfazione.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 9

Gameplay: 9

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




Nokia lancia la sua prima smart Tv UHD

Dopo una trentina d’anni, sugli scaffali sta per tornare un
televisore a marchio Nokia. A portarcelo è la società indiana di e-commerce
Flipkart, che si è aggiudicata la licenza per poter apporre l’iconico brand
finlandese su una smart tv. Nokia Smart TV è un televisore interessante, dotato
di specifiche di un certo livello. Il dispositivo dispone di un pannello LED
IPS da 55 pollici con risoluzione 4K e supporto HDR10. Buono anche l’angolo di
visione che raggiunge i 178 gradi. Le altre specifiche parlano di un contrasto
di 1200: 1, certificazione Dolby Vision, Intelligent Dimming e luminosità di
400 nit. In termini di design, la TV ha un design minimalista con cornici molto
ridotte. Ha un supporto a piedistallo nella parte inferiore che gli conferisce
un aspetto moderno. Di serie anche un supporto per la parete nel caso fosse
necessario utilizzarlo. Gli speaker da 24 Watt sul televisore Nokia sono stati
ottimizzati da JBL per offrire un’alta qualità audio. Speaker che dispongono
anche dei supporti Dolby Audio e DTS Surround. Nokia Smart TV si appoggia alla
piattaforma Android TV 9.0 ed include il supporto all’Assistente Google. Oltre
all’accesso al Play Store, dispone dei servizi di streaming Prime Video,
Netflix, YouTube e Hotstar. Supporta nativamente anche Chromecast. Le vendite
inizieranno il 10 dicembre ma solo in India, dove la smart tv costerà 42mila
rupie, più di 500 euro. Flipkart, che sulla sua piattaforma di e-commerce conta
200 milioni di clienti registrati, ha affermato di avere in programma il lancio
di altri televisori Nokia in futuro. La prima smart tv a marchio Nokia arriva a
trent’anni di distanza dai vecchi televisori a tubo catodico che l’azienda
scandinava lanciò sul mercato negli anni Ottanta. Dal 2017 il noto brand è
stato riportato anche sul prodotto più celebre di Nokia, i telefoni, dalla
compagnia Hmd Global, che ha acquisito per dieci anni i diritti per l’uso del
marchio sugli smartphone.

F.P.L.




Bee Simulator, un videogame educativo per i più piccoli

Bee Simulator non è il classico videogame “alla moda”, non è
né uno sparatutto, né un gdr, quantomeno un gioco di sport. Bee Simulator fa vivere
ai giocatori (su pc, Xbox One, Ps4 e Switch) la giornata tipo di un’ape
attraverso un’avventura che strizza l’occhio chiaramente verso un pubblico
molto più giovane. Ma partiamo dal principio per capire un po’ di più che cosa
ha da offrire questo curioso titolo. Una volta lanciato il gioco, si assisterà
alla nascita della propria ape, alla quale si potrà dare il nome che si
desidera. Dopo un breve tutorial il piccolo insetto assumerà presto le
sembianze di un eroe, un’apetta dal quale dipende il futuro della Terra.
Progredendo nell’avventura, che non va oltre le tre ore, ci sarà la possibilità
di comprendere quali sono le attività di un’ape durante la giornata: si
inizierà col raccogliere il polline dai vari fiori, poi gradualmente si potrà
scoprire anche che esistono diversi tipi di fiori dai quali poter recuperare
ciò di cui l’alveare ha bisogno, sfruttando l’apposita vista da ape, fino
all’incontro con la regina. L’idea alla base della produzione è assai lodevole,
far comprendere ai più giovani quale sia la reale importanza delle api
all’interno del nostro ecosistema mettendo al contempo a nudo le dure
condizioni in cui queste piccole ma preziosissime creaturine sono oramai
costrette a vivere.

 In Bee Simulator pericoli
e insidie naturali o generate dall’uomo si annideranno in ogni angolo e sarà compito
dei giocatori completare i vari incarichi che verranno assegnati per assicurarsi
un prosperoso futuro della colonia. In sostanza ci si troverà a completare diverse
missioni che porteranno i giocatori a muoversi in piccole mappe aperte da poter
esplorare liberamente. Si finirà così a dover raccogliere polline da
trasportare all’alveare, vivere “emozionanti” inseguimenti cercando di
raggiungere una qualche ape amica all’interno di circuiti prestabiliti o,
ancora, affrontare pericolosi nemici in battaglie basate sul premere i giusti
tasti nel momento esatto. Nonostante Bee Simulator sia un videogame destinato
ai più giovani, si basa su un gameplay estremamente macchinoso e legnoso che
rende anche semplici spostamenti assai frustranti, soprattutto nelle aree più
anguste. Curiosamente, Bee Simulator si è però rivelato particolarmente
variegato in termini di personalizzazione della piccola protagonista volante,
con colorazioni, abiti e cappelli che sembrano presi da un buffo cartoon. In
ogni attività che si può svolgere in Bee Simulator, l’obbligo della raccolta
del polline è d’obbligo. Esso si raccoglie in un piccolo “serbatoio” (indicato
sullo schermo) che una volta riempito bisognerà andare a svuotare tutto presso
l’alveare. Così facendo si potranno ottenere in cambio dei punti conoscenza. Altro
indicatore presente nel contesto ludico è il “razzo”, ossia una sorta di turbo
che permette di velocizzare il volo, e quindi di arrivare prima a destinazione
o di essere sfruttato durante gli inseguimenti. Per arricchire ancora di più il
gameplay, però, Bee Simulator ha pensato anche di inserire delle meccaniche
action, con dei combattimenti contro alcuni “nemici”, come ad esempio le vespe.
Con la telecamera che si posizionerà a tre quarti dei due sfidanti, come già
accennato, il giocatore dovrà rispettare il timing di pressione dei tasti
indicati nella parte bassa dello schermo, dando vita quasi a un gioco ritmico.
Nulla di complicato o di elaborato, ma in ogni caso per un bambino rappresenta
senz’altro una bella sfida.

Bee Simulator è un titolo che però nel suo open world offre
diverse cose da fare, ma purtroppo il contesto non è reso particolarmente bene.
Ad esempio, l’indifferenza totale del resto del mondo alla presenza dell’ape è
disarmante. Gli umani non reagiscono come dovrebbero alla presenza della
protagonista, nemmeno se vengono punti. Stesse reazioni di indifferenza
avvengono con gli altri animali, che si attiveranno solo se devono assegnare
una missione secondaria. In un ecosistema così completo e complesso sarebbe
stato interessante aggiungere qualche interazione con l’ambiente, invece di
limitarsi al polline, ai fiori e al poggiarsi sugli alimenti zuccherati
disseminati dalle varie persone per poter potenziare il turbo. Di rimando,
però, è sorprendente il lavoro svolto dal punto di vista del doppiaggio: il
titolo è completamente in italiano, con dei dialoghi molto semplici e con
un’interpretazione calorosa, avvolgente e che sembra fatta appositamente per un
pubblico molto giovane. Bee Simulator in questo si rivela un’esperienza che per
i più piccoli diventa quasi affascinante, grazie alle numerose voci a
disposizione dei vari animali. Allo stesso modo tutto l’ambiente realizzato
intorno all’ape è gradevole, con dei dettagli non di altissimo pregio, ma che
comunque lasciano intendere un impegno di fondo da premiare almeno nelle
intenzioni. Lo stesso sistema di volo è ben riprodotto, salvo per qualche
difficoltà negli spazi angusti dove non sarà facilissimo districarsi tra
telecamera e movimento. Fortunatamente sbattere contro le pareti o gli oggetti
non porterà nessun “malus” dal punto di vista del gameplay, quindi sbagliare
non comporterà conseguenze fatali per la piccola protagonista. Tirando le
somme, se volete far capire ai vostri bambini l’importanza del ruolo delle api
nel mondo e lo volete fare con un prodotto educativo-interattivo, questo Bee
Simulator è un’ottima scelta. Ricordate però, l’eccessiva semplicità e la breve
durata dell’avventura sono elementi di cui bisogna tenere conto.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 7,5

Gameplay: 6,5

Longevità: 5

VOTO FINALE: 6,5

Francesco Pellegrino Lise




Terminator Resistance, in guerra contro Skynet

Terminator Resistance è uno shooter single player in prima
persona sviluppato da Teyon per Pc, Xbox One e Ps4. I diritti del gioco si
basano esclusivamente sui primi due capitoli cinematografici della serie,
proprio per tale motivo, almeno da un punto di vista “potenziale”, il titolo è
tra le opere meglio riuscite nel proporre cosa è accaduto dopo il famoso Giorno
del Giudizio. Il protagonista dell’avventura si chiama Jacob Rivers, un soldato
della divisione Resistance Pacific. Nonostante Jacob sia solo un modesto
soldato semplice, scoprirà presto di essere stato preso di mira specificamente
da SKYNET, l’intelligenza artificiale nel pieno del suo programma di sterminio
della razza umana. La trama di Terminator Resistance riesce a farsi
discretamente apprezzare con molte soluzioni tipicamente cinematografiche anche
per quanto riguarda il level design che invece in molti altri punti però
risulta davvero essere poco curato per un titolo di attuale generazione. Ma andiamo
ad esaminare la trama più da vicino. Come dicevamo: il mondo è finito, è stato
tutto inutile, le testate nucleari hanno devastato le grandi metropoli
riducendo la terra in un ammasso di rovine e di deserti desolati. Il povero
John Connor, Sarah Connor e tutti coloro che si sono succeduti dopo questi iconici
personaggi, non sono riusciti ad evitare la guerra tra uomini e macchine
ribelli e i pochi sopravvissuti sono costretti a nascondersi per evitare lo
sterminio totale. Anche in Terminator Resistance gli umani sono raggruppati in
piccoli nuclei di resistenza e portano avanti una guerra che è ambientata
esattamente trent’anni dopo Terminator 2: Il giorno del giudizio. Skynet sembra
ormai avere il dominio assoluto, ma i leader della resistenza non si arrendono,
e nelle loro fila abbiamo anche il protagonista Jacob Rivers. Proprio come in
un film di Hollywood, Rivers è la recluta di turno che segue il gruppo della
resistenza con un destino speciale tutto da scrivere. A rendere ancora più
misterioso il cammino dell’eroe c’è poi l’Estraneo, un uomo misterioso che guiderà
i giocaotori nella battaglia, rivelandosi uno scrigno di sapere su tutto ciò
che riguarda la guerra scatenata dalle macchine. Nel corso della storia, viene
data la possibilità di compiere delle scelte, che si limitano ad essere piccoli
bivi narrativi che non fanno altro che sbloccare alcune scene extra, ma che
fondamentalmente non cambiano l’evoluzione della storia. Uno degli aspetti
implementati e coinvolti da queste scelte sono i rapporti con i vari protagonisti
della storia e la conquista o meno della loro fiducia. Il grado di fiducia
crescerà grazie al compimento di una serie di missioni secondarie, quasi tutte
esonerate da specifici combattimenti, se non quelli emergenti con i vari ragni
robot, o HK volanti o di terra, e volte alla ricerca di rifornimento,
medicinali o informazioni sensibili.

A livello di gameplay Terminator: Resistance si presenta
come uno sparatutto in prima persona senza tanti fronzoli, ma le dinamiche
messe in opera dal team Teyon, lo fanno assomigliare per certi versi a un
action-stealth dalle dinamiche piuttosto scarne. Nonostante la guerra scatenata
da Skynet e lo scenario apocalittico costellato di macerie, infatti, sono rare
le scene particolarmente concitate degli scontri a fuoco. Soprattutto nelle
fasi iniziali, dove non avendo la disponibilità di armi sofisticate per
abbattere i robot, bisogna cercare di farsi notare il meno possibile. Per fare
ciò basterà nascondersi dietro i rottami delle autovetture, dietro dei muri,
insomma mettersi al riparo dietro a qualsiasi elemento presente nello scenario
per non farsi scoprire dai robot. Ovviamente, laddove si preferisca affrontare
le macchine in scontri diretti, è sempre possibile imbracciare il fucile e
sparare, ma optare per questo tipo di approccio risulta sempre essere
pericoloso e, a parere nostro, meno divertente. In Terminator Resistance
purtroppo è presente un gameplay davvero scarsamente calibrato in termini di
sfida: si passa da un approccio stealth praticamente obbligato delle prime tre
ore di gioco, a uno sparatutto quasi di natura arcade dove chi gioca è
praticamente invincibile grazie alla dotazione del fucile al plasma.
L’intelligenza artificiale dei Terminator, inoltre, non fa altro che rendere
tutto più facile, poiché oltre a non individuare il protagonista nelle
immediate vicinanze quando si nasconde, la loro offensiva è piuttosto bassa e
inconsistente rispetto a quella di Rivers. Tutto questo è molto divertente
all’inizio, ma andando avanti nella storia il livello di sfida è davvero molto
basso e purtroppo il titolo si riduce a un’avventura semplice e dalle dinamiche
piuttosto elementari. A rendere le cose ancora meno interessanti in questo Terminator
Resistance ci pensa lo schema ridondante delle missioni, che mette in scena un
percorso da seguire attraverso gli indicatori da raggiungere ingaggiando le
macchine che ostacolano il cammino dell’eroe. Le aree da esplorare sono anche
piuttosto limitate a dispetto dello scenario proposto in modo illusorio e
fortemente limitato da rottami che mascherano barriere invisibili e in
definitiva percorsi predeterminati. Il gioco prova a introdurre alcune
meccaniche vincenti come il crafting con i tessuti, le armi e i pezzi di
memoria di Skynet che si possono trovare nel corso dell’avventura. Questi
comp0onenti permettono di aumentare il livello di Jacob e aumentare anche le
capacità di scassinamento delle porte o di hacking dei dispositivi. Per quanto
riguarda il potenziamento delle armi, Rivers è protagonista di un ulteriore
minigioco, dove dovrà far combaciare una serie di chip per implementare la
potenza di fuoco o la precisione. Si tratta di espedienti sicuramente non
originali, ma che almeno riescono a donare un pizzico di varietà all’eccessiva
linearità delle missioni.

A livello grafico Terminator Resistance offre un comparto sicuramente
gradevole, ma comunque sotto la media, con scenari ben realizzati, ma con pochi
elementi e spesso troppo ripetuti. Inoltre, i modelli utilizzati sembrano
rifarsi almeno alla scorsa generazione, troppo scarni di particolari e
piuttosto rigidi nei movimenti. Inoltre i colpi sparati che non si capisce bene
dove vadano a segno e una scarsa varietà dei nemici, rendono l’esperienza di
gioco davvero poco soddisfacente. Dal punto di vista sonoro fortunatamente le
cose sono decisamente migliori grazie a un buon doppiaggio in italiano ed
effetti sonori per gli spari e le esplosioni di buon livello, ma a rendere il
comparto audio davvero notevole ci pensano i motivi musicali, che offrono alcuni
rimandi al tema originale del film. Tirando le somme, questo Terminator
Resistance si presenta come un titolo che può essere apprezzato solo dai veri
fan di Terminator o dai giocatori più giovani. Diciamo questo in quanto l’estrema
facilità di gioco, la povertà di dettagli e particolari, l’IS dei nemici veramente
ridicola e un gameplay davvero troppo elementare potrebbero far storcere il
naso a chi si aspetta qualcosa davvero in grado di stupire. A nostro avviso il
lavoro del team Teyon non rende giustizia al potenziale che il brand racchiude.
Tutto (musiche a parte) poteva esser fatto meglio, ma purtroppo il risultato
finale è un titolo poco coinvolgente e che sembra sviluppato in tutta fretta. Il
nostro consiglio? Se proprio volete acquistarlo provatelo o almeno
documentatevi su YouTube.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 6

Sonoro: 8,5

Gameplay: 6

Longevità: 6

VOTO FINALE: 6,5

Francesco Pellegrino Lise