Street Fighter 6, il 22enne “Garnet” rappresenterà l’Italia nelle finali mondiali del “Red Bull Kumite” a New York

Si è concluso ieri sera (sabato 9 marzo) il Red Bull Kumite, torneo internazionale del famosissimo picchiaduro Street Fighter 6 che ha infiammato le splendide sale di Palazzo Brancaccio a Roma. Dopo una serie di incontri memorabili, Andrea Parlangeli, in game “Garnet”, si è aggiudicato la vittoria, conquistando il titolo di Campione Nazionale e il diritto, a soli 22 anni, di rappresentare l’Italia alla finalissima mondiale del 17 marzo a New York. L’unico obiettivo dei tantissimi partecipanti è stato quello di conquistare il titolo di Campione Nazionale e la conseguente possibilità di rappresentare l’Italia alla finale mondiale di Red Bull Kumite a New York. Dopo una serie di scontri di altissimo livello, “garnet” è riuscito a staccare il biglietto per la finalissima che si terrà presso il Greenpoint Terminal Warehouse di Brooklyn. Ricordiamo che il giovane player milanese con grinta e determinazione ha avuto la meglio su oltre 100 partecipanti. Il torneo tricolore, seguito dal commento tecnico di Maurizio Merluzzo, Giananyeah e Cydonia e trasmesso da RoundTwo, si è rivelato un evento senza precedenti, ricco di scontri emozionanti e di colpi di scena che hanno confermato l’altissimo livello dei partecipanti in gara. La fase finale, che ha visto sfidarsi i migliori 8 player del torneo, ha regalato emozioni uniche, lasciando i tantissimi spettatori con il fiato sospeso. Dopo una serie avvincente di 1 vs 1 all’ultimo KO, sul podio si sono posizionati Fabio “Mr. Wolf” Zaniol con Jamie al 3° posto, Leandro “Geeck-O” Vilardo con la sua resiliente Cammy al 2° posto e Andrea “Garnet” Parlangeli con un insidioso Dhalsim al primo posto, portando a casa il titolo di Campione dopo un sensazionale Reset 3 a 0. Con la sua vittoria, Garnet si prepara ora a solcare un palcoscenico globale e a rappresentare la nostra nazione nella fase finale negli USA. Questo esclusivo evento dal sapore internazionale, sarà un’occasione irripetibile per i 16 giocatori provenienti da tutto il pianeta di dimostrare il loro talento e la loro passione, vivendo un’esperienza indimenticabile e in pieno stile Red Bull. Giunto alla sua nona edizione, il Red Bull Kumite è ormai diventato il torneo di riferimento per gli appassionati di videogiochi di tutto il mondo e, in particolare, l’evento di punta all’interno del panorama competitivo dei picchiaduro. Dopo aver fatto tappa in Paesi come l’Africa, il Giappone e l’Inghilterra, il ring di Red Bull Kumite è pronto a fare ritorno negli Stati Uniti per decretare chi sia il giocatore più forte al mondo di Street Fighter 6 e per confermare ancora una volta il supporto di Red Bull al panorama “eSportivo” globale. Non resta altro che aspettare il giorno del torneo e tifare tutti Garnet per far sì che l’Italia trionfi in un settore giovane, per il nostro Paese, ma che fortunatamente sta sempre più prendendo piede.

Francesco Pellegrino Lise




MW3 season 2 reloaded, ancora più contenuti per lo shooter Activision

La Stagione 2 Reloaded di Modern Warfare 3 e Warzone è arrivata con una pioggia di nuovi contenuti il 6 marzo su tutte le piattaforme. Tra le principali novità di questa mid-season troviamo due nuove armi da aggiungere al già nutritissimo elenco disponibile. Le nuove compagne di avventura si chiamano Soulrender e SOA Subverter. La prima è un’arma da mischia, mentre il SOA Subverter è un’arma mid range. Presenti anche nuovi bundle nello store (tra cui nuovi crossover con Warhammer 40.000, Godzilla x Kong e Dune) e nuove sfide settimanale per accumulare ricompense extra.

Stagione 2 Reloaded: tutte le novità per Call of Duty Warzone

– Vascello di ricerca, POI mobile. Arriva un nuovo punto di interesse mobile: il vascello di ricerca su Fortune’s Keep. Questo sarà presente presso le cose dell’isola.

– Nuova serie di uccisioni. Liberare gli edifici e i nemici trincerati non è mai stato così divertente (e devastante) grazie a un nuovo attacco aereo

– Nuovo potenziamento da campo. La Stazione di decontaminazione da campo permette ai giocatori di creare una zona sicura nel gas. Il potenziamento protegge gli operatori all’interno della sua area di effetto.

Call of Duty: Modern Warfare III, le novità del multiplayer

– Nuova mappa multigiocatore 6v6 (rimasterizzata). Dal freddo nome di Das Haus, la nuova mappa presenta un’ambientazione inedita, comprensiva di una struttura di allenamento sulla cima di un grattacielo.

– Bounty, Juggermosh. Per ottenere punti extra bisognerà eliminare l’HVT in Bounty. Il tutto nei panni di un Juggernaut (peraltro palesemente ispirato agli Space Marine) nella modalità a tempo limitato Juggermosh.

– Vortex: Decay’s Realm. Sarà possibile schierarsi nel Vortex con un pool di mappe ampliato con le nuove varianti Skidgrow e Airborne.

Novità anche per la modalità Zombi

– Nuova missione. Continua il viaggio al fianco di Sergei Ravenov con una nuova missione nell’Etere Oscuro.

– Spaccatura dell’Etere Oscuro. Una nuova frattura spazio-temporale permetterà ai giocatori di fare squadra per conquistare (ancora una volta) l’Etere Oscuro

– Nuovo boss. Arriva Keres, un nuovo Signore della Guerra che entra ufficialmente nella Zona di Esclusione. Keres è uno specialista della guerra chimica, ed è disposto a usare qualsiasi mezzo necessario per soffocare gli Operatori avversari.

– Nuovi schemi. Sarà possibile sparare con Mags of Holding, evocare una due ruote ultraterrena con la Blood Burner Key ed espandere la propria squadra con la V-R11 Wonder Weapon.

Insomma, anche questa volta Activision ha pensato ai suoi fan lanciando tutta una serie di contenuti gratuiti e a pagamento per far si che il suo shooter risulti sempre fresco e innovativo.

Francesco Pellegrino Lise




Skull and Bones, la pirateria secondo Ubisoft

Skull and Bones è l’ultimo gioco di Ubisoft a tema piratesco che è giunto sulle piattaforme di nuova generazione e Pc a 7 anni dal suo annuncio. Nonostante il titolo sia giocabile da soli, seguendo le tappe di una campagna costituita da quest di vario genere, Skull and Bones è un prodotto che richiede necessariamente una connessione a internet e un account Ubisoft: chiavi di un mondo che per forza di cose bisogna condividere con altri corsari in carne e ossa. Alcuni gradiranno questa scelta, altri meno, perché se da un lato è un modo efficace per rendere più vivo un titolo open world altrimenti abbastanza spoglio, dall’altro espone gli esploratori più arditi a situazioni potenzialmente sgradevoli. Ci riferiamo ovviamente alla possibilità di essere affondati da altri giocatori che, complice l’assenza di un sistema di matchmaking diviso per livelli, potrebbero risultare sostanzialmente imbattibili, poiché alla guida di un vero e proprio vascello inarrestabile. Sebbene le attività offerte dall’avventura “in singolo”, tra quest principali e diversioni secondarie, siano tendenzialmente meno traumatiche, anche la rotta stabilita da Ubisoft porta con sé un pericolo da non sottovalutare: la noia. Il racconto messo in piedi dallo studio si muove infatti fra sviluppi blandi e personaggi del tutto poco caratterizzati, e pertanto fatica a mantenere vivo l’interesse dell’utente nei confronti del mondo in cui si trova, malgrado l’indiscutibile fascino di una cornice narrativa ispirata all’età d’oro della pirateria. Ma veniamo alla trama: il gioco ha inizio quando il protagonista, che può essere creato da chi gioca attraverso un editor che non brilla per varietà, sopravvive al naufragio di una nave che faceva parte della flotta del temibile bucaniere Scurlock. Chi gioca inizia la sua avventura con un preciso obiettivo: riconquistare la fiducia del suo signore e scalare i ranghi della fazione di Sainte Anne. Alla guida di una piccola imbarcazione e di una ciurma assai modesta, bisogna far crescere la propria leggenda a suon di scorribande, nel tentativo di aggiungere il proprio nome all’elenco dei più temibili filibustieri che solcano e terrorizzano le acque dell’Oceano Indiano.

Scopo principale in Skull and Bones è accumulare “infamia”, cioè esperienza, per far si che l’ascesa da topi di sentina a grassatori, fino ai gradi più alti della gerarchia piratesca avvenga nel modo più veloce possibile. Più si aumenta di livello, maggiore è la quantità di missioni a propria disposizione, e allo stesso modo aumenterà anche il grado di sfida delle attività proposte. Sfortunatamente, però, la varietà complessiva dell’offerta non segue lo stesso percorso incrementale, e nel giro di una manciata d’ore tutti le tipologie d’incarico vengono svelate. Dagli assalti agli avamposti, all’annientamento di navi di questo o quello schieramento, passando per missioni di raccolta e consegna di risorse di vario genere, purtroppo la rosa di attività disponibile non fa gridare al miracolo. Molti obiettivi sono in effetti simili tra loro, e sia che si debba dare la caccia ad un corsaro, o che sia necessario rubare scorte da avamposti o navi francesi, le dinamiche sono perlopiù sempre le medesime. Anche l’iter per attivarle non cambia mai di una virgola: si accetta la quest parlando con un personaggio non giocabile o interagendo con apposite bacheche, si salpa alla volta dell’obiettivo, e infine si spara qualche cannonata per poi fuggire col bottino nella stiva, pronti a fare rapporto e chiudere il contratto. Questa ripetitività di fondo finisce con l’appesantire il gameplay di Skull and Bones in tempi relativamente brevi, fino alla soglia di un endgame non proprio esaltante, che consiste nel fare incetta costante di denaro e materiali per accrescere il proprio prestigio piratesco. In alternativa è possibile lanciarsi in alcune attività cooperative, le cosiddette “missioni globali”, che richiedono di riunirsi in piccole flotte da tre giocatori al massimo sia per abbattere un mostro marino, che per espugnare una fortificazione resistendo alle bordate di vascelli e postazioni di difesa. Insomma, come avrete capito all’inizio le cose sono molto divertenti, ma purtroppo la varietà non è il cuore pulsante di questo Skull and Bones. Tornando agli imprevisti che possono presentarsi nella proposta multigiocatore del titolo di Ubisoft, si può sottolineare che questi possono offrire ai giocatori una gradita deviazione dalle routine ludiche proposte dal titolo in campagna: sebbene il rischio di venir depredati lungo la rotta non vada sottovalutato, capita anche di ritrovarsi a stringere qualche insperata alleanza per far fronte comune contro giocatori ostili per ribaltare le sorti di una battaglia data per persa. A tal proposito, sarebbe stato davvero bello se il team di sviluppo avesse reso più semplice la comunicazione tra gli utenti: in assenza di un sistema di chat, gli unici strumenti per comunicare con gli altri player al di fuori della propria cerchia di amici sono i fuochi di segnalazione che possono essere sparati durante la navigazione, o le emote eseguibili dal proprio alter ego virtuale. Tutto questo è un po povero e rende le comunicazioni fra players davvero ostiche e macchinose.

Nonostante il generale senso di povertà contenutistica però Skull and Bones offre un sistema di gameplay appagante e che sicuramente punta a divertire gli amanti dei titoli arcade. Il sistema di navigazione, ad esempio, a nostro avviso rappresenta una delle features meglio riuscite della produzione: raggiungere il luogo dove si svolgerà una contesa valutando la rotta più efficace, ma anche evitando le fazioni che, a causa dei ripetuti assalti, inizieranno a sparare a vista è davvero molto appagante. In parte è proprio così, e per le prime ore di gioco sono necessarie per apprendere al meglio le regole del mare: si impara a scegliere chi combattere e chi no, a condurre efficacemente la nave, a navigare sottovento e a gestire la “stamina” della ciurma. La mancanza di vento a favore, poi, può al massimo rallentare un po’ lo svolgimento delle missioni, causando una folata di noia passeggera dovuta alla scarsa velocità dovuta alla lentezza per arrivare all’obbiettivo. Bisogna poi considerare che ogni vascello può dispiegare o ritrarre le vele per aumentare la velocità di navigazione, sfruttando o meno un boost che consuma una barra apposita, il cui riempimento può essere accelerato fornendo cibo e alcolici all’equipaggio, o accendendo i falò nascosti presso alcuni accampamenti. Restando in tema di aspetti positivi, la personalizzazione “funzionale” della nave comprende un numero davvero ampio di opzioni: tra scafi più resistenti, accessori che aumentano le statistiche e bocche da fuoco, è difficile non restare appagati dalla varietà offerta da Skull and Bones, almeno su questo specifico fronte. Una volta scelto l’assetto al porto, la visuale per effettuare le missioni è in terza persona, quindi alle spalle della propria nave, alternata con una sorta di “prima persona sugli armamenti” posti a prua, poppa, babordo e tribordo. In questo modo si può mirare più facilmente ai punti deboli delle navi nemiche sparando come dei dannati cannonate, colpi di mortaio, razzi e siluri. Volendo adottare un approccio più da vicino, è possibile anche speronare o abbordare le imbarcazioni nemiche. Purtroppo il saltare sulla nave avversaria però risulta ben meno appagante di quanto ci si aspetti in quanto non è possibile controllare direttamente l’assalto, e il tutto si esaurisce in pochi secondi e senza interventi pratici da parte del giocatore. Al netto della pregevolezza del sistema di personalizzazione, ben presto ci si rende conto quanto relativo sia il suo peso nel bilancio del gameplay, perché ciò che conta davvero è aver raggiunto il giusto livello per una determinata missione, e avere in stiva tante munizioni, cibo e kit di riparazione. Al pari delle meccaniche di navigazione, quelle di combattimento non sono particolarmente articolate ed esaltanti: si mira e si spara, stando giusto attenti al movimento relativo degli avversari rispetto a noi, al tempo di “arrivo” dei proiettili e alla loro parabola. Non c’è deviazione dei proiettili in base al vento, o simili guizzi di complessità. Persino nel PVP l’abilità al timone, la conoscenza del territorio, la mira e la scelta del mezzo contano solo relativamente: sono i numeri a parlare, prima delle capacità manuali. Le battaglie si fanno un minimo più complesse solo contro i così detti “Pirate Lords” nell’endgame, o se a voler dare battaglia ci sono giocatori reali con navi ottimizzate e tutte le opzioni offensive e difensive sbloccate. Anche la scelta del percorso più veloce verso gli obiettivi si fa via via meno rilevante, non a causa della presenza del viaggio rapido, che si paga in valuta di gioco, fra avamposti, ma anche perché ci si rende conto che la rotta migliore da percorrere è praticamente sempre in linea retta. Infatti per raggiungere ogni luogo basta semplicemente girare intorno alle isole minori, e attraversare le più grandi viaggiando sui corsi d’acqua interni. In teoria ci sarebbero navi più agili preposte per questo tipo di navigazione, ma non servono quasi mai e ce la si fa pure con quelle di medie dimensioni. La scelta del veliero è rilevante per davvero, ma solo in minima parte, solo se si vuole combattere, perché un Blaster e un Bombardiere hanno capacità, tipi di bocche da fuoco e manovrabilità diverse da una velocissima Sentinella o dal più semplice Bedar, che si sblocca subito dopo il tutorial e che si guida per la maggior parte delle ore iniziali. Per ottenere tutti e 9 i tipi di navi presenti in Skull And Bones basta avanzare nella trama o comprare dai mercanti in giro per la mappa il progetto per ciascuna nave, che andrà poi costruita nell’hub centrale, il porto di Sainte Anne, con i materiali raccolti durante i viaggi.

Per quanto riguarda l’aspetto grafico: il livello di dettaglio delle navi, dei loro arredi e degli armamenti è di buon livello, così come anche l’estetica del mondo di giochi. Capita spesso infatti di restare incantati di fronte a scorci di particolare bellezza navigando tra i flutti dell’Oceano Indiano. Anche le tempeste che talvolta scuotono le acque con onde alte quanto l’albero maestro sono bellissime da vedere e spaventose, in un tripudio di fulmini che riempiono l’aria di sinistri bagliori e temibili rombi. La mappa del mondo poi è ben realizzata e illustrata, anche se ben presto è destinata a riempirsi di segnalini e indicatori che ne migliorano la leggibilità, intaccandone però la piacevolezza estetica. Il menù delle missioni è ben organizzato e consente di tracciare con precisione ogni obiettivo, nonché di scovare punti di raccolta utili a rimpolpare le scorte di materiali. La maggior parte delle risorse, vista la natura arcade di Skull and Bones, si può ottenere senza lasciare l’imbarcazione, semplicemente avvicinandosi alla costa e risolvendo un rapido mini gioco. In alternativa si può decidere di acquistarle da falegnami, mercanti e personaggi vari, scendendo a terra ed esplorando aree e accampamenti “a piedi”. Nessuna delle attività previste in questa modalità offre però soddisfazioni degne di nota: le mappe degli avamposti sono strutturate come corridoi più o meno lunghi e ben poco stimolanti, con solo qualche oggetto da raccogliere e una manciata di negozianti con i quali interagire. Al massimo, può capitare di incappare in un tesoro sepolto, che si tira fuori dalla sabbia a mani nude in appena un secondo con la pressione di un pulsante. In coppia con le scene d’intermezzo, fin troppo legnose e poco realistiche, le visite sulla terraferma sono anche le sezioni meno riuscite dal punto di vista grafico: la qualità di texture, animazioni e modelli appare infatti notevolmente inferiore rispetto alla media degli elementi che concorrono alla resa delle scene in mare aperto. Allo stesso modo la personalizzazione del protagonista e del suo vestiario cede vistosamente rispetto a quella della nave, tanto da apparire come un inserto appena abbozzato. Meno debole è invece il comparto sonoro, ricco di elementi che contribuiscono efficacemente al coinvolgimento dei giocatori. I canti intonati dalla ciurma mentre si solcano le onde sono davvero fantastici e tutti effetti sonori ci sono sembrati ben realizzati: gli scricchiolii del ponte, le corde che si tendono, l’acqua che si infrange sulla carena e le esplosioni dei cannoni vi faranno sentire sempre come se si stia viaggiando veramente su una nave pirata. La mancanza del doppiaggio in italiano pesa ulteriormente sul generale gradimento da parte di chi non mastica bene l’inglese in quanto gli accenti utilizzati dai vari comprimari sono diversi, e tutto ciò rende arduo comprendere ogni singola parola che viene pronunciata sullo schermo senza dover attivare i sottotitoli. Tirando le somme, questo Skull and Bones è un titolo che sicuramente è destinato a divertire il pubblico, ma la domanda è: per quanto tempo? La mancanza fin troppo evidente di attività e contenuti unita alla natura arcade fanno si che il titolo appaia fin troppo debole se paragonato ad altri esponenti del genere piratesco.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 7,5

Gameplay: 7

Longevità: 6,5

VOTO FINALE: 7

Francesco Pellegrino Lise




Lenovo svela il suo portatile trasparente al Mobile World Congress

Lenovo non smette mai di stupire e mette in mostra tutte le sue ultime novità del settore aprendo la strada verso un futuro dove al centro di tutto c’è sempre l’IA. Come da attese, infatti, l’intelligenza artificiale la fa da padrone al Mobile World Congress di Barcellona. La fiera iberica della tecnologia accoglie nuovi computer dotati di IA, tra cui quelli marcati Lenovo. Ad aprire le danze è un prototipo, Lenovo ThinkBook Transparent Display Laptop Concept, che monta un display trasparente da 17,3 pollici. Attraverso uno schermo senza bordi, un’area della tastiera trasparente e contenuti in tre dimensioni, la promessa è quella di portare agli utenti delle esperienze immersive, come quelle che potrebbe un giorno veicolare il metaverso. Proseguendo sulla strada della tecnologia che incontra il design, insieme alla controllata Motorola, Lenovo ha mostrato un concept di display adattivo per smartphone che può essere piegato e modellato in forme diverse a seconda delle esigenze degli utenti. Saranno pronti presto per la commercializzazione i vari ThinkPad T14 i Gen 5, ThinkPad T14s Gen 5, ThinkPad T16 Gen 3, ThinkPad X12 Detachable Gen 2 e ThinkBook 14 2-in-1 Gen 4. Tutti computer per uso professionale, che ottimizzano gli strumenti di intelligenza artificiale del marchio e di Microsoft, la cui piattaforma Windows 11 è già ben calata nel mondo IA di Copilot. L’azienda comunicherà in seguito prezzi e disponibilità per il mercato italiano. Sempre in tema AI, Lenovo ha anche annunciato la nuova generazione di soluzioni Integrated Edge AI per gli operatori di telecomunicazioni, che permette di elaborare molti più dati consumando al tempo stesso meno energia.

F.P.L.




Persona 3 Reload, il remake che ci voleva

Persona 3 Reload è l’attesissimo remake di uno dei capitoli più iconici della serie di Atlus. Il titolo è disponibile su Pc e sulle console Microsoft e Sony dal 2 febbraio. Il fatto che ad oggi Persona 3 sia uno tra i capitoli più apprezzati dall’utenza, al punto da essersi guadagnato questo scintillante remake, è un segno tangibile della sua capacità di uscire dagli schemi e di mostrare fino a che punto i GDR giapponesi possano essere coinvolgenti. Per tantissimi appassionati questo capitolo è stato il vero inizio della popolarità della serie Persona e la base fondamentale su cui tutti i giochi successivi sono stati costruiti. Un potenziale del genere modernizzato per l’utenza attuale rende quindi Persona 3 Reload più interessante che mai: l’originale, per quanto affascinante, aveva varie pecche strutturali derivanti un po’ dall’anno di sviluppo e un po’ da ciò che era la visione generale dei JRPG dei primi anni 2000; superare queste mancanze poteva in teoria portare un semplice remake a raggiungere, se non addirittura superare l’eccellente Persona 5. Oggi dunque, dopo aver riaffrontato per decine di ore questa incredibile avventura, siamo qui per dirvi se gli sviluppatori di Atlus sono effettivamente riusciti nell’impresa di trasformare un remake in un’opera degna del capitolo più attuale. La costruzione della trama di Persona 3 è senza ombra di dubbio il suo centro nevralgico e proprio da questo aspetto che infatti tutto si dipana. L’intera storia gira attorno a tematiche estremamente cupe e di difficile discussione come la depressione e il suicidio, e l’immaginario generale non è altro che un palco su cui si muovono personaggi di rara profondità, che ancora oggi molti considerano tra i più “umani” e riusciti dell’intera saga. Certo, il titolo ha diversi anni sulle sue spalle e non mancano gli inciampi tra i suoi testi, ma nonostante ciò riesce ancora una volta ad avere un forte ascendente su chiunque lo giochi, specialmente verso le fasi finali. In Persona 3 Reload il team di sviluppo aveva vari approcci a disposizione per rendere il gioco più attuale: limitarsi ad ampliare la campagna originale per delinearla meglio senza grandi mutamenti, o stravolgere le parti di trama meno riuscite per perfezionarle. La scelta è stata quella conservativa, tanto che la stragrande maggioranza degli eventi sono pressoché immutati. Questa cosa vale anche per i Social Link meno riusciti. Per chi non conoscesse la serie Persona, i Social Link sono legami stretti dal protagonista con vari personaggi che incontra durante l’avventura, rapporti che è necessario coltivare in modo strategico per ottenere più vantaggi possibile, cadenzando a dovere le proprie attività durante le giornate di un calendario che avanza senza sosta. Queste sono tutte sottotrame curiose sviluppate man mano e sanno a volte essere anche molto piacevoli, eppure non tutte sono allo stesso livello… difatti in Persona 3 ne sono rimaste un paio tristemente note per dare spazio a personaggi tutt’altro che apprezzabili. A rigiocare oggi questo remake, si nota come alcune delle scelte dei dialoghi dei Link siano ancora piuttosto ottuse e immotivate, e questi si sviluppino in modo a dir poco irritante per poi regolarsi solo nelle fasi finali del Link. Proprio a riguardo possiamo dire che a nostro avviso sarebbe stato necessario un intervento un po’ più deciso su determinati avvenimenti, ma possiamo capire anche i motivi che hanno portato il team a non correre eccessivi rischi con i fan. Come abbiamo già scritto in Persona 3 Reload si è cercato di restare molto fedeli al titolo originale, senza sconvolgere la trama e gli aspetti che hanno reso noto il brand. Il gioco in pratica è stato farcito di Link Episodes extra ed eventi in più che approfondiscono motivazioni e caratteri dei personaggi primari e aggiungono un pizzico di chiarezza ad alcune delle loro azioni. Non si tratta di contenuti aggiuntivi titanici, ma in ogni caso restano apprezzabilissimi e donano ancor più forza a certi momenti del gioco.

Per quanto riguarda il gameplay, l’intervento svolto è ben evidente agli occhi di chi già conosce la serie, al punto da trasformare la formula di Persona 3 Reload in una sorta di copia carbone di quella vista in Persona 5. Mantenere le risorse rappresenta uno degli aspetti più importanti della produzione, infatti la classica necessità di tenere d’occhio gli SP, ovvero i punti necessari a usare le abilità di ogni combattente veste un ruolo principe. Anche qui, come nell’ultimo gioco della saga, questi sono preziosi e rigenerabili per lo più attraverso l’uso di consumabili, tanto che l’esplorazione senza problemi del dungeon principale non dipende tanto dalla difficoltà dei nemici, quanto dalla capacità del giocatore di eliminarli spendendo il meno possibile della risorsa. Dal canto suo, l’affaticamento è del tutto scomparso e non influenza più in alcun modo i combattimenti, così come le meccaniche principali sono state modificate per supportare maggiormente il nuovo sistema. Il combat system adesso gira prevalentemente di più attorno alle debolezze nemiche e alla gestione risorse. Con un po’ di esperienza, comunque, è possibile imparare a diventare pressoché inarrestabili. I compagni ad esempio, seppur possano venir fatti combattere in automatico con varie routine comportamentali, ora sono utilizzabili da subito manualmente senza problemi, per favorire il controllo del cosiddetto “One More System” alla base del combattimento dei Persona. Detto in soldoni, si tratta di un insieme di meccaniche concettualmente vicino al Press Turn System dei Megami Tensei, ma generalmente più accessibile e diretto, che permette di stordire i nemici se li si colpisce con un elemento o un tipo di attacco fisico a cui sono deboli, ottenendo così un turno aggiuntivo, e di far partire delle potenti esecuzioni ad area quando li si stordisce tutti in serie. Le debolezze sono così centrali nel sistema che le battaglie base vengono rese una passeggiata di salute nel momento in cui le si svela (solitamente vengono scoperte dopo un paio di tentativi), e la lotta dopo un po’ di pratica inizia a diventare più quella contro i dungeon esplorati che contro gli avversari veri e propri. Questo rappresenta un netto miglioramento rispetto all’idea base e rende molto più variegate le battaglie in Persona 3 Reload, ma anche in questo caso il cambiamento è stato implementato con qualche fastidioso errore di calcolo. Se infatti la gestione delle risorse risulta abbastanza complessa nella prima metà del gioco, le cose iniziano a farsi incredibilmente più semplici da regolare non appena si ottengono Persona dotate di attacchi fisici sufficientemente potenti, i poteri di scansione di Fuuka Yamagishi, o si iniziano a recuperare oggetti che rigenerano SP a rotazione. A facilitare ulteriormente l’esperienza, poi, ci pensano due nuove meccaniche: lo Shift e la Teurgia, con quest’ultima che a nostro parere arriva a rendere letteralmente sbilanciate vero il giocatore alcune battaglie. La sfida reale in questo Persona 3 Reload, insomma, resta principalmente solo quando si affrontano le battaglie principali alle difficoltà più alte, quelle legate direttamente a certi momenti della campagna che mettono il gruppo contro boss estremamente resistenti, da affrontare di solito con tattiche precise per non perire. Anche tra gli avversari della Monade ci sono scontri capaci di far sudare, ma tutto il resto risulterà una passeggiata di salute per chiunque abbia un minimo di esperienza con il genere. È un peccato secondo noi: una difficoltà più cattivella avrebbe reso le fasi più avanzate del Tartaro più godibili e meno ripetitive. L’intento invece qui sembra esser stato quello di dare al giocatore più strumenti possibili per affrontare gli scontri in libertà, senza preoccuparsi troppo dei veterani della serie.

Persona 3 Reload è, come già detto sopra, un’opera molto rispettosa del materiale originale. Il team di sviluppo è riuscito incredibilmente a preservare le atmosfere e il tono del racconto in maniera perfetta, aggiungendo nuove scene che andranno ad arricchire la narrazione e la caratterizzazione dei vari personaggi. La sensazione che abbiamo avuto durante l’intera prova è stata quella di giocare ad un titolo dei primi anni 2000, ma in veste moderna. Emozione che poche produzioni, al giorno d’oggi, riescono a restituire. Il comparto grafico e la direzione artistica sono di assoluta eccellenza: la prevalenza del colore blu, nei bellissimi menu a comparsa e nelle transizioni di battaglia, accompagnano gli sforzi di un engine che in modo fluido ed elegante dà forma alle scorribande dei SEES all’interno del Tartaro. Nei titoli della saga ATLUS la colonna sonora riveste un ruolo di particolare importanza, al pari con l’art design. Il lavoro fatto in tal senso da parte del team di sviluppo è assolutamente di grande pregio, seppur con qualche piccola criticità: tornano infatti alcuni dei pezzi più iconici del terzo capitolo, come l’eccezionale “When the moon’s reaching out stars” e il galvanizzante “Mass Destruction”, affiancati da nuove tracce per le imboscate e l’esplorazione notturna, rispettivamente “Its going down now” e “Color your night”. I nuovi brani sono sicuramente di impatto e gradevoli all’ascolto, con qualche piccola contaminazione jazz che fa ripensare alle atmosfere di Persona 5. Apprezzabilissimo è il coinvolgimento, sia per il rifacimento dei brani originali che per i nuovi, del rapper Lotus Juice, che contribuirà a far sentire a casa i fan più accaniti del titolo. Meno convincente, tuttavia, la performance della vocalist Azumi Takahashi, che sostituisce in Reload la cantante originale Yumi Kawamura. La sua voce, estremamente limpida e intonata, manca certe volte del mordente rock tipico dell’originale, specialmente nel riaffrontare gli iconici brani del passato. La musicista giapponese risulta molto più a suo agio, invece, nelle nuove tracce inedite, sicuramente più adatte al suo timbro vocale e al suo modo di interpretare i testi. Detto questo, il comparto audiovisivo del gioco è tra i più appaganti e meglio congegnati del moderno panorama JRPG, e non mancherà di stupire sia il nuovo appassionato che il giocatore di vecchia data. Tirando le somme questo Persona 3 Reload è senz’ombra di dubbio un titolo interessante, che amplia le possibilità offerte dal gioco originale e le eleva verso un generale sintomo di completezza. La direzione artistica sopraffina, un comparto sonoro d’eccellenza e un maggiore approfondimento dei protagonisti della vicenda pongono questo remake tra i migliori esponenti della saga. Le sequenze di gameplay ambientate nel Tartaro avrebbero beneficiato di qualche guizzo creativo in più in grado di spezzarne la ripetitività, ma ad ogni modo ci troviamo di fronte a un acquisto obbligato per ogni amante della saga. A nostro avviso questo remake di Persona 3 è un titolo in grado di accontentare tutti, sia che siate nuovi della serie, sia che abbiate giocato al capitolo originale, infatti, vi troverete dinanzi a un’opera incredibile.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 9

Gameplay:8,5

Longevità:8

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise




TikTok al centro di una nuova sfida fra minori, l’Agcom fa rimuovere i video

TikTok ancora una volta protagonista di un brutto episodio che vede purtroppo i minori come protagonisti. A seguito dell’intervento di Agcom il social ha rimosso gli ultimi video presenti sulla piattaforma relativi alla cosiddetta “cicatrice francese”. Per chi non ne fosse ancora a conoscenza, tale challenge fa parte di tutta una serie di sfide tra giovanissimi al limite dell’autolesionismo. Questa volta il video prevedeva lo stringersi continuamente e con violenza la pelle delle guance fino a procurarsi ematomi sugli zigomi. “Questo è il primo provvedimento – informa Agcom – in applicazione del nuovo regolamento sulle piattaforme, attuativo del TUSMA, in base al quale Agcom può limitare la circolazione di video nocivi per i minori”. Un portavoce di TikTok ha affermato riguardo al fatto: “Questa categoria di contenuto non era una tendenza sulla nostra piattaforma, e avevamo già adottato misure a riguardo, tra cui impedire che venisse raccomandata agli utenti attraverso la pagina dei Per Te o fosse accessibile ai minori di 18 anni. Pertanto, sosteniamo pienamente le azioni fin qui intraprese. Tuttavia, in seguito all’interazione con Agcom, abbiamo deciso di oscurare questi sei video in Italia, anche se non violano le nostre Linee Guida della Community, le quali vengono applicate rigorosamente per garantire la sicurezza della nostra comunità”. Ancora una volta i social sono stati protagonisti di un nuovo episodio folle che coinvolgeva i minori. Fortunatamente l’intervento dell’Agcom ha reso possibile il blocco di questi contenuti, ma a quanto pare le misure adottate fino ad oggi risultano ancora esigue. Per tutelare i minorenni tali contenuti dovrebbero essere bloccati a pochi secondi dalla loro pubblicazione (non solo su TikTok ma su tutte le piattaforme social). La speranza per il futuro è che ci possa essere una maggiore sorveglianza e nei casi più gravi provvedimenti seri per chi diffonde contenuti pericolosi.

F.P.L.




MW3 ancora più ricco con l’arrivo della season 2

MW3 si arricchisce di contenuti con l’arrivo della season 2. Personaggi, mappe, modalità di gioco e season pass sono solo alcune delle cose che attualmente sono state introdotte nel popolarissimo shooter di Activision. Dopo che il Gruppo Konni si è infiltrato in un’isola del Mediterraneo, conducendo esperimenti nefasti che hanno cambiato per sempre la Fortezza di Fortune, spetta ai giocatori e alla loro squadra sopravvivere al decadimento combattendo e dando la caccia ai non morti che si infiltreranno in ogni parte dei contenuti offerti dalla Stagione 2 di Modern Warfare 3 e Warzone. Si hanno a disposizione anche un aiutante esperto in materia: il vice sceriffo Rick Grimes di The Walking Dead e il capo della stazione della CIA Kate Laswell sono infatti i protagonisti del Battle Pass della seconda stagione.

Per quanto riguarda il multigiocatore c’è davvero tanto in arrivo con la Stagione 2. Si comincia con quattro nuove mappe 6v6, tre completamente nuove e una remaster. La prima è Partenze ed è disponibile al lancio aggiungendo al catalogo un campo di battaglia di dimensioni medio-grandi. Qui si può esplorare l’area Partenze dell’Aeroporto Internazionale Zakhaev, una zona pulita e competitiva con zone per tutti i tipi di combattimento. La mappa è più grande dei Terminal, quindi c’è da aspettarsi un’azione rapida e tattica. La seconda mappa è Stash House ed è un inferno di corridoi e angoli stretti. Anch’essa è disponibile al lancio. Appena colpita da un raid, questa location è il posto ideale per “farmare” esperienza con le armi a pallettoni e le mitragliette viste le sue linee di tiro cortissime. Anche Vista è disponibile già dal lancio, questa mappa è ambientata una località di montagna brasiliana con negozi di articoli da regalo, ristoranti e tram. A parte le viste impressionanti, c’è un’atmosfera più classica in questa mappa a tre corsie delle dimensioni simili a Shoot House con interni stretti ed esterni a lungo raggio. Das Haus, invece, arriverà a metà stagione e sarà una remaster di una mappa di CoD Vanguard. Due ulteriori varianti verranno aggiunte al pool di mappe a tema ultraterreno, unendosi a Tetanus, Sporeyard e Satan’s Quarry della Stagione 1. Queste sono Airborne e Skidrow, ora con un nuovo look purulento. Infine, la modalità Guerra riceverà una nuova operazione su larga scala ambientata nel centro dell’Urzikstan. Aspettatevi un lancio con paracadute in volo con la vostra squadra per atterrare sul tetto di un grattacielo, esplorando la costruzione multi-livello che ricorda la mappa Overwatch di Call of Duty: Modern Warfare 3 del 2011. Una squadra dovrà difendere e proteggere questa struttura mentre l’altra piazzerà degli esplosivi per aprirsi una strada verso il basso. Oltre alle mappe arrivano anche diversi nuovi modi di giocare su Call of Duty Modern Warfare 3 nella Stagione 2. Le partite di Gioco delle Armi a squadre avranno le regole di Team Deathmatch in vigore, anche se con alcune importanti differenze: ogni giocatore inizia con la stessa arma e dovrà eliminare gli avversari per progredire attraverso un set di otto armi predeterminate. Se otterrete abbastanza punti, poi, tutti i compagni di squadra verranno generati con l’arma successiva contemporaneamente, vince la prima squadra che totalizza 75 punti. La modalità Solo Cecchini sarà anche lei disponibile al lancio, userà le regole di Deathmatch a Squadre o Dominio e, sorprendentemente, sarà tutta a base di quickscoping. Tutte le armi oltre ai fucili di precisione sono limitate, incluso l’equipaggiamento letale e tattico. Hordepoint sarà una modalità a tempo limitato nel periodo di lancio e avrà come base Hardpoint con l’aggiunta di un nemico aggiuntivo che non fa discriminazioni tra SpecGru e KorTac: una massa disordinata di zombi, con occasionali zombi Elite che arrivano per farvi la pelle. A metà stagione, poi, arriverà Juggermosh, un’altra modalità a tempo limitato con prospettiva in terza persona. Su Kill confirmed, Domination e Hardpoint preparatevi a una guerra Juggernaut contro Juggernaut con qualche regola diversa per mischiare le carte in tavola. A metà stagione arriverà Bounty, un modalità in cui ogni giocatore ha vite illimitate e le partite si svolgono in modo simile a Team Deathmatch. Il giocatore con il maggior numero di uccisioni per ciascuna squadra verrà contrassegnato come HVT (bersaglio di alto valore). L’HVT si alterna tra le squadre in un intervallo di tempo e vengono assegnati punti extra quando l’HVT viene ucciso. L’equipaggiamento nuovo di questa stagione, infine, sarà il nuovo Gilet dei Ninja che fornisce una corsa silenziosa, un coltello da lancio in più e uno shuriken aggiuntivo.

Per quanto riguarda la modalità zombi meglio conosciuta come MWZ, la storia dell’etere oscuro continua: le squadre di giocatori dovranno affrontare una nuova anomalia nella zona di esclusione. In più è in arrivo il secondo Rift, la più grande roccaforte infestata mai resa disposnibile negli zombie di CoD. Ci sono tre nuovi progetti da raccogliere e una nuova signora della guerra da affrontare. Si chiama Keres ed è una sfuggente specialista in guerra chimica che ha allestito delle difese impressionanti alla Killhouse nella base militare di Orlov. Portatevi delle maschere antigas perché violare la sua fortezza è solo la prima sfida. Una volta all’interno, aspettatevi problemi di visibilità, poiché il nuovo composto di gas di Keres resta sospeso nell’aria in tutta la struttura, interrompendo quasi tutti i sensori, compresi i mirini delle armi termiche. Aspettatevi anche che Keres utilizzi armamenti convenzionali e una cortina di fumo velenosa, contando sulle sue numerose armi biologiche per soffocarvi. Ci vorrà lavoro di squadra certosino per intrappolarla ed eliminarla.

Novità anche per tutti gli appassionati del battle royale: Warzone. La principale è il ritorno di Fortune’s Keep, una mappa piccola con 11 punti di interesse tutti rinnovati e una modalità classificata dedicata. All’interno di ciascuna partita preparatevi all’apparizione dell’evento pubblico competitivo Rogue Signal, che vi metterà contro altri operatori e squadre in una missione basata su obiettivi di 90 secondi. Ci sono contanti, XP e una speciale riserva di ricompense unica da conquistare. Dopo che viene visualizzata una notifica, aspettatevi un nuovo elemento nell’HUD con un obiettivo, un tabellone segnapunti e il posizionamento proprio (o della squadra) rispetto ai rivali. Per mescolare le carte in tavola e restare in tema con la narrativa stagionale, poi, una selezione di potenziamenti direttamente dagli Zombi arriveranno su Call of Duty: Warzone per un periodo limitato. Sette potenziamenti Zombi (quattro familiari e tre nuovi di zecca) saranno disponibili sulla mappa e potranno essere trovati aprendo determinate casse o eliminando gli operatori rivali. Non mancheranno anche alcune aggiunte degne di nota. La Nave da Ricerca è un nuovo punto di interesse mobile: si dice che una grande imbarcazione su pontoni possa apparire nelle acque al largo della costa di Fortune’s Keep, più avanti nella stagione. La nave è dotata di un proprio eliporto, ascender e una varietà di contromisure tutte da scoprire. La killstreak Bunker Buster, poi, sarà l’incubo dei camper perché potrete lanciare un missile che decima verticalmente un edificio su più piani, eliminando i nemici nascosti all’interno. L’impatto crea una lunga colonna di gas progettata per costringere i nemici sopravvissuti a uscire dalla copertura. La Stazione di Decontaminazione Portatile, infine è una versione migliorata dell’aggiornamento sul campo della Stazione di decontaminazione portatile (PDS, nota anche come Stazione di decontaminazione personale) e si aggiungerà al bottino a metà stagione. Emettendo una nuvola di sostanze chimiche che contrastano le proprietà corrosive del gas del circolo, creerà una preziosa zona sicura temporanea.

Anche il parco armi di MW3 si arricchisce con la seconda stagione di MW3. La prima arma ad arrivare nelle mani dei giocatori sarà il BP50, un fucile d’assalto che troverete al lancio nel settore B7 del Battle Pass. Questo AR bullpup modulare camerato in 5.56 annienterà i nemici grazie alla sua elevata cadenza di fuoco e una precisione eccezionale per dominare a medio e lungo raggio. Nel settore B6 del Battle Pass, invece, si trova il mitragliatore, più manovrabile e agile del suo omologo fucile d’assalto, questo mitragliatore bullpup calibro 9 mm sarà letale a distanza ravvicinata. Come ricompensa per una sfida stagionale settimanale, poi, si può ottenere il SOA Subverter, un fucile da battaglia con cameratura in 7.62 per dominare a distanze medio-lunghe grazie a una cadenza di fuoco bassa e un rinculo prevedibile”. Nel compartimento delle armi da mischia, a metà stagione arriverà il “Soulrender” una spada a una mano con una posizione di guardia da cui sferrare dei potenti attacchi e contrattacchi. Al lancio della seconda stagione, poi, arriveranno sette nuovi componenti aftermarket. Il primo è il JAK Burnout per la Holger 26 ottenibile nel Battle Pass. Questa modifica da all’arma una modalità di fuoco nuova chiamata JAK Burnout che fornisce una velocità di fuoco notevolmente aumentata ma che può surriscaldare la canna aumentando lo spray. Il Kit JAK Tyrant 762 si sbloccherà tramite una sfida settimanale e sostituirà il ricevitore del fucile da cecchino Longbow per ospitare munizioni 7,62 BLK creando un’arma subsonica più potente. Il JAK Limb Ripper ottenibile tramite una sfida settimanale, vi trasporterà direttamente su Gears of War perché consiste in vera e propria motosega sottocanna. A chi manca l’iconico Striker di Modern Warfare 2 farà piacere sapere che l’Haymaker, grazie al Kit JAK Maglift ottenibile tramite sfida settimanale, potrà ospitare un caricatore a tamburo extra-large. il BAS-B, poi, potrà trasformarsi in un vero e proprio Winchester grazie al Kit JAK Outlaw-277 che rallenterà la cadenza di fuoco ma migliorerà di molto la precisione. L’ultimo componente aftermarket della Stagione 2 di Moder Warfare 3 è l’Ottica senza vetro JAK ottenibile tramite una sfida settimanale. Questa piccola ottica reflex senza vetro offre un’immagine nitida e chiara per un’acquisizione rapida del bersaglio. Insomma questa Season 2 di Call of Duty Modern Warfare 3 porta talmente tanti contenuti da poter soddisfare qualsiasi tipo di giocatore, dal più esigente al casual gamer di turno.

Francesco pellegrino Lise




Supermike e Zagor: la sfida continua!

È in edicola dal primo febbraio l’albo n. 754 di Zagor “Supermike!”, edito Bonelli, con sceneggiatura di Moreno Burattini, disegni Marco Verni e copertina di Alessandro Piccinelli. L’avventura che molti zagoriani aspettavano, con il ritorno in grande stile di uno dei più apprezzati e attesi avversari di Zagor, finalmente si è concretizzata.
 
L’incipit con le disavventure tragicomiche di Cico ricorda i migliori siparietti del messicano della tradizione bonelliana; Supermike ha in mente di sfidare nuovamente Zagor e non sembra intenzionato a subire una nuova sconfitta. Di contro Zagor vive la possibilità di ritrovarsi faccia a faccia con la sua Nemesi bionda in modo insolitamente allarmato, rivelando tutta la sua umana fragilità.
 
Lo spirito con la scure affronta creature soprannaturali e presenze inquietanti con notevole forza di carattere; di fronte al suo atletico nemico, comunque un uomo come lui, che, per di più, in misura maggiore di altri villain gli somiglia, sembra smarrito. Il fascino del capitolo Supermike consiste proprio nell’alone di imbattibilità / arroganza che circonda l’ex damerino di città, vincente in tutto quello che intraprende. È strano, ma è possibile paragonare un personaggio bonelliano, Mike Gordon, a Gastone della Disney: entrambi biondi, riccioluti, fortunati oltre quello che è lecito per un comune essere umano, vestiti con improbabili farfallini e completi a scacchi, si muovono sicuri ostentando il proprio compatimento per chi pateticamente non sarà mai “super” o fortunato. L’avventura oscilla tra commedia e dramma, considerando le apprensioni di Zagor, ma soprattutto si propone ricca di azione e colpi di scena, lasciando presagire fortissime emozioni nelle puntate successive.
 
I disegni di Verni risultano molto rispettosi dello stile di Ferri, non solo nella riproduzione delle fattezze di Gordon, ma anche nella rappresentazione dei primi piani di Zagor e Cico, veramente in linea con la classicità aurea bonelliana.
 
Bella la copertina di Piccinelli, con il primo piano beffardo di Mike Gordon, già pronto a svestire i panni dello zerbinotto per indossare quelli rutilanti di Supermike, mentre Zagor afferrata la sua fedele scure si lancia in una corsa contro i suoi veri nemici di sempre: la paura di venire sconfitto e di vedere la sua amata Darkwood teatro di guerra e scontri tra le tribù.
 
di Romano Pesavento
 
 

Privo di virus.www.avast.com




Suicide Squad: Kill the Justice League, arrivano gli antieroi per eccellenza

Suicide Squad: Kill the Justice League è un videogame action sviluppato da Rocksteady Studios, pubblicato da Warner Bros per PlayStation 5, Xbox Series X/S e Pc. Il titolo si pone narrativamente come un seguito diretto della saga di Batman: Arkham, ma non è un nuovo episodio di quella serie. Non lo è mai stato a livello concettuale, non è nato in questo modo, non vuole ambire a confrontarsi con la quadrilogia originale, ed è proprio un’altra cosa. A livello di trama il comparto narrativo rappresenta senza alcun dubbio l’aspetto meglio riuscito del nuovo gioco di Rocksteady Studios. I presupposti parlano da soli: diversi anni dopo gli eventi di Batman: Arkham Knight, il potente Brainiac atterra con la sua Nave Teschio nel centro di Metropolis con uno scopo preciso: conquistare la Terra e trasformarla nel suo pianeta d’origine, Colu. La città scelta dal malvagio androide alieno per scatenare il suo malvagio piano di conquista non è frutto di una decisione casuale, infatti è lì che operano gli eroi più potenti, i membri della Justice League; e la prima cosa che Brainiac fa è catturarli e corromperli nel profondo, riducendoli a obbedienti soldati privi di qualsiasi inibizione, pronti a far rispettare il volere del loro nuovo padrone nella maniera più sanguinosa e violenta possibile. Una mutazione da cui non si può tornare indietro. Vista la situazione, Amanda Waller, direttrice dell’organizzazione governativa A.R.G.U.S., decide di recarsi ad Arkham e seleziona quattro criminali per formare una vera e propria squadra suicida da inviare a Metropolis per tentare il tutto e per tutto e ribaltare la situazione. La scelta della Waller ricade sulla folle Harley Quinn, il tiratore infallibile Deadshot, l’irrecuperabile Captain Boomerang e il potente mutante King Shark. Ai detenuti viene impiantata una micro-bomba nel collo che può essere azionata da remoto e dunque li obbliga a eseguire gli ordini anziché darsela a gambe una volta rimessi in libertà.

Questo allegro plotone di debosciati, protagonisti indiscussi di questo Suicide Squad: Kill the Justice League, viene così condotto a Metropolis e lo scenario che si para di fronte ai loro occhi è di quelli che restano impressi: la gigantesca Nave Teschio di Brainiac si staglia all’orizzonte, mentre i suoi titanici tentacoli lambiscono ciò che resta di una città ormai in rovina, messa a ferro e fuoco dalle truppe al servizio del conquistatore alieno. Truppe che, giusto per rendere le cose ancora più terribili, non sono altro che cittadini riconvertiti, trasformati in orribili mostri attraverso un processo spietato e irreversibile. Non che i componenti della Suicide Squad si sarebbero fatti problemi ad ammazzare persone comuni per raggiungere i propri scopi, sia chiaro, ma le circostanze implicano l’impiego di qualsiasi risorsa a disposizione; e Amanda Waller di risorse ne ha davvero moltissime. Lo scopo della missione della Suicide Squad è quello di uccidere la Justice League, dunque, ma non senza godersi il viaggio. Ottenere i mezzi e le capacità per riuscire ad ammazzare ex supereroi dai poteri straordinari come Flash, Lanterna Verde, Batman e Superman non sarà una cosa semplice e i protagonisti del gioco dovranno muovere mari e monti, persino superare i confini del loro mondo per riuscire nell’impresa, nell’ambito di un viaggio che sul piano narrativo abbiamo trovato assolutamente godibile e a tratti esaltanti. Se infatti gli ex eroi della Lega della Giustizia vengono resi nel gioco in una maniera bidimensionale, rinchiusi nei confini della loro moralità (o dell’assoluta mancanza di essa, dopo il trattamento Brainiac), i quattro protagonisti sono invece oro puro, videoludicamente parlando: caratterizzati in maniera magnifica, mai banali, sempre pronti a sorprendere chi gioca con trovate assolutamente fuori di testa, che bucano lo schermo e strappano risate. Ci sono sequenze nella campagna di Suicide Squad: Kill the Justice League che posseggono un grado di epicità estremo, ma anche gag brillanti, una scrittura solidissima, situazioni inaspettate, azzardi che non ci si aspetterebbe di vedere in un prodotto su licenza ed espedienti visivi brillantemente rielaborati che ribadiscono ancora una volta quanto voglia essere volutamente e dannatamente demenziale la storia. Nel senso buono ovviamente. Ovviamente a pesare sono anche e soprattutto le interpretazioni dei quattro protagonisti, che nella versione nostrana vantano un doppiaggio in italiano di alto livello che però non è totalmente assente da difetti. Diciamo subito che la Harley Quinn di Chiara Francese è un gioiellino, quanto di più vicino ci sia alla controparte americana di Tara Strong. Il Captain Boomerang di Francesco “Deacon” Rizzi è fantastico e subito dopo vengono le performance di King Shark, Amanda Waller, Pinguino, Gizmo, Flash e Superman, doppiato anche qui da Matteo “Nathan Drake” Zanotti. Il doppiaggio italiano si colloca all’interno di un comparto audio di ottima fattura, ricco di effetti convincenti e supportato dalla indimenticabile e assolutamente adrenalinica colonna sonora rock firmata da Rupert Cross e Nick Arundel.

La campagna principale di Suicide Squad: Kill the Justice League ha una durata di circa 10 ore, ma l’intera esperienza può arrivare a sfiorare le 16/17 ore grazie ad un certo quantitativo di missioni secondarie, ed è molto probabile che la longevità del titolo sia destinata ad aumentare fra le tappe del supporto post lancio. Malgrado un monte ore non certo astronomico, l’esperienza può comunque risultare piuttosto onerosa, e questo perché tutti gli incarichi sono strutturati a partire da un’esigua manciata di modelli, differenti in termini di obiettivo ma riconducibili ad una singola prassi: sparare a tutto e tutti. Che siano missioni di uccisione o di salvataggio dei civili, che sia il momento di proteggere le piante di Poison Ivy o raccogliere dati per il Giocattolaio, non c’è nessuna reale variazione sul tema del chiasso balistico. “Prendete le vostre armi e fate fuoco: non appena avrete sgomberato l’area allora potrete andare avanti” questo è il mood che accompagnerà i giocatori per tutto il tempo che si vorrà giocare. Purtroppo però tale sistema alle lunghe, per quanto si possa essere grandi fan dei personaggi Dc Comics, la monotonia prende il sopravvento. Vale la pena di precisare che, sebbene lo shooting di Suicide Squad sia di per sé piacevole, alcune costrizioni limitano di molto l’efficacia del gameplay nonché la libertà d’approccio nel corso delle missioni: la frequente presenza di precise condizioni per infliggere danni durante gli incarichi, come la necessità di utilizzare le sole granate, mettere a segno colpi critici o sfruttare alterazioni di stato, finisce infatti per svilire tanto il gunplay quanto il sistema di progressione, spingendo l’utenza a seguire forzosamente specifiche routine. In questo contesto, la varietà dell’arsenale e dei potenziamenti non riesce ad innalzare adeguatamente l’asticella della diversità ludica, e lo stesso vale per gli spettacolari attacchi speciali in dotazione ai diversi membri del team. All’aumentare di ogni livello in Suicide Squad: Kill the Justice si ottiene un punto talento da spendere una delle tre sezioni dello skilltree che Hack presenterà come la rappresentazione del cervello, nel quale si potranno dunque impiantare delle nuove abilità. La loro efficacia purtroppo però è risultata sempre impalpabile in quella che è l’economia del gioco, che tende a mettere chi gioca solo dinanzi all’esigenza di armi più potenti e basta. A tal proposito, anche il tentativo di far costruire a Pinguino attrezzi del mestiere sempre più potenti si dimostra perlopiù vano, essendo tutto legato a una mera condizione di fortuna, come d’altronde le loot box consegnate alla fine di ogni missione. La progressione e la crescita sono delle illusioni, ma vogliamo concedere a Rocksteady il beneficio del dubbio sperando che in futuro tutto questo assumerà un senso. Per ora non ce l’ha. Suicide Squad soffre, però, anche in quella che è la costruzione dell’open world: proporre nel 2024 una struttura del genere, che riduce Metropolis ad un ampio spazio vuoto da attraversare e riempire di piombo, non è proprio il massimo. Ci si trova dinanzi a una città fantasma davvero povera di stimoli, all’interno della quale non si ha mai una vera e propria spinta per andare a esplorare il mondo di gioco, che risulta effettivamente spogliato di qualsiasi attività secondaria.

Suicide Squad: Kill the Justice League a livello grafico è un prodotto che funziona davvero bene. Il titolo gira a 60 fps su tutte le console (anche Xbox Series S), utilizzando il classico espediente della risoluzione dinamica che su PS5 punta ai 1800p ma si accontenta spesso e volentieri dei 1440p, presentando qualche singhiozzo solo in casi abbastanza rari e anomali, che speriamo verranno sistemati in fretta. Per il tipo di gioco e per le situazioni che vengono rappresentate, come detto parecchio caotiche e rumorose nelle fasi più avanzate della campagna e durante l’endgame, si tratta di risultati di tutto rispetto. Dopodiché ci sono naturalmente le scelte artistiche, e qui si può aprire senz’altro un dibattito. Come già detto, la Metropolis di Kill the Justice League non ha nulla a che vedere con la Gotham di Arkham Knight, i due scenari sono letteralmente distanti come il giorno e la notte, visto che la città di Batman veniva sempre e solo mostrata in notturna. Differenze giustificate sul piano narrativo ma che, ce ne rendiamo conto, impattano sulla resa visiva generale dello scenario, sgretolandone la personalità. La metropoli un tempo protetta dalla Justice League azzarda alcune architetture peculiari ma rimane arida e desolata, tanto esteticamente quanto contenutisticamente, e il sistema di illuminazione utilizzato dal gioco, una scelta forse obbligata al fine di rappresentare l’alternarsi del giorno e della notte, tende ad appiattire le superfici piuttosto che valorizzarle, anche in presenza di pioggia. Personaggi, nemici e animazioni, invece, sono degni di nota, ben realizzati e caratterizzati. Tirando le somme questo Suicide Squad: Kill the Justice League è un titolo che può tranquillamente divertire, a patto che si sia disposti ad accettare la sua natura volutamente iperbolica e ironica, ma anche la ripetitività delle missioni. Giocandolo il titolo è in grado di offrire un bizzarro mix di sensazioni: un gioco fantastico sul piano narrativo, pieno di personaggi scritti in maniera brillante, situazioni completamente fuori di testa e scene davvero epiche; che peraltro può contare su di un gameplay solido, frenetico e divertente anche nei momenti più incasinati e confusionari, specie laddove si affronti la cooperativa insieme agli amici. È un peccato che l’open world preparato per l’occasione non supporti questi elementi con maggiore convinzione, svolgendo il mero ruolo di sfondo rispetto a missioni un po’ troppo simili fra di loro. Cambierà qualcosa nella fase post-lancio? La nostra speranza è ovviamente sì, in quanto le basi per un prodotto fatto per durare nel tempo ci sono.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 9

Gameplay: 7

Longevità: 7

VOTO FINALE: 7,5

Francesco pellegrino Lise




Bluesky apre le porte a tutti, boom di iscritti per il nuovo rivale di X

Bluesky è una nuova piattaforma social che rappresenta a tutti gli effetti l’alternativa open source a X (l’ex Twitter). Il sito sembra ottenere i consensi del pubblico in quanto, numeri alla mano, ha guadagno oltre 850 mila nuovi iscritti in un solo giorno. Questo aumento esponenziale si deve ovviamente al lancio pubblico del social network, che dalla scorsa primavera accettava iscrizioni solo tramite lista d’attesa. Tale requisito è stato eliminato il 7 febbraio proprio per aprire le registrazioni a tutti. Ad oggi, la piattaforma conta più di 4 milioni di utenti, per lo più delusi da X e dalla gestione del suo proprietario, Elon Musk. “Le cose stanno cambiando” ha scritto l’amministratore delegato di Bluesky, Jay Graber, in un post proprio su X. L’ascesa, come suggerisce il sito Engadget, è sintomo della voglia delle persone di provare esperienze simili a quelle di X, seppur in maniera più semplice, tradizionale, senza contenuti sponsorizzati o fuorvianti. Non a caso, Bluesky può contare sulla presenza di un team dedicato al controllo della veridicità dei post che rientrano in fatti di interesse generale, come potrebbero essere le elezioni presidenziali statunitensi di novembre. Finanziatore di Bluesky è anche Jack Dorsey, che ha co-fondato Twitter, mantenendone il timone fino all’uscita nel 2021. Proprio all’interno di Twitter, Dorsey aveva cominciato a sviluppare Bluesky, una versione del microblog ospitata su server decentralizzati, ossia non nelle mani di un’unica azienda, e contenuti moderati dagli utenti, come su un tradizionale forum web. Il social è disponibile su Android, iOs e in versione web. Nel post su X, Graber ha affermato che Bluesky adesso spingerà sull’acceleratore, dopo essere cresciuto in maniera lenta, ma costante, in quasi 12 mesi. “C’è ancora molto lavoro da fare, ma abbiamo ben in mente l’obiettivo: l’adozione di un protocollo aperto per i social così da costruire qualcosa di migliore, al servizio dell’utente”. Il picco di iscritti ha portato l’app ad avere qualche problema negli accessi. Una criticità che, secondo l’azienda, è stata risolta in qualche ora. Riuscirà il nuovo social network a rappresentare una reale minaccia per la piattaforma di Musk? Non resta altro che aspettare e scoprire che cosa ne pensano le persone.

F.P.L.




Jujutsu Kaisen Cursed Clash, dal manga al videogioco su Pc e console

Jujutsu Kaisen è uno dei manga/anime di maggior successo degli ultimi anni. La sua prima pubblicazione è apparsa sulla rivista Shonen Jump nel Marzo del 2018 ed è attualmente in prosecuzione. Come sempre da un grande successo nasce sempre la necessità di avere delle opere commerciali parallele, ed ecco arrivare sugli scaffali degli amanti di videogames Jujutsu Kaisen: Cursed Clash, picchiaduro a incontri 2vs2 sviluppato da Byking Inc. per conto di Bandai Namco. Il titolo è disponibile Su Pc, Xbox Series X/S/One, PlayStation 5, Ps 4 e Nintendo Switch. A livello di trama il nuovo videogame dedicato all’opera di Gege Akutami segue la trama del fumetto: i fatti narrati dal titolo si svolgono a partire dal 2018 a Sendai, per poi spostarsi a Tokyo. Yuji Itadori, un liceale appassionato di Occulto, ritrovandosi al cospetto di una Maledizione erroneamente risvegliata dal suo club scolastico decide di ingurgitare un feticcio magico, una delle 20 Dita della Maledizione nota come Ryomen Sukuna. Tale gesto gli fa ottenere grandi poteri magici ma deve convivere con la terribile entità malvagia che si è ora insediata nel suo corpo. Condannato a morte dall’ordine degli Stregoni per essere ormai maledetto, grazie alla sua abilità di governare Sukuna Yuji viene invece risparmiato e incaricato di recuperare e assimilare le altre 19 parti della Maledizione, con l’intento di distruggere l’entità quando il ragazzo sarà infine giustiziato, destino che lui accetta per obbedire alle ultime volontà del nonno morente di “aiutare sempre gli altri”. Inzierà così il suo addestramento da Stregone sotto la guida del maestro Satoru Gojo in compagnia dei coetanei Megumi Fujikuro, Nobara Kugisaki e gli altri studenti dell’accademia delle Arti Occulte di Tokyo. Il suo cammino verrà spesso ostacolato da altri stregoni animati da intenti non propriamente pacifici e dalle varie altre Maledizioni che si formano quando l’Energia Malefica incontrollata fuoriesce dalle persone comuni. Ovviamente, inoltre, dovrà fare spesso i conti con Sukuna che diventa più forte ogni volta che Yuji ingoia un altro dito.

Jujutsu Kaisen Cursed Clash è un picchiaduro con un focus sui combattimenti 2vs2, un modo per incentivare la cooperazione anche online. Tuttavia, è uno di quei lavori in cui si fa veramente fatica a trovare qualcosa di davvero valido e i problemi si susseguono purtroppo in maniera piuttosto evidente. La cosa meno grave è da attribuire ai personaggi presenti (15 in tutto). Essi hanno una serie di mosse differenziate l’uno dagli altri e caratteristiche peculiari. Se Yuji Itadori fa incetta di pugni e calci, colpendo gli avversari direttamente, Nobara, invece, colpisce anche dalla distanza e può aiutare a regalare un pizzico di strategia a questo titolo. Dunque, da questo punto di vista, se si ha voglia di scendere in campo e utilizzare il proprio eroe preferito è possibile farlo, ma le brutte sorprese sono dietro l’angolo. Purtroppo, volendo tralasciare una modalità storia troppo veloce e riassuntiva per come racconta gli eventi del manga, il fulcro di Jujutsu Kaisen: Cursed Clash non soddisfa nemmeno i palati meno esigenti. Individuare un problema principale su cui ruotano attorno tutti gli altri è abbastanza difficile perché in ogni caso, si finisce per discutere di qualcosa di serio, a cominciare dall’input dei comandi. Sembra di giocare online con un ping altissimo, in cui si assiste a un lag talmente grande che tra la pressione del tasto e l’esecuzione del comando c’è un ritardo a dir poco imbarazzante. Non bisogna andare molto lontano poi per capire quali problemi comporta tutto ciò in un picchiaduro ma, se si aggiunge a questo anche un feedback dei colpi alquanto grossolano, in cui spesso si fa fatica a capire chi abbia colpito cosa, il danno è fatto. Altra idea a nostro avviso poco funzionale è quella del “minimo infinito”, ovvero: l’unico modo per recare danno all’avversario è colpire con energia maledetta derivante dai colpi speciali. Per cui, colpire gli avversari ripetutamente con calci e pugni è pressoché inutile o quasi. Approcciare il nemico in questa maniera infatti serve soltanto a ricaricare la barra apposita con cui eseguire i colpi speciali che ovviamente, verranno utilizzati a raffica per poter battere l’avversario. Si esegue così una noiosa danza di “colpo-ricarica-colpo speciale”, fino alla fine dello scontro. Il peccato più grande di questo Jujutsu Kaisen Cursed Clash però è quello di non far mai esaltare il giocatore. Infatti durante le fasi di combattimento non si assiste mai a grandi scene, esplosioni o distruzioni ambientali. La sensazione è quella di sentirsi molto, anzi davvero troppo normali e poco speciali. Persino l’utilizzo delle tecniche di Satoru Gojo non regalno alcun momento di epicità. Il tutto sembra privo di momenti esaltanti.

Venendo al 2vs2, vero cuore pulsante della produzione, tale scelta dovrebbe essere un modo per combinare le diverse capacità dei personaggi, interagendo tra loro in modo strategico. Tuttavia, il tutto si riduce a un caos senza eguali anche perché giocando in PvE, l’IA separata dei nemici non lascia spazio di manovra, non avendo la minima parvenza di quello che accade nello spazio di gioco. Non vi è ad esempio un piccolo cooldown tra un colpo speciale e un altro e questo, regala grande frustrazione. Detto questo se ci si dovesse chiedere almeno a livello estetico questo Jujutsu Kaisen Cursed Clash è una gioia per gli occhi? Beh la risposta è assolutamente No. Arrivati alla nona generazione di console, quello che ci si aspetta è un lavoro quanto meno dignitoso, il titolo però presenta scenari sì distruttibili ma davvero poveri di dettagli e con texture e shader davvero poco al passo con i tempi. Un po’ troppo aliasing sporca la modellazione dei personaggi ma quello che rende l’esperienza davvero frustrante è un tearing davvero vistoso, in grado di rovinare ulteriormente l’esperienza. Jujutsu Kaisen Cursed Clash non è nemmeno ottimizzato a dovere, presentando vistosi cali di frame, contornati da qualche crash di troppo. La sensazione che si ha giocando a questo titolo è che manchi una cura generale di base, un minimo di controllo qualità che avrebbe evitato, per esempio, di aggiungere schermate coi sottotitoli nel bel mezzo del cono visivo del giocatore, utile per leggere, meno se si vuol vedere cosa si sta facendo. Tirando le somme, quello che possiamo dire davanti a questo prodotto è che Jujutsu Kaiesen Cursed Clash: forse per la fretta di fornire rapidamente un gioco su una serie Manga/Anime che sta rapidamente riscuotendo un grande successo, Bandai Namco affida al team Byking la realizzazione di questo software che segue sì pedissequamente la trama ufficiale ma non offre né realizzazione tecnica né soluzioni di gameplay degne di nota, ed anzi ha più di qualcosa da rivedere. Essenzialmente vi consigliamo l’acquisto del prodotto solo se siete dei veri appassionati del manga e dell’anime.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 5

Sonoro: 5,5

Gameplay: 5

Longevità: 5

VOTO FINALE: 5

Francesco Pellegrino Lise