iOS 15.4: iPhone si sblocca anche con la mascherina indosso

Apple ha rilasciato le versioni pubbliche di iOS 15.4 e iPadOS 15.4. Gli aggiornamenti dei sistemi operativi per iPhone e iPad portano una serie di novità attese dagli utenti, prima tra tutte la possibilità di sbloccare gli smartphone anche indossando una mascherina. In precedenza, i possessori di un iPhone, all’aperto, potevano accedere al telefono bloccato cliccando sull’Apple Watch abbinato mentre adesso, anche in assenza di uno smartwatch della Mela, il processo di autenticazione diventa più semplice e rapido, anche quando si ha il volto coperto. Come già spiegato dall’azienda, ciò è reso possibile da un aggiornamento della tecnologia di riconoscimento che riesce a leggere le peculiarità del contorni occhi di una persona, la parte del viso che di fatto resta scoperta quando si usa un dispositivo di protezione individuale. La novità principale per iPadOS 15.4 è invece il supporto all’utilizzo dello stesso mouse del Mac, grazie all’estensione del cosiddetto Universal Control, che permette di abbinare l’iPad ad un computer Apple e continuare a muovere il mouse verso un bordo per trasferire il cursore sul tablet e viceversa. Altri miglioramento comuni, dettati dal persistere dell’emergenza sanitaria, riguardano l’aggiunta del Green Pass per il Covid-19 nell’applicazione Wallet anche in Europa e l’arrivo, nell’app Salute, di una sezione dedicata alle somministrazioni dei vaccini e alle guarigioni dall’infezione da SarsCoV2. Per scaricare e installare gli aggiornamenti su iPhone e iPad, basta cliccare su impostazioni, generali, aggiornamento software. Insomma, sembra proprio che il colosso di Cupertino sappia perfettamente come ascoltare le necessità dei propri utenti e come render loro la vita più agevole, anche in tempi di pandemia.

F.P.L.




Elden Ring, l’ultimo capolavoro di From Software

Elden Ring è senz’ombra di dubbio il capolavoro definitivo di Hidetaka Miyazaki, un titolo estremamente difficile, come da tradizione, ma che se preso con il giusto spirito è in grado di regalare grandi soddisfazioni, una serie di ambientazioni a dir poco straordinarie e una trama assolutamente incredibile. Per fugare qualsiasi dubbio sin dall’inizio è necessario sottolineare che Elden Ring non è Dark Souls IV: il nuovo lavoro di FromSoftware (disponibile su Pc e sulle console della famiglia Xbox e PlayStation) infatti, vive di un nuovo incredibile rapporto tra il mondo circostante e il giocatore, di un senso d’avventura assente nei Souls e di un mondo aperto da esplorare in libertà. Questa è l’aggiunta che cambia tutto, non a caso Elden Ring non è frutto solamente del genio di Hidetaka Miyazaki, ma si avvale della collaborazione con George R.R. Martin, l’autore della saga letteraria che ha dato vita a Il Trono di Spade. Indubbiamente la trama ha un respiro molto più ampio rispetto ai Souls: l’Anello Ancestrale del titolo è una runa che un tempo permetteva alla regina Marika di mantenere la pace su tutto l’Interregno. L’Anello fu poi frantumato, e dei semidei entrarono in possesso delle Rune che ne derivarono dando vita alla Disgregazione e con questa a guerre, morte e carestia. L’unica speranza dell’Interregno sono i Senzaluce, una stirpe reietta che come unica possibilità di redenzione ha il recupero delle Rune e la ricostruzione dell’Anello Ancestrale. Detto questo, passiamo ad esaminare più da vicino l’ultima fatica di From Software. Nonostante l’introduzione della meccanica open world, nulla è dato per scontato in Elden Ring . Proprio come in ogni altro Souls, non ci sono missioni secondarie segnate chiaramente sulla mappa, ma ogni frammento della trama è legato all’esplorazione attiva del giocatore. I dialoghi con gli NPC non svelano frammenti di storia significativi se non dopo molti sforzi, che includono anche leggere ogni documento che si trova e perdersi in ogni meandro dell’immensa mappa, che si dispiega al controller un po’ per volta ma, virtualmente, permette di recarsi ovunque sin dall’inizio. L’esplorazione è più libera ma meno guidata, quindi, tanto che Miyazaki sembra non aver perso la voglia di far prendere appunti al giocatore, che altrimenti si perderà tra le mille cose da fare e, ovviamente, la difficoltà costantemente medio alta del gioco. Elden Ring mantiene la caratteristica principale del genere cui appartiene: il livello di sfida estremo. In un certo senso, però, questo ultimo esponente dei Souls è comunque più accessibile: considerato che il livellamento delle abilità e delle armi del personaggio avviene con l’esperienza e la raccolta di pietre evolutive, qui è più semplice scorrazzare in lungo e in largo in cerca di nemici da abbattere fino ad affinare maggiori capacità. Questo, beninteso, è l’unico “sconto” che viene fatto da Elden Ring al giocatore: per il resto, la schermata con su scritto “Sei morto” è come di consueto ciò che si vedrà più spesso durante le sessioni di gioco. Tuttavia, non mancano un paio di novità che bilanciano la presenza di alcuni dei nemici più difficili mai affrontati nella serie: le Evocazioni, che permettono di chiamare in soccorso dei guerrieri potentissimi di supporto, e le Ceneri della Guerra, oggetti che consentono di modificare le armi e assegnare loro abilità speciali. I livelli di personalizzazione sono così tanti da permettere una quantità di combinazioni impressionante, da abbinare alle dieci classi tra le quali si può scegliere. Sconfiggendo i nemici principali e ottenendo le Rune, si acquisiscono ulteriori abilità. Infine, un’altra novità è il salto: il Senzaluce può saltare e questo rivoluziona la modalità di combattimento e l’esplorazione. Un’azione davvero utile nel primo caso per schivare un attacco o infliggere un colpo, nel secondo per ricercare appigli, sporgenze o scoprire stanze nascoste.

A livello di giocabilità il sistema di combattimento è quello tipico dei soulslike: il protagonista, rigorosamente in terza persona e scelto tra una serie di classi iniziali che modificano setup e dono con il quale avviare la partita, ha a disposizione un inventario infinito per equipaggiare fino a tre slot sulla mano sinistra, tre sulla mano destra, due tipi di frecce, due tipi di dardi e una serie di talismani. A questi si aggiungono gli oggetti che vengono equipaggiati in tasca, che si dividono in un enorme insieme di tipi differenti: oggetti che applicano danni elementali alle armi, bombe, pugnali da lancio, oggetti per il multiplayer e una serie di altre chicche che si impara a conoscere giocando e che Elden Ring ha prevalentemente mutuato da altri giochi di FromSoftware. Quattro tasti rapidi molto comodi fanno poi capolino per permettere al giocatore di raggiungere subito alcuni oggetti, ma l’intera impostazione di gioco farà subito sentire a proprio agio i giocatori navigati: si sentono subito la raffinatezza dei controlli e la semplicità con cui le nostre azioni si convertono a schermo, e la mobilità offerta al personaggio aiuta ad allontanare ogni sensazione di legnosità. Il modo in cui le combo di attacchi si legano, le animazioni, delle rotolate, dei colpi e delle schivate, la presenza del salto finalmente con un suo tasto dedicato, favoriscono l’immersione, e pad alla mano l’esperienza è semplicemente ottima. Armati di tutto punto, con la combinazione che si desidera – da scudo a sinistra e spada a destra a due spade a catalizzatori per incantesimi, passando per frecce, balestre, mazze, martelli, katane, stregonerie e persino pugni, quello di Elden Ring è il dual wielding più sviluppato che FromSoftware abbia mai realizzato. Serviranno decine di partite e respec vari per testare le varie combinazioni e trovare le armi migliori. Complici anche le varie mosse a disposizione (compresi i soliti backstab e “parry & riposte”) che possono godere di moveset ampliati grazie all’inserimento di attacchi in salto più sviluppati e coesi con il resto delle mosse. È in questo contesto che si inseriscono tutte le meccaniche complementari: poise e super armor da un lato e schivate e rotolate dall’altro. La poise ci è sembrata essere una via di mezzo tra quella di Dark Souls e quella di Dark Souls III, e ha lo stesso ruolo: impedire lo sbilanciamento del giocatore una volta subito un colpo, consentendogli di rispondere senza perdere il controllo delle azioni. Un elemento essenziale per tutte le armi più pesanti e per chi decide di giocare con armature pesanti puntando più sulla capacità di assorbire i colpi che su quella di riuscire a schivarli. L’attributo poise viene ulteriormente potenziato per brevi istanti durante l’animazione dei colpi più pesanti di alcune armi con la super armor, offrendo ulteriore resistenza allo sbilanciamento e impedendo che un attacco nemico possa interrompere il colpo che stiamo dando. A dare invece spazi di manovra e frame di invincibilità pesano schivate e rotolate, con i cap di peso al 30% e al 70% (che influiscono sul numero di frame di invincibilità e sulla distanza percorsa con i roll) e, in un certo senso, i salti. Poter saltare da fermi consente di superare bassi ostacoli anche in combattimento, e seppure non offra nessun frame di invincibilità, può essere una manovra evasiva importantissima nei momenti più critici. Meccaniche, queste, che sono ben note a chi gioca ai Souls da tanti anni, ma che ogni volta vengono rimaneggiate e modificate leggermente tra un gioco e l’altro, e che anche qui richiederanno un po’ di ore di abitudine per prenderci la mano e riuscire a sentirsi sicuri dei valori ottenuti, dei timing per far partire un colpo e così via: è spesso questione di pochissimi frame, esattamente come avviene con parry e backstab, che hanno finestre più o meno larghe a seconda delle armi e degli scudi che stiamo utilizzando e dei nemici che stiamo attaccando, ma funzionano benissimo e una volta imparati bene i tempi mi sono parsi i più precisi mai fatti da FromSoftware in tutti i suoi giochi. Il bilanciamento in Elden Ring è semplicemente pensato per strutture geografiche per riuscire ad assecondare la fame del giocatore in qualunque momento: c’è sempre l’area in cui il livello di sfida è adeguato, l’area particolarmente facile e l’area pressoché impossibile, anche una volta raggiunte le aree finali del gioco. Per questo è impossibile analizzare il modo in cui si struttura l’avanzamento della partita senza soffermarsi su come è pensato l’Interregno. Elden Ring si sviluppa attraverso una serie di dungeon “principali” che non hanno nulla da invidiare alle aree più grandi dei Souls, e ne traggono ispirazione: il Castello Grantempesta, il primo di essi, ha tantissimo in comune con gli Archivi Centrali di Dark Souls III. Questi dungeon si estendono in orizzontale e in verticale in modi straordinari, e sono costruiti con una varietà di situazioni, modelli e ambienti davvero impressionante, che diventa ancora più incredibile se pensata all’interno del vasto mondo di cui si compone Elden Ring. Lo stesso vasto mondo che, dopo aver fatto il primo parry a un boss e aver preso confidenza con i comandi, si apre in tutto il suo splendore con l’apertura della prima porta che dà sull’esterno. L’avventura per l’Interregno comincia, mentre Sepolcride, che si estende a perdita d’occhio, ne è soltanto un piccolo inizio.

Quello che rende l’Interregno di Elden Ring qualcosa di molto diverso da un normale open world è la natura stessa dell’avventura, che declina l’esperienza di gioco in un modo innovativo partendo da tutti quei punti di forza che avevano Lordran in Dark Souls e il Giappone di Sekiro: luoghi interconnessi che permettono al giocatore di crearsi una buona mappa mentale, di sentirsi lì dentro e contemporaneamente di trovare ambienti in cui nulla è lasciato al caso. Passaggi segreti, oggetti, nemici, pezzi di storia: ogni elemento di gioco è stato inserito con cura, racconta qualcosa o offre una sfida specifica, passando per le quest, per i dialoghi e per i pochi – pochissimi – indizi che il gioco offre per avanzare. La sfida degli sviluppatori di FromSoftware con Elden Ring era riuscire a ricreare questa filosofia di game design all’interno di un mondo aperto senza perdere cura, dettaglio e ricchezza in ogni centimetro. E ci sono riusciti in modo sbalorditivo. L’open world offerto da Elden Ring non è un riempitivo, non è opzionale e non serve soltanto a connettere le aree in cui si svolge l’azione di gioco: al contrario, è esattamente il luogo dell’azione di gioco. Coerente, maestoso, plausibile e ricco, l’Interregno è un luogo da vivere e seppure sia ovviamente più curato nelle aree più legate alla storia principale, esplorare è un piacere e gli spazi sono densissimi di contenuti. Elden Ring non sviluppa l’open world attraverso routine dei personaggi, non ha città né collezionabili: è il modo che FromSoftware ha trovato di strutturare un tipo di mappa aperta in cui gli eventi statici si sviluppano come accadeva nei Souls, in base ai trigger che il giocatore riesce ad attivare, ai dialoghi e all’avanzamento delle quest. Una mappa aperta, ricchissima di contenuti e studiata in ogni dettaglio, più simile a un Gothic che a un open world moderno: Elden Ring ha esattamente la struttura di un Souls inserita in una mappa aperta, ed è un concept così semplice e geniale da funzionare alla perfezione e da rendere praticamente obsoleti tutti i Souls precedenti sotto l’aspetto del world design. Non è un tipo nuovo di gioco, né un modo di cancellare lo stile che ha avuto FromSoftware finora: è soltanto un modo più grande, più bello e più ricco di declinarne la filosofia. Il giocatore non sa dove deve andare per proseguire con la storia, al di là di qualche piccolo indizio: deve avanzare, esplorare, sbagliare e ritentare. E intanto godersi il mondo di gioco, che gli serve esplorare per essere più competitivo e per ottenere oggetti, armi e tutti gli strumenti per arrivare alla fine della partita. Uno scontro appare troppo difficile? Anziché dedicarsi alla brutta pratica del farming si può esplorare altrove dove non si era già stati, potenziare il personaggio e poi tornarci più tardi, più forti oppure meglio equipaggiati. Non abbiamo indizi su come proseguire? Esplorare è sempre una buona soluzione: magari in un forte sperduto troviamo un pezzo di un medaglione che servirà più avanti, oppure un Luogo di Grazia in cui riposare, fare qualche level-up e ottenere un input sulla strada da fare per proseguire. Muoversi ed esplorare non consuma più la barra della resistenza se non si è in combattimento, garantendo al giocatore una totale libertà di movimento lungo l’Interregno. La cura nella costruzione del mondo di gioco è la stessa che permea ogni area della storia principale, oltre a tutti i luoghi più grandi, che possono richiedere ore e ore di esplorazione. Elden Ring è un piacere da giocare, e persino mettendo da parte la storia principale, resta a nostra disposizione un’avventura che si regge su se stessa per il gameplay che ha, per il modo in cui gestisce l’esplorazione, per le decine di build diverse che si possono costruire e per l’online più persistente che mai. Vivere l’open world di Elden Ring significa vivere il gioco stesso, che non può esistere senza tutto ciò che lo circonda. Raggiungere una nuova area significa esplorare, trovarne la mappa, rendersi conto che magari i nemici sono troppo forti per l’equipaggiamento attuale, quindi andare a cercare miniere in cui reperire nuove pietre di forgiatura. Oppure intestardirsi e passare ore a perfezionare uno scontro in palese svantaggio. Oppure a un certo punto abbandonare una battaglia e poi tornare in una strada di notte e rendersi conto che in quel momento della giornata in quel punto si attiva una bossfight che non ci si aspettava. E intanto stupirsi di quanto davvero offra questa perla, in quantità e in qualità, dalla chicca di un dungeon particolare al moveset dell’ennesimo boss principale. Elden Ring è un’avventura estremamente complessa, bella da vivere ed estremamente impegnativa. Ma credete a noi, soffrire ma non mollare darà i suoi frutti e spingerà il giocatore ad andare avanti e dare sempre di più.

Per quanto riguarda il sistema ruolistico viene da se che l’intento di FromSoftware è quello di lasciare ai giocatori maggiore libertà nella costruzione del proprio personaggio. Ciò non significa che la profondità di questa componente sia stata smussata: il gioco eredita il sistema del peso e quello della stabilità, che regolano rispettivamente la velocità delle capriole evasive e l’efficacia della parata, e il danno delle armi viene calcolato con un sistema di proporzionalità che non sarà immediatamente chiaro a tutti i giocatori. Per avere piena consapevolezza di tutti i sistemi di Elden Ring, insomma, bisogna avere esperienza con i precedenti lavori del team, oppure accettare di studiare un po’. D’altro canto è vero che c’è molta più libertà nella costruzione del Senzaluce: alle armi possono essere associate mosse speciali e affinità particolari che le rendono sacre o incantate; il numero e le funzioni dei talismani sono così elevati che è possibile cambiare le caratteristiche di una build lavorando con cura sull’equipaggiamento. Mentre il crafting permette di usare con più frequenza oggetti da tiro o consumabili di varia natura, le Rune Maggiori strappate dalle fredde carni dei boss possono personalizzare ulteriormente il Senzaluce. Senza contare che le risorse necessarie per sviluppare armi ed evocazioni sono elargite in discreta quantità, così da incentivare la sperimentazione. Non esito a definire Elden Ring, anche sul fronte ludico, il titolo più vario e diversificato di From Software. C’è davvero di tutto da provare, tra vecchi eroi spettrali da richiamare sul campo di battaglia, Ceneri di Guerra in quantità, moveset specifici per chi impugna due armi identiche. Non fatevi frenare dal timore di perdere Rune ed esplorate il sistema, mettetelo alla prova, sondatene le funzionalità. Scoprirete che Elden Ring è un altro piccolo passo nella direzione di un gameplay più abbordabile, ma non per questo banalizzato. Per un appassionato di lungo corso dei prodotti FromSoftware, l’idea che un pubblico più ampio possa scoprire la grande profondità dei Souls, dovrebbe essere quantomeno esaltante. La nostra convinzione è che Elden Ring rappresenti il futuro della software house, quel punto di rottura col passato che funziona talmente bene da poter essere la giusta strada da intraprendere senza sacrificare quanto di buono è stato fatto in precedenza. FromSoftware non ha mai avuto come cavallo di battaglia la grafica nei suoi titoli, che sono sempre risultati leggermente arretrati rispetto alle produzioni contemporanee, Elden Ring è un titolo dichiaratamente cross-gen, che arriva sugli scaffali letteralmente “schiacciato” tra Horizon Forbidden West e Gran Tursimo 7, due produzioni che puntano parecchio sull’aspetto grafico, e gli stessi sviluppatori hanno ammesso di essere preoccupati dall’impietoso paragone in arrivo con il Demon’s Souls Remake realizzato da Bluepoint Games. Nonostante le premesse non esattamente positive, però, siamo rimasti assolutamente soddisfatti dalla nostra prova su Xbox Series X e siamo certi che l’aspetto estetico non deluderà nessuno. Dal punto di vista della colonna sonora poi si toccano vette altissime! In casa FromSoftware c’è sempre stata una particolare attenzione e cura nei confronti delle tracce che accompagnano l’incedere dell’avventura. Elden Ring presenta temi musicali epici fin dalla schermata iniziale, e per la prima volta la colonna sonora costituisce una parte fondamentale e onnipresente dell’avventura, andandosi a sostituire al costante silenzio delle fasi esplorative dei vecchi Souls. Nelle boss fight principali il comparto musicale esplode, letteralmente, in un tripudio di cori e archi che esaltano l’essenza stessa dello scontro. Quindi sia per quanto riguarda l’aspetto estetico che quello sonoro, il titolo ha molto da offrire. Tirando le somme, possiamo dire che Elden Ring è un vero e proprio capolavoro. L’esperienza è così vasta che per godersi proprio tutto quello che FromSoftware ha creato nel gioco servano più di 120 ore, senza considerare l’enorme varietà di build e percorsi possibili. Proprio per questo il tasso di rigiocabilità è altissimo e la soddisfazione nel procedere dopo aver battuto quel boss che prima ci sembrava così duro da abbattere è sempre molto elevata. Elden Ring è un modo completamente nuovo di intendere i soulslike. Cambia il sistema di progressione, cambia il bilanciamento dei nemici, cambiano i tempi e cambiano soprattutto gli spazi. L’Interregno è un mondo vastissimo, ricco di segreti e letale, ma sa accompagnare il giocatore nella sua scoperta. Richiede attenzione, voglia di sperimentare e di mettere insieme i puntini, senza segnalatori e indicatori, senza collezionabili e libro delle missioni. Restano un giocatore, un personaggio e più di un centinaio di boss che si danno il cambio morendo uno dopo l’altro nella storia più grande, ambiziosa e ricca che la software house abbia mai creato. Se volete una sfida e avete molto tempo tempo a disposizione, Elden Ring è qualcosa che vi lascerà il segno dentro per sempre. Ne siamo certi.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9
Sonoro: 9,5
Gameplay: 9,5
Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9,5

Francesco Pellegrino Lise




Honor presenta Magic 4 Pro, lo smartphone con la super ricarica

Honor, nel corso del Mobile World Congress di Barcellona, ha annunciato il nuovo smartphone Magic 4 Pro. A fine 2020, l’azienda era stata venduta da Huawei ad un consorzio di oltre 30 agenti, rivenditori e distributori. Fuori dal controllo del colosso cinese, il marchio ha reintrodotto nei suoi telefoni i servizi di Google, esclusi dai prodotti di Huawei per via del ban statunitense ancora in corso. Honor Magic 4 Pro monta un recente processore Snapdragon 8 Gen 1, un display da 6,81 pollici e tecnologia migliorata per il sensore di riconoscimento delle impronte. Il comparto fotografico poggia su tre fotocamere che sottendono il doppio flash. Il sensore principale è da 50 megapixel, al fianco del quale c’è un ultra grandangolare sempre da 50 megapixel e un teleobiettivo da 64 megapixel. La chicca è il supporto alla ricarica super veloce a 100 watt con il cavo, che vuol dire portare il telefono da un’autonomia azzerata al massimo, in circa 30 minuti. Il prezzo di vendita è di 1.099 euro. Insieme al Pro, Honor ha presentato anche il Magic 4, con specifiche al ribasso e un prezzo di 900 euro. A Barcellona, il produttore cinese ha confermato l’arrivo in Europa del Watch GS 3, un smartwatch dalle sembianze classiche e finiture in acciaio. Infine, gli Earbuds Pro 3, auricolari dal design simile agli AirPods Pro di Apple, con la particolarità di essere dotati di una funzione di misurazione della temperatura corporea.

F.P.L.




King of Fighters XV, il nuovo volto del grande classico di lotta

King of Fighters è di nuovo tra noi con il suo quindicesimo capitolo, ed è pronto a rapire gli appassionati con il suo gameplay estremamente tecnico ed esaltante. D’altronde la complessità del sistema di combattimento è sempre stata uno dei tratti distintivi della serie e, al netto di qualche lieve facilitazione, anche questo nuovo capitolo non fa eccezione. Questo basterà per soddisfare i giocatori vecchi e nuovi? Andiamo a scoprirlo. Ricordiamo che il nuovo King of Fighters XV è disponibile dal 17 febbraio per PS5, PS4, Xbox One, Xbox Series X/S e PC. Il fatto che The King of Fighters XV abbia una struttura molto classica lo si può capire sin da subito per via delle sue modalità. Quelle per il single player in realtà sono anche meno di quelle presenti nel XIV, infatti sono state eliminate il Survival e il Time Attack Mode, lasciando solo il classico Versus, per fare partite singole contro la CPU o contro un altro giocatore, il Tutorial, che spiega velocemente tutte le meccaniche principali del titolo, la modalità Allenamento e la modalità Missioni, in cui si sarà chiamati a realizzare alcune combo di difficoltà sempre crescente per ogni personaggio. L’unica aggiunta interessante è la possibilità di creare una modalità Torneo in locale nel Versus, nel caso si abbiano almeno due pad per poter giocare contro altri giocatori umani. Come in tutti gli esponenti del genere, anche in The King of Fighters XV il cuore del single player è senz’ombra di dubbio rappresentato dallo Story Mode, anche questo rimasto praticamente uguale al XIV nella sua formula. Nello Story Mode. Qui sarà necessario scegliere il proprio team di combattenti (composto da 3 membri) per affrontare un totale di 8 incontri di fila. Ogni team ufficiale avrà un suo finale realizzato con immagini in stile anime statiche, mentre i team principali, come il Team Eroi, composto da Shun’ei, Meitenkun e Benimaru o il Team Rivali, comprendente i nuovi personaggi Isla e Dolores con l’aggiunta di Heidern, hanno anche dei filmati unici realizzati in CG. Oltre ai finali classici, però, con particolari combinazioni di lottatori sarà possibile sbloccare anche dei finali speciali: alcuni indizi su chi usare per questo si possono trovare nella “Galleria”, area che darà anche la possibilità di rivedere tutti i filmati sbloccati fino a quel momento nel gioco. Ovviamente non bisogna aspettarsi una narrativa molto approfondita, dato che la poca storia che viene mostrata tra gli incontri, specie quelli prima del boss finale, è molto sintetizzata e suona più come una mera giustificazione per combattere. Finendo il titolo con i vari team, ufficiali e non, si comprenderanno ulteriori dettagli sugli eventi che ruotano intorno al quindicesimo torneo del The King of Fighters, ma è bene non aspettarsi una storia ricca di colpi di scena e momenti esaltanti. Le modalità Online non presentano grandi sorprese, dato che sono disponibili le classiche partite Classificate e Casuali, più una modalità per creare una Stanza in cui poter impostare alcune regole speciali. Risulta dunque evidente che, a meno che non si voglia finire il gioco con tutti i team disponibili e sbloccare tutti i finali dello Story Mode, il titolo non offre molto a livello di contenuti per il single player ed è un peccato, perché, anche se è vero che i picchiaduro sono giocati principalmente per l’online, una qualche modalità extra avrebbe garantito un po’ di varietà in più anche per chi volesse allenarsi o confrontarsi solo contro la CPU.

Per quello che concerne la giocabilità e il combat system, possiamo senza dubbio asserire che la parola d’ordine da tenere sempre bene a mente è “precisione”. Sì, perché al contrario di quanto avviene in molti altri esponenti del genere contemporanei, in The King of Fighters XV è necessario eseguire le catene di combo, le interruzioni e le mosse speciali in modo quantomai accurato, in modo da massimizzare i danni e, soprattutto, da non rimanere mai scoperti ai feroci contrattacchi degli avversari. In sostanza, si tratta di un gioco parecchio più difficile della media da padroneggiare ma, ve lo possiamo garantire, è anche uno di quelli che riescono a regalare le maggiori soddisfazioni, una volta entrati nel merito delle sue numerose meccaniche. In tal senso, è davvero un peccato constatare che il tutorial inserito nel gioco sia così scarno e superficiale. Non c’è alcun approfondimento delle meccaniche più avanzate, non c’è possibilità di vedere dei video illustrativi, ma ci sono solo una manciata di lezioni che mostrano per sommi capi gli elementi principali del sistema di combattimento e poco altro. Tutto il resto dovrà venire da sé, scontrandosi con una IA parecchio cattivella anche ai livelli di difficoltà intermedi e tentando di carpire i segreti di ogni singolo personaggio. Almeno sotto questo profilo, siamo certi che SNK avrebbe potuto fare di meglio per garantire una certa accessibilità anche ai novizi della serie senza doverli gettare nella mischia in maniera estremamente scoraggiante. Fortunatamente, una volta assimilate almeno le basi, gli scontri proposti dal titolo risultano davvero emozionanti. Oltre alla classica divisione tra pugni e calci leggeri e pesanti assegnati ai tasti frontali del controller, c’è un tasto dedicato alle “schivate di emergenza”, utili per uscire rapidamente da situazioni difficili agli angoli delle mappe oppure per recuperare in un batter d’occhio dopo essere finiti al tappeto, e un tasto dedicato al cosiddetto “Colpo d’Impatto” che, al costo di una barra di Super e di un tempo di attivazione relativamente prolungato, consente di spingere via l’avversario in modo da rifiatare e impostare nuovamente l’offensiva. Inoltre è presente il ritorno della Maximum Mode, uno stato di alterazione temporaneo che permette di amplificare l’output di danno e di effettuare con maggior frequenza le mosse speciali. Tuttavia, a differenza di quanto avveniva in passato, soprattutto negli ultimi due capitoli del brand, in King of Fighters XV questa poderosa tecnica non è strettamente indispensabile per portare a casa gli incontri. Sia chiaro, rimane comunque uno strumento straordinariamente efficace per volgere le sorti della contesa a proprio vantaggio ma, questa volta, SNK ha deciso di concedere ai giocatori un ventaglio di opzioni notevolmente più ampio per interpretare il combattimento. Oltre al già citato “Colpo d’Impatto”, infatti, la barra Super può essere impiegata per eseguire le mosse EX, ma anche per l’inedita tecnica denominata “Rush”, attivabile mettendo a segno quattro pugni leggeri in rapida successione o tre leggeri e un altro colpo a scelta alla fine della combo per scatenare una mossa speciale di chiusura capace di infliggere danni piuttosto ingenti. Si tratta di un’implementazione intelligente, utile in particolar modo per i combattenti alle prime armi ma che, con ogni probabilità, sarà molto meno incisiva contro gli avversari che attendono nei campi di battaglia online. Grande importanza, anche questa volta, è stata attribuita alla meccanica dei cancel che, come da tradizione, consistono nell’interruzione di una determinata animazione eseguendo rapidamente una nuova stringa di combo per sorprendere il nemico e capitalizzare al massimo su qualunque tipo di apertura della sua guardia. Detto ciò è chiaro che il sistema di combattimento parte dalle solide basi gettate dai capitoli precedenti ma le rifinisce sotto praticamente tutti i punti di vista. Insomma, a conti fatti, il sistema adottato per The King of Fighters XV è una versione riveduta e corretta di quanto apparso nel predecessore, una formula che si traduce in scontri dall’elevato tasso di spettacolarità ma che nasconde una profondità estrema.

Parlando dei personaggi disponibili è bene sottolineare come nel corso degli anni e dei numerosi titoli usciti, The King of Fighters abbia creato un roster enorme, che supera facilmente il centinaio di personaggi. Inserirli tutti rappresenterebbe un lavoro enorme per il team di sviluppo, specialmente quando si devono ricreare nuovamente da zero come è successo di recente con il passaggio alle tre dimensioni. In King of Fighters XV sono presenti 39 personaggi, per un totale di 13 team, tre in meno rispetto al XIV, ma con ritorni di grande qualità. Tra i personaggi presenti ci sono ovviamente sia vecchie glorie che volti nuovi. Questi ulltimi sono principalmente tre: Isla, ragazza che usa un potere simile a quello di Shun’ei (l’eroe di questa nuova saga, per cui Isla sin da subito dimostra di provare un’accesa antipatia), e Dolores, la compagna di squadra di Isla e l’unica che sembri avere un’idea degli eventi misteriosi che stanno minacciando la riuscita del nuovo torneo. Infine c’è Krohnen, che in realtà non è totalmente un nuovo personaggio, poiché ha molte caratteristiche in comune con due vecchi lottatori del titolo: K9999 e Nameless, inseriti in origine in The King of Fighters 2001 e 2002. Il cambiamento è stato necessario, dato che K9999 era stato rimosso per una controversia legata a delle somiglianze troppo elevate con il personaggio di Tetsuo del famoso manga e anime Akira. Nameless lo aveva rimpiazzato nel capitolo del 2002 (proprio per via delle controversie) con un aspetto diverso e mosse leggermente cambiate. Krohnen è dunque la nuova incarnazione del personaggio, dato che le sue mosse sono molto simili a quelle dei suoi predecessori, e probabilmente SNK ha deciso di inserirlo in considerazione della grande popolarità dei due vecchi antieroi. Isla è un nuovo personaggio a capo del Team Rivali, che sembra provare un astio particolare verso Shun’ei, il leader del team eroi di questa nuova saga di KOF. Il resto del cast del quindicesimo capitolo è poi composto da personaggi immancabili, come i classici Kyo, K’, Iori, i team Fatal Fury e Art of Fighting e tanti altri volti noti. Grande ritorno per alcuni team, come il team Orochi, composto da Yashiro, Shermie e Chris, che ritornano dopo la loro ultima apparizione nel 2002, stesso anno in cui era comparsa per l’ultima volta anche Chizuru Kagura, ora presente.Torna anche Ash con il suo team, per la prima volta in veste 3D dopo che, secondo la storia ufficiale era stato cancellato dalla storia alla fine di KOF XIII. Se siete preoccupati che 39 lottatori siano pochi non disperate: SNK ha già annunciato l’arrivo di altri 4 team, per un totale di altri 12 combattenti, nella Season One del picchiaduro. Conosciamo già i nomi dei primi sei lottatori che arriveranno: ci saranno dei pezzi grossi, come Rock e Geese Howard, Billy Kane e Ryuji Yamazaki, quindi non temete, il titolo avrà sempre carne fresca da offrire.

Per quello che concerne il profilo tecnico, infine, The King of Fighters XV è una vera e propria gioia per gli occhi, molto più di quanto era stato suggerito dal materiale promozionale diffuso negli scorsi mesi. I modelli dei personaggi risultano definiti e curati nei minimi dettagli; la palette cromatica adotta tinte corpose e vibranti; gli stage sono veramente bellissimi da vedere in movimento e anche gli effetti visivi sono davvero meravigliosi. La colonna sonora del titolo è ben riuscita e variegata, con un tema principale rock che è davvero esaltante. È possibile poi ascoltare tutte le musiche del gioco nell’apposita sezione del menu principale chiamata DJ Station, che ci permetterà di sentire tutta l’OST non solo del quindicesimo capitolo, ma anche di tutti quelli precedenti e persino di alcuni titoli extra di SNK come Samurai Shodown e Metal Slug, anche se per sbloccare le colonne sonore extra bisognerà finire la modalità Storia con alcuni team specifici. Il titolo è disponibile con i sottotitoli in italiano e un doppiaggio che è un mix tra inglese, per la voce fuori campo che commenta le battaglie, e giapponese, per quanto riguarda invece le voci dei personaggi. Detto ciò, tirando le somme, The King of Fighters XV rappresenta un titolo assolutamente imperdibile sia per gli amanti della serie, ma anche per chi cerca un livello di sfida più elevato rispetto al normale. In sostanza il gioco è un prodotto divertente, profondo e con un’infrastruttura online promettente. La proposta avrebbe certamente meritato una maggiore attenzione sul fronte dei contenuti, sia sul versante della modalità storia che su quello dei tutorial, ma il risultato complessivo ha comunque tutte le carte in regola per offrire agli appassionati un’esperienza più che piacevole. Merito soprattutto dei pregi di un gameplay solido e rispettoso dei canoni della serie, con modifiche che non ne alterano più di tanto l’anima storica. Insomma, alla domanda “ma ne vale la pena di acquistarlo?” la nostra risposta è assolutamente si, a patto che siate disposti a non volere troppo dalla modalità single player e che abbiate una predilizione per i combattimenti online.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5
Sonoro: 8,5
Gameplay: 7,5
Longevità: 7

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Tcl punta tutto sul 5G e lancia diversi prodotti alla portata di tutti

Tcl ha svelato al Mobile World Congress di Barcellona una serie di nuovi dispositivi che puntano tutto sul 5G. Rafforzando il suo impegno nell’offrire smartphone accessibili a tutti e dotati del nuovo standard di rete, il costruttore ha presentato la Serie 30, con cinque nuovi telefonini. A questi si aggiungono tre tablet, tra cui l’ultimo arrivato nella famiglia Nxtpaper, che ha un pannello touch capace di replicare la carta stampata. Completa la gamma di novità il Linkhub 5G, un router pensato per collegare centinaia di dispositivi in ambienti diversi. Gli smartphone presentati sono il Tcl 30+, Tcl 30, Tcl 30SE, Tcl 30E e Tcl 30 5G. Tutti sono dotati di un comparto fotografico da 50 MP e una serie di funzionalità dedicate, tra cui Steady Snap che consente di mettere in pausa lo scatto e catturare meglio i soggetti in movimento, la Face Tracking per i ritratti dinamici e la Auto-Capture per inserire più persone nell’inquadratura dei selfie grandangolari. Le dimensioni dei display vanno dai 6,52” del Tcl 30SE e del Tcl 30E per arrivare ai 6,7” di Tcl 30+, Tcl 30 e Tcl 30 5G. Presente inoltre la nuova tecnologia Nxtvision, con cui proteggere la vista riducendo la luce blu del 30%. In ambito tablet, il Nxtpaper Max 10, in configurazione Wi-Fi o 4G LTE, ha un display da 10,36” con una tecnologia che restituisce una sensazione d’uso simile alla carta, utile per prendere note o leggere libri in digitale. Per ora, arriverà solo in Asia. A chiudere il quadro delle novità il top di gamma nel segmento router. Linkhub 5G CPE offre connettività 5G e Wi-Fi 6. Svelato per la prima volta al Consumer Electronic Show di gennaio, può supportare fino a 256 utenti per prestazioni di qualità in streaming, smart working e didattica a distanza.

F.P.L.




Dynasty Warriors 9 Empires, il ritorno della Guerra dei tre Regni

Dynasty Warriors 9: Empires è la versione completa e corretta del nono capitolo della serie (qui la nostra recensione del titolo originale) musou che ha fatto letteralmente la storia del settore. Il titolo sviluppato da Omega Force e distribuito da Koei Tecmo, è già disponibile ed offre tantissime ore di gioco nella Cina imperiale al comando dei leggendari condottieri che hanno provato a unificare il paese e le cui gesta sono state raccontate, in maniera romanzata, nel celebre Romanzo dei Tre Regni scritto da di Luo Guanzhong. Dynasty Warriors 9 Empires si apre gradualmente, con un semplice tutorial e l’opportunità di poter creare subito (e usare in seguito) il proprio ufficiale, grazie a un generoso editor. Nella campagna si susseguono diversi scenari storicamente importanti ed eventi che ricoprono le vicende più famose della guerra dei Tre Regni. La novità sta nell’intervento assai più attivo del giocatore, che può letteralmente riplasmare la storia a suo piacimento. La giocabilità poggia su un’impalcatura politica/gestionale abbastanza dettagliata, ma mai tanto da potersi fregiare di meccanismi da strategico puro. E va anche bene così: monitorare l’umore di colleghi, sottoposti e popolazione – nella pianificazione a cadenza mensile – sa essere interessante senza tediare. Si può incarnare il proprio ufficiale puntando direttamente al successo e la gratificazione personale, o lavorare dietro le quinte, usando la diplomazia, ingraziandosi le figure di spicco dei territori limitrofi e coordinando le diverse alleanze. Il protagonista, quindi, viene descritto da una serie di parametri morali oltre che fisici e avanzare di livello vedrà aumentare e diminuire caratteristiche come la diplomazia, il carisma, la spietatezza o l’integrità. La condotta è costantemente monitorata e le opzioni offerte mutano in relazione allo status. Le battaglie invece abbracciano la classica scuola musou, utilizzando le stesse dinamiche introdotte nel precedente capitolo “base”. I colpi speciali vanno quindi collegati a quattro super-mosse diverse tramite l’uso dei tasti dorsali. Il destriero accompagna i giocatori nelle traversate più lunghe e gli scontri più importanti vedono l’intervento di arieti e catapulte, in battaglie campali e assalti piuttosto galvanizzanti. Sfortunatamente, nonostante l’attrezzatura e i “piani da guerra” da sbloccare, il gameplay si rivela sempre il medesimo, con pochissime variazioni. Nella campagna di Dynasty Warriors 9: Empires l’obiettivo è quello di unificare il paese, conquistando nuove regioni una a una e difendendo le zone sotto il proprio controllo dall’assalto di eventuali invasori. Entrambi questi aspetti si concretizzano nella fase action, che riprende chiaramente le meccaniche dei musou tradizionali. Purtroppo, però, la varietà delle situazioni e degli scenari lascia davvero, davvero, davvero a desiderare. Si parla spesso di quanto la formula delle produzioni targate Omega Force sia fortemente ripetitiva e incapace di rinnovarsi da ormai oltre vent’anni, ma con questo Empires si tocca probabilmente un picco difficile da eguagliare e da giustificare. Il problema di fondo è che ci si troverà inevitabilmente a fare le stesse, identiche cose ogni volta che si scende in campo. Laddove l’obiettivo sia quello di conquistare un territorio, sarà necessario supportare le proprie truppe mentre assaltano una fortezza, penetrare al suo interno e sconfiggerne il comandante. Se invece si sta difendendo, bisognerà agire al contrario e impedire che i soldati entrino nel forte, andando quindi a eliminare il loro capo. Le variabili sono rappresentate dai personaggi che sono presenti nello scenario, da eventuali tattiche decise prima di partire (i cosiddetti “piani segreti”) e dal proprio equipaggiamento in termini di armi e manovre speciali, che tuttavia non si avrà modo di cambiare quanto magari si vorrebbe. Lo sblocco e l’acquisto di oggetti è infatti un aspetto del gioco davvero limitato, e la progressione viene dunque affidata unicamente al potenziamento dei guerrieri tramite il normale sistema di livellamento. È chiaro che le gravi mancanze in termini di gameplay e di “freschezza” di Dynasty Warriors 9: Empires finiscono per scoraggiare potenzialmente anche i fan più irriducibili del genere musou, perché parliamo effettivamente di un’esperienza che si ripete per centinaia di turni, identica a sé stessa, e che non può neppure contare su di un sistema di combattimento evoluto: basta entrare nella guardia di un boss per affondare le combo (sempre uguali) finché non sarà morto, a prescindere dalle sue capacità, e ricorrere eventualmente alle special qualora la situazione dovesse volgere a nostro sfavore. Il tutto avviene con una resa degli impatti ancora oggi del tutto inconsistente e qualche problema di troppo con la visuale, che tende a impazzire quando si aggancia un nemico e si prova magari a ripiegare perché si stanno subendo troppi danni e si ha bisogno di tempo per far agire una manovra speciale che possa ripristinare l’energia.

Croce e delizia di questo Dynasty Warriors 9 Empires sta nell’aver ereditato quasi interamente la grafica del precedente episodio canonico, con tutti i contro del caso. Se il motore di gioco apriva diverse opportunità in termini di conversioni multipiattaforma grazie alla sua scalabilità, appariva per contro piuttosto scialbo in termini di resa complessiva e definizione. Ciò era in larga parte dovuto alla gestione di un vero e proprio open world, con texture leggere da caricare e una planimetria piuttosto basica. Gli asset importati di peso e incastrati a forza nella nuova produzione di Koei Tecmo entrano in conflitto con la sua struttura ludica rendendola incapace di trasformarsi e adattarsi adeguatamente. Tra tearing e terreno in bassa risoluzione, l’aspetto grafico non è certo tra i punti forti della produzione. Il gioco, quindi, fallisce nel restituire un aspetto più moderno, rifinito e consono alle piattaforme su cui gira. Sia in modalità “Cinematografica” che in quella “Prestazioni”, la grafica garantisce con difficoltà un frame rate stabile, mostrando addirittura fenomeni di tearing nelle rotazioni più ardite della telecamera. Persino la vegetazione e il fogliame, inquadrati spesso da vicino, mostrano shader scialbi e sgranati. Tale situazione è sia su Ps5 che su Xbox Series X, quindi viene da se che le versioni old-gen siano afflitte da tali problematiche anche in forma più grave. Peccato perché l’interfaccia è funzionale ed elegante e tutta la parte dedicata alla gestione del regno è chiara e comprensibile. A girare il coltello nella piaga ci si mettono pure i caricamenti, insolitamente oziosi, soprattutto negli scambi diplomatici con gli altri ufficiali, che diventano inutilmente lenti. Buono invece l comparto audio, col solito, roboante doppiaggio nipponico e una serie di musiche dal piglio pop-rock marziale. Tirando le somme, possiamo dire che non è facile condannare completamente il lavoro svolto da Omega Force, tutt’altro: il numero spropositato di eroi che è possibile controllare, le armi di diversa foggia, le gemme da potenziare, le carte abilità; insomma, a voler sbloccare tutto si possano superare le cento ore di gioco. Si tratta di una struttura ricorsiva ma non priva di fascino, i cui elementi di crescita costante spingono il giocatore all’ennesimo mese, finendo per passare ad anni di gestione senza neanche accorgersene. Insomma, Dynasty Warriors 9 Empires è un gioco capace di catturare un discreto numero di giocatori, grazie a un ibrido che mescola una struttura strategica piuttosto blanda ma appassionante con incursioni action in pieno stile musou. Le alleanze da stringere, il monitoraggio degli introiti, le derrate alimentari da distribuire, il malcontento dei cittadini da reprimere e l’umore dei sottoposti da tenere desto, sono solo alcune tra le opzioni cui prestare attenzione se di desidera portare avanti con successo i nostri piani di conquista. Purtroppo, a meno di ignorare bellamente i livelli “facile” e “normale”, la sfida complessiva è raramente degna di tal nome. Inoltre, pure alzando l’asticella della difficoltà, alcuni espedienti per inasprire gli scontri si rivelano posticci e gli elementi strategici si mostrano soltanto più severi in termini di percentuali. Insomma, bene ma non benissimo, da questa versione aggiornata del titolo ci si aspettava qualcosa in più dal punto di vista della struttura e qualche cosa in meno per quello che concerne la grafica e la ripetitività. Intendiamoci, non è un brutto gioco, ma se state cercando qualcosa di innovativo e vario allora tenetevene alla larga. Al contrario se si cerca qualcosa che duri molto e abbia tantissime cose da sbloccare, questo è il gioco che fa per voi.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 7,5

Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




TikTok contro fake news e sfide pericolose

TikTok ha annunciato nuovi aggiornamenti a supporto dei giovanissimi, dei genitori e degli educatori sul tema delle sfide online e delle bufale, un problema che riguarda molte piattaforme tecnologiche. Secondo il report dell’agenzia indipendente di servizi di protezione Praesidio Safeguarding, pubblicato lo scorso novembre, adolescenti e adulti sono alla ricerca di informazioni più accurate sul tema delle sfide pericolose e delle bufale. Il social ha creato una nuova guida permanente all’interno dell’app che, assieme alle informazioni contenute nel Centro Sicurezza, incoraggia gli iscritti a conoscere i vari passi da seguire per affrontare fake news e sfide online. Collaborando con molteplici esperti, TikTok ha aggiornato il linguaggio utilizzato nei messaggi di avviso visualizzati sui video rischiosi, semplificando ulteriormente la segnalazione di contenuti fuorvianti e potenzialmente pericolosi. “Con l’obiettivo di aiutare in maniera sempre più efficace la nostra community a comprendere le sfide online e a divertirsi in sicurezza, all’inizio di febbraio abbiamo lanciato nuovi video realizzati dai creator @kiro_ebra, @fabianamanager e @marcoilgiallino” spiega il team. “I contenuti sono stati messi in evidenza nell’hub della sezione “Scopri” dedicato a #SicuriSuTikTok. Per educare ulteriormente gli iscritti, stiamo portando l’importante messaggio di questi video direttamente ai membri della community. Nelle prossime settimane, questi cominceranno a essere visualizzati nel feed “Per Te” degli utenti con meno di 18 anni”. A inizio febbraio, TikTok ha annunciato una modifica alla struttura delle Linee Guida della Community che dà maggiore evidenza alle azioni e challenge pericolose in una categoria dedicata. Insomma, la piattaforma social sembra del tutto intenzionata a tutelare i suoi utenti più giovani.

F.P.L.




Call of Duty Vanguard e Warzone si espandono con la “season 2”

Dal 14 febbraio Call of Duty Vanguard e Warzone si amplia. Da questa data infatti è disponibile la seconda stagione del popolarissimo sparatutto che, come di consueto porta una pioggia di contenuti e novità su Pc, Xbox e PlayStation. La Stagione 1 di Call of Duty: Vanguard aveva iniziato a narrare il nuovo filone narrativo partendo dall’isola di Caldera, raccontando le mosse attuate dal capitano Butcher per fermare i nazisti affidandosi all’esperienza soldati altamente addestrati. Per fermare l’Asse e saperne di più sul misterioso e alquanto letale gas Nebula V, il capo delle forze speciali ha inviato la Task force Yeti sulle Alpi per prendere parte a una missione ad altissimo rischio. Composto da Anna Drake, Thomas Bolt e Gustavo Dos Santos, il trio di combattenti si è messo sulle tracce del composto chimico sbaragliando le linee difensive tedesche arroccate sulle montagne svizzere. Ma se Anna Drake entrerà a far parte del roster di operatori di coloro in possesso del Battle Pass, che richiede il solito investimento di 1.000 CoD Points (9,99 euro), Thomas Bolt e Gustavo Dos Santos diverranno disponibili previo l’acquisto dei relativi bundle al prezzo di 2.400 PC (pari a 19,99 euro) per ogni pacchetto estetico. Per quanto riguarda il Battle Pass, le oltre cento ricompense gratuite e premium offrono la solita vagonata di skin, progetti ed elementi cosmetici che rispecchieranno il tema “invernale” che caratterizza la Stagione 2. Per quello che concerne i contenuti gratuiti per tutti, la corposa selezione di mappe di Vanguard si è ampliata ulteriormente con Gondola e Casablanca, due nuovi teatri di guerra diametralmente opposti tra loro in termini di ambientazioni. La prima è un’arena innevata di notevoli dimensioni che porta gli scontri a fuoco sulla cima di una montagna, proponendo un elemento interattivo come le seggiovie che permettono ai giocatori di spostarsi tra le varie aree e di sperimentare un nuovo approccio ai combattimenti. Richiesta a gran voce dai giocatori che amano le sfide multiplayer altamente competitive, la modalità ranked verrà pubblicata a breve in versione beta e subirà miglioramenti e aggiornamenti col passare delle settimane. Le partite classificate seguiranno il regolamento CDL (Call of Duty League) con diverse limitazioni per armi, accessori ed equipaggiamenti, ma offriranno comunque tutta una serie di ricompense esclusive per gli utenti più bravi controller alla mano. L’update di metà stagione, invece, vedrà il debutto della variante di gioco “Corsa agli armamenti” che introdurrà in Vanguard alcuni veicoli sulla falsariga della modalità “Armi combinate” di Call of Duty: Black Ops Cold War.

La Stagione 2 ha visto anche l’introduzione di una moltitudine di contenuti e nuove dinamiche di gameplay in Warzone, a partire dai mezzi blindati che d’ora in avanti sfrecceranno a tutta birra lungo le strade dello scenario tropicale. Non si tratta di veicoli messi a disposizione dei giocatori, bensì di furgoni guidati dall’intelligenza artificiale e da far esplodere per ottenere loot di alto livello (una feature già vista in PUBG: Battlegrounds); non sarà un gioco da ragazzi in quanto questi bestioni corazzati attaccheranno le squadre con potenti mitragliatrici, oltre che con mine esplosive che renderanno ancora più entusiasmanti gli inseguimenti e gli scontri con le forze dell’Asse. Gli sviluppatori hanno pensato di inserire anche una zip-line verticale per permettere ai giocatori di lanciarsi in alto, per poi paracadutarsi nel punto desiderato, mentre aerei e armi da fuoco possono far esplodere il pallone che, comunque, potrà essere rischierato investendo una piccola quantità di denaro. Altra novità introdotta con la nuova stagione è invece un gadget che protegge dal veleno del Nebula V e dal gas letale della chiusura del cerchio, e garantisce agli utilizzatori un vantaggio tattico soprattutto nelle fasi avanzate del match. In ogni caso si tratta di elementi di gioco che vanno a rendere più dinamica l’esperienza della battaglia reale, dando agli utenti più strumenti per spostarsi rapidamente per lo scenario e fornendogli un utile accessorio per proteggersi dalla nube di gas tossica. A tal proposito, va registrata anche la presenza di munizioni e bombe Nebula V che asfissiano e danneggiano i nemici colpiti dalla nuvola di veleno, a meno che questi non indossino una maschera antigas per proteggersi dal potente e mortale gas chimico usato dalle truppe naziste su Caldera. Ultima ma non per questo meno importante novità è rappresentata dai bombardieri. Per quanto non sia facile da pilotare, il nuovo velivolo è in grado di far piovere bombe e morte dall’alto colpendo obiettivi sensibili come fanteria e altri mezzi di trasporto come jeep o furgoni. Questi giganti dell’aria non saranno però invincibili e potranno essere abbattuti dalle postazioni antiaeree sparse per l’isola, nonché dagli stessi caccia da combattimento che rappresentano una notevole minaccia per i bombardieri.

Novità anche per quanto riguarda la modalità Zombi di Vanguard. Il filone narrativo di Der Anfang si è concluso e ha lasciato spazio a Terra Maledicta, un nuovo scenario che vede i giocatori a combattere l’esercito non morto di Von List nelle sabbiose terre d’Egitto. La struttura di questa seconda campagna cooperativa è rimasta pressoché immutata, anche se a livello di location si è passati da Stalingrado alle sabbiose lande mediorientali, con il solito hub principale da cui avviare missioni, potenziare il proprio equipaggiamento e fare a pezzi qualsiasi creatura orripilante capiti a tiro. Ma contestualmente all’arrivo della seconda ambientazione di gioco, la modalità PvE di Vanguard ha ottenuto anche una nuova tipologia di obiettivo da completare, Sacrificio, in cui è necessario impedire agli zombi di immolarsi presso degli altari sacrificali (chiamati Sifonuclei) in grado di generare nemici ancora più aggressivi e numerosi. A tutto questo si è unita anche Vercanna la Superstite, il nuovo Manufatto che con la sua abilità “Area curativa” fornisce supporto e amorevoli cure ai membri della squadra. Un gradito ritorno per i veterani di Zombi è invece quello delle Armi strabilianti (Wonder weapon), con la mitica Ray Gun e l‘inedito Scudo decimatore che potranno essere contenute all’interno della Mystery box o sbloccate completando degli easter egg, proprio come visto in Black Ops l’anno scorso. Tirando le somme, con la stagione 2 Call of Duty riesce nell’ormai consueto scopo di accrescere l’offerta ludica del suo ultimo titolo e della sua Battle Royale.

Francesco Pellegrino Lise




Ledwall, quando la tecnologia colora la vita

È stato calcolato che nell’arco di una intera giornata riceviamo, mediamente, oltre 3mila sollecitazioni provenienti da video pubblicitari, cartelloni o insegne luminose. In ogni angolo della strada c’è qualcosa che attira la nostra attenzione e ci spinge a distogliere lo sguardo e a mettere a fuoco quello che ci viene proposto. Spesso i cartelloni pubblicitari sono stati oggetto di polemica perché collocati in modo da distrarre le persone, tanto da provocare degli incidenti. Nonostante questo, però, le insegne luminose, gli schermi ledwall e i cartelloni pubblicitari, fanno ormai parte dell’arredo urbano delle nostre città, e in alcuni casi ne diventano un’espressione di stile. Pensiamo a Trafalgar Square a Londra e Times Square a New York, non sembrerebbero neanche le stesse senza i loro maxi schermi a led, accesi a tutte le ore. Ma il moderno ledwall ha un “antenato illustre”, il neon: è grazie all’invenzione di questo tipo di illuminazione che si arriverà poi, negli anni 60, al LED, acronimo di Light Emitting Diode (diodo ad emissione luminosa).

Pubblicità su ledwall, la strategia vincente

La tecnologia alla base degli schermi luminosi, naturalmente, nel tempo è cambiata, si è evoluta, e nella seconda metà del secolo scorso le insegne a led si sono affermate come le migliori per veicolare ogni tipo di messaggio pubblicitario. Gli schermi ledwall si adattano ad ogni tipo di contesto, e possono essere utilizzati sia all’interno di spazi chiusi che all’aperto. I marchi più prestigiosi del mondo della moda scelgono di proiettare i video, gli spot e le immagini delle sfilate su maxi schermi a led, presenti nelle boutique delle maison, negli aeroporti e nelle strade delle principali città del mondo. Questi brand prestigiosi, hanno scelto questi dispositivi, come i pannelli ledwall di Macropix, per veicolare il loro messaggio al pubblico, supporti digitali in grado di proiettare immagini e video anche a grande distanza. 

Maxischermi per i concerti

Questo tipo di schermo viene utilizzato anche da molti artisti, durante i concerti, quei grandi raduni che prevedono la presenza di migliaia di persone. Grazie agli schermi a led anche chi si trova a decine di metri di distanza dal palco, riesce a vedere da vicino il palco e godere non solo della musica, ma anche della vista del proprio cantante preferito. Tutto questo non sarebbe possibile senza l’utilizzo di questo tipo di tecnologia, fondamentale non solo per la pubblicità, ma anche per le arti visive.

Arte e ledwall: binomio vincente

La tecnologia led è entrata prepotentemente anche nel mondo dell’arte. Nel 2022 è nata la prima galleria d’arte digitale, la Art Innovation Gallery, un’esposizione che si serve della tecnologia led e della realtà aumentata per la proiezione delle opere, e che si pone l’obiettivo di cambiare il concetto stesso di mostra. Grazie all’utilizzo di tutta una serie di ledwall, l’esposizione ha già fatto tappa in alcune delle più importanti città del mondo, come Miami, New York e Bruxelles, e arriverà ad aprile anche a Milano. Le immagini delle opere d’arte vengono proiettate su questi maxi schermi, collocati all’aperto, lungo le strade e nelle piazze delle città. Un modo tutto nuovo per avvicinarsi all’arte e per trasformare le città in musei a cielo aperto, tutto grazie alla tecnologia led, l’unica in grado di enfatizzare e valorizzare davvero la bellezza.




Fusione nucleare, obiettivo energia pulita più vicino

E’ più vicina la fusione nucleare, l’energia pulita del futuro che imita quanto avviene nel cuore delle stelle: il reattore sperimentale europeo Jet (Joint European Torus) ha generato energia pari a 59 megajoule a intervalli di 5 secondi, equivalente a 11 megawatt.

E’ il doppio di quella ottenuta 25 anni fa dalla stessa macchina. Lo rende noto la stessa collaborazione Jet, con l’Istituto tedesco Max Planck per la fisica del plasma. Il risultato è stato ottenuto modificando il reattore per renderlo più simile alle future condizioni di Iter, il reattore sperimentale che dovrà dare la risposta sulla fattibilità della fusione.




Rainbow Six Extraction, il nuovo shooter coop di Ubisoft

Rainbow Six Extraction è uno shooter cooperativo in prima persona ambientato nell’universo dell’omonima serie videoludica di Ubisoft disponibile per Pc, Xbox, PlayStation e Stadia. Stavolta però gli Operatori protagonisti (Una parte di quelli presenti in Siege) non dovranno affrontare terroristi e criminali, ma una minaccia aliena precipitata sulla Terra a bordo di una capsula Soyuz non identificata. Lo schianto della navicella, avvenuto in New Mexico nei pressi della città di Truth or Consequences, ha infatti liberato sul nostro pianeta un parassita letale e infestante che, moltiplicandosi in modo estremamente rapido, ha dato il via a un’epidemia non solo nella zona dello schianto, ma anche in altre aree degli Stati Uniti. Il quartier generale del team Rainbow, dopo aver avviato nel più breve tempo possibile l’operazione “Outbreak” per contrastare nell’immediato la diffusione del parassita catalogato con il nome “Chimera”, si è riorganizzato e ha fondato un nuovo team specializzato nel contenimento di questa tipologia di minacce, conosciuto come R.E.A.C.T. L’obiettivo di questa squadra speciale non è però solo quello di infiltrarsi nelle aree contaminate per eliminare il parassita. La raccolta di informazioni, il recupero di campioni organici e l’acquisizione di esperienza sul campo rivestono infatti un ruolo altrettanto importante nella battaglia contro il parassita, ed è qui che entrano in campo i giocatori. La trama e la sceneggiatura sviluppati da Ubisoft servono infatti a sorreggere il gameplay alla base di Rainbow Six Extraction, che pesca a piene mani dal genere degli sparatutto cooperativi e condisce la formula con la profondità del sistema di gioco messo a punto con Rainbow Six Siege, impreziosendo il tutto con alcune interessanti novità. Il cuore dell’esperienza di gioco, che può essere affrontata da soli o in un team formato da un massimo di tre giocatori, ruota attorno alle Incursioni, ambientate nelle zone infettate dal parassita. Al momento il gioco propone quattro diverse location, ovvero New York, San Francisco, l’Alaska e la città di Truth or Consequences. Ognuna di queste zone si compone poi di 3 scenari differenti, per un totale di oltre 12 ambientazioni uniche. Il compito del R.E.A.C.T., e quindi dei giocatori, è quello di raggiungere queste aree, infiltrarsi per completare gli obiettivi assegnati e fuggire attraverso un punto di estrazione, il tutto senza subire troppi danni, senza lasciare indietro qualcuno e trovando, per quanto possibile, il giusto compromesso tra rischio e risultato. Ogni incursione si compone di 3 fasi distinte di difficoltà crescente, ognuna delle quali prevede un obiettivo principale scelto casualmente tra 13 tipologie di incarico differenti, che vanno dalla liberazione di “ostaggi” alla raccolta di campioni biologici, passando per la cattura di esemplari vivi, l’abbattimento di nemici particolarmente ostici, la decontaminazione dell’area, la distruzione di nidi e molto altro. Una volta portato a termine l’incarico della zona, il team può decidere se raggiungere il punto di estrazione, ottenendo una ricompensa per quanto fatto fino a quel momento, o proseguire all’area successiva passando attraverso una zona di decontaminazione, così da provare a rendere più proficua l’incursione. Completare i tre obiettivi di zona e raggiungere il punto di estrazione finale permette infatti di ottenere il massimo, ma ovviamente questo significa affrontare dei rischi. Come detto in precedenza, infatti, a ogni passaggio di zona corrisponde un incremento di difficoltà in termini di numero di nemici, tipologia di creature e densità della minaccia da parte del parassita, che potrebbero finire per ferire o, peggio, abbattere uno o più degli Operatori del team coinvolti nella missione.

E qui arrivano le belle notizie, o le note dolenti ( a seconda di come si vive la cosa), infatti essere feriti o abbattuti durante le missioni porta con sé alcune conseguenze importanti. Gli operatori con pochi HP diventano infatti INATTIVI e non possono essere utilizzati per un certo numero di incursioni, variabile in base alla gravità delle ferite riportate. Essere abbattuti durante una missione può invece avere conseguenze ancora più gravi. Se il team non riesce a rianimare l’Operatore, o se quest’ultimo ha esaurito le possibilità di essere rianimato, interviene la tecnologia sviluppata dal R.E.A.C.T., che mette il corpo in stasi all’interno di una sorta di guscio protettivo atto a mantenere attive le funzionalità vitali di base. Gli Operatori in questo stato possono quindi essere trasportati presso un punto di estrazione dai compagni per ricevere le giuste cure una volta tornati alla base. Se questo non succede, o se per qualche altro motivo uno dei personaggi non riesce a raggiungere la zona di estrazione o le camere di decontaminazione che separano le zone in tempo utile, l’Operatore viene dichiarato come DISPERSO IN AZIONE e non può più essere impiegato fino a quando il giocatore non torna nella stessa zona e completa una missione di recupero, nella quale l’obiettivo è proprio quello di liberare il compagno disperso da una particolare forma del parassita. Per riuscirci, il giocatore ha però a disposizione un numero limitato di tentativi, esauriti i quali l’Operatore viene considerato deceduto e torna disponibile, ma senza tutti i progressi accumulati fino a quel momento. Un vero inferno insomma. Le ramificazioni del gameplay di Rainbow Six Extraction però non finiscono qui. Prima di ogni Incursione, il leader del team può selezionare il livello di difficoltà tra i quattro disponibili. Un grado di sfida più elevato corrisponde ovviamente a ricompense maggiori, ma anche a un cambio radicale non solo per quanto riguarda la pericolosità delle minacce, ma anche nella tipologia di nemici che si possono incontrare. Grazie alle informazioni raccolte dal R.E.A.C.T è stato infatti possibile catalogare una decina di ospiti del parassita differenti, noti come Archei, che vanno dai comuni Grunt e Lancia Spine ai pericolosi Apex, che possono evocare altre creature per farle combattere al proprio fianco. Ai livelli di difficoltà più elevati gli Operatori potrebbero inoltre imbattersi in pericolose mutazioni del parassita, che possono rendere più resistenti le creature o più pericolosa la zona contaminata durante l’incursione, o ricevere un incarico speciale, che prevede di attraversare un portale per affrontare i Protei, Archei unici che, oltre a disporre di abilità già viste in altre tipologie di nemici, sono in grado di imitare alcuni specifici Operatori sia dal punto di vista estetico sia per quanto riguarda le abilità, seppur per un breve periodo di tempo. Completare gli incarichi di alto livello è quindi molto rischioso, ma è necessario in quanto permette di ottenere bonus in termini di punti esperienza che arrivano fino al duecento per cento. La progressione, sia dei singoli personaggi che quella globale legata al profilo del giocatore, riveste infatti un ruolo fondamentale in Rainbow Six Extraction. Per ogni missione portata a termine vengono distribuiti punti esperienza, che permettono all’Operatore coinvolto di salire di livello, di migliorare le proprie abilità, di sbloccare nuove armi o nuove personalizzazioni, e punti salute, che vanno a ripristinare la vita dei membri del team. Allo stesso tempo, l’esperienza guadagnata dai singoli operatori durante le incursioni si somma e va ad incrementare il Progresso generale del giocatore. Ogni aumento di livello in questo senso consente di ottenere nuovi oggetti, nuove personalizzazioni e nuovi consumabili ma, soprattutto, permette di accedere a nuove location, a nuovi Operatori e nuove modalità al raggiungimento di alcune soglie specifiche. Attualmente nel gioco sono presenti 18 Operatori diversi, di cui solo 6 sono disponibili da subito una volta completata la missione tutorial iniziale. Tutti gli altri dovranno essere sbloccati attraverso questo sistema di progressione, che a conti fatti si affianca a quello dei singoli operatori. E’ però opportuno tenere presente una cosa: quando un operatore “muore” definitivamente, non vengono solo azzerati i suoi progressi ma viene anche sottratto il suo contributo globale fino a quel momento, con tutto ciò che ne consegue. La somma di tutti questi sistemi hai ovviamente effetto anche sulle personalizzazioni e sulle dotazioni a disposizione del team. Durante ogni incursione ogni operatore può portare con sé due armi, alle quali si affiancano uno accessorio a scelta quelli standard disponibili, che includono granate di vario tipo, un drone da esplorazione e rinforzi per pareti o finestre, e una tra le varie tecnologie R.E.A.C.T. disponibili, come kit di resurrezione, dotazioni protettive o granate speciali. Insomma, Rainbow Six Extraction può regalare grandi soddisfazioni, ma essere anche estremamente punitivo e creudele.

Il nuovo titolo di ubisoft offre nel suo complesso le zone contaminate e le modalità extra previste come contenuti end-game. Inizialmente il giocatore ha infatti accesso solo alle incursioni ambientate nella città di New York. Le altre 3 aree si sbloccano progressivamente fino al raggiungimento del livello 11, superato il quale l’esperienza accumulata permette invece di accedere alle modalità extra. La più corposa è sicuramente il “Protocollo Maelstrom”, un’incursione speciale strutturata su 9 zone di difficoltà crescente in un’ambientazione che evolve di settimana in settimana e che propone una sfida elevato, un roster di Operatori ristretto tra cui scegliere e la necessità di completare tutti gli obiettivi, estrazione completa di tutti i partecipanti inclusa, per ottenere l’esperienza accumulata e scalare la classifica settimanale. In aggiunta a questa modalità sono presenti anche gli Incarichi, ovvero delle modalità speciali che variano periodicamente per offrire sfide sempre diverse ai giocatori. Al lancio sono disponibili la modalità Veterano, nel quale si gioca con hud ridotto al minimo, fuoco amico attivo e una modalità di ricarica che non consente di recuperare i colpi rimasti dentro un caricatore quando si decide di sostituirlo, la modalità “Stuzzicare il vespaio”, che vede la squadra attraversare aree ad altissima densità di Archei, e la modalità “Muro a Muro”, nella quale gli operatori devono passare di stanza sicura in stanza sicura affrontando orde via via sempre più agguerrite di creature. Nel prossimo futuro arriveranno anche gli Eventi di Crisi, ovvero delle modalità speciali a tempo che introdurranno via via nuovi Operatori e/o nuovi Protei, fornendo inoltre nuove informazioni sullo sviluppo della trama. Insomma, di carne a cuocere ce n’è davvero molta e Rainbow six Extraction promette di essere un titolo davvero molto appetitoso per gli amanti delle sfide e del genere cooperativo. A livello di gamplay nudo e crudo, il titolo si presenta come una versione alternativa del gameplay della saga principale. Le meccaniche da sparatutto tattico sono infatti rimaste praticamente invariate, così come le possibilità offerte al giocatore e le limitazioni. Gli operatori possono muoversi in posizione eretta, accucciarsi o sdraiarsi, con ovvie conseguenze sulla stabilità della mira. I personaggi possono poi sporgersi dai ripari o colpire i nemici attraverso pareti e strutture, generalmente dopo averli individuati tramite un gadget o tramite le torce UV in dotazione. Tutti gli Operatori hanno infine la possibilità di rinforzare porte, finestre e simili con strumenti più o meno avanzati, così da limitare per quanto possibile le possibilità di spostamento agli Archei. Questi ultimi, come ci si aspetterebbe da un parassita, si muovono in gruppo, attaccando senza troppe esitazioni gli Operatori dopo aver richiamato l’attenzione delle altre creature. Alla base della gerarchia ci sono i nidi, che da soli non rappresentano una minaccia. Lo diventano però nel momento in cui una delle creature infettate dal Chimera individua un operatore e li risveglia dando l’allarme. Essi raprresentano una minaccia poiché è da questi ultimi che iniziano a fuoriuscire nuove creature, che si sommano a quelle già presenti nella zona. Salendo di “grado” sono presenti Archei via via sempre più pericolosi e dotati di capacità uniche come gli “Occultatori”, che possono rendere invisibili gli altri Archei. Ciò che accomuna tutte le creature è la loro letalità, anche ai livelli di difficoltà più bassi. Bastano infatti pochi colpi per finire al tappeto o, senza andare troppo in là, per riportare ferite tali da compromettere l’esito dell’incursione e di quelle successive. Questa caratteristica, unita a una generale scarsità di cure e alla possibilità di essere rianimati solo una volta per incursione, sottolinea nuovamente la natura di Rainbow Six Extraction e la necessità di approcciarsi a questo episodio con la stessa mentalità richiesta dal capitolo precedente della saga. Esplorare le aree, anche utilizzando accessori e abilità speciali degli Operatori, è essenziale, così come lo è muoversi in maniera coordinata con gli altri membri del team, se presenti. Rainbow Six Extraction può infatti essere giocato in team composti da un massimo di tre Operatori controllati da altrettanti giocatori. Nel gioco non sono presenti bot e l’unica opzioni per avere un team al completo in assenza di compagni fidati è quello di affidarsi al matchmaking, che permette di trovare altri Operatori dello stesso livello interessati a un’incursione in una specifica location. In alternativa, si può sempre decidere di entrare in azione in coppia o, alla peggio, da soli. Il sistema di gioco adatta in modo dinamico la difficoltà e gli obiettivi per permettere a team di tutte le dimensioni di portare a termine le incursioni. A rendere più facile queste operazioni ci pensa il Buddy Pass, che consente a due amici che non possiedono il titolo di unirsi per 14 giorni indipendentemente dalla piattaforma da cui essi giocano.

A livello estetico Rainbow Six Extraction è un gioco leggero, semplice, quindi non offre meraviglie grafiche: anche su questo fronte si capisce alla perfezione come il punto di partenza sia Siege. Il gioco gira fluidissimo, è sempre stabile e pulito e, pur offrendo molte impostazioni, non presenta le più recenti feature grafiche come ray tracing, DLSS o Super Resolution, pur implementando il supporto nativo a NVIDIA Reflex. Che in un titolo come questo può valere moltissimo. A non convincere completamente è più che altro il design degli Archei: decisamente anonimo, molto derivativo da altri titoli del genere e poco ispirato al punto di essere, specie nelle prime ore di gioco, anche poco leggibile visto che non sempre si riesce a rendersi conto della tipologia di nemico che si sta per affrontare a colpo d’occhio. Un po’ di alti e bassi anche nel level design che pur presentando la stessa distruttibilità che ha reso famoso Siege e che può essere in molteplici occasioni utilizzata a proprio favore, si appiattisce molto negli interni, presentando poche differenze stilistiche tra le varie aree a disposizione. È chiaro come il focus dello sviluppatore abbia riguardato maggiormente la geometria delle varie strutture, così da offrire sfide equilibrate in funzione di un’ottima navigabilità degli scenari, però talvolta anche l’occhio vorrebbe la sua parte. Sempre belli e caratteristici gli operatori, i gadget e tutte le armi a disposizione. Su questo fronte, l’esperienza maturata dal team è semplicemente indiscutibile. Rainbow Six Extraction è inoltre completamente doppiato in italiano ed è incluso al lancio sul Game Pass sia PC che Xbox, oltre a essere perfettamente cross-platform tra tutte le versioni. Questo dovrebbe aiutare non poco un buon matchmaking. Tirando le somme possiamo senza dubbi dire che nonostante l’appartenenza a un genere particolarmente inflazionato in questo periodo, Rainbow Six Extraction riesce rapidamente a differenziarsi dalla concorrenza grazie a un gameplay più lento e mai caotico, ma non per questo meno stimolante o meno soddisfacente. Esplorare le ambientazioni in maniera coordinata, scambiarsi costantemente indicazioni sulla posizione dei nemici e risolvere le situazioni più intricate grazie a pochi movimenti ben organizzati regala infatti emozioni che nessun altro gioco di questo genere riesce a suscitare. A rendere ancora più interessante il pacchetto offerto dal nuovo titolo Ubisoft ci pensano il sistema di progressione e le modalità extra, che garantiscono al gioco una longevità più che soddisfacente per gli appassionati e che gettano ottime basi per lo sviluppo futuro. Sicuramente si poteva fare qualcosa di più sul fronte grafico per dare agli Archei e a tutto il comparto grafico una marcia extra, specie sugli hardware di ultima generazione, ma nel complesso il risultato è comunque più che buono e permette al titolo di entrare nell’olimpo degli sparatutto cooperativi di alto livello.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 9

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise