TikTok investe nella realtà virtuale e sfida Facebook

ByteDance, la società proprietaria di TikTok, sta investendo nella realtà virtuale. Secondo un rapporto del sito Protocol, l’azienda vorrebbe dedicare somme importanti allo sviluppo di contenuti VR, anche in vista del lancio del metaverso da parte di Meta-Facebook. Gran parte dell’investimento di ByteDance è destinato alle assunzioni di specialisti software, per la creazione di una piattaforma che sia accessibile anche dai mondi 3D. Come evidenziato da Protocol, online sono apparse oltre 40 offerte di lavoro per Pico, il produttore cinese di visori di realtà virtuale che ByteDance ha acquisito l’anno scorso. La maggior parte riguarda le filiali della costa occidentale dei Pico Studios in California e Washington. Si va dalla ricerca di un manager per la strategia di giochi VR a responsabili delle operazioni. Altre posizioni aperte suggeriscono un’attenzione all’hardware VR di Pico, inclusi un ingegnere ottico e un ingegnere elettrico di progettazione di sistemi. Il boom di richieste professionali indicherebbe anche che Pico sta cercando di consolidarsi negli Stati Uniti. Alcune posizioni mirano infatti a “responsabili marketing che guideranno i prodotti di Pico nel mercato consumer statunitense”. Ad oggi infatti il marchio è conosciuto soprattutto in Cina anche se con il lancio di Pico Neo 3 Link, un visore che non necessita di un computer esterno per funzionare alla stregua dell’Oculus Quest 2, l’azienda ha accesso l’interesse del pubblico anche in Europa, dove il prezzo di vendita è inferiore ai 450 euro. Stando ai dati degli analisti di Idc, Il mercato globale dei visori per realtà aumentata e realtà virtuale (AR/VR) è cresciuto del 92,1% anno su anno nel 2021, con stime del +46,9% per la fine del 2022. Nei prossimi quattro anni, Idc prevede 50 milioni di visori spediti, grazie soprattutto alle attività di Meta e all’ingresso nel settore di nuove aziende, tra cui Apple.

F.P.L.




Messenger, su iOS e Android arriva la scheda “chiamate”

Meta, già Facebook, ha lanciato una nuova scheda “chiamate” a livello globale nella sua app Messenger sia per iOS che per Android. La sezione terrà traccia di ogni chiamata effettuata o ricevuta nell’app e renderà più semplice usare il client per entrare in contatto con i propri amici, quasi come su WhatsApp. L’idea di Meta è infatti quella di spingere le persone a utilizzare maggiormente Messenger per telefonare, al di là delle funzionalità di chat testuale. Secondo il gruppo, negli ultimi due anni, complice anche la pandemia, sia le chiamate audio che quelle video su Messenger sono aumentate del 40%, con 300 milioni di telefonate effettuate ogni giorno. L’app ha introdotto per la prima volta le chiamate vocali nel 2013 e, con la scheda odierna dedicata, compie un ulteriore passo in avanti come hub di comunicazione completo. Nel 2014, Facebook aveva separato l’app dal social principale, pubblicandone una versione indipendente sia su App Store di iOS che sul Play Store di Google. Un anno dopo aveva debuttato la funzione di videochiamata, seguita dalle chat di gruppo. Più di recente, Meta ha aggiunto nuove scorciatoie, incluse opzioni per avvisare tutti in una conversazione oppure inviare messaggi che non danno luogo a notifiche. Nel settore delle app di messaggistica gratuite, Messenger ha una lunga lista di concorrenti, tra cui Google Voice, Viber, Signal e la stessa WhatsApp, che Meta ha acquistato nel 2014. Tra le tante, Messenger rimane una delle poche, oltre a FaceTime di Apple, a non richiedere un numero di telefono in fase di registrazione per funzionare.

F.P.L.




Pac Man Museum+, la collezione definitiva

Pac Man è il personaggio icona dei videogiochi per antonomasia. Chi non lo conosce? E’ rotondo, è giallo e sembra una pizzetta da cui qualcuno ha mangiato un solo spicchio. Era il 1980 quando lo storico cabinato arcade prodotto da Namco arrivava in sala giochi; personaggio e videogiochi erano stati inventati, invece, da Tōru Iwatani. In questi giorni il personaggio è tornato a far parlare di sé, perché Pac-Man Museum+, annunciato qualche mese fa, è finalmente arrivato su PC, Nintendo Switch, PlayStation 4, su Xbox One, sulle console next gen. Quale modo migliore di celebrare le quarantadue candeline del personaggio, se non quello di pubblicare una ricchissima antologia composta di quattordici videogiochi storici, alcuni più recenti, altri vecchissimi, anche con alcuni nomi a oggi introvabili e semisconosciuti nel nostro Paese? Pac Man Museum+ è infatti la raccolta definitiva dei titoli Namco che contiene ogni titolo che vede come protagonista il giallo e rotondo personaggio simbolo del gaming. Per chi non lo sapesse, ma è quasi impossibile credere che ci sia qualcuno che non lo sappia, la dinamica di Pac Man consiste nella raccolta di palline gialle all’interno di un labirinto, evitando ovviamente di farsi mangiare dai quattro fantasmini colorati che lo abitano, vale a dire Blinky (rosso), Pinky (rosa), Inky (azzurro) e Clyde (arancione). Ogni labirinto contiene inoltre quattro “pac-dot” più grossi e luminosi degli altri, i quali consentono a Pac-Man di diventare invincibile per pochi secondi, ma soprattutto di mangiare gli sventurati fantasmi lungo la via (anche se si rigenereranno di lì a poco). Questa è la formula standard, onnipresente e variata all’infinito in Pac-Man Museum+. Il quale non è altro che una corposa, imprescindibile antologia per tutti i fan della mascotte Bandai Namco. In questo titolo c’’è il primo, vero, insostituibile Pac-Man del 1980, e con lui le iniziali, timide variazioni del gameplay di base: Super Pac-Man, a base di frutta da liberare e raccogliere; Pac & Pal, con la difficoltà aggiuntiva di una nemesi verde ruba frutta; Pac-Land, che di colpo ha trasformato il videogioco in un platform; Pac-Mania, sperimentazione in 3D del 1987. E tanti altri. Di questi “altri”, alcuni probabilmente non sono noti ai più, Pac-In-Time, per esempio, in cui l’eroe si ritrova trasportato in varie epoche del passato, con l’obiettivo di sconfiggere una strega malvagia e tornare così nel presente; praticamente un gioco d’azione, d’avventura, che nulla condivide con la formula standard della serie, se non la presenza di alcuni personaggi fondamentali. Torna alla ribalta anche Pac-Man Arrangement, deliziosa iterazione in 3D arricchita da una direzione artistica e sonora ancora oggi estremamente accattivante. E “nuovi” sono pure Pac-Motos, gradita riscoperta risalente nientemeno che all’epoca di Nintendo Wii (2007); Pac ‘n Roll Remix, quest’ultimo nato su Nintendo DS e cresciuto su Nintendo Wii (ricorda tanto Super Monkey Ball); infine il più recente Pac-Man 256, i cui pixel e poteri strampalati, come tornado annienta fantasmi e bombe, probabilmente sono noti ai più visto l’uscita su console a cavallo tra il 2015 e il 2016. Nel proporre i suoi quattordici titoli, Bandai Namco ha avuto un’idea ad hoc per celebrare la natura anni ‘80 del titolo, ossia: quella di non accostare semplicemente una serie di nomi all’interno di un anonimo menù principale da scorrere in orizzontale o verticale, ma di permettere invece al giocatore la realizzazione della sua sala giochi personale con veri e propri cabinati e postazioni console. Una volta avviato Pac-Man Museum+, ci si ritrova infatti all’interno di un piccolo ambiente ospitante una serie di arcade: sono i cabinati storici, realizzati ovviamente in scala, che a partire dagli anni Ottanta hanno permesso di giocare alle varie versioni di Pac-Man, in Giappone ed Europa.

L’hub principale consiste, appunto, nella sala giochi: e il giocatore – il quale controlla un Pac-Man 3D libero di muoversi negli ambienti! – può arredarla come meglio crede. Inizialmente viene spiegato che l’accesso a ogni singolo titolo costa un gettone, esattamente come avverrebbe nel mondo reale. Ma sbloccare nuove monete è assai semplice, basta dedicarsi un po’ ai singoli titoli, guadagnandone così molte di più. Con queste monete è poi possibile sbloccare oggetti d’arredo e trofei a un distributore nell’angolo, personalizzando così la sala giochi secondo i propri gusti personali. Non è consigliabile, però, dedicarsi sempre e soltanto allo stesso titolo, per due motivi: alcuni sono bloccati, e richiedono l’aver terminato almeno un paio di partite con cabinati specifici; inoltre, più partite di videogiochi diversi verranno completate, maggiori visitatori arriveranno nella sala giochi. E questi visitatori sono i fantasmini colorati gia sopra menzionati. Ulteriore nota positiva è rappresentata dalla presenza di sfide specifiche per ognuno dei quattordici titoli della raccolta. Si va dalle missioni più intuitive, come ad esempio completare un certo numero di partite o mangiare un numero preciso di fantasmi, fino ad alcune apparentemente impossibili come ottenere 50.000 punti nel primo Pac-Man senza morire. Ciò stimola a giocare e rigiocare i singoli cabinati, proponendo obiettivi diversi ai vari tipi di acquirente: il nuovo arrivato, o colui che desidera dedicarsi solo al primissimo Pac-Man, potrà farlo senza problemi; i più esigenti si ritroveranno invece alle prese con proposte dalla difficoltà davvero significativa, capaci di tenerli impegnati per parecchio tempo. Dal punto di vista tecnico non sono presenti criticità di ogni sorta, ma anzi, su console i caricamenti sono rapidi, l’accessibilità intuitiva e immediata, l’emulazione dei singoli giochi è praticamente perfetta. È anche possibile modificare la grandezza dello schermo degli arcade e, in parte, i loro colori. Nulla per cui strapparsi i capelli, ma bene che vi siano anche queste possibilità di personalizzazione. Tutti i menù sono infine in lingua italiana e anche i Pac-Man mai usciti dal paese del Sol Levante sono stati arricchiti con sottotitoli nella nostra lingua, rendendo così comprensibile quella minima narrazione pur presente nelle scene d’intermezzo. Tirando le somme, questa raccolta dedicata al giallo personaggio di Namco, è un vero e proprio tuffo nel passato per chi si è cresciuto con i videogame dell’iconico personaggio, ma la cosa divertente è che anche le nuove generazioni potranno mettersi alla prova scoprendo la difficoltà dei titoli del franchise.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 7

Gameplay: 6,5

Longevità: 7

VOTO FINALE: 7

Francesco Pellegrino Lise




Su Amazon le scarpe si “provano” con la realtà aumentata

Amazon ha lanciato per gli utenti statunitensi, possessori di un iPhone, una nuova funzione nella sua app di e-commerce che se funzionerà come promette, potrebbe rivoluzionare il mercato dell’acquisto di scarpe online. Tramite il menu “Virtual Try-On”, le persone possono infatti “provare” le scarpe di vari marchi in realtà aumentata, riprendendo i loro piedi con la fotocamera del telefono. New Balance, Adidas e Reebok sono alcuni partner dell’iniziativa. Sebbene attualmente la funzionalità sia disponibile solo per gli smartphone Apple, Amazon ha confermato il prossimo arrivo anche su Android. Nel 2017, il gigante del commercio online aveva lanciato qualcosa di simile, con la possibilità di sfruttare la realtà aumentata per visualizzare in anteprima l’aspetto di un mobile nell’ambiente circostante, un’opzione introdotta anche da altre aziende via app, come Ikea. Dopo aver selezionato una scarpa, i clienti possono toccare il pulsante di prova sotto l’immagine del prodotto e puntare la fotocamera del proprio dispositivo mobile in basso, per vedere il modello indossato. All’interno dell’esperienza, è possibile scegliere tra vari colori delle calzature ma non le taglie: ossia la funzionalità non aiuta a decidere la misura migliore da acquistare, visto che è il modello 3D che si adatta al piede e non viceversa. “L’obiettivo di Amazon Fashion è creare esperienze innovative che rendano lo shopping di moda online più facile e piacevole per i clienti” ha affermato Muge Erdirik Dogan, presidente di Amazon Fashion. “Siamo entusiasti di presentare Virtual Try-On for Shoes, che consentirà alle persone di provare migliaia di modelli di scarpe, ovunque si trovino. Non vediamo l’ora di migliorare il servizio, ricevendo il feedback dei clienti”. Un altro passo in avanti per lo sviluppo del commercio su internet che aiuterà i più indecisi su quale scarpa preferire e quindi a scegliere per per il meglio.

F.P.L.




LEGO Star Wars: La Saga degli Skywalker, mattoncini e spade laser in salsa next-gen

LEGO Star Wars: La Saga degli Skywalker è l’ultimo action-adventure (disponibile su Pc, Switch e console della famiglia Xbox e PlayStation) sviluppato da TT Games, il team britannico che fino dal 2004 si occupa tutti i videogiochi targati LEGO su licenza. Nel corso degli anni, il gruppo ha perfezionato la propria formula raggiungendo risultati via via sempre più convincenti e ponendo le basi per questo nuovo capitolo. Un episodio che, ovviamente, prosegue sulla strada tracciata dai suoi predecessori ma che, allo stesso tempo, cerca di rilanciare questa particolare categoria di giochi con qualche interessante novità. La prima riguarda la natura stessa del titolo, che traspone nuovamente nell’universo LEGO l’intera saga cinematografica ma ponendo l’accento sui suoi interpreti principali, ovvero i membri della famiglia Skywalker. Sono infatti loro i protagonisti indiscussi di tutti e nove gli episodi presenti nel titolo, che ripercorrono in modo molto fedele le vicende narrate nei rispettivi capitoli su pellicola. Ogni capitolo si compone di cinque livelli principali, intervallati da fasi di esplorazione libera, sulla terraferma o nello spazio, che vedono il giocatore rivivere tutti i momenti più iconici della saga, dall’arrivo di Obi Wan Kenobi e Qui-Gon Jinn su Naboo allo scontro finale tra Rey, Kylo Ren e Palpatine, passando una lunga serie di situazioni scolpite a fuoco nella memoria degli appassionati, come l’emozionante duello tra Luke e Darth Vader, la famosa corsa con gli sgusci vita da Anakin e l’indimenticabile battaglia tra la Resistenza e il Primo Ordine sulla distesa salata del pianeta Crait. Sul fronte del gameplay, la novità principale riguarda la posizione della telecamera. Per questo nuovo videogioco gli sviluppatori hanno infatti abbandonato il sistema di inquadrature fisse isometriche per passare a un sistema da action game in terza persona, con la telecamera posta alle spalle del giocatore e la possibilità di ruotare liberamente l’inquadratura in quasi ogni frangente. Questo cambiamento porta con sé anche una generale rivisitazione del sistema di controllo, che si adegua agli standard del genere implementando una gestione delle coperture in stile Gears of War, seppur molto più basilare, un sistema di mira semi-assistito basato sull’uso dei grilletti posteriori e la possibilità di eseguire attacchi corpo a corpo, a mani nude o con le immancabili spade laser, e schivate con i tasti frontali. Questi ultimi vengono utilizzati anche per saltare, interagire con gli oggetti e, in alcuni casi, utilizzare le abilità speciali a disposizione di alcuni personaggi. Le modifiche all’inquadratura e ai controlli hanno interessato anche le sezioni a bordo di una delle oltre 60 astronavi disponibili nel gioco, durante le quali è possibile muoversi liberamente in tutta la porzione di spazio a disposizione per completare missioni secondarie, raccogliere oggetti, combattere o raggiungere la prossima destinazione.

LEGO Star Wars: La Saga degli Skywalker, proprio come visto nei giochi precedenti, offre un ventaglio di protagonisti davvero invidiabile, che in questa occasione, tra varianti, personaggi secondari e creature uniche, include quasi 400 unità, suddivise in nove classi differenti come Jedi, Sith, Eroi, Droidi, Cacciatori di Taglie e via discorrendo. Ognuna di queste Classi dispone di abilità peculiari, che spaziano dai tradizionali poteri legati all’uso della Forza alla possibilità di lanciare granate quando si indossano i panni dei soldati imperiali, passando per le capacità di traduzione dei droidi protocollari e le spiccate qualità nell’utilizzo delle armi da fuoco a disposizione dei Cacciatori di Taglie come Boba Fett. Una varietà mai vista prima in un titolo LEGO e che si sposa benissimo con tutte le meccaniche di gioco, se si considera la presenza costante di almeno 2 personaggi liberamente scambiabili tra di loro con la semplice pressione del tasto dorsale sinistro. Il gameplay alla base di LEGO Star Wars: La Saga degli Skywalker è sostanzialmente lo stesso di tutti i precedenti capitoli e mischia sapientemente le meccaniche delle avventure in terza persona, incluse le ormai tradizionali boss-fight, con alcuni elementi presi in prestito dal genere platform, il tutto traslato in un mondo composto in buona parte di mattoncini e che, proprio per questo motivo, può essere fatto in mille pezzi o, perché no, semplicemente smontato e riassemblato per dare vita a qualcosa di nuovo, come ripari improvvisati, postazioni di fuoco e mille altre costruzioni. Anche da questo punto di vista LEGO Star Wars: La Saga degli Skywalker non si discosta troppo dai suoi predecessori, offrendo però una maggiore varietà di situazioni e un discreto numero di opzioni di scelta che, spesso, si traducono in percorsi differenti all’interno dello stesso livello. In alcuni casi, per esempio, si può decidere se usare un mucchio di mattoncini per costruire un cannoncino con cui rompere un muro o una pompa antincendio per spegnere un rogo, con una diretta conseguenza sul percorso da seguire per avanzare. Spesso queste azioni potranno essere compiute solo da personaggi specifici, mentre in altri casi sarà necessario recuperare chiavi speciali, completare dei semplici minigiochi o risolvere enigmi più o meno complessi. In diverse situazioni, poi, è possibile seguire strade differenti per raggiungere il proprio obiettivo sfruttando le varie abilità a disposizione dei personaggi, il che mette in evidenza la “stratificazione” che da sempre caratterizza le produzioni su licenza LEGO sviluppate dal team britannico e l’importanza della modalità cooperativa in locale. Anche stavolta è infatti possibile affrontare l’intera avventura da soli o in compagnia di un amico/parente in split-screen sulla stessa console, il tutto attraverso un meccanismo di drop in – drop out estremamente efficace che permette di entrare/uscire dalle partite senza la minima introduzione. Per completare tutti i capitoli presenti in quest’ultimo titolo dedicato a Star Wars sono necessarie fra le 15 e le 18 ore di gioco, ma questo dato si riferisce solo al tempo strettamente necessario a completare i vari livelli principali seguendo l’ordine cronologico di ogni trilogia con i personaggi canonici. Per quanto possa sembrare strano, questo rappresenta però solo l’inizio di un’esperienza che si rivela al giocatore in tutta la sua complessità solo una volta completato almeno un episodio. E’ in questo momento, infatti, che il giocatore sblocca la possibilità di rigiocare i vari livelli con personaggi differenti o di tornare a esplorare le varie ambientazioni nella modalità libera, che come da tradizione consente di passare rapidamente da un personaggio all’altro con poche pressioni dei tasti. Questa possibilità, oltre a garantire un’incredibile varietà di situazioni, risulta essenziale per portare a termine la maggior parte degli incarichi secondari, generalmente vincolati all’uso di una specifica classe o, addirittura, di uno specifico personaggio. Questo meccanismo è direttamente collegato al modo con cui si sbloccano i nuovi personaggi giocabili, che dipende da un discreto numero di fattori. Alcuni personaggi o veicoli si bloccano semplicemente una volta completato uno specifico capitolo o un episodio, mentre altri possono essere ottenuti solo completando incarichi secondari, i quali a loro volta richiedono di utilizzare un preciso protagonista. Altri ancora possono invece essere sbloccati solo spendendo una parte dei mattoncini raccolti durante l’esplorazione o investendo gli speciali mattoncini Kyber, che di fatto rappresentano la ricompensa tangibile per i progressi fatti nel gioco. Ogni livello permette infatti di ottenerne sei: uno legato al completamento dello stage, da uno a tre per il quantitativo di mattoncini raccolti, uno legato al completamento delle tre mini-sfide proposte in ogni livello, ai quali si somma la possibilità di sbloccare un ulteriore mattoncino Kyber e un veicolo micro raccogliendo tutte le parti del relativo kit nascoste nel livello.

I mattoncini Kyber, oltre a permettere lo sblocco di alcuni modelli speciali, sono anche fondamentali per sviluppare le abilità a disposizione dei personaggi, suddivise in perfetto stile RPG in tanti piccoli alberi delle skill dedicati a ogni classe, più uno generico che influisce sulle abilità di tutti i protagonisti. Anche in questo caso si tratta di un sistema completamente opzionale che, di fatto, può essere ignorato senza particolari ripercussioni sul gioco se non qualche situazione leggermente più ostica da affrontare. Il livello di difficoltà generale di LEGO Star Wars: La Saga degli Skywalker, anche in virtù del suo target principale, è infatti mediamente basso ed è possibile portare a termine praticamente tutte le missioni senza mai potenziare nessuna delle abilità sbloccabili. Così facendo si rischia però di perdere per strada una buona fetta del divertimento proposto dal titolo di TT Games, che fonda la propria longevità e la consueta rigiocabilità anche sulla continua evoluzione dei personaggi, oltre che sul desiderio di sbloccare tutti i personaggi e i veicoli presenti nel gioco. Non è quindi un caso che gli sviluppatori abbiano deciso di includere nel titolo veicoli e cavalcature da utilizzare per muoversi rapidamente all’interno dei livelli aperti o che il gioco permetta al giocatore di acquisire indizi sulla posizione dei collezionabili parlando con gli NPC o acquistando veri e propri indizi, sempre utilizzando la valuta accumulata in-game. Per quanto riguarda il lato tecnico, LEGO Star Wars: La Saga degli Skywalker rappresenta senza ombra di dubbio uno dei passi in avanti più grandi fatti dalla software house inglese negli ultimi anni. Il nuovo motore grafico proprietario sviluppato da TT Games sfrutta infatti tutta la potenza delle console di ultima generazione per raggiungere un livello di dettaglio mai visto prima in un gioco LEGO. Sulle console di nuova generazionie di Microsoft, ossia Xbox Series X e Series S, il gioco permette di selezionare in qualunque momento se limitare il framerate a 30fps, così da raggiungere i 4K nativi in quasi tutte le occasioni su Series X e i 1260p su Series S, o se permettere al gioco di raggiungere i 60 fps rinunciando a qualche pixel su entrambe le piattaforme. Per quanto riguarda il comparto audio, il gioco può beneficiare di tutta la colonna sonora originale, alla quale si affiancano gli effetti audio storici della saga e una completa localizzazione in lingua italiana, sia per quanto riguarda i testi sia per quanto riguarda le voci dei protagonisti. Queste ultime possono anche essere sostituite con i ben noti “mugugni” dei personaggi, per la gioia di tutti quegli appassionati che non hanno mai visto di buon occhio il doppiaggio nei titoli targati LEGO. Tirando le somme, possiamo senza dubbio dire che le novità introdotte dagli sviluppatori permettono al nuovo capitolo di lasciarsi alle spalle buona parte degli elementi obsoleti presenti nelle ultime produzioni e, soprattutto, di proporre un gameplay capace di soddisfare praticamente qualunque tipologia di giocatore, dai più giovani che non conoscono nulla della saga ai fan che potrebbero recitare praticamente tutti i copioni a memoria. Un’esperienza capace di regalare tantissime ore di divertimento, ma che deve inevitabilmente fare i conti con l’inspiegabile assenza di una componente cooperativa online e con alcuni elementi che, nonostante l’impegno profuso, non riescono a dare un apporto sensibile al bilanciamento generale. Si tratta fortunatamente di difetti perdonabili e che, una volta impugnato il pad da soli o in compagnia di un amico, passano rapidamente in secondo piano per lasciare spazio al miglior videogioco a mattoncini realizzato finora. A nostro giudizio, sia che siate appassionati della saga di Star Wars, sia che non abbiate mai visto un solo film della serie, il titolo di TT Games è un prodotto che merita di essere giocato e rigiocato fino a sbloccare il 100 per 100 delle cose.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 9

Giocabilità: 8,5

Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise




Montalto di Castro, Enel: nell’area della ex centrale nucleare inaugurato il museo dell’energia

Per favorire l’uscita dell’Italia dal carbone, all’interno della centrale “Alessandro Volta” resteranno attivi impianti turbogas rinnovati e resi più efficienti

Un innovativo centro culturale dedicato alla transizione energetica all’interno della centrale Enel “Alessandro Volta” di Montalto di Castro: il TECCC, Centro di Cultura e Conoscenza della Transizione Energetica, è stato presentato ieri dal Direttore Enel Italia Nicola Lanzetta e dal sindaco Sergio Caci alla presenza di Francesco Battistoni, Sottosegretario di Stato del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Massimo Osanna, Direttore Generale Musei, Ministero della Cultura e Patricia Viel, Architetto e Co fondatrice, Studio ACPV ARCHITECTS Antonio Citterio Patricia Viel.

Il progetto punta alla rigenerazione dell’area del sito – originariamente destinata ad una centrale nucleare mai entrata in esercizio – attraverso la creazione di un vero e proprio distretto dell’innovazione, nel quale la narrazione del passato si intreccia con attività orientate al futuro. La creazione di uno spazio museale visitabile oltre che spazi funzionali dedicati ad attività di formazione, rappresenta una straordinaria opportunità che permette di fondere insieme aspetti tecnici, economici, sociali ed ambientali. All’interno del TECCC, prenderà vita il Museo della transizione energetica, coprendo una superficie complessiva di oltre 5.000 mq. A questo, si aggiungono circa 15.000 mq di spazi espositivi all’interno di due strutture esistenti (dedicati ad installazioni d’arte sul tema dell’energia, sale di esposizione divulgativa riguardanti il tema della transizione energetica) e una sala per eventi collegata ad una terrazza panoramica.

“Il progetto prevede anche un percorso di visita sopraelevato – spiega l’architetto Patricia Viel, co-fondatrice di ACPV ARCHITECTS Antonio Citterio Patricia Viel – che circonda l’area e immergerà il visitatore in un paesaggio che ben restituisce la complessità del sito, con l’obiettivo di valorizzare e rendere accessibili manufatti dallo straordinario valore storico e architettonico.”

“Poter raccontare passato e futuro dell’energia è particolarmente importante in un momento storico come questo, in cui la transizione energetica sta cambiando radicalmente l’intero settore, dalla produzione al trasporto fino al consumo, spingendo verso un modello più sostenibile”, commenta Nicola Lanzetta, Direttore Enel Italia. “Farlo all’interno della centrale di Montalto di Castro ha un valore anche simbolico e arricchisce ulteriormente il programma di valorizzazione del sito, che sarà il più grande dei nostri poli energetici integrati e multifunzionali in Italia. Grazie a uno spazio innovativo e aperto potremo coinvolgere anche i più giovani”.

“L’attività di un’amministrazione comunale è più efficace se al centro della sua azione politica pone lo sviluppo culturale”, commenta il sindaco Sergio Caci. “Il progetto che oggi Enel presenta e che noi, ma mi sento di dire anche le future amministrazioni, sosteniamo, va esattamente in questa direzione. Recuperare uno spazio in disuso, di rilevanza storica per la narrazione energetica del paese per raccontare la transizione energetica creando un polo museale e di conoscenza mai realizzato prima”.

“Il progetto energetico integrato che nasce a Montalto di Castro è un’importante occasione di sviluppo e di crescita non solo per il Lazio, ma per tutta l’Italia – dichiara il Sottosegretario al Mipaaf Francesco Battistoni. – Ambiente e territorio cresceranno in sinergia fra loro, coniugando transizione energetica e sostenibilità andando a creare le basi programmatiche per un progresso non solo energetico, ma anche occupazionale e di sistema”.

“Il progetto per la realizzazione di un polo energetico e culturale integrato nell’area della centrale nucleare di Montalto di Castro è un’ottima notizia – commenta Massimo Osanna, Direttore Generale Musei, Ministero della Cultura. – Si restituisce finalmente dignità ad un pezzo di territorio di grande valore paesaggistico e storico: ci troviamo nel territorio di influenza di una delle maggiori città dell’Etruria, la città di Vulci, localizzata, con le sue sterminate necropoli, tra i comuni di Canino e, appunto, Montalto di Castro. Si tratta di un’ottima notizia anche perché conferma ancora una volta che fare imprenditoria e creare valore culturale non sono concetti antitetici, tutt’altro, possono convivere nella comune vocazione di apportare benefici alle comunità di riferimento. Diamo dunque il benvenuto al nuovo Museo della Transizione Energetica all’interno del variegato e vivace mondo dei luoghi della cultura italiani, con l’auspicio di poterlo presto accogliere nel nostro Sistema Museale Nazionale”.

La centrale di Montalto di Castro è al centro di un importante sviluppo a partire dalle necessità del sistema elettrico e dalle opportunità create dalla transizione energetica, piano che vedrà la realizzazione di un nuovo polo energetico integrato tra iniziative nel settore energetico, sviluppate da Enel, e nuove soluzioni imprenditoriali sviluppate da terzi. L’iniziativa rientra nel più ampio impegno del Gruppo Enel per un nuovo sviluppo dei siti dei propri impianti, secondo una strategia che pone come priorità la valorizzazione delle strutture esistenti e l’integrazione con nuovi impianti di produzione rinnovabile e sistemi di accumulo, combinati con nuovi progetti imprenditoriali in ambiti differenti.

Nel sito sono in corso le demolizioni dei gruppi ad olio già dismessi. Enel ha avviato l’iter autorizzativo necessario per poter realizzare nel sito un nuovo impianto fotovoltaico su una superficie di circa 20 ettari, per una potenza di circa 10 MW. Altre aree in fase di sviluppo (6 ettari) saranno destinate a ospitare sistemi di accumulo di energia per circa 245 MW, fornendo così un ulteriore contributo all’utilizzo delle energie rinnovabili e alla stabilità del sistema elettrico: anche in questo caso sono già in corso gli iter autorizzativi. In linea con le indicazioni del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) e per favorire l’uscita dell’Italia dal carbone, all’interno della Alessandro Volta resteranno attivi impianti turbogas rinnovati e resi più efficienti. Il nuovo sviluppo del sito è aperto anche a progettualità esterne: un’area non più utilizzata per produrre energia è stata affittata ad un’impresa del viterbese che avvierà una propria produzione di tracker solari generando occupazione e valore a livello locale. Sono in fase di studio ulteriori soluzioni, attualmente oggetto di dialogo con le istituzioni, che permetteranno di valorizzare asset e strutture esistenti garantendo ricadute positive per il territorio; tra queste, un innovativo progetto di serra idroponica, per il quale sono in corso analisi di fattibilità tecnico economiche e che potrà beneficiare delle aree e di parte delle strutture esistenti.




Stranger of Paradise Final Fantasy Origin, quando l’rpg diventa “action”

Stranger of Paradise Final Fantasy Origin è uno spin-off della celebre saga, disponibile per le console della famiglia Xbox, PlayStation e Pc, con cui Square Enix ha voluto celebrare il 35esimo anniversario della saga. Il titolo il prodotto ideato dall’estroso Tetsuya Nomura e sviluppato dal rinomato Team Ninja di Koei Tecmo Games reinterpreta in chiave action la prima “fantasia finale” del 1987, preservandone la mitologia e alcuni elementi chiave. Ci teniamo a sottolineare che Stranger of Paradise non è un remake action del primo storico capitolo di Final Fantasy. Al contrario, rappresenta una libera interpretazione di un periodo antecedente a quella storia, che richiama buona parte degli archetipi del capostipite, ma che va a modificare rapporti, connessioni, anche alcuni elementi della lore. La storia del gioco si sviluppa in un mondo che ha smarrito la propria luce. Quattro Cristalli governano i quattro elementi principali, e la città di Cornelia è amministrata da una famiglia reale che da generazioni mantiene un flebile equilibrio tra le forze. L’entità Chaos tenta disperatamente di portare l’oscurità nel mondo e un’antica profezia recita che saranno i quattro Guerrieri della Luce a riportare la pace sconfiggendo Chaos. In questa classica trama nipponica fatta di cristalli, luce e oscurità, i giocatori faranno la conoscenza di Jack, che per qualche motivo inizialmente non ben definito percepisce dentro di sé la necessità di sconfiggere Chaos. È in possesso di uno dei quattro cristalli degli elementi e nel giro di una manciata di secondi stringe una solida e vicendevole amicizia con Jed e Ash, entrambi possessori di cristalli che lo seguiranno ovunque vada. Sfortunatamente Stranger of Paradise è un titolo che non brilla per scrittura ed è spesso accompagnato da dialoghi di caratura non certamente elevata e da una regia che alterna momenti chiari alla totale confusione. Tutto l’arco narrativo si risolve in una manciata di colpi di scena che vengono lanciati col contagocce nel corso dell’avventura, ma che poi esplodono tutti insieme da un determinato momento in poi. Per questo motivo, al netto di una scrittura dimenticabile, l’intreccio riesce comunque a interessare e a generare qualche momento di stupore in chi gioca. Nel corso della ventina di ore necessarie a portare a termine le missioni principali bisognerà sforzarsi di “credere” nell’insieme di elementi poco chiari che si riversano sullo schermo, in attesa delle principali rivelazioni su Jack e sul suo gruppo di amici, ai quali si aggiungono ben presto Neon e Sophie. Insomma, al netto di riferimenti e strizzate d’occhio ai vecchi appassionati della serie, Stranger of Paradise non verrà di certo giocato per la qualità della narrazione. Trattandosi di un titolo “action” una volta avviato il gioco c’è la possibilità di scegliere il livello di difficoltà dal menù iniziale. Questo di per sé non rappresenterebbe certo un problema, ma sfortunatamente la situazione diventa difficile per quanto riguarda il bilanciamento dell’esperienza che mette i giocatori di fronte a un action mediamente molto facile e che ha degli improvvisi e sporadici picchi di difficoltà. Per quanto riguarda la struttura, Stranger of Paradise è un titolo che si basa su una corposa quantità di missioni, scollegate tra logo e raggiungibili tramite un mappamondo che mostra le diverse regioni del continente. Tali missioni suggeriscono fin da subito il livello consigliato per essere affrontate, una dettagliata serie di ricompense conquistabili e una descrizione di quanto accaduto fino a quel momento e di quel che i protagonisti dovranno affrontare in battaglia. Una volta in gioco si affronteranno una serie infinita di avversari presi di peso dalla storia di Final Fantasy fino a completare una mappa che porterà inevitabilmente al boss che conclude la missione. Conquistata la vittoria si tornerà al mappamondo e via così fino ai titoli di coda. Niente open world, nessun hub centrale, né tantomeno altri personaggi con cui confrontarsi – se si esclude una meccanica piuttosto anacronistica che permette d’intrattenersi in alcuni dialoghi con gli abitanti di Cornelia direttamente dal menù del mappamondo.

Dal punto di vista della giocabilità, Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin prende in prestito la formula già vista in Nioh e vi innesta una manciata di elementi tipici di Final Fantasy, come appunto le classi e le magie. Rigorosamente in tempo reale, il sistema di combattimento vedrà il giocatore assumere il controllo del solo Jack, che però potrà essere affiancato da due dei quattro compagni selezionabili e affidati all’intelligenza artificiale. Rispetto a Nioh, il protagonista del nuovo action RPG presenta tre diverse barre, rappresentate da energia, punti magia e logoramento: se le prime due non richiedono alcuna spiegazione, la terza si svuota quando si subiscono degli attacchi e una volta consumata del tutto induce un Crollo temporaneo, ossia uno stato in cui Jack rimane indifeso per diversi secondi e oltretutto vede ridurre i propri PM massimi. Paragonabile alla postura di Sekiro, quella del logoramento è una meccanica che il protagonista può sfruttare a proprio vantaggio per annientare in fretta e furia i suoi avversari, in quanto tutte le creature del bestiario possono essere indotte in stato di Crollo: aggredendo i nemici alle spalle o colpendoli ripetutamente per ridurre la barra del logoramento, Jack ha la facoltà di avvicinarsi al bersaglio ed eseguire un cosiddetto “Impeto Spirituale”, ovvero un potente colpo di grazia che pone fine alla vita del malcapitato e al contempo ripristina i PM dell’eroe. Frantumando i mostri cristallizzati con Impeto Spirituale e assorbendo la loro forza vitale, è infatti possibile incrementare a dismisura i PM massimi del protagonista, che tuttavia tornano ai valori standard in caso di sconfitta. Con tutta probabilità si tratta della meccanica più utile e importante dell’intero pacchetto, anche perché questa innesca una furiosa sequenza animata durante la quale il Guerriero della Luce diventa brevemente invulnerabile: pertanto, il suo abuso può essere determinante nelle sequenze più concitate e in presenza di molti avversari, che in caso contrario lo circonderebbero per colpirlo da più direzioni. Non meno interessante è anche la meccanica dello “Scudo Spirituale”, che a differenza del “parry” tradizionale consuma la barra del logoramento per travolgere e intimorire gli oppositori circostanti con una rapida ondata di energia. Tra l’altro, se eseguita con il giusto tempismo, questa non blocca soltanto gli attacchi in entrata, ma ripristina i PM e facilita i contrattacchi, consentendo a Jack di apprendere le “Abilità Istantanee”: tecniche nemiche che, una volta prese in prestito, non consumano punti magia e hanno un limitato numero di attivazioni, ragion per cui è consigliabile conservarle e impiegarle al momento più opportuno. Alle suddette soluzioni ludiche si aggiunge poi quella del Lux, una meccanica che sacrifica diversi segmenti della barra PM per scatenare un rabbioso power-up che infligge maggiori danni logoranti alle creature circostanti e assorbe in automatico i mostri annientati. A differenza di Nioh e delle produzioni di matrice soulslike cui questo era ispirato, non solo Final Fantasy Origin appare piuttosto accessibile anche a difficoltà Dinamica, ma gli sviluppatori hanno per giunta deciso di andare incontro ai neofiti del genere, includendo un selettore di difficoltà che appunto permette di incrementare o abbassare a dismisura il livello di sfida. Pertanto, se gli appassionati di esperienze proibitive come quelle alla From Software troveranno pane per i loro denti soltanto in modalità Difficile e Caotica, al contrario Dinamica e Narrativa andranno incontro alle esigenze di neofiti, azzerando il rischio di rimanere bloccati. Al netto di qualche picco improvviso e vertiginoso, il bilanciamento complessivo della difficoltà è inflazionato pure dalla presenza dei compagni, che a differenza di quanto accadeva nella prima demo di Stranger of Paradise tendono ad attaccare con maggior grinta e ad annientare da soli qualsiasi minaccia, boss inclusi.

Il sistema di combattimento di Final Fantasy Origin è supportato da un sistema di classi che spalanca le porte a una notevole stratificazione ludica: suddivise in tre categorie (base, avanzate e supreme), le classi del titolo mutano radicalmente i pattern di attacco e le skill del Guerriero della Luce, in quanto ognuna di esse dispone di un proprio albero delle abilità in cui sbloccare tecniche e talenti unici. Sono disponibili ben 28 categorie (chiamate job) e dopo averle provate tutte possiamo dire con assoluta certezza che non ci sono job più efficaci di altri: dal momento che ciascuno di essi è caratterizzato da punti di forza unici e altrettante debolezze, la loro fruttuosità in battaglia è stabilita soltanto dallo stile personale e dall’approccio adottato dall’utente. Se ad esempio il Samurai è la classe perfetta per chi ama realizzare lunghe catene di combo, il Ladro è l’unico job in grado di rubare le Abilità Istantanee in qualsiasi momento, mentre il Ronin privilegia gli attacchi a sorpresa. Ancora, se mestieri prettamente melee come il Lanciere o lo Schermidore sono indicati a coloro che provano maggiore soddisfazione in mischia, le svariate classi magiche esaltano il combattimento a distanza e possono lanciare fenomenali incantesimi ad area, ad eccezione del Mago Rosso, che al contrario utilizza sia attacchi corpo a corpo che a lunga gittata. Allo scopo di valorizzare sperimentazione e diversificazione, lo sviluppatore ha ben pensato di implementare il “cambio di assetto”, che attraverso la semplice pressione di un casto consente a Jack di passare da un job all’altro e di modificare istantaneamente l’intero equipaggiamento. In questo modo, il giocatore può impostare due classi contraddistinte da talenti diametralmente opposti e alternarle a seconda delle necessità, sfruttando a proprio vantaggio le rispettive peculiarità e al contempo i punti deboli degli avversari. Va infatti detto che diverse categorie di mostri sono particolarmente resistenti agli assalti fisici, mentre altri cadono con maggior rapidità se tempestati con attacchi magici o armi laceranti. Questo non solo incentiva l’utente a padroneggiare parecchie classi e armi diverse, ma l’alternanza diventa a tutti gli effetti una necessità primaria per potersi adattare di continuo alle diverse caratteristiche delle creature affrontate. Tuttavia, se da una parte la presenza di 28 classi diverse agevolano la diversificazione, dall’altra la troppa carne al fuoco spinge a cambiare job subito dopo aver completato l’albero della abilità associato. Saltando da un job all’altro, Stranger of Paradise non concede quindi il tempo necessario per assimilare a dovere i singoli talenti delle stesse, che molto spesso finiscono invece per non essere utilizzati affatto. Per quello che concerne l’aspetto estetico, giocato su Xbox Series X in modalità Performance, il titolo incappa di tanto in tanto in cali di frame rate leggeri quanto inspiegabili, specie se si considera la semplicità dei modelli poligonali e la povertà delle texture che ne tradiscono la natura cross-gen. Rinunciando a una maggiore fluidità per incrementare i dettagli grafici, la modalità Risoluzione restituisce invece una nitida immagine in Ultra HD. La vera lacuna del nuovo gioco di Square Enix va però ricercata nel character design: laddove l’efficace monster design ha portato sui nostri schermi delle fiere minacciose e degne di Final Fantasy, il design dei protagonisti risulta terribilmente anonimo e sottotono. Se a questo si aggiunge la grossolana espressività facciale e un lip-sync spesso assente, la data cornice tecnica di Stranger of Paradise lascia piuttosto interdetti. La situazione migliora non poco sul versante sonoro, grazie alla presenza di un accompagnamento musicale puntuale e variegato, che propone interessanti riarrangiamenti dei motivetti più apprezzati di tutta la saga. Passando al doppiaggio, durante i nostri test abbiamo preferito la voce giapponese a quella inglese, poiché meglio recitata e sorretta da accostamenti vocali più azzeccati. Sono invece i testi in italiano ad averci fatto storcere il naso, a causa di scelte di adattamento opinabili e dell’eccessivo ritardo con cui i sottotitoli appaiono sullo schermo. Tirando le somme possiamo dire che Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin è un esperimento riuscito solo in parte. La sceneggiatura carente e il comparto tecnico anacronistico, senza dimenticare una direzione artistica svogliata, sono in questo caso controbilanciati da un sistema di combattimento stratificato e in buona parte mutuato da Nioh. Il piatto forte dell’intero pacchetto è certamente rappresentato dalla frenesia dell’azione e dalla profondità strategica offerta dal cambio di Assetto, che attraverso la pressione di un tasto muta completamente l’equipaggiamento e le capacità del protagonista Jack, consentendogli di adattarsi a qualsiasi situazione. Complice un livello di difficoltà tarato verso il basso, ne consigliamo l’acquisto a coloro che fino a questo momento si sono tenuti alla larga dai “soulslike”, poiché intimiditi dal livello di sfida elevato che contraddistingue il genere. Col supporto dei compagni e del selettore di difficoltà, al contrario Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin potrebbe essere l’occasione perfetta per cimentarsi con qualcosa di nuovo e ampliare i propri orizzonti videoludici. In ogni caso, se si è fan della serie e si vuole provare qualcosa di diverso dal solito, consigliamo vivamente di giocare questo titolo in quanto, nonostante i limiti descritti, rappresenta comunque un’esperienza divertente e assolutamente inedita nell’universo di Final Fantasy.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 8

Gameplay: 8

longevità: 6,5

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise




Smartphone sostenibili con il policarbonato e poliuretano Covestro

Riciclabili, resistenti, leggeri e trasparenti al segnale: i nuovi polimeri per cellulari sostenibili e performanti

I materiali ecosostenibili sono indispensabili per le aziende che vogliono conquistare i nuovi mercati sempre più attenti all’impatto dei prodotti d’uso. Adesso non sono solo le nicchie a interessarsi di circolarità, di riciclo e di impatto zero: i numeri dei consumatori consapevoli sono in forte crescita. Questi produttori trovano in Covestro un interlocutore perfetto per ottenere materiali sostenibili e a basso impatto ambientale.

L’attenzione all’ambiente nei prodotti sta diventando uno degli aspetti premiati dai consumatori. Ci sono settori in cui l’impegno per la sostenibilità e il riciclo caratterizzano il brand e ne determinano il successo. È invece accaduto che i marchi che non hanno dato il giusto peso a pratiche di produzione ecosostenibili sono state pesantemente sanzionate dalle persone con una ripercussione negativa sulla loro reputazione e sulle vendite.

Quindi stanno nascendo e si stanno affermando sempre di più aziende che fanno della sostenibilità un valore distintivo. Covestro come produttore di polimeri high tech, ha fatto della responsabilità ambientale un elemento centrale della sua missione e parte integrante della strategia produttiva e commerciale. Diventa così il partner naturale per le aziende che vogliono ridurre l’impatto dei prodotti con materiali ecocompatibili o provenienti da riciclo.

Fairphone è tra queste. L’azienda danese opera nel delicato settore degli smartphone dove spesso il consumatore è più attratto dal design e dalla sua riconoscibilità. Invece la scommessa di Fairphone è stata puntare sulla durata del device e sull’ecocompatibilità dei materiali. La partnership con Covestro implementa la sostenibilità dei componenti degli smartphone con la scocca, il telaio interno e le cover di protezione in policarbonato e in poliuretano sostenibili e ad impatto zero.

Wayne Huang, Vice President of Product Operations di Fairphone, ha dichiarato:

Con la missione condivisa di creare un futuro più equo e sostenibile, Fairphone è entusiasta di collaborare con Covestro e utilizzare le loro soluzioni realizzate con materiali riciclati e riciclabili nei nostri smartphone. Covestro può aiutarci a lavorare verso un’economia circolare che crei un mondo più sostenibile.

Polimeri sostenibili Covestro per gli smartphone a impatto zero

Le nuove plastiche termoconduttive realizzate da Covestro posseggono prestazioni perfette per gli smartphone. Hanno proprietà fisiche e chimiche tali da soddisfare uno dei fattori critici per i device che è la gestione del calore. In fase di verifica questi polimeri hanno dimostrato la capacità di dissipazione così da essere un valido sostituto dell’alluminio ma un costo notevolmente più contenuto.

A differenza del metallo, le scocche realizzate in policarbonato high tech non generano interferenze con le antenne dei segnali, per un funzionamento perfetto dei device e con un alto grado di resistenza alla polvere e ai graffi.

Ma a renderli davvero interessanti per le aziende è la riciclabilità che può avvenire insieme ai policarbonati tradizionali senza stoccaggi e procedimenti separati. Anche qui rispetto all’alluminio richiedono il 75% in meno di energia per essere riciclati e consumano il 60% in meno di risorse durante la produzione.




GTA V sulla cresta dell’onda con l’update next-gen

GTA V è senza ombra di dubbio il migliore capitolo della serie, il titolo infatti ha avuto il merito di rendere la saga ancora più realistica e profonda e ancora oggi, a distanza di 9 anni dalla sua uscita è un gioco a cui fa sempre piacere giocare. Con l’aggiunta dell’online (alcuni anni fa) e adesso con l’update next-gen, il software di Rockstar Games vive una nuova vita e si presenta al mondo nella sua versione definitiva. Per comprendere il fenomeno GTA V a fondo basta pensare che il videogame in questione ha letteralmente attraversato tre generazioni di console, partendo da PS3 e Xbox 360 fino ad oggi, momento in cui arriva una versione pensata per Playstation 5 e Xbox Series X/S. In questi anni GTA V si è espanso con contenuti aggiuntivi ed inserendo nuove missioni e aggiornamenti prevalentemente sull’online che può vantare ancora dei numeri che pochi altri giochi possono solo sognare. Quindi alla domanda “Questa ulteriore versione ideata per la next-gen è realmente necessaria?”, la risposta è sì. Infatti dopo averci passato diverse ore e mettendo il titolo alla prova su Xbox Series X siamo arrivati alla conclusione che GTA V next-gen è davvero un lavoro ben fatto, e quando diciamo ben fatto non parliamo solo di un miglioramento grafico e delle prestazioni, ma parliamo di ogni aspetto della produzione. Ritornare a vivere le rocambolesche missioni di Trevor e compagni e rimettersi in gioco nell’online è un’esperienza che ci sentiamo di raccomandare in attesa del tanto chiacchierato seguito che in molti sperano di vedere nei prossimi mesi. E’ bene sottolineare subito che questa versione non porta con sé novità a livello di contenuto né per il comparto singleplayer né per la parte multiplayer, e solo per quest’ultima sono previste ricompense per poter iniziare al meglio l’avventura. Ciò che si otterrà acquistando GTA V in versione Playstation 5 o Xbox Series X è una sorta di edizione completa, ovvero con tutti i DLC e le missioni extra rilasciate dal 2013 fino ad oggi, e con un comparto grafico e una fluidità al top. Proprio grazie alle piattaforme di nuova generazione, infatti, adesso è possibile impostare tre settaggi grafici differenti, ossia: fedeltà grafica, prestazioni e prestazioni raytracing. La prima porta il gioco a girare in 4K a 30 fps con raytracing (solo sulle ombre), la seconda permette di riprodurre una risoluzione in 4K upscalata a 60 fps ed infine la terza riproduce un ibrido tra le prime due. Messe alla prova, possiamo dire che la modalità più piacevole rimane quella Performance, donando una fluidità mai vista su GTA V, mentre il raytracing purtroppo non sembra operare al suo meglio o quanto meno non abbastanza piacevole da sacrificare i 60 fps. Queste novità però non nascondono i segni del tempo di un prodotto che lascia esattamente al suo posto delle meccaniche di gioco e un sistema di comandi ormai superati nella maggior parte dei giochi contemporanei. Badate bene, l’intento di Rockstar non era quello di rivoluzionare un titolo con così tanti anni sulle spalle, ma realizzare un prodotto in grado di soddisfare gli appassionati e avvicinare chiunque non vi abbia mai messo mano.

Come vi dicevamo GTA V in versione next-gen non è solo una campagna singleplayer dai personaggi sopra le righe e missioni esilaranti. Infatti la componente multigiocatore, GTA Online, è un fenomeno che fa quasi dimenticare la parte offline, anch’esso un po’ compassato ma sempre sulla cresta dell’onda. Non è mai stato facile e intuitivo aggirarsi nei meandri dell’online, sia per un’interfaccia caotica sia per un’impostazione sandbox in alcuni tratti dispersiva, e la situazione non cambia con questo update. Ma ciò che sicuramente sarà gradito è la velocità dei caricamenti che fanno dimenticare i tempi di attesa biblici che in passato hanno tenuto i giocatori in attesa prima di entrare in un server. Come regalo di benvenuto (o di bentornato) vi sono anche 4 milioni di dollari (parliamo di valuta di gioco ndr) ad attendere gli utenti, una cospicua somma di denaro per iniziare una carriera online. Nonostante alcuni miglioramenti strutturali dei menu, iniziare la vita da criminale rimane abbastanza confusionario e i meno esperti potrebbero dover ricorrere ad un aiuto esterno o di un amico veterano che lo accompagna in questa avventura. A GTA Online, adesso disponibile anche in versione “stand alone” e quindi completamente slegato dalla campagna, si applica il medesimo discorso fatto in precedenza, ossia: questa versione next-gen non aggiunge sostanzialmente niente di nuovo oltre ad un piccolo trattamento estetico anti-invecchiamento, necessario per rendere l’esperienza ancora gradevole dopo tanti anni. Tirando le somme, possiamo dire che GTA V con questa edizione colma il gap con la versione PC, donando ai giocatori console un’esperienza migliorata sotto molti aspetti grafici e qualche ristrutturazione dei menu più che gradita, ma soprattutto strizza l’occhio a chi ancora non ha intrapreso questa straordinaria avventura. Insomma, sia che siate player di vecchia data, sia che siate a caccia di novità, il titolo targato Rockstar Games resta sempre una perla nell’olimpo dei videogames. Non averlo sarebbe davvero un peccato.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 9

Gameplay: 8

Longevità:8,5

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise




Microsoft annuncia le novità Windows per il lavoro ibrido

Microsoft è sempre attenta alle esigenze dei propri clienti e con l’introduzione dello smart working, a seguito della pandemia, le modalità di svolgimento del lavoro hanno subito un cambiamento radicale. Negli ultimi due anni, infatti, molte aziende provenienti da tutto il mondo hanno adottato modalità di lavoro a distanza, avvertendo il crescente bisogno di un nuovo modello organizzativo. Secondo il recente Work Trend Index di Microsoft, lanciato lo scorso 16 marzo, il 52% degli intervistati ha dichiarato che considererà di passare a modalità di lavoro ibrido o da remoto nel prossimo anno, mentre l’80% dei dipendenti ha affermato di essere ugualmente, se non maggiormente, produttivo da quando è passato al lavoro ibrido o da remoto. Nel corso di questa radicale trasformazione, le performance del comparto hardware sono amplificate grazie alla potenza del Cloud. In questo senso, il progressivo passaggio verso questo nuovo modello di lavoro riduce notevolmente la linea di demarcazione tra PC e il cloud. A tal proposito, è necessario che sia il sistema operativo ad adattarsi alla persona, al lavoro o al dispositivo utilizzato, e non più il contrario. Proprio a riguardo Microsoft ha annunciato alcune nuove esperienze per dare spessore a questa visione.

https://youtu.be/0vsh1KZ1yws

Le novità includono:

  • Riunioni virtuali più fluide con Voice Clarity, una nuova funzione di Surface per migliorare la produttività e dare rilevanza a elementi quali l’elaborazione del suono e la chiarezza della voce, con una resa più naturale durante le video call e audio e immagini di qualità più elevata.
  • Altre novità studiate appositamente per migliorare le riunioni da remoto includono il contatto visivo, background blur e l’inquadratura automatica, offrendo un’esperienza migliorata per gli utenti finali.
  • Protezione anti phishing migliorata per SmartScreen, per proteggere gli utenti dagli attacchi di phishing – responsabili di quasi il 70% delle violazioni dei dati – con una combinazione di cloud AI e miglioramenti del sistema operativo.
  • Aggiornamenti per i professionisti IT – tra cui il supporto aziendale da remoto, la gestione dei privilegi degli endpoint e Iris per Windows.
  • Per semplificare la navigazione tra cloud e applicazioni, l’aggiornamento degli strumenti di gestione di Windows 365 come Boot direct e switch-to-Cloud PC porta un’esperienza di gestione della shell che consente all’utente finale di spostarsi da un ambiente all’altro, per consentire a grandi aziende e PMI di creare confini chiari tra le app aziendali e quelle personali.

Windows offre a utenti e aziende diversi strumenti e modalità per adattarsi alla propria modalità di lavoro, a partire dai dispositivi di cui hanno bisogno fino agli strumenti e alle infrastrutture che utilizzano. Maggiori informazioni sono disponibili all’interno del mini sito dedicato di Microsoft.

F.P.L.




La Regina dei Sussurri: Bungie fa centro con la nuova espansione di Destiny 2

Destiny 2 è un gioco in continua espansione e chi lo ama lo sa bene, ma l’insieme degli eventi narrati nella campagna de La Regina dei Sussurri (ultima espansione rilasciata per il titolo targato Bungie) non è altro che un concentrato di momenti epici ed estremamente esaltanti che rendono l’espansione inaugurale dell’Anno 5 la più interessante di sempre. Dopo aver esaminato a fondo tutte le novità disponibili al lancio del DLC, siamo pronti a spiegarvi i motivi per i quali l’ultima avventura dei Guardiani non va sottovalutata, ma anzi merita davvero di essere vissuta in tutta la sua bellezza. La Regina dei Sussurri offre una campagna che non solo dà finalmente una scossa alla lenta narrazione che ha caratterizzato i primi anni del gioco, ma riesce a proporre missioni all’altezza dal punto di vista prettamente ludico. La nuova espansione del titolo di Bungie segue le incredibili rivelazioni emerse di recente, che hanno portato alla scoperta del malvagio piano di Savathun, la Megera Regina. La sorella di Oryx è infatti la protagonista assoluta del DLC e, dopo una missione iniziale sul suolo di Marte, condurrà i guardiani dritti nella sua enorme dimora: il Tronomondo di Savathun. Proprio da questo luogo prendono il via tutta una serie di quest e sotto quest che porteranno i guardiani ad affrontare una minaccia senza pari e che, di fatto, è in grado di trasmettere sensazioni che non si provavano dall’uscita del Re dei Corrotti, la prima grande vera espansione del primo Destiny. Gli avversari affrontati sino ad oggi in Destiny 2, fatta eccezione per Ghaul e la sua Legione Rossa, non hanno infatti mai rappresentato una reale e concreta minaccia per l’umanità, ma con Savathun il discorso è ben diverso. La regina degli inganni infatti ha messo le mani sulla Luce e guida un esercito chiamato Alveare Lucente che, come suggerisce il loro nome, è costituito perlopiù da guerrieri in grado di sfruttare gli stessi poteri che rendono così forti i Guardiani. Addentrarsi nello splendido regno dell’imprevedibile nemico, e sconfiggere i suoi combattenti più valorosi distruggendone gli Spettri, è divertente ma allo stesso tempo shockante, perché sarà come guardarsi allo specchio. La stessa Savathun è un personaggio ben caratterizzato, e sicuramente è uno dei “cattivi” più meglio approfonditi dell’intera storia di Destiny 2. Senza voler spoilerare nulla, possiamo assicurarvi che le vicende narrate tra una missione e l’altra sono dense di colpi di scena, momenti toccanti e rivelazioni che gli appassionati della “lore” del titolo Bungie stavano ormai attendendo da anni, sebbene queste rispondano solo parzialmente ai tanti dilemmi sul mondo di gioco e diano vita ad altri forse ancora più grandi. È sempre più chiaro che l’epica lotta tra Luce ed Oscurità stia per arrivare al suo apice.

https://www.youtube.com/watch?v=NLX6-zvecTw

Per quello che concerne il lato strettamente ludico, la modalità storia di Destiny 2: La Regina dei Sussurri è davvero interessante da giocare per diversi motivi. Il primo è senza ombra di dubbio l’introduzione della difficoltà leggendaria, che aumenta a dismisura il livello di sfida e blocca il Livello Potere, così che non abbia più importanza quanto siano forti le armi e le armature presenti nell’inventario. Noi abbiamo intrapreso questa sfida in solitaria e vi assicuriamo che è stato divertente, difficile e nello stesso tempo molto appagante. Ogni livello svolto in “leggendario” ci ha tenuti impegnati per un bel po’, e ci ha costretti ad avere un approccio alle attività molto più cuto, ragionato e strategico. Per la prima volta nella storia del titolo, infatti, non si andrà alla ricerca del pezzo di equipaggiamento che dia quel punto di potere in più, ma tutto verterà sull’abilità di chi gioca e sulle caratteristiche di ciascuna bocca di fuoco e da ogni pezzo di corazza indossato. Tra una missione e l’altra abbiamo passato diversi minuti a modificare attentamente i perk delle armature, ad applicare i bonus alle armi e a ritirare fuori dal deposito armamenti utilizzati in passato. Vivere una campagna in questo modo è stato molto più soddisfacente del normale, poiché evita che i contenuti si esauriscano in una manciata di ore per lasciare spazio alla scalata al cap di Potere. Portare a termine la storia in modalità Leggendaria garantisce inoltre un’arma esotica inedita e un intero set di equipaggiamento al 1520 che, considerato il soft cap al 1500, può essere reputato un ottimo incentivo per affrontare tale sfida. Il merito però non è tutto del livello di difficoltà, poiché è la struttura delle missioni che contribuisce a rendere la storia raccontata ne La Regina dei Sussurri davvero molto interessante. Ogni missione ha una durata notevole ed è arricchita da fasi platform, arene colme di nemici e numerosi boss che non sono i classici bersagli su cui scagliare una pioggia di proiettili, ma sono nemici che vanno sconfitti risolvendo piccoli puzzle che ricordano più le meccaniche di un’Incursione che quelle di un Assalto. Ovviamente chi ha un po’ di esperienza col titolo di Bungie non avrà particolari difficoltà a capire come abbattere tali nemici, ma per chi si avvicina per la prima volta a Destiny 2 la sfida sarà senza dubbio molto interessante. Parlando degli assalti, La Regina dei Sussurri introduce due nuove attività che come sempre si possono avviare dal menu delle Destinazioni o in maniera casuale nella Playlist dell’Avanguardia (senza contare i Cala la Notte): La Culla del Male e La Lama di Luce, il cui inizio contiene una splendida citazione. In entrambi i casi ci si dovrà addentrare in luoghi affascinanti con l’obiettivo di sconfiggere pericolosi boss e completare mini puzzle ispirati alle meccaniche proposte nel corso della campagna. Insomma, tutto perfettamente in linea con gli altri Assalti, sebbene i nuovi ereditino buona parte del fascino delle ambientazioni del DLC. Volendo parlare di difetti, una delle pecche de La Regina dei Sussurri è forse rappresentata da una certa pigrizia per quello che riguarda il design nemici, che non sono altro che le solite truppe dell’Alveare con un’estetica lievemente ritoccata. Fanno eccezione i guerrieri dell’Alveare, veri e propri mini-boss che si comportano esattamente come i Guardiani e in battaglia sfoggiano le loro abilità Solari, ad Arco e del Vuoto, che a difficoltà Leggendaria sono in grado di eliminare un giocatore al massimo degli scudi con un paio di colpi. Considerando che questi particolari boss sono sempre circondati da una schiera di nemici che sparano senza pietà, se non si sta particolarmente attenti la morte è assicurata.

La Regina dei Sussurri ovviamente non è solo una bellissima campagna, ma come i più sapranno Destiny 2 vive di attività end game che accompagnano i giocatori fra una stagione e l’altra. Naturalmente con la nuova espansione e con i contenuti sono arrivate anche importanti novità. Fra queste la più interessante è senza dubbio la Forgia, una meccanica di gioco che viene introdotta nel corso della storia e stravolge una delle caratteristiche di Destiny 2 in un modo che alcuni giocatori apprezzano e altri no, ovvero la ricerca del “god roll”, ossia le armi con i perk migliori. Le bocche di fuoco leggendarie che si possono ricevere al completamento delle attività o in maniera casuale scalando i gradi dei vari vendor, propongono caratteristiche casuali e occorre affidarsi alla fortuna per ottenere quella con le caratteristiche perfette. Grazie alla Forgia, questo elemento viene a mancare in buona parte, poiché viene data al giocatore la possibilità di creare una discreta quantità di armi e deciderne ogni singolo perk. Sia chiaro, il farming non viene meno con la Forgia, poiché i materiali per il crafting vanno accumulati nel tempo e gli stessi progetti richiedono ore di gioco per essere sbloccati e potenziati. C’è però una differenza sostanziale tra l’andare alla ricerca del “god roll” ripetendo infinite volte una stessa attività e giocare liberamente utilizzando un’arma alla quale non solo ci si affeziona nel tempo, ma che può anche essere progressivamente migliorata fino a rispecchiare esattamente quello che è il nostro canone di perfezione. Gli utenti più accaniti continueranno ad accumulare ore di gioco per ottenere le armi che non fanno parte dei telai della Forgia, ma chi non ha intenzione di cedere a questi meccanismi può ora procedere con calma e relax, instaurando anche un feeling con l’equipaggiamento, che è un fattore da non prendere sotto gamba in un prodotto del genere. Proprio attraverso la Forgia viene introdotta una nuova arma, ossia il Falcione, una sorta di picca che va ad ampliare le possibilità offerte nel corpo a corpo, ma che è anche in grado di sparare letali colpi a distanza. Il nuovo strumento possiede anche un notevole potere difensivo, visto che per qualche secondo è possibile attivare una specie di scudo grazie al quale vengono assorbiti per breve tempo i colpi. Interessante anche tutto il nuovo armamentario esotico, con alcune armi che riescono a distinguersi dalla massa per caratteristiche estetiche uniche come la letale mitraglietta Osteo Striga, che spara proiettili velenosi, o il possente Grande Ouverture, una sorta di ibrido tra mitragliatrice leggera e fucile a fusione lineare. Tra le varie modifiche apportate al gameplay, che include l’eliminazione totale delle munizioni cinetiche e il potenziamento di alcune esotiche, non si può certo non menzionare la rivoluzione delle classi del Vuoto. La Regina dei Sussurri, infatti, porta avanti il processo di trasformazione delle classi di Destiny 2 iniziata lo scorso anno con la Stasi, grazie alla quale è stato premuto l’acceleratore sull’inserimento di una componente ruolistica più profonda. Attualmente, la schermata di personalizzazione delle classi appartenenti al Vuoto è perfettamente in linea con quella della Stasi, con tanto di possibilità di aggiungere una serie di modificatori che alterano le statistiche e aggiungono effetti secondari alle abilità dei guardiani. Si tratta insomma di un piccolo grande cambiamento che verrà sicuramente ampliato alle sottocolassi del fuoco e dell’arco.

Parlando del nuovo Raid, ossia “La promessa del discepolo” possiamo dire che Bungie ha davvero colpito nel segno. L’entrata diretta verso la piramide presente sul Tronomondo (ossia la location del nuovo raid) è caratterizzata da una fase prevalentemente incentrata sul movimento. Una volta entrati ci si trova in un luogo ancora più strano rispetto alle piramidi già viste su Europa o su la Luna. Qui sono presenti i tratti caratteristici delle strutture già citate, ma viene fuori la personalità di colui che aspetta i guardiani alla fine. Fra simboli da ricordare e massima coordinazione, l’incursione presente sul Tronomondo risulta essere impegnativa, divertente, ma soprattutto appagante. Solo un team davvero coeso e unito riuscirà a portare a termine l’esperienza. Come anticipato da Mara Sov all’inizio del Raid, questa piramide è diversa dalle altre, poiché governata da un’entità oscura. Essa accoglie i giocatori e si presenta subito con il nome di Rhulk Ciò che si deve affrontare è qualcosa di totalmente diverso da qualsiasi altro “raid boss” mai affrontato in Destiny. Un’entità diversa che si muove con estrema compostezza e allo stesso tempo combatte con tremenda aggressività allontanandosi dal classico archetipo del boss che rimane fermo per qualsivoglia motivo durante una fase danni. Rhulk vuole l’eliminazione dei guardiani, durante tutta la fase danni perde la compostezza che lo caratterizza e avanza verso i giocatori con fare animalesco per raggiungerli e punirli. Diventa necessario danneggiarlo e allo stesso tempo sfuggirgli costantemente prima che ponga la parola fine sul team da sei giocatori. Promessa del Discepolo mantiene la stessa eccellenza presente nel resto dell’espansione e proprio per questo verrà ricordato come uno dei raid più interessanti di Destiny2. Per quanto riguarda la nuova ambientazione de La Regina dei Sussurri, ossia il Tronomondo di Savathun, l’area è splendida e propone un particolare dualismo che contrappone allo sfarzo della dimora della Regina Megera (la cui architettura ricorda molto i bastioni presenti sulla Luna) una marcescente palude in cui si aggirano prevalentemente Infami. Le dimensioni della mappa sono più generose di quanto ci saremmo aspettati, e la porzione di mappa esplorabile liberamente è più vicina ad aree come il Cosmodromo che alla più piccola Città Sognante. Se l’area paludosa del Tronomondo non eccelle dal punto di vista estetico, a stupire è invece tutto il resto: Bungie ha saputo creare un ambiente di gioco semplicemente spettacolare che eredita le architetture tipiche dell’Alveare e le stravolge dal punto di vista cromatico, quasi a voler comunicare con le immagini il contatto tra la fazione nemica e la Luce del Viaggiatore. La quasi totalità della fortezza della sorella di Oryx è luminosissima e presenta strutture color avorio, arricchite da rigogliose piante di un rosso acceso che rendono i paesaggi uno spettacolo per gli occhi. Armi, armature, ambientazione, narrativa, comparto audio e attività. L’insieme magistrale messo in atto da Bungie per La Regina dei Sussurri è davvero in grado di rendere questa espansione una fra le migliori in assoluto. Ognuno degli ambiti appena citati è ricco di arte, e ogni singola parte è collegata perfettamente da un filo rosso coerente e armonioso che esalta tutti i lati positivi di ogni aspetto. Savathun e il suo Tronomondo sono una splendida bellezza da esplorare. Un parco giochi orrorifico in cui sguazzare in cerca di segreti e misteri, cercando gli ampi spazi aperti per ricevere una bocca di ossigeno dagli angusti corridoi della fortezza. L’epopea fantascientifica di Bungie si è dimostrata ancora una volta una fucina di design in grado di sovvertire regole e canoni pur rimanendo fedele ai più alti crismi del genere di riferimento. Anche e soprattutto a livello audio, La Regina dei Sussurri eccelle proponendo sia una colonna sonora di altissimo livello sia un sound design incredibile che accompagna il giocatore nelle discese più oscure con temi orrorifici, ma anche lo incalza nei momenti concitati in spazi aperti con una spinta emozionale notevole. Ottimo e coerente come sempre il comparto audio che, tutto in italiano, accompagnerà i giocatori nel corso di questa nuova avventura. Tirando le somme, con La Regina dei Sussurri Bungie è riuscita a portare su Pc, PlayStation e Xbox un’espansione in grado di catturare l’attenzione dei fan di vecchia data, ma anche di avvicinare tutti quei giocatori che non hanno mai intrapreso la via dei guardiani o che l’hanno abbandonata.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9,5

Sonoro: 9,5

Gameplay: 9

Longevità : 8,5

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise