WhatsApp Down, due ore di blocco a livello mondiale

WhatsApp è tornato a funzionare dopo oltre due ore di blocco a livello mondiale. I disservizi sono iniziati tra le 8:30 e le 9, ora italiana del 25 ottobre 2022. Gli utenti non riuscivano a mandare messaggi ne’ privatamente, ne’ in chat sia sull’app sia sulla versione desktop. E non appariva la classica spunta blu del messaggio inviato, ma il simbolo dell’orologio. “Sappiamo che oggi le persone hanno avuto problemi a inviare messaggi su WhatsApp. Abbiamo risolto il problema, ci scusiamo per gli eventuali disagi” spiega un portavoce della piattaforma senza specificare i motivi del blocco. La chat di proprietà del gruppo Meta è diventata una infrastruttura in molti mercati, utilizzata da 2 miliardi di persone, anche istituzioni e governi e sempre più importante con lo smart working cresciuto in pandemia. A partire dal 2020, il servizio è stato utilizzato per inviare oltre 100 miliardi di messaggi al giorno. Nel corso del disservizio, le altre piattaforme di Meta come Facebook e Instagram hanno invece funzionato correttamente. Come di consueto su Twitter sono apparsi messaggi con l’hashtag #Whatsappdown. Gli ultimi disservizi di WhatsApp risalgono a circa un anno fa, il 4 ottobre 2021 quando ci fu un “down” di tutte le app del gruppo Meta, comprese Instagram e Facebook, per sei ore. In quella circostanza, dopo il ripristino dei servizi, erano arrivate anche le scuse ufficiale del fondatore Mark Zuckerberg.

F.P.L.




Dragon Ball The Breakers, il survival in salsa Akira Toriyama

Dragon Ball The Breakers non è il solito titolo che ci si aspetta da un videogame che porta il nome di uno dei manga più famosi e importanti di sempre. Non è un picchiaduro, né un titolo che ripercorre la storia del manga, ma nemmeno un open world dove il proprio alter ego virtuale collabora con i protagonisti dell’opera di Toriyama. Dragon Ball The Breakers è un survival molto particolare, un gioco che fa del multiplayer asimmetrico la sua forza e che si differenzia da quanto è stato visto fino a oggi nell’universo di Goku e compagni. Ma veniamo al dunque. Il gioco, disponibile su Pc, Switch, Xbox e PlayStation, si presenta fin da subito come un prodotto snello ed essenziale, chiarissimo nei suoi obiettivi e nelle possibilità proposte. L’esperienza ha inizio con un prologo per prendere confidenza con questa nuova “formula” dedicata all’universo Dragon Ball. Una volta portato a compimento ci si trova in un’area principale dalla quale si accede facilmente a tutto quello che c’è, ossia: alcuni negozi per acquistare l’estetica del proprio personaggio, un’area per cambiare look e un menù per le partite online. Il concetto d’immediatezza a nostro parere è positivo; peraltro neanche troppo limitante, perché poi se qualcuno lo desidera può facilmente accedere a una modalità allenamento a parte, nella quale testare tutti gli oggetti e le possibilità presenti, in compagnia di bot o di giocatori reali, anche loro alle prime armi. D’altro canto, inutile negare che in questi primi giorni dal lancio Dragon Ball The Breakers non sia anche un po’ “troppo” snello ed essenziale. Tutta la produzione in fondo consiste in un’unica modalità di gioco, sempre la stessa: cambia semplicemente il ruolo che è possibile ricoprire, tra Sopravvissuti e Razziatori. E questo può anche essere comprensibile in un titolo d’azione online asimmetrico, per carità: poi però ci si accorge che in fondo tutti i presenti condividono le stesse abilità e gli stessi oggetti, senza una diversificazione davvero basata sull’immensità di personaggi offerti dal mondo di Dragon Ball; che i razziatori sono appena una manciata; che le azioni da compiere durante la partita sono sempre le stesse, fino allo sfinimento. La speranza è che nuove modalità arrivino presto, o comunque qualsiasi aggiunta che possa garantire un minimo di varietà: il timore, altrimenti, è che l’energia spirituale di Dragon Ball: The Breakers possa esaurirsi molto rapidamente.

Ma in cosa consiste una partita a Dragon Ball The Breakers? Ve lo spieghiamo subito: nel gioco si verrà chiamati a interpretare uno dei sette superstiti, il cui aspetto sarà completamente personalizzabile, che verrà braccato da uno dei razziatori, ovvero uno degli storici villain di Dragon Ball Z. Il compito del razziatore sarà quello di uccidere tutti i superstiti e distruggere il terreno di gioco il più possibile. Il giocatore che interpreterà il cattivo di turno partirà da una forma base, ad esempio nel caso di Cell la larva, nella quale sarà praticamente inutile: toccherà aspettare una determinata quantità di tempo o uccidere NPC terrorizzati per potersi finalmente evolvere. A ogni trasformazione, l’antagonista avrà la possibilità di sferrare un pericolosissimo attacco speciale: questo non solo distruggerà completamente una delle aree di gioco in cui e suddivisa la mappa globale riducendo le dimensioni del terreno, ma ucciderà contemporaneamente tutti coloro sono al suo interno. Ai superstiti verrà dato comunque tempo sufficiente per potersi allontanare immediatamente dall’area, i cui confini saranno ben visibili nel mondo di gioco. Per impedire che il villain possa distruggerle, i superstiti dovranno fare del loro meglio per collaborare e trovare le chiavi del potere: una volta individuati, questi oggetti andranno posizionati nell’apposita zona sul terreno per proteggere l’area dagli attacchi nemici. La prima fase della partita sarà infatti strutturata su questo momento di ricerca: la collaborazione tra i giocatori sarà fondamentale per poter riuscire a tenere al sicuro la maggior parte delle zone. A differenza dei superstiti, il cattivo di turno sarà in grado di volare liberamente su tutta la mappa e utilizzare svariate mosse speciali: tra queste vi è anche la possibilità di scoprire immediatamente i giocatori nelle nostre vicinanze, così da potergli dare immediatamente la caccia e ucciderli. I superstiti non saranno comunque a corto di opzioni, ma potranno sfruttare tanti strumenti per riuscire a scappare, ad esempio lanciando una cortina di fumo o trasformandosi in un oggetto casuale per sfuggire al suo radar. Se la situazione dovesse farsi disperata, sarà possibile effettuare una trasformazione e prendere in prestito i poteri di un eroe di Dragon Ball. Tale abilità permetterà di resistere temporaneamente agli attacchi del villain, anche se si continuerà a non rappresentare una seria minaccia per lui. Si tratta di una tecnica da prendere in considerazione soltanto in casi di emergenza per far guadagnare tempo agli alleati distraendo il razziatore.

Sebbene tra gli obiettivi del gioco ci sia anche la possibilità di sconfiggere il cattivo, è molto improbabile che la cosa riesca: non solo le abilità dei razziatori sono troppo potenti per i superstiti, ma i movimenti in un ambiente tridimensionale renderanno anche particolarmente facile riuscire a schivare i colpi che, anche qualora andassero a segno, difficilmente riusciranno a togliere grandi quantità di energia. In ogni caso, vale la pena di ricordare che la trasformazione degli eroi potrà raggiungere fino a 3 livelli, ognuno dei quali è corrispondente ad un determinato personaggio. Per poter aumentare questo livello sarà necessario accumulare abbastanza potenza grazie a speciali oggetti posizionati casualmente nei livelli, distruggendo elementi dello scenario come barili e vasi o portando in salvo superstiti: quest’ultima attività sarà anche particolarmente utile per togliere al razziatore la possibilità di potersi potenziare ulteriormente, senza aver dato la caccia ai giocatori. Se il cattivo riuscirà a individuare i giocatori e ucciderli, per loro la partita non sarà ancora finita: entro 60 secondi gli alleati potrebbero riuscire a raggiungerli per riportarli in vita. Va comunque detto che se il razziatore li sconfiggerà per una seconda volta, non ci sarà più nulla da fare: il nemico lo assorbirà concludendo direttamente la sua partita. Insomma, il gameplay di Dragon Ball The Breakers appare dunque molto simile alla formula già adoperata da Dead by Daylight, pur senza essere un vero horror e cercando di mantenere tutti quegli elementi che hanno reso il franchise famoso. Proprio come nei giochi appartenenti a tale genere, i protagonisti di Dragon Ball The Breakers saranno letteralmente terrorizzati da questa presenza minacciosa, come apparirà evidente nel momento in cui si nasconderanno dietro un dirupo, tremanti e speranzosi di non essere individuati. L’idea sicuramente stuzzicherà i più grandi appassionati del franchise, dato che permetterà di immaginare i villain di Dragon Ball da una prospettiva che non è stata spesso esplorata nell’opera originale. Se affrontare i villain sembra insomma essere fuori discussione, ai superstiti restano solo due obiettivi per completare la partita: attivare la macchina del tempo o scappare da questo universo.

Tuttavia, non è affatto facile portare a termine questi scopi: come detto, il razziatore potrà infatti intervenire per distruggere tutto ciò che gli capiterà a tiro, lasciando i superstiti con ben poche opzioni di sopravvivenza. E durante la nostra prova, avvenuta sia utilizzando i superstiti che il cattivo, abbiamo avuto la netta sensazione che il villain in questione, nel nostro caso Cell, abbia semplicemente troppi vantaggi a propria disposizione per consentire ai suoi avversari di poter vincere un incontro. Ci sarà sicuramente tanto lavoro da fare per assicurarsi che i superstiti possano avere a disposizione abbastanza contromisure da poter avere una possibilità, pur mantenendo naturalmente intatta la pericolosità del “killer”: un equilibrio sicuramente difficile da trovare, motivo per cui ci auguriamo che il test ad accesso chiuso abbia fornito i giusti feedback agli sviluppatori. In tal senso, potrebbero giocare un ruolo chiave le possibilità di personalizzare i propri avatar: accumulando abbastanza risorse dopo aver portato a termine le partite sarà infatti possibile acquistare nuovi strumenti, abilità e personaggi per le trasformazioni, oltre che a sbloccare nuove opzioni cosmetiche. Queste opzioni serviranno anche a garantire una certa rigiocabilità: va infatti detto che le partite sono molto rapide, sia nello svolgimento che per la ricerca nel matchmaking, e che sarà possibile uscire immediatamente dall’incontro dopo che la morte del proprio personaggio sarà diventata “certa“. L’augurio è che queste novità siano sufficienti, dato che il rischio che il gameplay di Dragon Ball The Breaker possa diventare ben presto ripetitivo è alto. Se a livello di giocabilità il titolo merita una nota di merito, purtroppo non si può dire lo stesso per quanto riguarda la grafica. Gli scenari di gioco, infatti, risultano essere troppo scarni e poco curati. Inoltre, la gestione della telecamera e la bassa fluidità nei movimenti fanno si che l’esperienza nel complesso risulti poco appagante. Peccato perché un po’ di cura in più per i dettagli avrebbe fatto decisamente bene alla godibilità del prodotto. Fortunatamente i personaggi sono curatissimi e molto fedeli all’opera originale. Tirando le somme, Dragon Ball The Breakers offre al pubblico un modo differente di vivere l’universo di Akira Toriyama. La natura survival del titolo piacerà sicuramente a chi si vuole divertire in compagnia di amici o altri giocatori online, peccato che forse lo sbilanciamento verso i poteri del villain e una grafica non eccellente potrebbero rappresentare un ostacolo per i giocatori meno skillati o più esigenti. In ogni caso, visto il costo inferiore rispetto ai videogame appena usciti siamo certi che in molti lo vorranno acquistare per passare qualche ora in compagnia dell’universo di Dragon Ball.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 7

Gameplay: 7,5

Longevità: 7

VOTO FINALE: 7

Francesco Pellegrino Lise




Netflix, da novembre si aggiunge il piano “low-cost” ma con la pubblicità

Netlix apre alla pubblicità e lo fa a partire dal mese di novembre grazie a un nuovo piano a costo inferiore. Il primo annuncio era stato fatto ad aprile ed ora arriva, dal Chief Operating Officer di Netflix Greg Peters, in conferenza stampa via streaming, il via: la piattaforma lancia a novembre “Base con pubblicità”, ossia un nuovo piano di sottoscrizione più economico (5,49 euro al mese in Italia, dove sarà disponibile dal 3 novembre alle 17) che includerà per la prima volta interruzioni pubblicitarie. Il piano viene lanciato, oltre che in Italia, in Australia, Brasile, Canada, Corea, Francia, Germania, Giappone, Italia, Messico, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti, e non comporta nessun cambiamento alle altre forme di abbonamento: Base con pubblicità si aggiunge ai piani Base, Standard e Premium, privi di pubblicità. Nel nuovo piano, sottolinea Peters, restano confermati la varietà di programmi televisivi e film; l’esperienza di visione personalizzata; la disponibilità su una vasta gamma di televisori e dispositivi mobili; la possibilità di cambiare o disdire il piano in qualsiasi momento. Mentre tra le differenze c’è la qualità video portata fino a 720p/HD (ora c’è sia per il piano Base con pubblicità sia per il piano Base); si aggiunge una media di 4-5 minuti di interruzioni pubblicitarie all’ora che avranno, per adesso, una durata di 15 o 30 secondi e saranno inserite prima e durante le serie e i film, evitando che si ripetano gli spot. Tuttavia, con il nuovo piano un numero limitato di film e programmi televisivi non sarà disponibile a causa di restrizioni legate alle licenze. “Continuiamo a lavorare per diminuire il numero di questi titoli – sottolinea Peters -. Comunque si parla di una percentuale minima in ogni Paese, che varia dal 5 al 10%”. Inoltre con il nuovo piano non ci sarà la possibilità di scaricare i titoli. “Siamo certi di avere, con Base con pubblicità, l’opportunità di attrarre ancora più abbonati – aggiunge -. Ci aspettiamo che una percentuale che aveva scelto agli altri piani cambi e preferisca questo, ma pensiamo che attrarrà soprattutto nuovi sottoscrittori e porterà alcuni ex utenti a iscriversi nuovamente alla piattaforma”. Base con pubblicità “rappresenta anche un’incredibile opportunità per gli inserzionisti – spiega Jeremy Gorman, president of Worldwide advertising di Netflix – che avrà la possibilità di raggiungere un pubblico eterogeneo, compresi gli spettatori più giovani che sempre più spesso non guardano la tv lineare, in un ambiente ottimale con un’esperienza di erogazione della pubblicità impeccabile e ad alta risoluzione”. Inoltre per aiutare gli inserzionisti a raggiungere il pubblico giusto e garantire che le pubblicità siano più pertinenti per i consumatori “offriremo ampie possibilità di targeting per paese e genere dei contenuti (azione, dramma, romantico, fantascienza…)”, pur riducendo al minimo, all’inizio, l’accesso ai dati di profilazione, “gli abbonati potranno via via scegliere”. Gli inserzionisti potranno anche evitare che le loro pubblicità appaiano su contenuti che potrebbero essere incoerenti con il loro brand (per esempio sesso, nudità o immagini violente). Per questo la piattaforma ha stretto una partnership con DoubleVerify e Integral Ad Science per verificare la visibilità e la validità del traffico delle pubblicità a partire dal 1° trimestre del 2023. Per ora il nuovo piano “sta riscuotendo un enorme interesse da parte degli inserzionisti, tanto che abbiamo occupato già quasi tutti gli slot disponibili” sottolinea Jeremy Gorman. Riguardo il contenuto degli spot Netflix, la president of Worldwide advertising assicura che si punta sulla qualità, inoltre “non prendiamo pubblicità politiche, che siano discriminatorie su un qualsiasi livello, contro i diritti della persona, che promuovano armi o fumo”. E voi cosa farete? Manterrete il vostro piano? Passerete a quello con pubblicità? Oppure fate parte di quella schiera di persone che non avevano Netflix e lo proverete? Le possibilità ora sono diverse e l’offerta diventa davvero alla portata di tutti. Riuscirà la piattaforma con questa mossa ad accaparrarsi o a recuperare utenti? Lo scopriremo molto presto.

F.P.L.




The Last Oricru, un “souls-like” a metà

The Last Oricru, sviluppato da GoldenKnights e pubblicato da Prime Matter perPC, PlayStation 5, Xbox Series X/S, è un gioco incentrato sulla narrazione e sulle scelte del giocatore che vorrebbe rievocare i fasti targati Bioware con Mass Effect, aggiungendo lo stile di combattimento tipico dei souls-like. Il risultato? Purtroppo non dei migliori, ma comunque nel complesso il titolo offre alcuni spunti interessanti. Andiamo a scoprire pro e contro di questa produzione. The Last Oricru invita i giocatori nel mondo fantascientifico medievale di Wardenia, dove chi gioca veste il ruolo di Silver, un umano inevitabilmente bloccato su un pianeta alieno con usanze molto lontane da quelle terrestri. The Last Oricru è una storia di guerra e inganno, in cui Wardenia è la landa coinvolta in una caotica guerra civile tra fazioni, tra cui si trovano Ratkin (uomini ratto) e Naboru. Il povero Silver indossa una cintura che lo riporta in vita all’istante anche dopo la morte, una benedizione ed una condanna allo stesso tempo in quanto il suo essere “immortale” viene usato a favore delle più disparate cause. Fortunatamente l’IA della nave che ha trasportato gli umani su Wardenia, Aida, è in costante contatto con il protagonista ed altri sopravvissuti durante la permanenza. Aida dà a Silver l’incarico di recuperare un dispositivo noto come la Culla per sfuggire a Wardenia per sempre. Il titolo è un gioco che si basa sulle decisioni prima che essere un souls-like con una forte componente GDR. Una parte integrante di The Last Oricru è la narrativa ramificata, quella proposta da titoli come Dragon Age e Mass Effect dove solitamente ogni decisione del giocatore viene percepita come buona o cattiva e molto raramente esistono sfumature di grigio nel mezzo. Fortunatamente l’emblematica situazione di Silver su Wardenia contribuisce a lanciare fuori dalla finestra ogni “chiara” scelta, producendo solo conseguenze che hanno un forte impatto sulla storia e sulla sua posizione con le fazioni, ma che non sono mai chiaramente identificabili come benevole o malvage. Silver può decidere di schierarsi con gli uomini ratto e portare avanti la loro rivoluzione, oppure di combattere al fianco dei Naboru per proteggere le loro tradizioni e visioni del mondo conservatrici, o ancora di fare il doppiogiochista traendo profitto dalla situazione: si può fare del proprio meglio per mantenere i rapporti cordiali con gli schieramenti e alla fine anche la scelta minore contribuisce a ribaltare completamente la situazione. Inoltre poiché il gioco elimina completamente i salvataggi manuali, non si può semplicemente ricaricare per vedere un ramo narrativo diverso. Questo può infastidire chi non è pratico di giochi di stampo narrativo, ma contribuisce all’immersione nel gioco. Alla fine si impara a convivere con le conseguenze delle proprie azioni e con la barra che determina in quali rapporti si è con gli altri abitanti del pianeta.

Come già accennato, The Last Oricru utilizza un sistema di combattimento di stampo souls-like. I tipici attacchi leggeri e pesanti sono presenti assieme al sistema di “parry”, il tutto determinato da una tipica barra della resistenza abbastanza generosa. Inoltre, ci sono abilità e magia che i giocatori possono usare col giusto equipaggiamento. Incluso nella storia, poi, c’è l’ormai ben noto meccanismo della morte e del ritorno dalla morte, un dono dell’immortalità concesso da una particolare cintura che tutti gli umani su Wardenia indossano. Il mondo di gioco è composto da zone interconnesse, con un aspetto ed un tema unici nel suo genere. Le aree lontane di solito sono visibili all’orizzonte, in modo del tutto simile a Dark Souls. Tuttavia manca una vera e propria mappa ed è facile perdersi prima di arrivare al Terminale di ogni zona, importantissimo snodo per il giocatore composto da una grande stanza molto più vivace del classico e modesto accampamento vicino al fuoco. I terminali funzionano in modo simile ai falò, permettendo di recuperare salute, mana e stampare oro, sostanzialmente trasformando l’essenza raccolta in giro come in moneta sonante da usare per l’equipaggiamento. Il terminale riporta in vita tutti i nemici della zona ed è il punto focale da cui ripartire una volta morti o da cui avviare la cooperativa locale od online. A differenza dei falò di Dark Souls, i terminali però non salvano i progressi ma forniscono registri audio del capitano della nave umana, andando ad alimentare la “lore” del gioco in maniera diretta. The Last Oricru utilizza l’essenza come valuta dell’esperienza, in maniera simile alle anime o alle rune. Naturalmente, una volta morti, è possibile recuperare l’essenza perduta tornando nell’esatto punto del proprio decesso. L’essenza è necessaria per potenziare le diverse statistiche del personaggio; tuttavia la resistenza non può essere potenziata salendo di livello, ma solo attraverso bonus forniti dal giusto equipaggiamento. Il sistema di combattimento è costruito attorno alle tre statistiche principali: Forza, Intelligenza e Destrezza. Ogni arma ha requisiti diversi che possono essere rapidamente cambiati tramite un particolare oggetto chiamato anello. Gli anelli non danno aggiornamenti permanenti, ma cambiano temporaneamente i bonus alle caratteristiche, trasferendo punti da una parte all’altra a seconda della volontà del giocatore – a prescindere dal livello e dai requisiti. Anche se è presente una barra di mana, non ci sono pozioni in questo gioco. Per ripristinarlo è necessario interagire con il terminale, o utilizzare un “mana drainer”, ossia un piccolo pugnale che nei combattimenti ravvicinati è in grado di risucchiare il mana dai nemici. Silver può aggiungere al proprio equipaggiamento un gran numero di armi, le quali spaziano dalle classiche lame leggere agli spadoni pesanti, senza dimenticare gli scudi, gli scettri e le sfere magiche che, quando attivate, infondono il potere di un determinato elemento allo strumento brandito.

Detto ciò, parlando di modalità cooperativa, in The Last Oricru rappresenta una parte importante del gioco e ci sono, ad esempio, alcuni “incantesimi” costruiti esclusivamente per quella funzione. La modalità coop è progettata in modo tale che il giocatore principale sia colui fa avanzare la storia. Il secondo giocatore è un ologramma che non interviene durante i filmati e non può parlare con gli NPC, ma può combattere, depredare ed esplorare il mondo. Ogni volta che il secondo giocatore si unisce alla sessione riceverà la stessa quantità di punti esperienza che ha il giocatore principale, potendo ridistribuirli a suo piacimento. Questa funzione rende molto facile accedere al gioco rendendolo alla portata di chiunque, specie di chi non giocherebbe da solo. La cooperativa locale è accessibile in ogni momento ed è in split-screen, mentre la cooperativa online per motivi di sincronizzazione può essere avviata solo da terminali ma permette ad ogni partecipante di avere un proprio schermo. Ci sono armi in The Last Oricru che permettono di eseguire un devastante attacco attuabile solo in cooperativa, chiamato “catena“, in cui i due giocatori sono effettivamente collegati da una catena che danneggia tutti quelli che rimangono intrappolati nel mezzo. Per usarlo però bisogna sempre tenere in visuale il secondo giocatore e muoversi assieme a lui, pena lo spezzarsi della catena. In alternativa si possono amplificare alcuni incantesimi lanciandoli sullo scudo dell’altro giocatore, che li rifletterà ai nemici potenziati. Peccato che l’impegno profuso per realizzare l’impianto di gioco risulti ampiamente sprecato. Sì, perché da giocare The Last Oricru è davvero poco divertente. Il comparto tecnico purtroppo risulta essere decisamente tremendo. I modelli dei personaggi non sono particolarmente elaborati e risultano a tratti troppo poligonali. Le texture, poi, sono approssimative specialmente guardando capelli e peli che sembrano incollati sul viso dei personaggi. Le animazioni sono appena sufficienti e neanche a livello di combattimenti si spendono in acrobazia, risultando sempre ingombranti e legnose. I movimenti di Silver appaiono ingessati, imprecisi ed avvengono sempre con un blando ritardo; i gravosi cali di frame rate anche nelle situazioni più tranquille non aiutano il contesto generale, dove la difficoltà non è sempre omogenea ed i nemici sono mal distribuiti. Ma c’è di peggio: le animazioni risultano essere lentissime e rendono estremamente facile evitare i fendenti dei nemici, nonostante il sistema di controllo ogni tanto si perda qualche colpo e risulti quanto mai legnoso. Tra salvataggi istantanei che bloccano letteralmente il gioco per una preziosa manciata di attimi e la schivata che ogni tanto semplicemente non si attiva, molti game over non dipendono dal giocatore, ma sono provocati dal gioco stesso. Inoltre, il titolo tende a essere inutilmente dispersivo. Complici ambientazioni che si ripetono e l’assenza di una qualsiasi mappa o bussola, può capitare di girovagare per lo scenario di turno per decine di minuti, semplicemente perché non vengono fornite sufficienti e precise indicazioni sulla successiva tappa da raggiungere. Fortunatamente, il sistema legato alle scelte funziona davvero. Sebbene in certi casi si raggiungano situazioni paradossali, con cambi di schieramento fin troppo repentini e drastici, la trama prende davvero direzioni sensibilmente differenti in base alle decisioni prese e alla riuscita, o al fallimento, di specifiche missioni. Tirando le somme, The Last Oricru fornisce un’esperienza soulslike e cooperativa decente. La trama ramificata fornisce poi molte libertà al giocatore mantenendo uno spirito sarcastico e giocoso. Peccato che il tutto sia inficiato da un comparto tecnico davvero obsoleto che potrebbe portare i meno avvezzi al genere a gettare la spugna. Se si è disposti a rinunciare a quanto appena detto e si ha voglia di scoprire i misteri delle terre di Wardenia, allora questo è il titolo che fa per voi. Ma se vi aspettate una trama sensazionale, una giocabilità fluida e un comparto grafico di tutto rispetto, allora è meglio navigare verso altri lidi.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 5

Sonoro: 6

Gameplay: 7

Longevità: 6

VOTO FINALE: 6

Francesco Pellegrino Lise




Facebook, meno articoli e più short video a partire dal 2023

Facebook preferisce i video alle notizie. Meta infatti interromperà il supporto per il formato Instant Articles nell’app di Facebook il prossimo anno. Secondo alcune fonti raggiunte dal sito Axios, la volontà dell’azienda è di puntare meno sulla pubblicazione e lettura di notizie via social e più su contenuti video, soprattutto brevi. Instant Articles, lanciato nel 2015, permette di accedere rapidamente a siti web validati che postano link a notizie sulla piattaforma, senza che dallo smartphone o tablet venga aperto un browser. Questo, secondo il progetto dell’epoca, avrebbe aumentato il tempo di permanenza degli utenti su Facebook. Eppure, stando ad Axios, il formato non ha mai sfondato, tanto da portare Meta a rivalutare tutte le risorse al lavoro su progetti editoriali. La società ha spostato verso altre divisioni parte del personale addetto alla sezione News di Facebook e alla newsletter Bulletin all’inizio di quest’anno, prima di annunciare la chiusura di Bulletin proprio nel 2023.”Attualmente, meno del 3% di ciò che le persone in tutto il mondo vedono nel feed di Facebook riguarda post con collegamenti ad articoli di notizie” ha confermato il portavoce di Meta, Erin Miller, in una nota. “E come abbiamo detto all’inizio di quest’anno, come azienda non ha senso investire eccessivamente in aree che non si allineano con le preferenze degli iscritti”. Meta sta cercando di rendere la funzione Feed di Facebook più simile a quella di TikTok, con la bacheca principale incentrata sui consigli di contenuti che potrebbero piacere agli utenti, derivanti dal lavoro degli algoritmi. Il colosso guidato da Mark Zuckerberg, che nei giorni scorsi ha svelato il primo visore per il metaverso, non è l’unica azienda ad aver apportato cambiamenti ad un progetto editoriale. Dallo scorso anno, Google non richiede più agli editori di creare contenuti supportati dal formato Amp, concorrente di Instant Articles e ottimizzato per la navigazione web mobile. Prerequisito affinché gli articoli fossero inseriti nelle notizie principali di Google News.

F.P.L.




The DioField Chronicle, strategia e battaglie in tempo reale

The DioField Chronicle, il nuovo videogame strategico in tempo reale per Pc, Xbox, Switch e PlayStation di Square Enix, basa la propria costruzione narrativa su un universo che attinge pienamente dall’esperienza fantasy, andando a offrire alcuni spunti di riflessione fondamentali per comprendere al meglio come le guerre e le battaglie finiscano per distruggere non solo vite umane, ma anche la natura circostante. L’isola di DioField è una sorta di atollo riuscito a tenersi lontano dallo scontro che ha visto l’Impero Schoevia e l’Alleanza di Rowetale scontrarsi duramente, fino a quando il primo, per poter avere la meglio nel conflitto col secondo, non si rende conto di essere a corto di giada e proprio per tale ragione parte all’assalto dei giacimenti presenti sull’isola di DioField. Andrias Rhondarson e Fredret Lester vengono, così, incaricati dal principe dell’isola, come ultimo desiderio prima di morire, di formare un gruppo di resistenza per provare a salvare tutto ciò che si può dell’isola. Cresciuti e diventati dei soldati, dopo allenamenti su allenamenti, i due entrano nel gruppo dei Blue Fox, scoprendo tutto ciò che sta accadendo sull’isola di DioField e di come il traffico di giada sia diventato un vero e proprio pretesto per l’ascesa del dispotico duca Hende. In questo quadro geopolitico non certo originale ma ugualmente interessante si muove un cast di personaggi abbastanza vasto, il cui nucleo è formato da tre amici d’infanzia, ritrovatisi dopo tanti anni dalla stessa parte della barricata a sbarcare il lunario come mercenari. Lo sviluppo e l’evoluzione dei singoli personaggi però non è sempre allo stesso livello: se alcuni si sono dimostrati ben scritti e capaci di stupire in un paio di frangenti sul finire della corposa campagna principale, altri si sono rivelati piuttosto piatti e non hanno mostrato segni di evoluzione dal loro ingresso nel party sino allo scorrere dei titoli di coda. Detto ciò, possiamo dire che in generale il sostrato narrativo e il world building di The Diofield Chronicle riescono a soddisfare, tra qualche cliché fantasy di troppo e qualche svolta inattesa, inoltre il finale riesce a gettare le basi per un possibile sequel.

A livello di gameplay, le innovazioni di DioField stanno tutte nelle battaglie vere e proprie, poiché, gli sviluppatori si sono allontanati dalla classica formula a griglie e turni che caratterizzano il genere. The DioField Chronicle, infatti, mette in campo un sistema ibrido con chiare influenze provenienti dagli RTS occidentali, ed è a tutti gli effetti una variante di uno strategico in tempo reale con pausa tattica. Attenzione però, questo tipo di meccaniche potrebbe far pensare immediatamente a serie come Total War, mentre DioField è in realtà molto lontano da quel tipo di filosofia, e non permette di utilizzare intere armate da dividere e posizionare accuratamente: durante gli scontri si hanno a disposizione solo quattro unità al massimo, ognuna accompagnata da un altro combattente a supporto (per un massimo di otto personaggi in totale) e dotata di una classe con abilità e ruoli molto specifici. Il numero limitato di unità non significa che il posizionamento delle stesse sia trascurabile, dato che i nemici di DioField sono piuttosto differenti fra loro, dispongono spesso di abilità ad area e la loro presenza nelle mappe è accuratamente pensata in modo da rendere sempre l’avvicinamento pericoloso. Gestire un “esercito” così limitato porta dunque le tattiche del giocatore a concentrarsi su altri due fattori primari: l’uso delle abilità e il mantenimento delle risorse. Ora della fine, in parole povere, The DioField Chronicle è un titolo dove per dominare davvero risulta necessario massimizzare le sinergie tra i ruoli disponibili, usare sempre le tecniche migliori per ripulire rapidamente il campo limitando i rischi, ed evitare di sprecare prezioso mana tra i combattimenti. Gli sviluppatori, peraltro, hanno scelto di regolare ogni scontro su una scala piuttosto limitata, per evitare missioni eccessivamente lunghe e tediose; vi sono persino termini di tempo da rispettare per ottenere premi aggiuntivi, a dimostrare ulteriormente come qui l’ottimizzazione di tempi e mosse abbiano un ruolo del tutto centrale. The DioField Chronicle ripropone un sistema a classi, ma non è il caso di aspettarsi in questo gioco qualcosa di comparabile a Final Fantasy Tactics o Disgaea. Durante l’avventura, infatti, non c’è modo di cambiare specializzazione di ogni personaggio, ma si è relegati a quanto offerto dalla storia principale, dato che ogni personalità presente nell’esercito di mercenari ha una classe già decisa e immutabile. Certo, questo non significa che la varietà manchi, tuttavia il numero di guerrieri a disposizione è piuttosto limitato, così come discretamente basilari sono le opzioni per potenziare ognuno di loro. Al di fuori di potenziamenti globali delle abilità, infatti, sono presenti dei rami di sviluppo limitati per ogni singola scelta e a decidere davvero la potenza in battaglia sarà principalmente l’equipaggiamento. Non si tratta di una struttura mal fatta, per carità, ma le sue limitazioni sono chiaramente messe in campo per dare una precisa gradualità alla progressione del giocatore, che con un po’ di esperienza può comprendere pressoché subito quali siano le strade migliori per sviluppare il suo team, e concentrarsi sul livellare esclusivamente i personaggi più influenti.

A livello grafico The DioField Chronicle è tanto bello durante le fasi di combattimento quanto bruttino durante i filmati che portano avanti la trama principale, così come durante l’esplorazione della base della compagnia di mercenari. Si passa quindi con grande disinvoltura da scorci che sembrano disegnati a mano che si sposa benissimo con le ambientazioni evocate, a personaggi che muovono appena le labbra mentre il doppiaggio scorre, da evocazioni splendide che squarciano lo schermo ed il campo di battaglia a movimenti talmente legnosi da richiamare titoli di due generazioni fa. Peccato davvero. I 60 fps, il discreto doppiaggio dall’accento molto british e i caricamenti fulminei giocano a favore della produzione, anche se da un lato aumentano i rimpianti per quello che avrebbe potuto essere se solo fossero stati investiti maggiori fondi nel progetto. La colonna sonora del gioco è piacevole, pur risultando ripetitiva dopo qualche ora per via dello scarso numero di brani, ma comunque riesce perfettamente a essere credibile e a tratti anche coinvolgente. Tirando le somme, The DioField Chronicles è un titolo che riesce a conquistare grazie al suo ottimo gameplay. L’ibridazione tra uno strategico a turni ed un RTS risulta ben riuscita, l’estetica dei diorami all’interno dei quali si combatte non stanca per tutta la durata della campagna e il combat system si rivela soddisfacente anche per un veterano del genere. Grazie ad un livello di difficoltà mai troppo proibitivo e ad una curva di apprendimento alla portata di tutti, peraltro, l’ultima fatica Square Enix si presta ad essere goduta anche da quanti sono stati sempre un po’ intimiditi da un genere considerato di nicchia e di non facile approccio. Quindi, se si vuole provare qualcosa di nuovo, che offra un sistema di gioco valido e che riesca a divertire senza troppe pretese, questo è il titolo ideale.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 8

Gameplay: 8

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise




Samsung e Intel svelano un prototipo di portatile arrotolabile

Nel corso del lancio dei processori Intel Core di tredicesima generazione, anche noti come Raptor Lake, Samsung e Intel hanno svelato un portatile con display arrotolabile, capace di passare da 13 a 17 pollici. Secondo l’azienda coreana, si tratta di una dimostrazione di ciò che è possibile fare con la tecnologia di visualizzazione oled costruita su un substrato di plastica flessibile. Facendo scivolare il pannello dal bordo del prototipo, si passa dalle dimensioni di un tablet come l’iPad Pro ad un piccolo monitor. “Stiamo annunciando il primo display scorrevole da 17 pollici al mondo per pc”, ha detto JS Choi, l’amministratore delegato della divisione Samsung Display al pubblico della conferenza Intel Innovation 2022. “Questo dispositivo soddisferà diverse esigenze grazie alla sua portabilità”.

Nonostante si tratti di un prodotto non per la vendita, l’ad ha dunque parlato di bisogni reali degli utenti, lasciando intendere che presto il prototipo potrebbe diventare realtà. Samsung Display lavora da alcuni anni su schermi oled scorrevoli. L’azienda ha mostrato una versione di laboratorio l’anno scorso. Pat Gelsinger, il Ceo di Intel, ha definito il portatile uno “slidable pc” senza fornire però dettagli tecnici sulla dotazione di bordo. Il notebook, con tecnologia touch, non prevede la presenza di una tastiera, sebbene non sia escluso che possa includerne una a scomparsa nel dorso, qualora venga commercializzato. Di recente, Lenovo ha presentato il suo ThinkPad X1 Fold dotato di un pannello pieghevole mentre la taiwanese Asus, nel corso della fiera di tecnologia tedesca Ifa 2022, ha annunciato lo ZenBook 17 Fold Oled.

F.P.L.




Soulstice, il videogame italiano che sfida i colossi del genere action

Soulstice rappresenta uno di quei videogame che fa davvero piacere recensire. Il suo arrivo su Pc, Xbox e PlayStation è infatti stato una graditissima sorpresa, in primis perché sviluppato dall’italianissimo team di sviluppo Reply Game Studio, e in secondo luogo perché riesce ad avvicinarsi a colossi del genere action come Devil May Cry o Bayonetta. Certo, di lavoro per eguagliare i prima citati colossi ce ne è ancora da fare, ma la direzione è quella giusta e Soulstice rappresenta un ottimo esempio di come un titolo “doppia A” possa sorprendere in positivo e divertire. A livello di trama Soulstice narra le vicende di Keidas, un Regno Sacro nel quale il mondo reale e quello spirituale sono separati da un sottile Velo. Squarciandolo si rischia di portare distruzione nel creato e, per evitare che ciò accada, ci si affida alle Chimere, ovvero due persone che, tramite un rituale, si fondono in una sola. Il corpo della prima accetta l’anima della seconda, ottenendo così capacità superiori. Le protagoniste sono proprio una Chimera, composta dalle anime di due sorelle: Briar e Lute. La prima è il personaggio da controllato dal giocatore, mentre le seconda agisce come una sorta di spirito guardiano, sia nei combattimenti che narrativamente, in quanto risulta la voce della ragione della sorella maggiore, più avventata e impulsiva. La coppia viene inviata nella città di Ilden, dove si è aperto misteriosamente una Squarcio, il quale ha causato la trasformazione di tutti gli umani e degli animali in creature deformi e folli, che ovviamente vogliono fare a pezzi chi gioca. La trama ruota attorno alla figura parzialmente mostruosa delle Chimere, al passato delle due sorelle protagoniste e ai segreti dell’ordine sacro di cui fanno parte. In un mondo dark fantasy, ovviamente, nulla è realmente senza macchia e dall’alto le macchinazioni coinvolgono gli ingranaggi più piccoli come Briar e Lute, le quali riusciranno a superare le aspettative e a prevalere, ovviamente ma non senza sudare quattro camice.

A livello di giocabilità Soulstice è un’esperienza che sa appagare chi proviene dalla vecchia scuola degli hack ‘n’ slash a scorrimento, inclusi i numerosissimi stylish game usciti nell’era a 128-bit di cui ancora si può percepire l’eco. Come accennato poche righe più in alto, Briar è la sorella principale (o meglio, quella che è chiamata a eliminare i nemici), nonché protagonista liberamente controllabile dal giocatore, grazie anche e soprattutto ai vari attacchi a disposizione. Grazie a lei si possono sferrare colpi veloci e letali, alternati ad altri più lenti ma sicuramente più potenti rispetto a quelli base (si va infatti dal poter utilizzare un martello, un guanto e persino un arco, ciascuno con potenza e caratteristiche differenti). Un singolo tasto è adibito all’uso della lama, mentre a un altro quello dell’arma secondaria equipaggiata. Ed è qui che entrano in gioco i primi problemi: Soulstice è sì un action game di buona fattura, ma spesso e volentieri il button smashing la fa da padrone. La sensazione è che premere furiosamente i tasti sia spesso il modo migliore per uscire indenni anche dalle situazioni più caotiche e problematiche, mettendo quindi in secondo piano tutta la questione tattica che da sempre grazia i massimi esponenti del genere. Nota a parte per le boss fight, le quali riescono a stuzzicare la mente del giocatore che è costantemente a caccia dei pattern giusti per porre fine all’esistenza dei nemici nel modo più sicuro e stiloso possibile. A variare un sistema di combattimento piuttosto canonico e confusionario c’è però la presenza di Lute, che a differenza di Briar non è controllabile (o perlomeno, non completamente), sebbene il suo ruolo sia in ogni caso davvero molto importante. Lo spettro è infatti in grado di attaccare in totale autonomia, pur non infliggendo danni paragonabili a quelli della sorella maggiore. Vero anche che Lute è in grado di contribuire al buon esito di un combattimento, magari immobilizzando il nemico di turno per qualche istante, il che è fondamentale per far sì che Briar infligga successivamente il colpo di grazia. Ma non solo: lo spettro è anche in grado di generare un’aura per rendere tangibili alcune creature, così come di creare piattaforme dal nulla utili a proseguire. Purtroppo, però, l’apporto di Lute non è quasi mai risolutivo, specie dalla distanza, visto che spesso e volentieri sarà molto più utile menare le mani a piacimento, piuttosto che spendere secondi preziosi a utilizzare un’abilità dell’alleata fantasma. A ciò va aggiunto un sistema di schivata non propriamente al top, il quale sembra favorire taluni attacchi a scapito di altri, rendendo il meccanismo un po’ troppo spigoloso. Ovviamente quanto detto fino ad adesso è in paragone con i migliori esponenti del genere, quindi nel complesso Soulstice si rivela un titolo assolutamente riuscito e godibile.

A sostenere un gameplay divertente ma comunque a tratti ripetitivo interviene un’esplorazione delle ambientazioni che spesso invoglia il giocatore di deviare dal percorso principale, offrendogli potenziamenti nascosti o materiale spendibile per sbloccare nuove abilità. Inoltre a rendere l’esperienza più completa ci pensano un immenso skill tree doppio (Uno per sorella) e la meccanica dei Campi. Lute infatti può creare delle cupole colorate – blu e rosse – che rendono vulnerabili certi nemici del rispettivo colore, altrimenti impossibili da sconfiggere. Il Campo non può essere attivato all’infinito, pena la perdita della Coesione e la temporanea scomparsa di Lute, quindi bisogna sempre avere chiaro contro chi si sta combattendo, attivando e annullando il Campo rapidamente. I campi possono essere utilizzati anche per rendere calpestabili alcune superfici nascoste o per frantumare sorgenti da cui attingere gemme per lo sviluppo dei personaggi. A proposito della Coesione, quest’ultima è una sorta di indicatore che, se massimizzato, permette di attivare un breve stato di berserk, detto Furore, che rende potentissimi e veloci e permette di attivare una mossa finale distruttiva. Se si cambia continuamente arma, non si subisce danni e si attacca senza interruzioni, si può attivare anche più volte in un combattimento. Ovviamente per fare ciò serve molta pratica e una padronanza del “moveset” molto elevata. Il sistema di combattimento di Soulstice premia l’equilibrio, la velocità e la precisione. È quindi un peccato che, mediamente, la telecamera fatichi a seguire l’azione, soprattutto negli spazi più angusti dove si incastra facilmente negli angoli delle stanze. Sommando anche la quantità di elementi da tenere in considerazione, ogni tanto può capitare di avere difficoltà un po’ a stare dietro a quanto accade a schermo. Gli sviluppatori propongono un sistema di puntamento “lock-on” che molti riconosceranno per i souls-like, ma non è una soluzione sempre efficace con un gioco così veloce e alle volte si perde più tempo a cercare di bloccare la telecamera sul nemico giusto che a sconfiggerlo. Per completare Soulstice a un livello di difficoltà intermedio sono necessarie circa una quindicina di ore, che aumentano per certo se si vuole rigiocare per trovare i potenziamenti e le sfide secondarie (battaglie in arene con condizioni speciali da rispettare) non completate nella prima run. Inoltre, ogni battaglia e capitolo riceve un punteggio, quindi si potrà giocare ancora e ancora a ogni difficoltà per ottenere quello massimo. La versione Xbox Series X da noi provata include tre diverse modalità grafiche, di cui due privilegiano rispettivamente il frame rate e la risoluzione; la terza, invece, è un compromesso indicato a coloro che preferiscono un’esperienza bilanciata. Durante i nostri test abbiamo giocato perlopiù in Modalità Performance e, fatta eccezione per le fasi più concitate, abbiamo registrato rari cali di frame rate. A livello audio se nel complesso la colonna sonora svolge il proprio compito senza lode e senza infamia, con tracce che difficilmente potranno rimanere impresse, abbiamo invece apprezzato il doppiaggio in inglese, ben recitato e contraddistinto da ottimi accostamenti vocali, nonché gli scorrevoli testi tradotti in italiano, che siamo convinti faranno la gioia di coloro che non masticano la lingua anglofona.Tirando le somme, Soulstice, nonostante non raggiunga le vette di eccellenza dei caposaldi del genere, rappresenta una sorpresa davvero ben gradita nel mondo degli action. La trama interessante e il ricco ventaglio di mosse garantito dal doppio protagonista, dalla vasta gamma di armi e dalla meccanica dei “campi” fanno si che l’avventura abbia un buon livello di sfida. A nostro avviso ignorarle Soulstice sarebbe un vero e proprio peccato, quindi consigliamo vivamente di dargli una chance.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8

Gameplay: 8,5

Gameplay: 7,5

VOTO FINALE: 8

Francesco pellegrino Lise




Roma, tutto pronto per la X° edizione di Maker Faire

Dal 7 al 9 ottobre negli spazi del Gazometro Ostiense

ROMA – Torna Maker Faire Rome, giunta alla sua decima edizione: dalla robotica alla realtà virtuale, dall’agritech all’Intelligenza Artificiale, fino alla mobilità e all’economia circolare, tanti i temi di questo evento, promosso e organizzato dalla Camera di Commercio di Roma.

L’edizione 2022 si terrà dal 7 al 9 ottobre negli spazi del Gazometro Ostiense, area che Eni (partner principale dell’evento) sta riqualificando per trasformarla in un “distretto dell’innovazione”.

“Maker Faire Rome è ormai un appuntamento consolidato non solo per la città di Roma, ma anche per il Paese e per tutta Europa”, afferma Lorenzo Tagliavanti, presidente della Camera di Commercio di Roma. “Siamo una manifestazione che si è evoluta e rafforzata nel tempo – aggiunge Tagliavanti – che facilita e racconta l’innovazione tecnologica connettendo le persone e le idee”. “Roma ha dimostrato di poter competere, ad alti livelli, sul terreno dell’innovazione”, commenta Luciano Mocci, presidente di Innova Camera, azienda speciale della Camera di Commercio, “una sfida irrinunciabile e decisiva per tutti: se ciò è avvenuto, è stato grazie alla capacità di Maker Faire Rome di costruire un ponte tra Roma, l’Italia e l’Europa”, prosegue Mocci.

“Si aprono dunque nuove prospettive per la nostra città, che occorre consolidare ulteriormente”. I contenuti quest’anno saranno moltissimi: dall’agritech al foodtech, dal digital manufacturing alla robotica, dall’intelligenza artificiale alla mobilità, dall’economia circolare alla salute, dall’IoT al recycling fino alla scoperta del metaverso e della realtà aumentata, oltre alle sezioni dedicate di Maker Art e Maker Music che esploreranno l’intersezione tra arti, musica, scienza e tecnologia. Per partecipare all’evento è necessario acquistare on line una tra le varie tipologie di biglietti per l’ingresso: per farlo, ci si può collegare direttamente al sito www.makerfairerome.eu. L’ingresso della fiera è in via del Commercio 9-11, dalle ore 10 alle ore 19.

F.P.L.




Deathloop arriva anche su Xbox Series X/S

Deathloop, produzione nata dal talento visionario di Arkane Studios, rappresenta per certi versi la punta di diamante dell’evoluzione creativa del team di sviluppo francese. Il titolo rappresenta uno spettacolare esercizio di game design che porta su schermo un enigma quadridimensionale tanto sfaccettato quanto avvincente, ed è proprio per questa ragione che il risultato finale è davvero sorprendente. Deathloop è uscito precisamente un anno fa in esclusiva temporale per PlayStation 5, ma come tutti oramai sanno, l’acquisizione del gruppo Zenimax da parte di Microsoft ha reso il titolo finalmente disponibile anche su Series X/S. Resta indubbio che l’arrivo del software sul Game Pass rappresenti un ottimo Boost per il titolo che ora può essere, finalmente, provato da tutti gli abbonati al servizio. Ma veniamo all’analisi del prodotto: una volta avviato il gioco i giocatori vestono il ruolo di Colt, un tizio qualunque che imbraccia armi di qualunque tipo, concentrato a sopravvivere e a non farsi male, anche se è inevitabile. Si risveglia in una spiaggia, da solo, con accanto una bottiglia di birra vuoto e con i postumi della sbronza della sera prima. Il mal di testa lo affligge: si rialza a fatica, imprecando e vomitando, incespicando con le parole mentre prova ad avanzare, barcollando da una parte all’altra. Colt cerca di arrivare a una porta, ad aprirla, e si ritrova davanti uno scenario che non capisce pienamente. Ci sono documenti sparsi ovunque, c’è una radio, un biglietto con un codice e una certa Julianna che lo minaccia e si prende gioco di lui. Il protagonista non riesce a capire che cosa stia vivendo, perché sarebbe impossibile crederlo e mentre cerca di scappare, viene assalito da una ragazza vestita con indumenti giovanili e i capelli ricci. È la stessa che lo aveva insultato pochi istanti prima, ma stavolta non ha paura a mostrarsi. Imbraccia un’arma che non esita a utilizzare, mentre cerca di fuggire in stato confusionale, e raggiunge un luogo sicuro dove cerca riparo. Salta nel vuoto, certo di morire, ma una mano molto familiare lo blocca prima che lui possa cadere nel vuoto. È l’immagine di sé stesso, che gli consiglia di fuggire via e non voltarsi, di correre e non fermarsi, e di rompere il loop. Cosa avviene dopo è un mistero, ma siamo certi di una cosa: Colt è morto. O forse no. Senza fare ulteriori spoiler, sappiate che il racconto di Deathloop si concentra su una trama avvolgente e coinvolgente. Inizialmente si ha la sensazione di essere davanti a un’opera difficile da capire, come è tipico di Arkane Lyon, ma ci si trova in realtà dinanzi una produzione in realtà parecchio esaustiva sin dai primi minuti di gioco. Il loop è qualcosa che va ben oltre il significato stesso del tempo e dello spazio, perché cosa abbiamo vissuto ritorna ma in una forma diversa, e cosa vediamo e scopriamo lo conosciamo già, come se fosse un dejavù che assume un significato ancora più sinistro e spaventoso. Vediamo davanti a noi avvenimenti che intercorrono e non si fermano, e non riusciamo in alcun modo a trattenerli. Ne veniamo però attratti, e inseguiamo queste visioni che un tempo avevano un significato estremo e profondo. In Deathloop tutto questo viene scritto e montato a regola d’arte, con una rappresentazione fedele del significato del termine “Loop”, e di come si evolve e presenta in una formula che va ben oltre il contesto rappresentato nel videogioco di Arkane Studios. Nel titolo si è all’interno di un loop che ripete le stesse azioni e fa rivivere ai giocatori quegli istanti, ma non precisamente gli stessi. Infatti c’è un ordine delle cose che Julianna non intende in alcun modo intaccare: le stesse regole del loop in cui ha edificato un regno del terrore; un suo particolare parco divertimenti fatto di menzogne e lavaggi a secco del cervello. Tutto questo fa capire che il mondo, in realtà, è molto più corruttibile di quanto si possa immaginare. Davanti a chi gioca si stagliano situazioni al limite e momenti capaci di farli saltare in piedi dalla sedia, e la crudeltà di Deathloop è rappresentata dalla vivacità di Julianna, una protagonista a tutto tondo che si può impersonare però durante le sessioni online, in cui ci si può metterci alla caccia di Colt, che resta però il protagonista effettivo dell’intera campagna. La trama di gioco, per quanto ben costruita, potrebbe in effetti essere per pochi palati. Essendo estremamente contorta, spesso sarà necessario cercare indizi, leggere molto e capire cosa sta accadendo, ma questo è nel pieno taglio stilistico di Arkane Studios, che per l’occasione ha confezionato un’opera ispirata e coinvolgente, capace di appassionare quanto di sorprendere. In Deathloop è necessario, a volte, pensare fuori dagli schemi, stringere il pad e partire, incuranti di cosa ci si potrà trovare davanti. Proprio per questa raffinata complessità Deathloop, a nostro avviso, è la produzione Arkane Studios migliore degli ultimi anni.

Parlando di nei, il difetto principale di Deathloop risiede purtroppo nella gestione dell’intelligenza artificiale degli avversari, troppo basilare e inspiegabilmente ancorata a schemi che iniziano davvero a risultare antiquati. Giocare un titolo “next-gen” dove la visuale degli avversari dipende ancora dai tradizionali “coni”, dove gli stati di allerta sono i classici 3 e vengono gestiti in modo schematico e dove basta muoversi di pochi metri o nascondersi dietro a una colonna per mettere in crisi le routine dell’I.A. è davvero poco avvincente. La diretta conseguenza di questo aspetto è che il tasso di sfida, una volta capito come ingannare gli avversari, non solo crolla drasticamente, ma vanifica in parte l’ottimo lavoro svolto dagli sviluppatori sul fronte del level design e della profondità del gameplay. La cosa peggiore è che, come dimostrano le sezioni multigiocatore dove Julianna non è controllata dalla I.A., sarebbe bastato davvero poco per rendere più reattivi i nemici e aumentare esponenzialmente il livello di divertimento. Inoltre, Nonostante Deathloop non sia un vero e proprio sparatutto, l’utilizzo delle armi da fuoco rappresenta una delle componenti principali dell’impianto ludico sviluppato da Arkane Lyon. E’ quindi praticamente impossibile non notare una certa imprecisione nella gestione della mira, con e senza aiuti attivi, che inficia inevitabilmente l’esperienza di gioco sul lungo periodo. Agendo sulle impostazioni si può migliorare un po’ la situazione e adattare il sistema di controllo ai propri gusti, ma anche così si ha sempre l’impressione di non riuscire a muovere con la giusta precisione il mirino. Un vero peccato. Facendo un breve confronto con l’edizione PS5 del titolo di Arkane, possiamo dire che in linea generale le due versioni non mostrano differenze sostanziose, almeno per ciò che riguarda la godibilità d’insieme del prodotto. Optando per quello che consideriamo il settaggio grasfico di riferimento, ovvero la modalità prestazioni (risoluzione dinamica a 60 fps), Deathloop propone un’esperienza assolutamente solida su entrambe le piattaforme, sostanzialmente sovrapponibili in termini di prestazioni. Lo stesso discorso vale anche per il settaggio con ray tracing (limitato ad ombre e occlusione ambientale), che però non offre benefici tali da giustificare appieno la riduzione del frame rate a 30 fps, a fronte di una risoluzione dinamica tendenzialmente vicina alla soglia dei 4K. Le ultime due opzioni incluse nel pacchetto, ovvero Qualità visiva (DRS con valori maggiori ma frame rate più ballerino) e Prestazioni ultra (1080p con una soglia massima di 120 fps), segnano invece livelli di fluidità generalmente superiori su Xbox Series X, ma lo scarto resta comunque relativamente ridotto. Parliamo di una manciata di fps per il preset Qualità e di una decina nelle situazioni più concitate in modalità Prestazioni Ultra, che comunque consigliamo di provare solo nel caso si sia dotati di un pannello con supporto al VRR, onde evitare di incappare in fastidiosi fenomeni di tearing. Dopo aver testato parallelamente le due versioni di Deathloop, ci teniamo però a ribadire che le discriminanti sul versante tecnico hanno un impatto davvero minimo sul bilancio qualitativo della produzione: in buona sostanza, tutto si riduce alle preferenze dell’utente, e c’è da dire che l’inclusione del titolo nel catalogo di Game Pass rappresenta un ottimo incentivo a visitare la misteriosa Blackreef. Anche il comparto sonoro si attesta sui medesimi standard di eccellenza riscontrati su PS5, mentre i tempi di caricamento risultano solo assolutamente identici. Tirando le somme, Deathloop nella sua versione per le console di gioco Microsoft è un prodotto assolutamente alla pari rispetto a quella per l’ammiraglia di Sony. La possibilità di poterlo provare attraverso il Gamepass Ultimate fa si che il titolo sia alla portata di tutti, quindi lasciarlo perdere sarebbe un vero e proprio peccato.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8
Sonoro: 8,5
Gameplay: 8
Longevità: 8

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




Kids l’ambiente sicuro di Amazon per i bambini arriva in Italia

Amazon conferma l’arrivo di Kids in Italia a poche ore dall’annuncio di un nuovo evento che il colosso tecnologico terrà online, per la presentazione di nuovi dispositivi. Kids rappresenta un ambiente sicuro per bambini fino ai 12 anni, dove questi possono divertirsi, imparare e giocare con gli speaker Alexa. Un servizio gratuito, al debutto nelle prossime settimane, sulla gamma di dispositivi Echo compatibili. Amazon Kids su Alexa offre ai bambini la possibilità di avere accesso a tanti contenuti con un’esperienza a misura di bambino, con giochi adatti alla loro età. La sicurezza è garantita dalla Parental Dashboard che permette ai genitori di selezionare quali servizi possono essere attivati dai figli, con la possibilità di creare un Profilo Bambino che consenta ad Alexa di riconoscere la voce del minore e proporgli solo risposte correlate alla sua età. I bambini, inoltre con Kids, possono effettuare e ricevere chiamate e videochiamate esclusivamente con contatti autorizzati dai genitori. Per quanto riguarda l’arrivo di nuovi dispositivi, Amazon conferma un evento online il 28 settembre. Tra una settimana, il gigante tecnologico potrebbe svelare la nuova versione di Astro, il robot casalingo pilotato dall’Intelligenza Artificiale di Alexa, intravisto un anno fa e mai arrivato nei negozi, con un sistema a inviti che ha tenuto, per il momento, riservata la vendita. Potrebbe anche essere il momento per la commercializzazione di Ring, il drone per la casa che Amazon aveva svelato insieme ad Astro. Un piccolo dispositivo di sorveglianza in grado di volare tra le mura domestiche per sorvegliarle in assenza degli inquilini. Insomma, da Kids alle ultime tecnologie, Amazon ha in serbo moltissime sorprese.

F.P.L.