Pokémon Violetto e Scarlatto, la rivoluzione open world ha inizio

Pokémon Scarlatto e Pokémon Violetto sono i primi capitoli della serie principale, disponibili esclusivamente sulla Switch di Nintendo, a sposare al 100% la deriva open world che ormai da diversi anni ha coinvolto molti dei brand e delle serie più famose. Abbandonata così la linearità che ha caratterizzato le ultime generazioni, in Pokémon Scarlatto e Violetto si respira effettivamente un’aria di rinnovamento, un’aria che riporta l’esplorazione al centro delle tematiche principali del gioco. Ma andiamo a scoprire come: i primi momenti del gioco (sia nella versione Scarlatto che Violetto) sono molto simili a quelle dei titoli precedenti, anche se in questo caso si ha accesso sin dalle prime battute a un editor del personaggio molto più completo rispetto a quanto visto in passato, che permette di agire su tanti elementi del volto e dei capelli come non era mai successo prima. Completata la personalizzazione del proprio alter ego virtuale, il gioco catapulta i giocatori subito nel bel mezzo del loro primo giorno di scuola a Paldea presso l’Accademia Uva (o Arancia, in base alla versione acquistata) e li introduce rapidamente alle tre attività extracurricolari: Il Cammino dei Campioni, Il Sentiero Leggendario e Il Viale della Polvere di Stelle. Ognuna di queste non è altro che una delle tre quest principali da seguire, per la prima volta, nell’ordine che più si preferisce. Il primo percorso è quello classico della serie, ovvero quello che pone davanti alla sfida delle Palestre per ottenere le 8 medaglie, competere nella Lega Pokémon e provare ad accedere al rango Campione. Il secondo è invece quello un po’ più atipico, in quanto si concentra sulle vicende di Pepe, un compagno dell’Accademia che è a caccia di misteriosi ingredienti culinari. Peccato che per raggiungerli bisognerà fare i conti con i Pokémon Dominanti delle rispettive zone. Il terzo percorso, invece, porterà i giocatori a confrontarsi direttamente con il Team Star, un gruppo di studenti problematici che stanno causando grane all’Accademia. Spetterà proprio a chi gioca affrontare i boss di ogni divisione del Team per riportare l’ordine. Come accennavamo, ognuno di questi percorsi può essere intrapreso nell’ordine che più si preferisce, al punto che non si è neanche vincolati al portarne a termine uno prima di passare al successivo. In realtà, una volta resi liberi di esplorare l’open world, tutti gli obiettivi sono presenti contemporaneamente sulla mappa di gioco, permettendo così di avere sempre sotto controllo lo stato dei progressi e le cose che restano da fare. Peccato che sia del tutto assente una sorta di diario per tenere traccia delle attività svolte, così come non esiste la possibilità di segnare appunti o luoghi d’interesse sulla mappa. Questo è un netto passo indietro anche rispetto a quanto offerto con Leggende Pokémon: Arceus, dove entrambe le cose erano state implementate in maniera corretta e funzionavano perfettamente.

Ovviamente la natura open world di Pokémon Scarlatto e Violetto nasconde in realtà alcuni limiti, dal momento che entrambi i titoli non adattano la difficoltà in base al livello del proprio team. Ciò significa che, sebbene non ci sia un ordine da seguire forzatamente per nessuno degli eventi, la scelta di quale palestra sfidare, quale base del Team Star assaltare e quale Dominante sfidare è circoscritta a quelli che ricadono all’interno delle possibilità del proprio team. Data la quasi totale assenza di barriere all’esplorazione, infatti, sarà molto semplice ritrovarsi in una zona del tutto al di fuori della propria portata, magari perché i Pokémon di quell’area sono di 10 o 20 livelli superiori a quelli utilizzati in quel preciso istante. Ovviamente nulla vieta ai giocatori di ignorare del tutto le missioni e di passare il tempo esclusivamente ad allenare la squadra, in modo da ritrovarsi ad un livello sufficientemente alto da poter affrontare qualsiasi missione nell’ordine che si preferisce, ma non è di certo la scelta più efficiente. La progressione è quindi in un certo senso guidata, ma per la prima volta dopo tanto tempo la serie dà la possibilità di scegliere e di sbagliare. Ma veniamo alle note dolenti, infatti nonostante il primo impatto complessivamente positivo, i giocatori dovranno fare i conti con il comparto tecnico piuttosto scadente del gioco. D’altronde Pokémon Scarlatto e Violetto non si sono mai mostrati particolarmente in forma neanche all’interno dei trailer ufficiali, i quali hanno sollevato sin da subito i primi dubbi riguardo la qualità finale dei titoli, e ora che abbiamo in mano la versione finale possiamo dire che ciò che si è visto è esattamente quello che attende tutti i giocatori che iniziano la loro avventura a Paldea. Pokémon Scarlatto e Violetto soffrono – sul profilo tecnico – sotto ogni aspetto, dalla totale assenza di anti aliasing alla presenza di texture in bassissima risoluzione posizionate persino in primo piano, senza dimenticare un frame rate che ha come unico elemento di costanza il fatto stesso di essere incostante. La realizzazione tecnica è persino qualche passo indietro anche rispetto a quanto offerto con Leggende Pokémon: Arceus, dal quale Scarlatto e Violetto ereditano molto, anche se qualcosa riesce comunque a salvarsi. Ad esempio si possono notare dei miglioramenti nella qualità dei modelli dei Pokémon e nelle loro texture, le quali riescono ad esprimere meglio che in passato i dettagli del pelo, delle scaglie o di ogni altro elemento che compone la loro struttura. Non male anche il lavoro svolto su diverse animazioni, che ora appaiono molto più coerenti con quello che fa il personaggio, come nel caso in cui scivoli per un pendio, e il comportamento dei Pokémon nei vari ambienti; finalmente si possono vedere dei comportamenti realistici in quelli che nuotano, volano e via discorrendo. La natura open world ha sicuramente posto il team di sviluppo davanti ad una sfida del tutto nuova e la nona generazione dimostra come ormai sia giunto il momento che qualcosa cambi in Game Freak. Se in Pokémon Spada e Scudo c’erano state delle critiche per quanto riguarda il livello qualitativo delle Terre Selvagge e di altri percorsi minori, in Scarlatto e Violetto ci si trova dinanzi ad un punto di rottura rispetto al resto della serie. Sì, perché se in passato ci si poteva lamentare della qualità tecnica, potendo comunque contare su un’esperienza di gioco tutto sommato stabile e con pochi problemi, i titoli di nuova generazione rimuovono anche questa certezza, andando a presentare i giochi meno puliti della serie. È molto comune imbattersi in elementi che non vengono caricati a schermo correttamente, animazioni riprodotte a frame rate bassissimi, compenetrazioni, pop-in di ogni sorta, sovrapposizioni tra i modelli dei Pokémon e quelli dell’ambiente di gioco. Il rovescio della medaglia è che tutta la mappa di Paldea è comunque estremamente variegata e ricca di biomi ben rappresentati, che ci riescono a dare l’idea di una regione completa a tutto tondo. L’enorme mappa di Paldea è poi costantemente sottoposta agli effetti del clima dinamico e anche in questo caso torna il discorso delle animazioni; finalmente il personaggio reagisce in maniera sensata alla presenza di forte vento e tempeste di neve. Insomma, sul fronte tecnico sono presenti davvero diverse lacune e la sensazione è che questo sia davvero il meglio che la Game Freak attuale è in grado di fare.

Pokémon Scarlatto e Violetto puntano molto sull’ambientazione scolastica, tanto da renderla centrale in diversi aspetti del gioco. Ad esempio, il fatto che i giocatori siano degli studenti è il principale motivo per cui la personalizzazione del proprio pg non include la possibilità di cambiare vestiti, ma solo gli accessori e di poter scegliere tra le 4 uniformi dell’Accademia e svariati accessori. Ma non solo, la vita scolastica può anche permettere di staccare per un momento dalle missioni principali per prendere parte alle lezioni e affrontare dei veri e propri esami di metà e fine anno, oltre a poter prendere parte a piccole missioni secondarie che permettono di rinsaldare il legame con i professori dell’Accademia e molto altro ancora. Queste sono delle vere e proprie novità per la serie, che però rischiano di diventare un’occasione sprecata, in quanto il gioco non ricorda mai di prendere parte a queste attività o anche solo la loro esistenza. Starà infatti al giocatore avere la curiosità di tornare all’Accademia ed esplorare le possibilità che offre. È davvero un peccato, perché questi elementi arricchiscono senza dubbio il contesto scolastico nel quale è calato il personaggio, ma diventano immediatamente marginali nel momento stesso in cui si mette piede fuori dagli spazi dell’Accademia. Un’altra novità è la nuova meccanica esclusiva di Pokémon Scarlatto e Violetto, ossia la teracristallizzazione. Essa dà la possibilità di cambiare il tipo del Pokémon e di sostituirlo con il teratipo di cui è dotato. Tutti i Pokémon di Paldea sono dotati di un teratipo che di solito corrisponde ad uno dei due ceppi base della creatura, ma è anche possibile trovare Pokémon con un teratipo totalmente diverso, in grado di alterare in maniera importante gli equilibri della battaglia. Queste varianti possono essere catturate sia allo stato selvatico sia durante i Raid Teracristal, i quali offrono una delle sfide più interessanti per tutti coloro che sono a caccia di combinazioni particolari. Da segnalare che ad un certo punto del gioco sarà anche possibile cambiare a piacimento il teratipo di ogni Pokémon, a patto di raccogliere il giusto quantitativo di oggetti richiesti. La meccanica della teracristallizzazione è limitata ad un utilizzo per battaglia e per poterla ricaricare sarà necessario recarsi presso un Centro Pokémon o presso un raid, in modo che il giocatore non possa abusarne durante l’esplorazione. Ma qual è il suo peso all’interno del battle system? Sorprendentemente si tratta di una meccanica tutto sommato bilanciata, che attribuisce sì dei bonus importanti ai Pokémon, ma che risulta meno fondamentale rispetto alla Dynamax di turno. Questo perché la teracristallizazione non altera le statistiche del Pokémon, ma si limita a renderlo mono-tipo del teratipo corrispondente, senza però perdere i bonus del danno che aveva originariamente. Qualora tipo e teratipo corrispondano, le mosse di quell’elemento avranno un moltiplicatore al danno maggiorato. Se invece non sono presenti mosse da sfruttare con il proprio teratipo, c’è la nuova mossa Terascoppio che permette di avere una copertura di emergenza, visto che assume automaticamente un tipo uguale al teratipo e utilizza la statistica di attacco più alta per il calcolo dei danni. Ovviamente la valutazione sul bilanciamento della meccanica è legata esclusivamente alla componente offline, mentre il discorso potrebbe cambiare drasticamente nell’ottica del competitivo.

Pokémon Scarlatto e Violetto si lasciano alle spalle il campeggio di Spada e Scudo e introducono la nuova meccanica dei Picnic, alla quale sono legate due attività molto importanti. Oltre a poter passare del tempo con i propri Pokémon, giocare con loro e pulirli per aumentare il legame di amicizia, durante un Picnic è possibile anche preparare dei panini attraverso un mini gioco dedicato. I panini creati in questo modo conferiscono dei buff di 30 minuti che vanno ad influire in maniera positiva su molti aspetti dell’esplorazione, come ad esempio aumentare il numero di punti esperienza guadagnati, rendere più facili le catture, trovare Pokémon di taglie diverse e così via. Utilizzando ingredienti più rari e avanzati è persino possibile ottenere un aumento della probabilità di incontro di Pokémon cromatici. Un altro effetto dei panini è quello di aumentare le chances che i vostri Pokémon depositino delle uova durante il Picnic: ebbene sì, per la prima volta sin dalla seconda generazione non è più necessario affidare le nostre creaturine alla pensione di turno per cominciare a sfornare uova. Per ottenerle basterà avere in squadra due Pokémon compatibili e consultare periodicamente il cestino presente nel Picnic, dove vengono depositate le uova. Queste continuano ad apparire sino a quando non si esce da questa modalità, rendendo estremamente semplice e rapido il processo di breeding. Peccato che Scarlatto e Violetto rendano quasi completamente inutile questa pratica dal punto di vista del competitivo, visto che i giochi permettono di modificare con estrema facilità i parametri e le abilità di qualsiasi Pokémon. Durante il Picnic è anche possibile passare una mossa uovo ad uno dei Pokémon del team, senza che sia necessario ricorrere alle uova vere e proprie. Pokémon Scarlatto e Violetto puntano fortemente sulla componente multi giocatore, invitando a ricorrere alla Cerchia Contatto presente nei Centri Pokémon per invitare sino ad altri 3 giocatori nel proprio mondo (o per visitare il loro). Tirando le somme, possiamo dire che Pokémon Scarlatto e Violetto saranno, indubbiamente, i titoli della serie più chiacchierati, e divisivi, per parecchi anni a questa parte. Lo scempio, in termini tecnici, realizzato da Game freak non può essere ignorato e la storia dei “capitoli di transizione” non riesce più a ergersi come solido baluardo di difesa verso gli sviluppatori. Il vero problema, però, è che al netto di tutte le magagne tecniche che, forse, in futuro verranno sistemate con costanti patch correttive, il gameplay funziona, diverte e si rivela assuefacente anche più che in passato. Ed è proprio questo l’aspetto che fa più male a un fan del franchise, constatare che Game Freak persiste nel fallire sul focalizzarsi a migliorare la sua creatura poco per volta, invece che mettere, costantemente, troppa carne al fuoco. In ogni caso difficilmente si resterà completamente delusi da Scarlatto e Violetto; l’amante del competitivo si dimenticherà presto dei problemi del gioco e apprezzerà moltissimo la possibilità di creare team con ancora più facilità, mentre chi non è interessato a questi aspetti avrà comunque modo di esplorare una regione Pokémon in un modo completamente diverso dal passato, e spesso basta anche solo questo per poter passare oltre. Speriamo solo che questa sia l’ultima volta che si debba fare un discorso simile. Insomma, se amate i Pokémon prendetelo, godetevelo e divertitevi. Il gioco vale la candela.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 7

Gameplay: 7

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 7

Francesco Pellegrino Lise




Facebook Dating blocca gli under 18 con un Selfie

Meta alza le barriere agli “under 18” sull’app di incontri Dating, lanciata nel 2019 e disponibile anche in Italia dal 2020. Le novità blocca minori, per il momento operative solo negli Stati Uniti, consistono in due strumenti: il caricamento del documentario di identità che sarà protetto dalla crittografia per non essere letto da nessuno, e i video selfie che stimano l’età in base ai tratti distintivi del volto, con l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale. Per quest’ultima funzione, in particolare, Meta ha collaborato con Yoti, società specializzata in strumenti di verifica dell’età. Con la sua tecnologia e i suoi algoritmi di intelligenza artificiale stimerà l’età in base ai tratti distintivi del volto, la condividerà con Facebook e l’immagine verrà poi eliminata. Meta precisa che la tecnologia di Yoti è capace di individuare l’età, non l’identità del soggetto. “Vogliamo assicurarci che le persone vivano esperienze adeguate alla loro età, quindi utilizziamo la tecnologia per individuare i casi in cui le persone hanno travisato la loro età. Se rileviamo che qualcuno potrebbe avere meno di 18 anni e sta tentando ad utilizzare Facebook Dating gli chiederemo di verificare la sua età”, spiega la società. L’opzione è stata già testata su Instagram da giugno. Secondo Meta tramite la verifica di Yoti sono stati scoperti il 96% degli adolescenti che hanno tentato di mascherare la propria età reale. L’81% dei profili a cui è stato chiesto di verificare l’età ha scelto il video selfie piuttosto che l’invio del documento. La novità arriverà presumibilmente anche in Italia e negli altri Paesi in cui è disponibile Facebook Dating. “Abbiamo in programma di portare la nostra tecnologia di rilevamento dell’età e gli strumenti di verifica negli altri Paesi in cui è disponibile Facebook Dating e su più servizi che richiedono la maggiore età per accedere”, ha sottolineato Meta.

F.P.L.




Gungrave G.O.R.E. ritorna l’esecutore armato di pistole e bara

Gungrave G.O.R.E. (Gunslinger Of Resurrection), titolo sviluppato dallo studio sudcoreano IGGYMOB per Pc, Xbox e PlayStation, è il terzo gioco della serie che ha avuto origine e seguito su PlayStation 2 nei lontani 2002 e 2004. Quest’ultimo titolo è uno “stylish action” sulla falsariga di Devil May Cry, con un design e un ambientazione d’autore, creati nientepopodimeno che da Yasuhiro Nightow, il creatore di “Vash the Stampede” e di “Trigun”, ma che soffre l’essere il primo titolo di questo genere per lo sviluppatore, che prima di Gungrave G.O.R.E. ha avuto sì la possibilità di lavorare su altri progetti dedicati al franchise, ma di generi differenti. Il titolo, come già detto, è il sequel di Gungrave e Gungrave: Overdose. Ancora una volta chi gioca veste i panni del silenzioso e letale antieroe Grave, al secolo Brandon Heat, araldo della resurrezione che non esita a fare a pezzi con le sue fide pistole e l’inseparabile bara chiunque provi a sbarrargli il passo. L’obiettivo è contrastare la diffusione della droga Seed e, in questa sua crociata, Grave è affiancato da Mika Asagi (personaggio storico e importantissimo per Grave) e da due volti nuovi: Cheni “Quartz” Angel e il Dr. Aso. Non manca inoltre la figura di Bunji Kugashira, altro personaggio familiare all’interno della serie. Se si ha intenzione di riannodare i fili della trama, dal menu principale è possibile vedere e ascoltare un riassunto dei fatti precedenti. Ma il nostro consiglio però, se volete entrare davvero in sintonia con i personaggi, è quello di recuperare in qualche modo la serie animata perché è veramente un’opera avvincente. Purtroppo però l’anime e il videogioco restano due cose ben distinte fra loro, con il secondo più orientato a un continuo massacro che non a raccontare fatti, cose o persone: ecco dunque che il terzo capitolo non offre una storia particolarmente intrigante, comportandosi su questo versante come i suoi predecessori. Intervallati da filmati in game e altri più sporadici in CGI, i livelli sono essenzialmente un continuo massacro che non dà nulla in termini di narrazione, soprattutto perché Grave è muto. Non che gli serva parlare, ma ovviamente l’assenza di un qualsivoglia scambio che non siano avvertimenti e indicazioni quasi sempre riciclati da uno stage all’altro pesa, soprattutto quando il gameplay si presenta ancorato a venti anni fa.

Ambientazioni spoglie e dai colori tenui accolgono orde di nemici molto simili tra di loro, dai classici sgherri punk ai soldati futuristici della corporazione, passando per le mostruosità create dalla Seed, che si differenziano per il tipo di arma utilizzata e quindi per la pericolosità in combattimento. Il costante riciclo di asset colpisce allo stesso modo avversari e scenari, contribuendo a una sensazione di strisciante ripetitività che culmina con l’ossessiva riproposizione delle stesse “sfide” ludiche, che chiedono al giocatore soltanto di premere continuamente il pulsante del “fuoco”, senza pensare a cosa gli accada intorno. Ma andiamo per gradi: per iniziare, il gameplay a sostegno dell’esperienza è elementare: imbrigliati da un sistema di mira automatica, i giocatori chiamati a concentrarsi come delle furie sul tasto per sparare, muovendo a malapena un personaggio potente come un carrarmato ma assai più lento. Il protagonista di Gungrave G.O.R.E. è protetto da uno scudo che si ricarica nei momenti di quiete, e la sua potenza di fuoco è così elevata da trasmettere al giocatore un’aura di invincibilità che si rafforza sempre di più tra colpi caricati che possono spazzare via anche le difese più ostinate e l’uso di un rampino che gli permette di eliminare chiunque creda di mettersi al sicuro con la distanza. Se tutto questo non dovesse bastare, oltre a crivellare di colpi gli avversari con la coppia di pistole infernali, Grave può porre fine all’esistenza di chi osa avvicinarsi brandendo la pesante bara che si porta dietro come una mazza, in un tripudio di smembramenti che culmina nelle sanguinose mosse finali ai danni dei nemici storditi. Queste particolari combo permettono l’accumulo di punti stile che – insieme ad altri parametri come il tempo di completamento e la vita restante – decidono il punteggio finale del livello e l’esperienza spendibile nel negozio, tra potenziamenti dei danni, nuove mosse corpo a corpo e altre abilità da utilizzare in battaglia. Come ogni Action game che si rispetti, ad analizzare l’attenzione e l’efficienza del giocatore ci pensa il contatore dei colpi in alto e a destra dello schermo, che spinge a tenere sempre calde le bocche da fuoco distruggendo non solo i nemici, ma anche gli oggetti di uno scenario che accompagna da una sparatoria all’altra, cercando di gestire con saggezza il ritmo del grilletto e la mobilità infima del personaggio. Ad una ricetta ludica votata alla semplicità e allo spettacolo si accompagna una difficoltà sostanzialmente risibile per gran parte dell’avventura, perché i nemici da uccidere sono caratterizzati da differenze minime, che si perdono nel caos della mattanza. Ed è questa estrema semplicità, a nostro avviso, il difetto più evidente della produzione. Intendiamoci, non ci troviamo davanti a un titolo brutto, ma Gungrave G.O.R.E. non riesce proprio a coinvolgere e risulta essere troppo semplice e ripetitivo dopo la prima mezz’ora di gioco.

Il titolo, a differenza dei suoi predecessori ha una longevità maggiore. Per portare a termine l’avventura infatti occorrono circa quindici ore di sparatorie a cervello spento, incanalate all’interno di corridoi vuoti e a senso unico, privi di diramazioni secondarie, missioni da portare a termine od oggetti collezionabili da scovare, riempiti soltanto dalle ondate di nemici dal design non sempre gradevole che si lanciano contro Grave e le sue pistole affamate di morte. L’intelligenza artificiale, quasi del tutto inesistente, si palesa in oppositori che rimangono immobili ad assorbire il fuoco del protagonista, mosso a sua volta da un parco animazioni risicato e legnoso: leggermente più interessanti si fanno le sfide con i boss di fine livello, poiché obbligano il giocatore a studiarne le mosse per scansarle al momento giusto, proponendo in generale un approccio diverso rispetto al gameplay “piatto” che muove le sezioni classiche. Una colonna sonora rock, esaltante quanto aggressiva non basta però a cancellare i difetti di una messinscena spartana, tra l’illuminazione accesa di ogni anfratto e una qualità delle texture non indimenticabile, mentre le costanti esplosioni che echeggiano intorno a Grave vengono portate sullo schermo da un’effettistica che non può essere definita next-gen. Un vero peccato perché il brand meritava sicuramente di più. Tirando le somme, possiamo dire che Gungrave G.O.R.E. è un gioco vecchio dentro persino volendolo considerare con la lente della nostalgia. Al di là di un contesto narrativo non pervenuto, ma in linea con i due giochi passati, dal gameplay al level design è tutto troppo old style, anche quando riesce a divertire in maniera piuttosto genuina. È molto difficile pensare a una scelta autoriale, perché può esserci della preservazione migliore dei tempi andati e Gungrave G.O.R.E. si dimostra un gioco PlayStation 2, ma sviluppato nel 2022, nel bene e, soprattutto, nel male. Alla domanda: “Merita l’acquisto?”, la nostra risposta è si se siete persone che vogliono avvicinarsi a questo genere per la prima volta. Chi è abituato a capolavori del calibri di Devil May Cry o Bayonetta, farebbe meglio a navigare verso nuovi lidi.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 6

Sonoro: 7

Gameplay: 5

Longevità: 5

VOTO FINALE 6

Francesco Pellegrino Lise




Twitter cancellerà 1,5 miliardi di account inattivi, parola di Elon Musk

Twitter inizierà presto a eliminare i nomi di 1,5 miliardi di account. Lo ha dichiarato lo stesso patron della piattaforma Elon Musk, spiegando che “queste sono cancellazioni di account che non effettuano alcun tweet e accesso da anni”. Intanto emerge la seconda parte dei “Twitter Files”, pubblicati dal nuovo patron della piattaforma che nei giorni scorsi aveva rivelato il blocco da parte del social, nella gestione a lui precedente, della storia del computer di Hunter Biden con mail potenzialmente compromettenti, pubblicata dal “New York Post” poche settimane prima delle elezioni del 2020. Musk si affida alle analisi di Bari Weiss, ex giornalista del New York Times e del Wall Street Journal, ora direttrice di “Free Press”. “Una nuova indagine – scrive Weiss – rivela che i team dei dipendenti di Twitter costruivano blacklist, impedivano ai tweet sfavorevoli di diventare di tendenza e limitavano la visibilità di interi account o addirittura di argomenti di tendenza”. “Il tutto – prosegue il primo dei 30 post retwittati da Musk – in segreto, senza informare gli utenti”. “Twitter una volta aveva la missione di “dare a tutti il potere di creare e condividere idee e informazioni istantaneamente. Lungo la strada tuttavia sono state erette barriere”, denuncia la giornalista, citando alcuni casi. Tra questi account di orientamento conservatore come Libs of TikTok e persino professionisti del settore medico perplessi sui lockdown e sulle politiche ufficiali adottate dall’amministrazione Biden per contenere la pandemia di Covid-19, come il professore della Stanford University Jay Bhattacharya. Bari punta il dito anche contro lo “shadow banning” (ossia quando l’utente è oscurato a sua insaputa), noto tra gli ex dirigenti di Twitter come “Visibility filtering”.

F.P.L.




The Dark Pictures Antholgy: The devil in me, l’ultima fatica di Supermassive

The Devil in Me è il quarto capitolo della saga “The Dark Pictures Anthology”, la serie di Supermassive Games che, proprio con questo episodio, chiuderà la sua prima stagione. Chi conosce il team britannico per capolavori del calibro di Until Dawn e per i tre atti precedenti della serie, Man of Medan, Little Hope e House of Ashes, saprà già bene o male cosa aspettarsi da questo nuovo episodio della serie, ennesimo tassello di un modo di intendere l’avventura grafica a sfondo horror fatto soprattutto di scelte multiple, bivi narrativi e un taglio fortemente cinematografico che lo rende estremamente appassionante e apprezzato fra gli amanti del genere. A differenza di quanto visto nei precedenti episodi, questo The Devil in Me (disponibile su Pc,Xbox e PlayStation) propone un approccio horror un po’ differente dal solito, rifacendosi a un immaginario che mescola in modo piuttosto originale Shining e la serie Saw proponendo un approccio tipicamente slasher alla narrazione. Nei panni di alcuni membri di una troupe televisiva specializzata in un format TV di storie dell’orrore, ci si troverà a passare una notte all’interno di un hotel costruito sul modello di quello del tristemente celebre H.H. Holmes, colui che è considerato uno dei primi serial killer della storia e che, alla fine del 1800, uccise decine di persone, si parla di circa 200 vittime non accertate e 27 accertate. Un misterioso magnate con il pallino del macabro ha voluto ricostruire questo immenso albergo con lo scopo di renderlo un’attrazione turistica, con tanto di animatroni ispirati a Holmes e alle sue vittime. Il compito di chi gioca è girare un episodio del format TV raccontando la storia del celebre assassino: ovviamente, sin da subito si capisce che non tutto andrà come previsto e che tra i corridoi e le stanze dell’edificio si aggira un killer malvagio e infallibile pronto a scatenare tutta la sua sadica passione per trappole e omicidi efferati. Insomma, tale trama potrebbe tranquillamente essere quella di un titolo hollywoodiano in stile primi anni del 2000.

Rispetto a quanto visto negli episodi precedenti della saga, in questo nuovo titolo si nota una maggior libertà di movimento grazie ai personaggi che possono saltare, aggrapparsi a sporgenze, nascondersi e accovacciarsi, sebbene il tutto non sfoci mai nel genere action-horror o in un survival in stile Resident Evil. The Devil in Me rimane infatti un’avventura narrativa in tutto e per tutto, e ciò significa molte cut-scene, interattività limitata, esplorazione ridotta ai minimi termini al di là del percorso principale e, soprattutto, la centralità del rapporto tra i cinque protagonisti. In tal senso Supermassive Games continua però a non convincere del tutto, proponendo elementi caratteriali, interazioni umane, scontri, dissidi o complicità senza che nessun personaggio riesca a mai a creare una grande empatia con chi si trova dinanzi lo schermo. Complice anche un comparto grafico molto valido nell’ambientazione e nel contorno ma ancora troppo legnoso nelle animazioni e soprattutto nelle espressioni facciali, la famosa “empatia” con i personaggi di questo macabro gioco al massacro non è mai scattata del tutto. Colpa anche di certe scelte narrative discutibili, come le solite battutine leggere dopo un avvenimento particolarmente drammatico o spaventoso, o comportamenti poco credibili di fronte alla situazione da incubo che i cinque protagonisti vivono in quel frangente. In ogni caso, il gameplay è molto classico, con oggetti interattivi e “manipolabili” ben evidenziati da un bagliore, dialoghi e atteggiamenti a scelta multipla, Quick Time Event basilari, qualche puzzle e oggetti da raccogliere e usare. L’inventario, che rappresenta una piccola novità per la serie, è comunque molto ristretto mentre gli oggetti da utilizzare si controllano con la croce direzionale del pad.

Dove The Devil in Me funziona alla grande è nel contorno e nell’atmosfera. Chiunque lo giocherà verrà infatti assalito da un’irrefrenabile curiosità e vorrà arrivare fino alla fine per scoprire chi è il pazzo che si aggira tra i lugubri corridoi dell’albergo. Tale ricerca avviene in modo intelligente leggendo documenti, guardando fotografie che fanno scattare dei flashback o ascoltando registrazioni audio, tutti elementi che invogliano a intraprendere quel minimo di esplorazione in più che renda il gioco un livello sopra i suoi predecessori. L’atmosfera, seppur fin troppo costantemente buia rappresenta un altro fiore all’occhiello del gioco. Rumori, passi, voci, musichette inquietanti sparate da vecchi grammofoni, trappole, botole, pareti mobili, un vecchio faro in disuso all’esterno dell’albergo, manichini e animatroni, stanze che cambiano e via di questo passo. Il luogo messo in piedi da Supermassive Games è il vero protagonista del gioco e, da questo punto di vista, The Devil in Me funziona alla perfezione fin dall’intro che funge da flashback all’intera vicenda. Soprattutto, spaventa di più dei tre precedenti episodi della serie, anche se l’inizio piuttosto lento e altri cali di ritmo a metà gioco tendono a vanificare a tratti una tensione comunque palpabile e credibile. La stessa longevità, 8 ore circa, rappresenta un bel passo avanti rispetto alla durata più limitata dei capitoli precedenti. Ne esce, insomma, un’avventura narrativa che sa intrigare nello sviluppo della trama e che offre un pizzico di libertà-interazione in più rispetto all’approccio molto più guidato e da visual novel degli altri capitoli. Tirando le somme, possiamo dire che The Devil in Me propone alcuni piccoli miglioramenti rispetto ai tre precedenti capitoli di The Dark Pictures Anthology, ben visibili nella maggior interazione con l’ambiente e in una libertà di movimento più varia. Se però il lavoro fatto da Supermassive Games a livello di ambientazione e atmosfera è impeccabile, tutta l’impalcatura tipica della serie improntata alle relazioni tra i personaggi e alle scelte multiple funziona molto meno e coinvolge in ben pochi momenti. Anche il ritmo non è sempre perfetto e le espressioni facciali dei personaggi sono ancora lontane dai migliori titoli tripla-A, ma se cercate un’esperienza horror con la giusta dose di tensione, amate il genere “slasher” e le avventure narrative non vi “spaventano”, sono 40 euro ben spesi. Il titolo insomma nel complesso è un’esperienza gratificante ed estremamente divertente, lasciarlo perdere sarebbe un vero peccato.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise




WhatsApp apre le porte all’invio di messaggi a se stessi

WhatsApp ora consente l’invio di messaggi a se stessi. I vertici della piattaforma d’instant messaging più amata dalle persone hanno confermato infatti l’arrivo della funzionalità “Message Yourself”. Tale funzionalità è indicata a quegli utenti che non usano app specifiche per prendere appunti o fare promemoria e possono appunto sfruttare WhatsApp per questo. Disponibile su iOS e Android, la funzione è stata testata in beta, cioè in prova nelle ultime settimane e adesso è pronta per un pubblico di massa. “Message Yourself” ricorda la possibilità già vista su altre app di messaggistica, come Telegram, e consente di mandare messaggi all’interno di una chat visibile solo all’utente stesso, utilizzando la stessa per scrivere note, salvare link, caricare documenti o inviare anche note vocali. Insomma come un’app di appunti e promemoria. Una volta abilitata la funzione, l’utente potrà anche “fissare” la chat in alto, proprio come avviene con qualsiasi altra conversazione su Whatsapp. In questo modo avrà la possibilità di accedere alle proprie note private trovandole sempre a portata di mano. Insomma, sia che siate persone abituate ad utilizzare lo smartphone per prendere appunti, sia che siate persone distratte a cui servono promemoria, tale funzione per quanto semplice sia, siamo sicuri rappresenterà un ottima aggiunta a quelle già esistenti su WhatsApp.

F.P.L.




Goat Simulator 3, il ritorno del videogame più folle di sempre

Goat Simulator 3 è il sequel, disponibile su Pc Xbox e PlayStation, di quel primo capitolo nato quasi per caso e firmato Coffee Stain che è stato in grado di appassionare diversi milioni di persone per via della sua estrema follia e della sua incredibile vena comica. Stavolta i ragazzi del team svedese hanno deciso di superarsi, proponendo una formula sandbox all’insegna del puro divertimento, forte di una mappa più strutturata, dalle dimensioni un po’ più generose e piena di modi per far penare gli sfortunati abitanti del luogo. In questo nuovo capitolo della serie è ovviamente possibile sovvertire l’ordine pubblico in compagnia di un amico grazie a una modalità multigiocatore che ben si sposa con la leggerezza della produzione. Il gameplay di Goat Simulator 3 si concentra sull’interazione con gli oggetti, alla pari del suo predecessore. Tramite la fidata capretta i giocatori potranni creare situazioni caotiche e divertenti, ai danni dello scenario e degli abitanti quasi inconsapevoli. Ed è qui che entra in gioco in maniera singolare l’aspetto tecnico del titolo di Coffee Stain North. Diciamo singolare perché la “barriera” tra ciò che è propriamente parte integrante del gameplay e ciò che invece può sembrare un bug è davvero molto sottile. Anche il sistema di controllo è volutamente goffo e imprevedibile. Ci saranno momenti in cui l’arrampicata non funzionerà come dovrebbe. Situazioni in cui quando si “leccherà” un oggetto per afferrarlo, esso inizierà a colpire tutto ciò che circonda l’allegro quadrupede. Momenti in cui la guida di uno dei veicoli presenti proietterà il barbuto protagonista in aria, perchè avrà cercato di salire su un semplice marciapiede… L’umorismo da strapazzo che ha caratterizzato ikl primo capitolo toccherà in questo sequel una nuova vetta.

Scendendo più nello specifico, il gioco non presenta una vera e propria trama o uno scopo e neanche una missione principale (sebbene ce ne sia giusto un “abbozzo”). Semplicemente, dopo un inizio chiaramente ispirato da un certo gdr campione d’incassi, ci si troverà liberi di esplorare l’area, interagendo in vari modi con cose e persone. Per “interagire” intendiamo che o li si lecca per portarli a se o si possono prendere a cornate: niente cose complesse insomma. Più nel dettaglio, leccare un oggetto (o un essere vivente) permette di trascinarlo via grazie all’innaturalmente lunga lingua di Pilgor, mentre colpirlo con le corna scatena semplicemente morte e distruzione, ma spesso anche effetti di altro tipo da scoprire sperimentando a più non posso lungo il corso dell’avventura. Il rapido tutorial iniziale fa notare altre interessanti azioni effettuabili da Pilgor, come acrobazie a mezz’aria, scivolate su ringhiere e cavi, nonché belati di varia natura: un ovino, insomma, pieno di risorse e sorprendentemente divertente da impersonare, una volta fatto un minimo di pratica col sistema di controllo. Un volta compreso che si può dunque andare qui e lì a leccare e colpire cose, in che modo si possono sfruttare queste abilità in Goat Simulator 3? Innanzitutto, basta visitare le diverse aree della mappa per attivare numerose missioni, i cui obiettivi sono talvolta presentati in modo palese, in altri casi da decifrare spesso in modo umoristico. C’è da fare davvero di tutto, dal partecipare a un concorso di cucina al cercare il modo di fornire un po’ più di “verve” a uno spettacolo di danza un po’ moscetto, solo per citare cose che accadono nella primissima area che si visita. Alle missioni si affianca poi la costante caccia al tesoro che, a nostro avviso, rappresenta anche il “cuore” di Goat Simulator 3. Sparsi per la mappa, ci sono infatti dozzine e dozzine di oggetti da scovare e raccogliere, sostanzialmente suddivisi in due categorie, ovvero le statuette d’oro già presenti nel primo episodio e i capi di vestiario. Questi ultimi comprendono diverse categorie come cappelli, abiti, calzature e cose da mettere sulla groppa: oltre trecentocinquanta “pezzi” differenti che vanno a formare un guardaroba decisamente corposo. Come se non bastasse, molti degli oggetti in questione presentano anche abilità e azioni speciali da scoprire, abbinando così alla varietà visiva anche qualche sorpresa extra.

Con oltre cinque milioni di copie vendute, il primo Goat Simulator è stato sicuramente un successo e c’è da ammettere che il budget maggiore investito nello sviluppo di questo ultimo capitolo si nota eccome, a partire da un motore grafico ora più ottimizzato e con meno difetti visivi. Certo, è presente ancora qualche problema di telecamera e molti oggetti compaiono a distanze medio-brevi dalla propria capra, ma in generale Goat Simulator 3 è un bel vedere, impreziosito anche da qualche effetto aggiuntivo come la resa della pelliccia delle capre stesse. Provato su Xbox Series X, il gioco è risultato sempre abbastanza fluido e alcuni passaggi con una notevole quantità di riflessi in tempo reale ci hanno addirittura sorpreso, sebbene in tal senso la qualità generale dei luoghi che si andranno ad esplorare sia un po’ altalenante. Davvero notevole il lavoro svolto sull’audio, tra musichette, doppiaggio di numerosi personaggi (in inglese) e soprattutto tantissimi effetti sonori davvero azzeccati. Insomma, il gioco è confezionato bene anche sul fronte multimediale. Un aspetto davvero sorprendente di Goat Simulator 3 è la sua propensione al multiplayer; fino a quattro giocatori possono infatti prendere parte alle mirabolanti avventure di queste capre, sia online , sia in locale tramite uno split-screen che crea un favoloso effetto nostalgia. Giocando con gli amici, ci si può sia dedicare a missioni e “cacce al tesoro”, sia competere in sette specifici mini-giochi dedicati da attivare visitando specifici luoghi nelle mappe. Dal calcio al golf, passando per “Il pavimento è lava!” c’è una discreta varietà e soprattutto una buona qualità di fondo, che dona a Goat Simulator 3 un’ulteriore e inaspettata identità da party-game. Certo, di fondo c’è un gameplay che risulta sempre un tantino rozzo e, come già detto, il sistema di controllo non è sempre precisissimo, cosa che in determinati frangenti può fare infuriare, ma le complesso il titolo risult estremamente divertente e appagante, quindi il nostro consiglio è quello di dargli assolutamente una chanche.

GIUDIZIO GLOBALE

Grafica: 8

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise




Ibm, Google e altri big hitech: laurea non essenziale per posizioni da “top manager”

Alcune grandi aziende, del calibro di Ibm, Google e Delta, hanno deciso di eliminare la laurea come requisito per accedere a diverse posizioni. Anche lo stato del Maryland quest’anno ha ridotto il requisito della laurea per molti lavori statali, portando a un’impennata delle assunzioni, e il nuovo governatore della Pennsylvania, Josh Shapiro, ha condotto la sua campagna elettorale su un’iniziativa simile. Come riporta il Wall Street Journal, ora i criteri principali per le assunzioni diventano esperienza e capacità. A spingere a cancellare una delle condizioni sinora principali per accedere ai ruoli più remunerativi è il mercato del lavoro ristretto: le offerte di lavoro infatti superano di gran lunga il numero di disoccupati in cerca di un impiego – 10,7 milioni di offerte di lavoro a settembre rispetto a 5,8 milioni di disoccupati – creando una insolita concorrenza. Secondo un’analisi del “think thank Burning Glass Institute”, le offerte di lavoro negli Stati Uniti che richiedono almeno una laurea erano il 41% a novembre, in calo rispetto al 46% all’inizio del 2019 (prima della pandemia di Covid). Alcune professioni hanno requisiti sull’istruzione (e laurea) universali, come medici e ingegneri, mentre in altre non ci sono tali condizioni, come i lavoratori al dettaglio. C’è poi una via di mezzo, tra cui le posizioni tecnologiche, che hanno requisiti variabili a seconda del settore, dell’azienda, della forza del mercato del lavoro e dell’economia.

F.P.L.




Modern Warfare 2, il reboot del capitolo più importante della serie Call of Duty

Modern Warfare 2 è il sequel del titolo uscito nel 2019 (qui la nostra recensione) e segue la trama riscritta del secondo capitolo uscito nell’ormai lontano 2009. Il titolo è ovviamente disponibile su Pc, Xbox e PlayStation in due edizioni: la standard, che contiene il gioco base, e l’edizione “cassaforte” che comprende tutta una serie di bonus come ad esempio 4 skin del Tf-141 da sfoggiare nel multigiocatore, l’accesso al primo pass stagionale, 50 salti di livello e un progetto arma unico. L’offerta scelta per questa nuova versione del noto sparatutto targato Activision include una breve quanto spettacolare campagna, un corposo multiplayer, una modalità cooperativa e successivamente ospiterà Warzone 2, la nuova versione della famosissima modalità battle royale. Parlando della emozionante campagna, che solitamente viene fruita come antipasto prima di gettarsi a capofitto nell’offerta multigiocatore online, Call of Duty Modern Warfare 2 mette ancora una volta i giocatori nei panni della Task Force 141, dove fanno il loro ritorno i personaggi iconici del predecessore alle prese con nuove operazioni speciali, slegate dalle vicende precedenti. Al centro della narrazione vi sono i traffici loschi di Al-Qatala, una cellula terroristica che ha influenze in tutto il mondo, dove la squadra operativa capitanata dal baffuto John Price si dividerà i compiti, in un’alternanza di missioni dal tratto lineare e scenico come da tradizione. Non volendoci addentrare nel merito delle vicende narrate per evitare spoiler, possiamo affermare che la trama nonostante non brilli per originalità, riesce comunque a offrire un’ottima varietà di situazioni tanto da intrattenere adeguatamente per le circa 7/8 ore necessarie per il completamento al livello “veterano”. Ovviamente, trattandosi di un reboot, non mancano strizzate d’occhio alla nostalgia derivata dai vecchi capitoli del filone Modern Warfare appartenenti a due generazioni di console fa, mentre ci si adopera per portare qualcosa di nuovo all’interno dell’impianto narrativo, come la meccanica relativa ai dialoghi a scelta multipla, implementata timidamente e che sfocia nella possibilità di scegliere come agire in certe circostanze, fattore che comunque non altera la trama ma offre una visione diversa di alcune scene precise. Le 17 missioni che compongono la campagna di Call of Duty Modern Warfare 2 alternano sezioni più classiche ad alcune più peculiari, ambientate in diversi contesti bellici, talvolta dando al giocatore libertà di scelta negli approcci, che si concretizzano comunque nel classico e ottimo “gunplay” della serie. Su questo fronte, la formula frenetica e vincente che da sempre contraddistingue il kolossal di Activision non è cambiata, mettendo in scena nella fattispecie una riproposizione delle ultime iterazioni del sistema di shooting, il quale si riconferma una garanzia, anche in ottica multigiocatore. A nostro avviso, nonostante la grafica sia a dir poco sensazionale e in alcuni punti i colpi di scena riescano a dare grandi emozioni, a livello di campagna il nuovo titolo di Activision risulta più debole rispetto all’originale del 2009. Saranno la mancanza delle musiche del maestro Hans Zimmer, l’intreccio narrativo sicuramente meno articolato rispetto al passato e l’epicità poco marcata a farci dare questo giudizio, ma in ogni caso da veterani del brand possiamo dire che questo MW2 di nuova generazione non sorprende come fece il suo antenato. Intendiamoci, il gioco è assolutamente godibile e bello da giocare, soprattutto per l’impatto grafico vicinissimo al fotorealismo, ma non ci ha fatto scattare quella scintilla che scoccò due generazioni fa di console.

https://www.youtube.com/watch?v=_mHWYy37T7I

Parlando della componente online, vero cuore pulsante della produzione, diciamo che il multiplayer di questo nuovo Call of Duty continua sulla falsariga dei recenti predecessori, cross-play incluso, maggiormente su quella del reboot del 2019, proponendo le classiche modalità che da sempre contraddistinguono l’offerta della serie e un sistema di progressione storico basato sul grado del soldato e supportato dai battle pass stagionali, sistema che include anche la progressione delle oltre cinquanta armi disponibili per sbloccarne i relativi accessori. Sono presenti al lancio un totale di 16 mappe al servizio di dodici modalità, divise in 6 vs 6 e 32 vs 32, dove per la prima impostazione, tra le proprie proposte, troviamo i classici deathmatch a squadre, tutti contro tutti, dominio, cerca e distruggi e quartier generale, come vuole la tradizione e per la gioia dei fan storici. Sussiste anche la possibilità di giocare in terza persona in una specifica tipologia di gioco inedita che aggiunge al classico FPS una visione diversa del campo di battaglia, costringendo il giocatore a rivedere il proprio gameplay in funzione di una telecamera diversa. In Modern warfare 2 torna anche un’estrema personalizzazione delle classi, grazie a un numero elevato di modifiche possibili all’armamento, tra armi principali e secondarie, equipaggiamento tattico e da campo, serie di uccisioni e perk, dove quest’ultimi hanno ricevuto una sostanziosa modifica. Ora i giocatori possono scegliere una coppia fissa di vantaggi attivi fin da subito, mentre altri lo diverranno durante le partite grazie a uccisioni e altre azioni da punteggio che contribuiscono a velocizzarne l’attivazione. Per quanto riguarda le armi di Modern Warfare 2, queste beneficiano del nuovo Armaiolo, versione aggiornata del sistema di modifiche già sperimentato che vede l’incremento degli accessori selezionabili per cambiare drasticamente ogni armamento e permette di apportare anche degli accorgimenti statistici, testabili nel poligono di tiro dedicato alla prova del proprio arsenale. Per chiudere il discorso armi e bilanciamento, il time to kill è un fattore che distingue le diverse produzioni divise tra Infinity Ward, Treyarch e Sledgehammer Games, che in questo capitolo troviamo piuttosto soddisfacente, a patto di avere un’arma ben modificata, in un contesto dove, ribadiamo, il bilanciamento non è all’ordine del giorno, soprattutto se si prendono in esame gli scambi di colpi tra utenti, i quali possono attingere a un vastissimo arsenale. Come i più attenti noteranno, poi, i nomi di molte delle armi non corrispondono alla realtà nonostante il design sia lo stesso. Un vero peccato per chi era abituato ad avere anche da questo punto di vista un approccio che si avvicina alla realtà. Prima di passare al lato tecnico di Call of Duty Modern Warfare 2, è bene citare l’aggiunta di una modalità cooperativa al pacchetto classico che riprende alcuni scenari narrativi della campagna, in cui collaborare con un altro giocatore per raggiungere vari obiettivi bellici, fungendo da riempitivo all’offerta tradizionale della serie. Purtroppo tale modalità è funestata da molti bug e rende l’esperienza sicuramente meno emozionante di quanto si vive nella campagna.

https://www.youtube.com/watch?v=a1SN5Ljt4fk

Per quanto riguarda l’aspetto grafico, come già accennato qualche riga più in alto, la campagna di Call of Duty Modern Warfare 2 è davvero spettacolare. Ad averci sorpreso sono ancora una volta le movenze del personaggio, le cui animazioni sono realizzate meticolosamente e favoriscono l’immersione nel contesto bellico in cui si trova. Non da meno sono i volti di protagonisti e comprimari: l’espressività e il dettaglio grafico in questo caso sono notevoli, al punto da generare una sensazione di fastidio quando si notano piccole nonché sporadiche imperfezioni nelle animazioni dei personaggi. Mentre la campagna offre una resa grafica ottimale e di tutto rispetto in confronto a produzioni moderne, lo stesso non si può dire per il comparto multigiocatore, che presenta texture poco definite e una gestione dell’illuminazione poco convincente, laddove si poteva fare decisamente di più su PS5 ed Xbox Series X, piattaforme su cui è stata svolta la prova, che comunque garantiscono entrambe il frame rate ancorato a 60 fps in ogni occasione, con la possibilità di puntare ai 120 fps su schermi che supportano i 120 Hz. Il motore grafico IW 9.0 adottato per il nuovo titolo fa indubbiamente dei passi in avanti rispetto ai predecessori, ma non mancano delle imperfezioni abbastanza evidenti, come ad esempio qualche problema di pop-in e caricamento ritardato delle texture in multigiocatore. In termini di resa complessiva insomma, ci si poteva aspettare qualcosa in più rispetto alle ultime tre iterazioni, puntando magari su un’ottimizzazione migliore del software sulle nuove console. Tuttavia, molte sono le modifiche che è possibile apportare al gameplay e alla resa su schermo, che riconfermano una personalizzazione dell’esperienza meticolosa anche su console. Di splendida fattura il doppiaggio in italiano che come ci ha ormai abituato la saga si presenta molto bene, rendendo il brand accessibile al nostro pubblico e sfruttando a dovere l’ottima espressività dei personaggi. Peccato per le musiche che non sono assolutamente paragonabili a quelle del 2009 dirette da Hans Zimmer, ma nemmeno a quelle del 2019 di cui riprende il tema in alcuni frangenti ma non lo esalta assolutamente. Pollice assolutamente all’ingiù per quanto riguarda l’interfaccia dei menù, poco intuitiva a prima occhiata, che specialmente nel multiplayer richiede del tempo per la comprensione ottimale di tutte le sue componenti di navigazione. Si passa da una concezione delle schermate da verticale a orizzontale e questo cambiamento sicuramente darà fastidio agli appassionati della serie in quanto rende il tutto più caotico e meno ordinato. Tirando le somme possiamo sicuramente dire che questo Call of Duty Modern Warfare 2 si presenta all’appuntamento di fine anno con i suoi esigentissimi fan con una campagna di tutto rispetto, breve come di consueto ma varia e supportata dall’ottimo “gunplay” offerto da Infinity Ward, che si dimostra nuovamente il team di sviluppo attualmente più brillante della triade di Activision per il franchise di CoD. Il multiplayer, tra classicismi e alcune novità, non manca di dare il suo sostanzioso apporto al pacchetto come modalità fulcro dell’offerta, pur non risultando sempre all’altezza del proprio compito. Di contorno troviamo una modalità cooperativa completamente sciapa e che funge da riempitivo senza particolari meriti o demeriti. Un ennesimo appuntamento bilanciato insomma, da valutare attentamente in base alle proprie volontà rispetto alla serie, soprattutto con un Warzone 2 gratuito alle porte che con la modalità inedita DMZ promette una ventata d’aria fresca per il brand rispetto al classico pacchetto di tre modalità mirato perlopiù ad appassionati di vecchia data. In ogni caso attualmente Modern Warfare 2 rappresenta l’esperienza bellica in prima persona più appassionante e coinvolgente. Farselo scappare sarebbe un vero errore.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 9

Sonoro: 8,5

Gameplay: 9

Longevità: 9

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise




YouTube si rifà il look per le esigenze dei più giovani

YouTube si rifà il look. Google cambia il modo di presentare i formati video sia sulla versione web che app, iOS e e Android, della popolarissima piattaforma. Come anticipato su Twitter dall’account ufficiale TeamYouTube, poi confermato sul blog del servizio, si vedranno presto tre menu distinti per altrettante tipologie di filmati. Uno per i video classici, il secondo per gli shorts e il terzo con le dirette degli utenti. La volontà sarebbe quella di riportare i più giovani sulla piattaforma, cercando di controbattere all’ascesa di rivali come Tik Tok. Quando si fa partire un cosiddetto “shorts”, il contenuto di breve durata, l’app mostreranno anche altri video dello stesso formato, sia dell’autore del primo che di altri correlati. Questo, per il team di YouTube, dovrebbe incrementare il tempo di fruizione dei filmati brevi. A fine settembre, il colosso americano aveva dichiarato la volontà di ampliare il programma di retribuzione per i creator, consentendo a più utenti di ricevere contributi per i loro video. Dal 2023, basterà raggiungere una soglia di 1.000 iscritti e 10 milioni di visualizzazioni sugli short in 90 giorni per entrare nel Partner Program. La riprogettazione di sito e app segue un altro importante aggiornamento di YouTube che ha introdotto, qualche settimana fa, gli “handle”, ossia la possibilità di scegliere un nome utente diverso per il proprio canale. Gli username permetteranno ai creatori di identificare il proprio canale e interagire meglio con gli spettatori attraverso gli shorts, le pagine e i commenti. Con queste modifiche la piattaforma video più famosa al mondo diventa ancora più fruibile e funzionale per i più giovani senza stravolgere quanto è presente nella versione attuale.

F.P.L.




Gotham Knights, Batman è morto ma il crimine non vincerà

Gotham Knights, nuovo titolo dedicato agli amanti del “bat-universo” su Pc, PlayStatione Xbox, è ambientato in una realtà alternativa in cui Batman è morto. La città è nel caos e ha bisogno di nuovi eroi che possano proteggerla dal crimine. I compagni ed alleati del Cavaliere Oscuro ereditano quindi la volontà di Bruce Wayne come protettori della città e si ergono contro le nuove minacce che vogliono approfittare dell’assenza dell’Uomo Pipistrello per i loro piani. Questa premessa porta il gioco a distaccarsi dall’”Arkhamverso” di Rocksteady non solo dal punto di vista della storia ma anche del gameplay. La differenza più evidente è il numero di personaggi giocabili, ovvero Robin (Tim Drake, il terzo a divnetare la spalla di Batman), Nightwing (Dick Grayson, il Robin originale), Batgirl (Barbara Gordon, figlia del Commissario ed ex Oracle) e Cappuccio Rosso (Jason Todd, il secondo Robin ucciso da Joker e tornato in vita grazie al Pozzo di Lazzaro). In Gotham Knights il tipo di gioco viene stravolto proprio grazie ai quattro protagonisti, infatti se Batman era una vera e propria macchina da guerra che eccelleva in ogni stile, i suoi “discepoli” invece si sono specializzati in diversi ambiti: Batgirl ad esempio è molto forte nel combattimento 1 vs 1 e nell’hacking dei sistemi di sicurezza, Robin riesce a tenere a bada gruppi di nemici con il suo bastone e può contare sulla silenziosità nello stealth, Nightwing sfrutta le sue origini circensi per avere una grande agilità mentre Cappuccio Rosso al contrario sacrifica la velocità in cambio di grande potenza fisica. Alla base di tutto c’è poi una versione leggermente rivisitata del Freeflow Combat, ovvero il marchio di fabbrica della serie Arkham. Come da tradizione ci si destreggia tra attacchi leggeri e pesanti, schivate, contrattacchi e l’uso di svariati gadget, oltre ad abilità speciali diverse per ogni personaggio utilizzabili una volta riempito l’apposito indicatore. Ad esempio Bargirl può scatenare una raffica di calci e pugni in grado di penetrare anche le difese dei nemici più coriacei, mentre Cappuccio Rosso può svuotare i caricatori delle sue due pistole con delle raffiche continue, Robin può deviare i proiettili facendo roteare il suo bastone e Nightwing piombare su un nemico dall’alto con un salto da acrobata. Ogni eroe può equipaggiare fino a quattro abilità uniche, e man mano che si progredisce nella storia si ottengono punti da investire in un classico skill tree per sbloccare potenziamenti attivi e passivi che enfatizzano ancora di più le differenze negli stili di lotta. Il gioco lascia comunque una grande libertà di scelta, e nulla vieta ad esempio di utilizzare Cappuccio Rosso in missioni dove è preferibile un approccio più silenzioso nonostante le sue abilità siano decisamente votate al combattimento diretto.

L’area di gioco offerta da Gotham Knighrs è davvero vasta e ricca di cose da fare. Come negli ultimi due titoli della trilogia di Arkham è a disposizione l’intera città di Gotham da esplorare in lungo e in largo con la possibilità sia di spostarsi tra i tetti tramite il fido rampino, oppure pattugliare le strade a bordo della Batcycle, una moto corazzata richiamabile in qualsiasi momento. La città brulica di civili ma anche di criminali, e non è raro imbattersi in bande e fazioni che portano il caos, e sta al giocatore intervenire per sventare i loro piani. Si tratta di eventi creati in maniera procedurale, per cui l’esperienza varia per ogni personaggio, ma una volta completati e interrogando gli informatori si possono raccogliere preziosi indizi per venire a conoscenza di Crimini Premeditati, ovvero attività secondarie più complesse del solito che possono portare a termine in dviersi modi, dallo stealth alla forza bruta, e magari sbloccare missioni segrete relative a qualche Supercriminale. Gotham Knights vede come antagonisti principali la Corte dei Gufi, ma sono presenti diversi villain che hanno i loro piani personali: la morte di Batman non passa di certo inosservata, e vecchie nemesi come Mr. Freeze, il Pinguino, Harley Quinn e altri non restano certo con le mani in mano. Alcune di queste storie sono completamente opzionali e slegate dalla trama principale, ma approfondiscono enormemente il background della città e offrono punti di vista diversi su come tutti abbiano reagito alla scomparsa del Cavaliere Oscuro. Anche gli stessi protagonisti hanno reazioni diverse, e soprattutto nelle prime fasi non sono rare le tensioni nel gruppo, ma grazie anche al supporto dell’intramontabile maggiordomo Alfred Pennyworth la volontà di Bruce Wayne sembra essere in buone mani. Essere all’improvviso i nuovi paladini di Gotham tuttavia non è un percorso semplice, ma da qualche parte bisogna pur partire. Proprio per questo motivo il Campanile della città diventa la base operativa dei protagonisti per stabilire un rifugio che funge anche da hub centrale dove allenarsi, scambiare due parole con i compagni, analizzare il tabellone con i vari indizi sulla storia principale e le missioni secondarie, svagarsi con un cabinato con alcuni videogame retrò e gestire l’equipaggiamento dei nostri eroi. La componente RPG di Gotham Knights infatti non li limita allo skill-tree e al salire di livello, ma comprende anche il crafting di armi, armature e armi da lancio che è possibile creare all’apposito tavolo di lavoro utilizzando i materiali trovati nel corso delle missioni e casse sparse per i livelli. Oltre alle statistiche l’equipaggiamento influenza anche l’estetica, tuttavia è possibile scegliere quali pezzi o set mostrare mantenendo comunque le statistiche degli oggetti migliori, una feature davvero molto apprezzata dagli amanti dell’aspetto estetico dei personaggi.

Dal punto di vista grafico Gotham Knights è davvero una gioia per gli occhi, ma purtroppo il titolo ha un grosso neo: ovvero un frame-rate limitato a 30 fps. A differenza della maggior parte dei giochi di nuova generazione, e soprattutto quelli d’azione come questo, non è presente nessuna opzione che permetta di scegliere tra risoluzione e fluidità, una scelta che ha generato non poche polemiche fra gli appassionati. Questo è un gioco che avrebbe giovato enormemente di una maggiore fluidità, considerato quanto è fondamentale il tempismo nel combat system. Gli sviluppatori spiegano però che il motivo di questa limitazione è la presenza della co-op, ma viene da chiedersi se fosse davvero così impossibile magari limitare il frame-rate solo in presenza di altri giocatori e quantomeno inserire più opzioni per chi invece è interessato unicamente al single player. Parlando di audio, gli effetti sonori sono assolutamente ben fatti e per quanto riguarda il doppiaggio, esso è ottimo sia in inglese che in italiano anche se ogni tanto si notano alcuni errori grossolani nei sottotitoli, ma fortunatamente si tratta di casi piuttosto isolati. Per quello che concerne il multiplayer, l’intera campagna di Gotham Knights può essere affrontata in cooperativa per due giocatori, mentre il 29 novembre arriveranno gli Assalti Eroici, una modalità cooperativa stand-alone gratuita che permetterà la cooperativa a 4 giocatori utilizzando tutti gli eroi disponibili. Al momento non ci sono molti dettagli, se non che sarà una esperienza totalmente slegata dalla trama e che avrà una struttura simile ad una “torre di sopravvivenza”, ma per un giudizio completo sarà necessario ancora aspettare qualche settimana. In conclusione possiamo dire senz’ombra di dubbi che Gotham Knights è un videogame che ha grandi potenzialità, che però in alcuni frangenti restano in parte inespresse. Per quanto non faccia ufficialmente parte dell’universo di Arkham, il paragone con la serie di Rocksteady è inevitabile considerata la quantità enorme di similitudini. Resta purtroppo inoltre l’amaro in bocca per il frame-rate limitato a soli 30 fps, non quello che ci si aspetta da un titolo di nuova generazione improntato su azione e combattimenti. Questo non significa tuttavia che il gioco non sia valido, anzi, riesce comunque a divertire parecchio e resta un acquisto consigliatissimo ai fan della Bat-famiglia, grazie soprattutto ad una buona storia che riesce a tenere incollati allo schermo. La speranza è quella di vedere un sequel che possa rendere giustizia alla solida base gettata con questo primo capitolo. Insomma, se volete menare le mani nell’universo del Cavaliere Oscuro, questo Gotham Knights senza dubbio vi garantirà diverse ore di sano divertimento.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8

Gameplay: 8,5

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise