Alitosi: rimedi e consigli per un problema comune

Sono molti coloro che si accorgono di soffrire di un alito particolarmente sgradevole: le cause che determinano questo disturbo sono svariate. Ecco perciò un’attenta panoramica sull’alitosi e sugli aspetti principali ad essa legati.

 

Che cos’è l’alitosi e quali sono i sintomi?

L’alitosi non è altro che un cattivo odore che viene emanato dalla bocca attraverso l’atto respiratorio. Si tratta di una condizione che può diventare problematica soprattutto da un punto di vista relazionale. Le cause che determinano questo odore forte e talvolta molto acre proveniente dalla bocca sono diverse: si va dall’ingestione frequente di alimenti dall’odore forte come cipolla e aglio, ad esempio, fino ad arrivare ad una cattiva igiene orale. Infatti la bocca può diventare ambiente particolarmente propizio per lo sviluppo di microorganismi che durante il ciclo vitale portano alla formazione di odori cattivi. Anche abitudini malsane che si portano avanti nel corso della propria vita possono incidere negativamente sull’alito. Motivo per cui i fumatori tendono a soffrire maggiormente di alitosi così come coloro che fanno un consumo eccessivo di bevande alcoliche.

 

I migliori rimedi da utilizzare contro l’alitosi

Bisogna tener presente che porre rimedio a questo problema è possibile. Innanzitutto si possono considerare i rimedi di case farmaceutiche come Giuliani, che offrono diversi prodotti per l’alitosi che vanno a risolvere il problema direttamente a livello gastrico.Proprio questo fa sì che tali prodotti siano particolarmente efficaci per quanto concerne l’alitosi, perché vanno ad agire alla radice del  problema. Ma è bene considerare anche dei rimedi naturali efficaci per avere un alito più pulito come l’utilizzo di olio essenziale dell’albero del tè o anche i chiodi di garofano. Così come si possono annoverare tra le migliori soluzioni naturali per l’alito cattivo anche erbe digestive, decotti a base di erbe, colluttori naturali a base di olii essenziali e il té verde oppure quello nero.

 

Prevenzione dell’alitosi: come fare

Prevenire è meglio che curare, dice un famoso adagio popolare. La cosa migliore  sempre evitare che compaia l’alitosi: per questo è bene adottare alcune buone abitudini. A partire dalla maggiore igiene orale necessaria per fare in modo che la bocca sia sempre pulita. Bisogna fare attenzione che la bocca sia ben pulita in ogni angolo, così da evitare che possano annidarsi batteri ed altri microrganismi molto pericolosi per la salute. Così come anche il bicarbonato di sodio è una sostanza che può essere usata per la pulizia della bocca. Questo può essere applicato direttamente sullo spazzolino o anche come collutorio in acqua, facendo attenzione comunque a non ingerirlo. Senza dimenticare che ci sono anche delle soluzioni attraverso la dieta che permettono di avere sempre un alito piacevole: ad esempio, bere molta acqua ed ingerire alimenti a base di vitamina D come il pesce può essere la soluzione giusta contro la formazione di batteri alla bocca.




Sicilia, ipotesi soppressione dei PIP di Lipari e Mistretta: la Cisl-FP lancia l’allarme sanità

MESSINA – La sigla sindacale Cisl FP con una nota indirizzata al commissario dell’ASP5 di Messina denuncia ancora una volta disagi e disservizi presso l’ospedale di Mistretta. In particolare il sindacato accende i riflettori sulla questione inerente il medico responsabile dell’ambulatorio di endoscopia digestiva che è stato trasferito presso altro servizio.

L’ambulatorio in oggetto svolge attività per esterni e per i pazienti ricoverati presso l’ospedale di Mistretta, gli stessi pazienti vengono presi in carico e sottoposti a visite di controllo periodico. Attualmente scrive il sindacato i pazienti ricoverati presso il PO amastratino che devono essere sottoposti all’esame di endoscopia digestiva devono essere trasportati presso altra struttura con relativo impegno di risorse. La sospensione di detto ambulatorio crea, inoltre, ulteriori disagi alla popolazione di un intero territorio. La Cisl FP chiede quindi al commissario dell’ASP5 un intervento atto al ripristino dell’ambulatorio di endoscopia digestiva, nelle more di risolvere definitivamente la problematica viene chiesta l’attivazione di almeno due accessi settimanali con le modalità ritenute più opportune.

Altri problemi vengono segnalati inoltre presso gli ambulatori di: ortopedia, urologia, reumatologia, dermatologia, pneumologia, medicina dello sport ecc… questi ambulatori di questo distretto sanitario risultano soppressi o insufficienti, pertanto nell’ottica di una riorganizzazione degli ambulatori specialistici dei poliambulatori di Mistretta e Santo Stefano di Camastra la Cisl FP chiede al commissario un incontro per poter esplicitare le problematiche in essere. Inoltre sempre la Cisl PF con un’ulteriore nota indirizzata questa volta al commissario e al direttore sanitario dell’azienda sanitaria provinciale vuole attenzionare la problematica concernente la paventata soppressione dei PIP, pronto intervento pediatrico, di Mistretta e Lipari. Il sindacato scrive che l’annunciata soppressione di questi due PIP, pur a fronte del basso livello di produttività di tali strutture, i cui costi dovrebbero essere sostenuti dal bilancio dell’Azienda, rischia di pregiudicare gravemente l’erogazione di un servizio fondamentale per la tutela della salute della popolazione in età pediatrica nelle giornate prefestive e festive, peraltro in zone particolarmente disagiate come Mistretta e Lipari. E, se con le successive delibere è stata prorogata la chiusura dal 30 giugno al 31 dicembre di quest’anno appare evidente, si legge nella nota, che insistano difficoltà oggettive a sopprimere questi PPI che erogano numerose prestazioni e di qualità, di cui circa 1300 nel solo presidio di Lipari, solo per fare un esempio.

Quindi la CISL fp chiede ai destinatari della missiva di voler riconsiderare le decisioni assunte e valutare l’opportunità di individuare alcune tipologie di servizi, preferibilmente non sanitari, da sacrificare all’altare del bilancio aziendale.

Giuseppe Cuva




Nuove droghe: 40mila giovani all’anno finiscono al Pronto soccorso

Dati preoccupanti che descrivono la realtà giovanile dei nostri tempi. Non di tutti ovviamente, ma i numeri e i tipi di sostanze parlono da soli. Cocaina, cannabis ‘rafforzata’ e anfetamine, nelle loro ormai infinite varianti: troppo facili da trovare, troppo ‘democratiche’ per il loro basso costo, troppo difficili da identificare per il continuo mutamento delle formule che le compongono. Sono le nuove droghe psicoattive che fanno ‘impazzire’ i ragazzi, complice anche un cattivo uso del web ed una scarsa educazione in famiglia.

 

Tanto che ogni anno sono 40mila gli accessi nei pronti soccorso psichiatrici per i disturbi causati da tali sostanze. Del fenomeno si è parlato al convegno di presentazione della nuova ‘Carta dei Servizi dei pazienti nelle condizioni cliniche di comorbilità tra disturbi mentali e disturbi da uso di sostanze e addiction (doppia diagnosi)”, organizzato da Federsed (Federazione Italiana degli operatori dei Dipartimenti e dei Servizi delle Dipendenze), SIP (Società Italiana di Psichiatria) e SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza).

La psichiatria chiede dunque aiuto e risorse per supportare le sempre maggiori richieste di emergenza nei più giovani, ma non solo, che giungono ai dipartimenti di salute mentale.

 

Uno studio sui clienti di cinque club romani getta benzina sul fuoco: su 273 utenti di età compresa da 18 e 30anni, il 78% riportava pregresso utilizzo delle cosiddette ‘nuove sostanze psicoattive’ (NPS), mentre l’89% riportava utilizzo corrente di cocaina. “La comorbilità fra un disturbo mentale e un disturbo da uso di sostanze usualmente definita come condizione di ‘doppia diagnosi’ – spiega il presidente Sip Bernardo Carpiniello – rappresenta un’evenienza particolarmente frequente”. I numeri, precisa inoltre Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze al Fatebenefratelli-Sacco di Milano, “dicono che nell’ambito dell’urgenza psichiatrica serve intervenire molto in fretta. I servizi devono essere impostati e coordinati per rispondere alle nuove emergenze e nuovi bisogni”. Le conseguenze di tale comorbilità sono gravi, talora drammatiche. Aggiunge Mencacci: “Peggior decorso e minore risposta ai trattamenti sia del disturbo psichico, sia dell’uso di sostanze, maggiore rischio di suicidio e di comportamenti violenti, incrementato rischio di patologie fisiche, di complicanze legali, e di deriva sociale (disoccupazione, divorzi e separazioni, stigmatizzazione ed emarginazione). Per questo la Società Italiana di Psichiatria, attraverso la sua Sezione Speciale SIP-Dip (Società Italiana di Psichiatria delle Dipendenze) da anni si batte per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e gli enti governativi e regionali su tali problemi, per la formazione degli operatori e la promozione di studi e ricerche, ma soprattutto per un cambiamento profondo dell’organizzazione sanitaria attuale, che affida il settore della cura dei disturbi mentali e dei disturbi da uso di sostanze a servizi separati ed indipendenti, quasi sempre operanti in modo scollegato fra di loro”.

Marco Staffiero




Roma, ospedale Fatebenefratelli: barista contagiato da tubercolosi

ROMA – Ancora un caso di tubercolosi (Tbc), il settimo in poco più di quattro mesi, all’ospedale Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina, a Roma. Questa volta a differenza dei sei precedenti casi di tubercolosi non si tratta di un sanitario, bensì di un uomo che lavora nel bar dell’ospedale per conto di una società esterna, secondo quanto si apprende. La persona contagiata, di circa 35 anni, avvertendo dei sintomi ha svolto tutti gli esami anche radiologici e la tomografia assiale computerizzata (tac), che hanno confermato la diagnosi di tbc.

 

E’ stato messo in isolamento in attesa di un posto all’ospedale Spallanzani di Roma, specializzato in malattie infettive. I sei casi precedenti hanno riguardato medici e infermieri di prima linea, in reparti come il pronto soccorso o la breve osservazione, compresa una studentessa impegnata nel tirocinio. Finora uno solo dei sei – tutti asintomatici, a differenza del settimo – é evoluto in tbc conclamata, ma alcuni restano sotto osservazione. L’ospedale ha sempre negato una epidemia.

 

“La situazione è sotto controllo. Il caso di sospetta tbc è stato subito messo in isolamento, come da protocollo, e quindi trasferito in altra struttura specializzata nella cura delle malattie infettive. Stiamo monitorando e gestendo il focolaio dei casi di infezione fin qui registrati e stiamo mettendo in atto le misure preventive contro il rischio di trasmissione a pazienti e a operatori”. Lo afferma il Fatebenefratelli sui casi di contagio da tubercolosi all’ospedale dell’Isola Tiberina a Roma, 7 negli ultimi 4 mesi. I primi sei hanno riguardato sanitari impegnati in reparti di prima linea, compresa una studentessa in tirocinio. Il settimo un dipendente del bar interno. “Abbiamo già fatto uno screening massiccio su circa un quarto degli operatori dell’Ospedale partendo dalle aree più a rischio – continua la nota -. Non è escluso che possano essere identificati altri sporadici casi sospetti, individuati precocemente nella fase ancora non contagiosa e che addirittura potrebbero non evolversi mai in malattia”.




Ospedali, spesa farmaceutica: un ‘buco’ di quasi un miliardo di euro

Oltre al degrado più volte denunciato nelle strutture sanitarie e nei vari ospedali del paese, nulla togliendo ai dipendenti, che costretti a lavorare in condizioni davvero disagiate riescono a salvare migliaia di vite umane, c’è un altro grande problema che circonda il settore. E’ sempre in profondo rosso la spesa per l’acquisto di medicinali da parte delle strutture sanitarie pubbliche. Al netto di quella per vaccini e farmaci a carico del cittadino, nel periodo gennaio-giugno di quest’anno si è attestata a 5.714 milioni di euro (il 10,2% del Fondo sanitario nazionale), con uno scostamento rispetto al tetto del 6,89% pari a ben 966 milioni di euro.

 

Quasi un miliardo di disavanzo, dunque, secondo il monitoraggio dell’Aifa sulla spesa farmaceutica gennaio-giugno 2017. Nessuna regione rispetta il tetto per la spesa ospedaliera. Differente è l’andamento della spesa farmaceutica convenzionata a carico del Ssn che – al netto degli sconti, della compartecipazione dei cittadini (ticket regionali e differenza dal prezzo di riferimento) e del pay-back 1,83% versato alle Regioni dalle aziende farmaceutiche – si è attestata a quota 4.220 milioni di euro. Rispetto all’anno precedente, si registra un aumento di 35 mln (+0,8%), ma diminuiscono i consumi, espressi in numero di ricette (299 milioni), dello 0,5% e l’incidenza del ticket, -1%. In particolare, rispetto al tetto programmato per la farmaceutica convenzionata si registra un avanzo di 44,8 milioni di euro. Infine, la spesa per i farmaci che rientrano nel Fondo per gli innovativi, oncologici e non, pari a 500 mln di euro. Per gli innovativi non anti-cancro sono stati spesi, al netto del pay-back, poco più di 371 milioni: rispetto al Fondo si è sforato per circa 120 mln. Per i medicinali innovativi oncologici la spesa ha superato quota 187 milioni di euro. Rispetto al Fondo restano 62 mln non utilizzati.

Marco Staffiero




Palermo, Policlinico senza acqua da domenica: intervengono i carabinieri

PALERMO – Da due giorni il Policlinico di Palermo “Paolo Giaccone” è alle prese con problemi di mancanza d’acqua. La grande struttura ospedaliera attende urgentemente alcune autobotti richieste dalla struttura stessa per cercare di rimarginare il disservizio causato da evidenti guasti alle tubature già in corso di riparazione.

Il disagio dei pazienti di alcuni reparti è divenuto insostenibile già dopo diverse ore dalla mancanza dell’acqua indispensabile e il nervosismo appare tangibile tanto da spingerli a segnalare i disagi e il disservizio al GdS. L’acqua che manca da domenica non è necessaria solamente per ragioni igieniche ma serve anche per tutta una serie di analisi cliniche di cui i pazienti ne attendono l’esito.

 

Intervenuti anche i Carabinieri che al momento controllano la situazione. Scontato immaginare come i bagni siano divenuti presto praticamente inaccessibili e come certi rischi possono incombere in aree che devono ovviamente essere igienicamente pulite. Il direttore sanitario dell’ospedale Maurizio Montalbano ha commentato rammaricato: “Sono profondamente indignato da quanto è accaduto e non me ne andrò da questo ospedale fino a quando non avrò scritto una circolare in cui obbligherò sin da subito tutti i reparti di piccola chirurgia a portare attraverso il nostro trasporto di biomateriali i campioni in Anatomia patologica o in qualunque altro luogo”. Nelle prossime ore il problema dovrebbe comunque essere risolto e l’incessante lavoro nella struttura dovrebbe tornare alla normalità.

Paolino Canzoneri




Il fumo: un’ipocrisia di Stato

Il primo a fumare fu un inglese, un tale sir Walter Raleigh, che introdusse Il vizio del fumo e quando il suo maggiordomo lo vide, pensando che stesse per prendere fuoco, gli buttò addosso un secchio di acqua gelata! Fu quella la prima doccia fredda del fumatore di tabacco! Da allora il fumo di sigaretta fu in continua espansione; in Francia, un altro saggio, Jean Nicot, da cui il termine “nicotina”, ebbe l’idea di creare la sigaretta, che al contrario del puzzolente sigaro sembrava più conveniente per le signore, infatti la forma più snella si prestava meglio per il fumo delle donne che non era corretto tenessero in bocca un voluminoso sigaro! Fu dunque creata la più micidiale sigaretta.

 

Guai a provare a fumare la prima sigaretta: ne deriva una dipendenza dal fumo che si instaura in breve, e da cui sarà difficile scostarsi. Pertanto è sulla prevenzione che dovrebbero essere spese le energie! Per dare idea del problema diremo che nel mondo fumano un miliardo e cento milioni di persone; (1/3 della popolazione mondiale sopra i 15 anni) di cui circa trecento milioni in Cina (circa 60% maschi e 10% femmine); la maggior parte di questi si trovano nei paesi in via di sviluppo. Un terzo delle donne fuma nei paesi industrializzati ed un ottavo delle donne fuma nei paesi in via di sviluppo. Il più alto tasso di fumatori maschi è in Corea del Sud (68%), il più alto tasso di donne fumatrici è in Danimarca (37%)

 

Uno dei più grandi conflitti d’interesse per lo Stato Italiano è, da sempre, rappresentato dal Tabacco. L’Italia guadagna il 74 per cento del costo del pacchetto. Inoltre lo Stato incassa anche la percentuale destinata al produttore (16 per cento) nel caso in cui la sigaretta venduta e’ quella prodotta dal Monopolio di Stato. Grazie alle tasse delle sigarette nel 1999 sono entrati nelle casse ben 17 mila miliardi. Il Monopolio di Stato si è trasformato in Ente Tabacchi Italiani (ETI), sempre statale ma che ha avviato alla privatizzazione la struttura della manifattura di Stato. Come dichiarato dagli stessi dirigenti dell’ETI in Italia 14 stabilimenti producevano tanto quanto viene prodotto in un solo stabilimento della Philip Morris in Olanda. Il fatto che il tabacco crei posti di lavoro e’ una teoria che spesso ne legittima l’esistenza. Ben poca evidenza viene data al fatto che il tabacco contiene una droga (la nicotina, catalogata come tale dalle autorita’ sanitarie mondiali più importanti), questa droga andrebbe venduta in farmacia come sostanza stupefacente, che crea dipendenza e induce a fumare oltre alla nicotina una quantità di catrame che provoca la morte a 90.000 persone ogni anno in Italia.

Lo Stato preferisce le entrate immediate (i tabaccai a cui spetta il 10 per cento del costo del pacchetto, pagano settimanalmente alla consegna della merce il prezzo integrale delle sigarette che acquistano) senza tenere conto dei costi sanitari che a lungo termine il vizio del fumo provoca. Tra cure per il cancro, asma, bronchiti e giornate lavorative perse la spesa sanitaria determinata dal fumo ammonta a circa 17.000 miliardi l’anno, che corrisponde piu’ o meno alla cifra che lo Stato incassa con le tasse sulle sigarette.
Eppure l’unica droga di stato, la nicotina, non solo viene accettata ma spesso mitizzata dalle industrie che ne traggono profitto economico. Tra queste industrie c’è ancora il Monopolio di Stato che ha cambiato il nome.

 

Prevenire senza guadagnare Come già detto la libertà del fumatore non può danneggiare la salute di chi non fuma. D’altro canto è lo Stato che ha permesso ai fumatori di sentirsi liberi di fumare, anche nei luoghi chiusi: Durante il secolo scorso era possibile fumare addirittura nelle corsie degli Ospedali. La maggior parte dei politici e i mass-media hanno spinto per decenni le immagini del fumo come una semplice e perdonabile espressione comportamentale umana naturalmente viziosa, mai sottolineandone la dipendenza che provoca, e la gravita’ dello “spaccio” di nicotina da parte dello Stato. Una delle cause di morte in ascesa nel mondo e’ il tabacco, unitamente all’AIDS. La prevenzione deve essere diretta ai giovani. Perché l’82 per cento dei fumatori prende il vizio durante l’adolescenza e il numero di giovani che iniziano a fumare e’ in crescente aumento (fonte: Lega Italiana Contro i Tumori).
L’ufficio VI del Dipartimento della Prevenzione, che riceve per conoscenza le segnalazioni del Ministero delle Finanze al Comando Generale della Guardia di Finanza, circa le infrazioni alla norma di divieto della pubblicità dei prodotti di tabacco, anno per anno, non ha visto affluire al suddetto capitolo somme che permettessero negli ultimi anni, la realizzazione di specifiche attività di ricerca e prevenzione.

Questa non e’ ipocrisia di Stato, ma qualcosa di inclassificabile.
1- Si promulga una legge secondo la quale la pubblicità diretta e indiretta ai tabacchi è vietata per legge.
2- Si prevede che la prevenzione e la ricerca per la lotta al tabagismo debba finanziarsi con le sanzioni pecuniarie che dovrebbero essere pagate dai trasgressori. Ci sarebbe già molto da obiettare sul fatto che la prevenzione venga cosi’ poco programmata dal Ministero, facendola dipendere da una variabile esterna e non da una seria programmazione.

 

La faccenda andrebbe interpretata cosi’: chi pubblicizza paga affinchè lo Stato possa controbilanciare. Qualcosa non torna. Le scritte delle sigarette compaiono insieme alle immagini, a colori, dei danni che il fumo provoca, tale prevenzione viene pubblicizzata dallo stesso Stato che vende e pubblicizza anche la sostanza. Le multinazionali del tabacco sponsorizzavano, fino a qualche anno fa, uno degli sport più popolari e seguiti dai giovani, la Formula Uno. Si dice che per diritto di cronaca non si può fare a meno di trasmettere i gran premi. Scavando nella storia abbiamo la sensazione che ci siano troppi interessi. La legge viene presa in giro da quasi tutti i mass-media. Rai in primis,in quanto TV di Stato, tanto per stare al detto: “Se la cantano e se la suonano”.

Troviamo negli archivi della RAI una trasmissione celebrativa sulla Ferrari condotta da Bruno Vespa. Che avrebbe dovuto rispettare una legge italiana e non quella di mercato e chiedere di eliminare dalle Ferrari, da tutto (perchè era ovunque) il marchio “Marlboro”. Certe apparizioni televisive servono soprattutto per il bene degli sponsor, evidentemente. Sprezzanti della legge italiana. O può essere anche in questo caso al diritto di cronaca? La Philip Morris, padrona del marchio “Marlboro”, rappresentava lo sponsor principale della casa di Maranello?
E come giustificare i giornali che “facendo cronaca” inseriscono sempre foto dove sono bene in vista i marchi di sigarette? Basterebbe poco per evitare questa sponsorizzazione “indiretta”.
D’altro canto le multinazionali del tabacco hanno da sempre attivato raffinate campagne marketing al fine di mitizzare il fumo, per renderlo un comportamento umano “figo”, da adulto, utilizzando i miti del cinema e dello sport.

Oggi, si cerca di “mettere le pezze a colori”, in tutti i sensi. Stiamo assistendo ad un meccanismo indiretto di “smitizzazione” del fumo, il quale viene oggi osannato e fatto sembrare pari alla peste nera, mentre lo Stato continua comunque a guadagnare grazie a chi la dipendenza la ha ancora radicata. Questo mercato nel mondo è complesso e variegato: ogni nazione ha le proprie leggi che ne regolano il commercio, la distribuzione e la vendita. Ogni fumatore può trovare il tabacco che più gli piace tra migliaia di referenze ed etichette, così da soddisfare i propri gusti personali, insomma esistono le etichette a colori che rappresentano i rischi, ma rimane una presenza importantissima per i fondi Statali. Padronissimo, ognuno di noi, di voler fumare e quindi diventare impotente, o insomma vedersi ridotta la potenza. Ma non padrone di fumare in auto con minori. L’impotenza, o la minor potenza, degli adulti è una loro scelta, ma la potenza dei minori è un loro diritto. Per non parlare dei feti. Ormai sappiamo che i feti, mesi prima di nascere, sentono la musica che la madre ascolta, gli americani dicono di aver perfino registrato all’ecografia che se sentono musica rock i nascituri muovono i piedini, mentre se sentono musica classica muovono le mani. È stato affermato che, se prima di nascere hanno sentito più volte una canzone e dopo nati la risentono, ebbene, la riconoscono. Sarebbe molto bello se fosse vero. Ma comunque, è bruttissimo che appena nati sentano il sapore di fumo che hanno sentito prima di nascere. La madre incinta non fuma, se ama il figlio che verrà. E dopo non fuma, se ama il figlio appena venuto. E in presenza di una donna incinta non si fuma. Si potrebbe andare avanti: neanche in presenza di figli in età infantile o minorenni. In treno è assurdo che si fumi nelle toilette, dove il fumo impregna l’abitacolo indelebilmente. Adesso le scritte sui pacchetti saranno più chiare: «Il 90% del cancro ai polmoni è dovuto al fumo», «Il fumo può uccidere il feto», «Il fumo causa ictus», segue foto del fumatore in carrozzella. Capirei se fosse una campagna che l’Organizzazione Mondiale della Sanità rivolge ai venditori di sigarette. Ma è una campagna dello Stato, venditore monopolista di sigarette. Allora, perché le vende? La risposta è semplice: Per un tornaconto economico. Se ogni fumatore lo capisse, sarebbe più ricco e sicuramente avrebbe una percentuale di mortalità inferiore.

Giulia Ventura

 

 




Sanità pubblica, medici allo stremo delle forze: il vero problema sono le assunzioni

Le assunzioni, il vero problema della sanità. Le conseguenze? Lentezza dei servizi, già di fatto macchinosi e farraginosi, medici allo stremo delle forze e dell’attenzione. Un caso che abbiamo riscontrato all’ospedale San Giuseppe di Marino, in provincia di Roma nella zona dei Castelli Romani, è quello che riguarda il settore del diabete. Una patologia che desta più di 2.500 decessi l’anno (dato ISTAT) e che colpisce più di 3 milioni di italiani. Anche se il reparto presenta rapidità ed efficienza rispetto alle lunghe attese dei comuni ambulatori, siamo andati a controllare come, secondo il Piano Regionale Malattia Diabetica, si prevede, per strutture di terzo livello – specializzate –, l’orario di apertura che comprende 6 giorni settimanali inclusi due pomeriggi. Il problema è che alla teoria non seguono concretamente i fatti, dato che deve essere rivisto concretamente il numero del personale per una struttura che propone anche i day-hospital. È proprio alla carenza di personale che si riferisce Natale Di Cola, segretario della Fp CGIL Roma, il quale fa presente come negli ultimi 10 anni si siano perse circa 11.500 unità lavorative nel Lazio e durante il commissariamento circa il 20 percento della forza lavoro nella sanità pubblica.

 

Memorabile lo scontro a marzo 2017 tra il ministro della sanità Lorenzin ed il Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. Questo ultimo dopo avere apposto la firma ad un decreto che prevedeva 35mila assunzioni nel settore della sanità pubblica (circa 17.000 l’anno), è stato attaccato dalla ministra che invece pianificava l’assunzione di soli 400.

 

I fondi la causa del diverbio: una delle conseguenze che derivano dalla mancata risposta della sanità pubblica laziale da circa 20 anni è la sua privatizzazione a modello statunitense. È chiaro, ad oggi, che il prezzo di un ticket è di poco inferiore al costo di una visita privata. Spese concorrenziali alle quali si aggiungono costi di assicurazioni, che non fanno altro se non traghettare i pazienti pubblici verso istituti privati (sempre secondo le linee di efficienza e rapidità dei servizi).

 

Ma non solo. Anche i giovani medici oggetto di concorsi pubblici senza fine: si inizia rientrando in graduatoria e se si riesce ad essere assunti inizia una carriera tutta a tempo determinato per l’acquisizione fondamentale dell’esperienza con rimbalzi da un ospedale all’altro al ritmo di circa 8 mesi dopo i quali si viene trasferiti (si registrano casi anche di 13 anni). Se invece si è già inseriti nel mondo del lavoro medico e si prospetta un avanzamento di carriera, interviene la lentezza burocratica. Infatti i risultati del bando interno delle unità lavorative della ASL impiegano un iter di circa 10 mesi tra pubblicazioni e promozioni.

 

Insomma un rimbalzo di responsabilità senza una fine, od almeno una fine serena. La medicina e la sua applicazione concreta nella piccola realtà personale è uno dei cardini indispensabili della società moderna. Ma perché essa possa essere efficiente e veloce necessità di due prerogative: esperienza e nuova forza lavoro. Le due corrono di pari passo, senza la seconda non ci ci può essere la prima e viceversa. Compito delle istituzioni secondo l’articolo quarto della Costituzione è rendere affettivo il diritto al lavoro che si prefigge come fine il bene materiale e spirituale della comunità. In tal caso bisogna garantire ai giovani medici ed infermieri la possibilità di avere un lavoro solido che permetta perciò la formazione di una necessaria esperienza allo scopo non già di un bene personale quanto della società intera.

Gianpaolo Plini




Smartphone: attenzione allo stress visivo digitale

Le nuove generazioni arrivano a posare lo sguardo sullo smartphone fino a 80 volte al giorno

 

Nell’epoca in cui viviamo si affaccia ogni tipo di frenesia e qualsiasi forma di ansia. Ci mancava lo stress visivo digitale. Ad oggi è uno dei disturbi più frequenti in particolare tra le nuove generazioni, che arrivano a posare lo sguardo sullo smartphone fino a 80 volte al giorno. Chiamata anche ‘sindrome da visione al computer’, si tratta dell’affaticamento causato dall’uso prolungato di schermi elettronici. Zeiss, gruppo tecnologico attivo nei settori dell’ottica e dell’optoelettronica, in occasione della Giornata mondiale della vista, promossa dall’Organizzazione mondiale della sanità e dall’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità-Iapb, fa luce su questo nuovo fenomeno, evidenziando le cause e proponendo rimedi efficaci per affrontare al meglio lo stress visivo. Per salvaguardare la vista si consigliano dunque una buona notte di sonno, impacchi refrigeranti e ginnastica oculare.

 

Le piccole pause sono il rimedio migliore per far riposare gli occhi. Gli esperti suggeriscono la ‘regola del 20-20-20’: osserva un oggetto a 20 metri per 20 secondi ogni 20 minuti. Inoltre è importante seguire uno stile di vita sano, trascorrendo del tempo all’aria aperta. Fra gli alleati della vista c’è il succo di mirtillo, ricco di antiossidanti. Mentre le cattive abitudini alimentari, con scarso apporto di calcio, vitamine e minerali, possono favorire la progressione di problematiche oculari.

 

Non va sottovalutata la luce solare: con le giuste precauzioni e protezioni, aiuta a sviluppare meglio il bulbo oculare.Lo stress visivo digitale coinvolge spesso chi trascorre più di 7-8 ore al giorno davanti a uno schermo e, solitamente, i primi sintomi si manifestano da uno a 3 anni dopo l’esposizione. I nostri occhi oggi devono imparare a gestire nuovi intervalli di spazi per abituarsi alla distanza alla quale teniamo i dispositivi digitali, che è inferiore rispetto a quella di un giornale o un libro. Sono sempre più costretti a mettere a fuoco diverse distanze e questo mette in grande difficoltà il muscolo ciliare e il cristallino, che devono continuamente adattarsi per assicurare una visione nitida.

 

A partire dai 30 anni questi sforzi possono provocare la sindrome da visione al computer, come la chiamano gli esperti. E’ importante quindi conoscerne i sintomi per proteggere la vista. Nella scelta delle lenti, delle montature e dei trattamenti, proseguono gli esperti, è sicuramente fondamentale una consulenza approfondita da parte dell’ottico. Per limitare lo stress visivo provocato da dispositivi digitali e bloccare la luce blu che ne deriva, Zeiss ha sviluppato lenti in grado di assicurare una visione confortevole in linea con il ‘comportamento visivo digitale’, in grado di supportare gli occhi durante l’utilizzo di smartphone e altri device elettronici. Per identificare la migliore soluzione possibile, è fondamentale avere cura dei propri occhi non solo nella Giornata mondiale della vista, ma durante tutto l’anno. Visite oculistiche periodiche in centri specializzati, abbinate all’utilizzo di soluzioni adeguate e uno stile di vita sano, vengono proposte come la ricetta ideale per assicurare un benessere visivo duraturo.

 

Da non sottovalutare un altro fondamentale fattore quello legato alle onde elettromagnetiche. Le onde elettromagnetiche della telefonia mobile e del Wi-Fi sono una struttura composta da microonde e da radiofrequenze. Sono stati misurati livelli allarmanti di radiazioni nelle vicinanze di router Wi-Fi, dei punti di accesso Wi-Fi e di computer portatili connessi al Wi-Fi: ad esempio a 2 metri di distanza sono stati riportati livelli fino a 3.000 μW/m², a 0,2 metri di distanza da un router Wi-Fi invece 8,8 V/m = 205,000 μW/m², mentre da un punto di accesso Wi-Fi sono stati misurati 7,5 V/m = 149,000 μW / m². Un accreditato studio internazionale ha poi misurato 27,000 μW/m² a 0,5 metri di distanza da un computer portatile. Secondo ‘Le Linee Guida della Building Biology Evaluation’, questi livelli (oltre 1.000 μW/m²) sono classificati come una “estrema preoccupazione. Perché? Ciascuna di queste frequenze comporta una tossicità perché stimola la produzione di radicali liberi, interferisce con i geni responsabili della vitalità cellulare e interferisce con il corretto funzionamento di diversi organi, come il sistema nervoso centrale e quello riproduttivo. L’interazione di queste frequenze con i sistemi viventi è grave quando avviene a basse dosi a causa della loro pulsazione, causa di un costante cambiamento di potenziale elettrico a livello cellulare. Sulla presenza ubiquitaria del segnale Wi-Fi va chiarito che, anche se non lo si utilizza, essendo un segnale sempre attivo, continua ad irradiare continuamente coloro che i quali, ignari o meno, si trovano sul suo raggio d’azione, indipendentemente da una connessione in Internet o di una trasmissioni dati attraverso telefonini cellulari, smartphone, computer collegati senza fili o tablet.

Marco Staffiero

 




Roma, Fatebenefratelli: cinque dipendenti con tubercolosi

Cinque casi di Tbc si sono verificati negli ultimi mesi tra il personale dell’ospedale Fatebenefratelli a Roma. Si tratta di operatori, a quanto si è appreso da fonti sanitarie, che lavorano nelle zone di ‘front office’ dell’ospedale come ad esempio il pronto soccorso, lì cioè dove questo tipo di infezione si presenta più facilmente tra i pazienti in accesso. “Il numero dei casi è estremamente circoscritto – fa sapere l’ufficio stampa dell’ospedale Fatebenefratelli – e si sono palesati per effetto dello screening periodico di sorveglianza sugli operatori sanitari. Certamente non si può parlare di epidemia”.

La tubercolosi o tisi o poriformalicosi, in sigla TBC, è una malattia infettiva causata da vari ceppi di micobatteri, in particolare dal Mycobacterium tuberculosis, chiamato anche Bacillo di Koch.

Considerata fino agli anni 50 una malattia grave, invalidante e alla lunga mortale se non tempestivamente diagnosticata e curata, divenuta oggi nei paesi occidentali più facilmente diagnosticabile e curabile, la tubercolosi attacca solitamente i polmoni (tubercolosi polmonare), ma può colpire anche altre parti del corpo (tubercolosi extrapolmonare). Si trasmette per via aerea attraverso goccioline di saliva emesse con la tosse secca. La maggior parte delle infezioni che colpiscono gli esseri umani risulta essere asintomatica, cioè si ha un’infezione latente. Circa una su dieci infezioni latenti alla fine progredisce in malattia attiva, che, se non trattata, uccide più del 50% delle persone infette.

I sintomi classici sono una tosse cronica con espettorato striato di sangue, febbre di rado elevata, sudorazione notturna e perdita di peso. L’infezione di altri organi provoca una vasta gamma di sintomi. La diagnosi si basa sull’esame radiologico (comunemente una radiografia del torace), un test cutaneo alla tubercolina, esami del sangue e l’esame microscopico e coltura microbiologica dei fluidi corporei. Il trattamento è difficile e richiede l’assunzione di antibiotici multipli per lungo tempo. La resistenza agli antibiotici è un problema crescente nell’affrontare la malattia. La prevenzione si basa su programmi di screening e di vaccinazione con il bacillo di Calmette-Guérin.

Si ritiene che un terzo della popolazione mondiale sia stata infettata con M. tuberculosis, e nuove infezioni avvengono ad un ritmo di circa una al secondo. Nel 2007 vi erano circa 13,7 milioni di casi cronici attivi e nel 2010 8,8 milioni di nuovi casi e 1,45 milioni di decessi, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Il numero assoluto di casi di tubercolosi è in calo dal 2006 e di nuovi casi dal 2002. Inoltre, le popolazioni dei paesi in via di sviluppo contraggono la tubercolosi più facilmente, poiché hanno spesso un sistema immunitario più compromesso a causa degli alti tassi di AIDS. La distribuzione della tubercolosi non è uniforme in tutto il mondo, circa l’80% della popolazione residente in molti paesi asiatici e africani risultano positivi nei test alla tubercolina, mentre solo il 5-10% della popolazione degli Stati Uniti è affetta.




Tubercolosi, allarme nelle carceri: uno straniero su due positivo al test

Circa 20.000 i detenuti stranieri presenti, che rappresentano il 34,5% di tutti i detenuti. Oltre il 50% di questi risultano positivi al test alla Tubercolina che indica un pregresso contatto con il bacillo Tubercolare. Queste persone non presentano una malattia attiva, ma sono a rischio di svilupparla in caso di forti stress in grado di ridurre l’efficienza del proprio sistema immunitario.

 

IL CONGRESSO –  Questi alcuni dei preoccupanti dati presentati a Roma al Congresso della SIMSPe, patrocinato dalla SIMIT – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali: oltre 200 specialisti riuniti in occasione della XVIII Edizione del Congresso Nazionale SIMSPe-Onlus ‘Agorà Penitenziaria’. Un confronto multidisciplinare, tra medici, specialisti, infettivologi, psichiatri, dermatologi, cardiologi, infermieri, organizzato insieme alla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT.

 

L’ALLARME TUBERCOLOSI – I dati SIMSPe sui detenuti in Italia risultati Tubercolino positivi, indicano un rischio che è 5,7 volte superiore per chi ha avuto precedenti detenzioni, 4,9 volte superiore per gli stranieri, 3,8 volte superiore per i detenuti di età superiore a 40 anni. La detenzione e’ un’occasione straordinaria per il controllo clinico, l’educazione sanitaria e le eventuali profilassi o terapie delle malattie infettive e segnatamente della Tubercolosi, eventualmente diagnosticate.

 

I NUMERI DELLE CARCERI – In Italia sono presenti 38 case di reclusione, 161 Case Circondariali, 7 Istituti per le misure di sicurezza. I detenuti presenti, a maggio 2017, sono 56.863, con un esubero di quasi 7mila posti rispetto ai 50.069 regolamentati. Le donne sono 2.394 (4,2 %), gli stranieri 19.365 (38,67%).  Secondo le ultime stime disponibili (2012), il 32,8% hanno dai 30 ai 39 anni; il 25,9% dai 40 ai 49 anni; il 21,7% dai 21 ai 29; il 18% dai 50 in su; l’1,6% dai 18 ai 20.

 

Alto il livello di suicidi tra i detenuti:  il numero più alto, nel periodo tra il 1980 e il 2013, si è registrato nel 2001 (70 casi) e nel 2010 (più di 60), con un minimo storico nel 1990 (circa 20). Anche i tentativi di suicidio sono cresciuti e addirittura raddoppiati nell’arco di 30 anni. Nel 2012, ultimo anno osservato, il tasso più alto di tentativi di suicidio, con circa 1300 episodi. Poco meno nel 2010, con circa 1150 casi. Tra il 1980 e il 1990, invece, i numeri oscillano tra i 180 e i 600.

 

LE MALATTIE NELLE CARCERI – Secondo i risultati dello studio multicentrico 2014
(Veneto, Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, ASL Salerno) tra i detenuti, è presente almeno una patologia nel 67.5%  dei casi. I disturbi psichiatrici riguardano il 41.3% della popolazione nelle carceri; le malattie dell’apparato digerente  il 14.5%; le malattie infettive l’11.5%; le malattie cardiovascolari l’11.4%; le malattie endocrine, del metabolismo ed immunitarie l’8.6%; le malattie apparato respiratorio il 5.4%; le malattie osteoarticolari il 5%; le malattie del sistema nervoso il 4%; le malattie  genitourinario il 2,9%; le malattie dermatologiche l’1,8%.

 

L’HIV NELLE CARCERI ITALIANE – La sorveglianza sanitaria in Italia dell’infezione da HIV riesce a raggiungere una copertura nazionale nel 2008.  Da allora al 2015 sono stati notificati 25.677 nuove infezioni. Le persone  sottoposte a terapia antiretrovirale presso i Centri di Malattie Infettive erano nel 2014 91.945Tra le malattie infettive tra i residenti, l’Epatite C riguarda il 54,6% delle diagnosi, l’Epatite B il 15%, l’HIV il 14,5%, la tubercolosi il 4,9%; la sifilide il 3,3%. Il tasso di trasmissione stimato dalle persone HIV+ consapevoli è 1.7/2.4%, mentre quello delle persone inconsapevoli è 8.8/10.8%.

 

È una sfida impegnativa” – prosegue il prof. Babudieri – “si tratta di un quantitativo ingente di individui,  peraltro soggetti ad un elevato turn-over e talvolta restii a controlli e terapie. Un lavoro enorme, di competenza della salute pubblica: senza un’organizzazione adeguata. Pur avendo i farmaci a disposizione, si rischia di non riuscire a curare questi pazienti. La presa in carico di ogni persona che entra in carcere deve dunque avvenire non nel momento in cui questi dichiara di star male, ma dal primo istante in cui viene monitorato al suo ingresso nella struttura. Questa nuova concezione dei LEA significa che lo Stato riconosce che anche nelle carceri è necessaria un certo tipo di assistenza. Fino al 2016 non c’era alcuna regola: questa segnale può essere un grande progresso”.