Covid, casi in aumento: arrivano le varianti “EG.5” e “Eris”

Anche se la pandemia può sembrare un ricordo lontano, almeno per molti, il Covid continua a diffondersi con nuovi casi in aumento a causa delle nuove varianti del virus.

L’ultima sottovariante di Omicron, chiamata EG.5 è in aumento in Europa dopo essere stata identificata per la prima volta all’inizio dell’anno.

Questo mese l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) l’ha dichiarata “variante di interesse” a causa dell’aumento dei casi a livello globale.

La nuova variante EG.5

EG.5 è una sottovariante di Omicron ed è strettamente correlata ad altre varianti che sono circolate in tutto il mondo. Si tratta di una versione mutata del virus.

EG.5, inserita dall’Organizzazione mondiale della sanità nella lista dei mutanti sotto monitoraggio (Vum), cresce ancora. La variante, segnalata finora in 45 Paesi, fa registrare una prevalenza dell’11,6% a livello globale.

Secondo l’OMS, tuttavia, il rischio per la salute pubblica resta basso, al momento, essendo simile alle precedenti varianti in circolazione. L’Oms ha tuttavia affermato che potrebbe diventare, presto, dominante in alcuni Paesi o a livello globale, causando un aumento dei casi di Covid.

“È chiaro che ha una sorta di vantaggio rispetto alle altre”, ha spiegato Rowland Kao, professore di Epidemiologia veterinaria e Scienza dei dati presso l’Università di Edimburgo.

A Euronews Next ha dichiarato che “non si tratta di nulla di così drammatico”, esattamente come quando la variante originale di Omicron ha iniziato a circolare nel 2021.

Alcuni hanno soprannominato un’altra sotto-variante di EG.5, nota come EG.5.1, “Eris”.

Tutti i sintomi di EG.5. Una variante più aggressiva?

I sintomi di EG.5 sembrano essere simili a quelli di altre varianti, ha dichiarato Andrew Pekosz, professore del Dipartimento di Microbiologia Molecolare e Immunologia della Johns Hopkins University, in un’intervista rilasciata alla scuola di salute pubblica dell’università.

I sintomi comuni includono febbre, tosse, voce rauca, affaticamento, naso che cola, mal di testa o dolori muscolari. Può sembrare un raffreddore, un’influenza o, a volte, una polmonite.

“Non rileviamo un cambiamento nella gravità di EG.5 rispetto ad altre sotto-varianti di Omicron in circolazione dalla fine del 2021”, ha dichiarato, all’inizio di questo mese, Maria Van Kerkove, responsabile tecnico Covid-19 dell’OMS.

Andrew Pollard, professore di Infezioni e Immunità presso l’Università di Oxford, ha dichiarato a Euronews Next che ci sono alcune prove che Omicron e le sue sottovarianti sono meno gravi rispetto ai ceppi precedenti del virus.

Ma, ha detto, questo è “complicato da interpretare perché la popolazione è ora altamente immune al virus e la nostra immunità ci difenderà anche da malattie gravi”.

Quanto sta circolando?

EG.5 si è inizialmente diffusa in Cina, Giappone e Corea del Sud, mentre ora è in aumento in Nord America e in Europa.

In Francia, EG.5 rappresentava il 26% del sequenziamento il 17 luglio, rispetto al 15% della settimana precedente, il che è “coerente con la situazione globale”, ha dichiarato il Public Health France.

Nel Regno Unito, in particolare, EG.5.1 ha registrato il più alto tasso di crescita delle varianti nel Paese e rappresenta il 14% dei casi.

Negli Stati Uniti, EG.5 rappresenta circa il 17% dei casi, più di qualsiasi altra sottovariante di Omicron monitorata, secondo i dati dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC).

“In diversi Paesi in cui la prevalenza di EG.5 è in aumento si è registrato un incremento dei casi e dei ricoveri, anche se al momento non ci sono prove di un aumento della gravità della malattia direttamente associato a EG.5”, ha dichiarato l’OMS nella sua valutazione del rischio della variante.

Bisogna preoccuparsi di queste nuove mutazioni di Covid?

“Più si va avanti, senza che si verifichi un evento importante, più si può, lentamente tornare ad essere tranquilli, grazie alla combinazione di produzione di vaccini e/o immunità naturale. Ma è troppo presto per essere completamente ottimisti e abbassare del tutto la gurdia”, ha detto Kao.

Anche se il Covid-19 diventa come un qualsiasi altra infezione respiratoria stagionale in circolazione, se una variante “porta a un incremento di casi, anche se non in modo catastrofico, il numero di ricoveri ospedalieri, in combinazione con quello che ci si aspetta regolarmente dall’influenza, potrebbe comunque causarci delle difficoltà reali”, ha detto.

Attualmente, i vaccini contro il Covid sono in fase di adattamento per le varianti Omicron XBB che sono vicine a EG.5.

Pfizer e BioNTech hanno richiesto l’approvazione di questi booster all’Agenzia europea per i medicinali nel mese di giugno.

“I vaccini forniscono ancora un’eccellente protezione contro le malattie gravi e la morte causate da tutte le varianti di Covid-19”, ha dichiarato Pollard dell’Università di Oxford.

Le dosi di richiamo riducono il rischio di infezione nei soggetti fragili, anziani o con condizioni di salute che potrebbero peggiorare in caso di infezione”. È probabile che i vaccini attuali forniscano una certa protezione contro questa variante”, ha dichiarato in un’e-mail.

Man mano che i Paesi continuano a sequenziare, continueranno a emergere nuove varianti. Questa settimana gli esperti hanno segnalato un’altra variante che sarebbe emersa in Danimarca e Israele, con ulteriori mutazioni della proteina spike.

Van Kerkove dell’Oms ha sottolineato che il Covid-19 si sta evolvendo e circola in tutti i Paesi.

“Questo fenomeno continuerà ed è a questo che dobbiamo prepararci”, ha detto, esortando i Paesi a continuare a sequenziare e a condividere pubblicamente i dati.




Cancro, la svolta: c’è una pillola per curare tutti i tipi di tumore

Gli scienziati di uno dei più importanti centri oncologici degli Stati Uniti, il City Hope di Los Angeles hanno sviluppato un farmaco in grado di distruggere il tumore ma lasciare intatte le altre cellulare. Il farmaco, frutto di venti anni di ricerca, si chiamerà AOH1996, in onore di Anna Olivia Healy, una bambina morta nel 2005 a soli nove anni, per un tumore infantile.

La dottoressa Linda Malkas, che ha guidato la ricerca, ha incontrato il padre di Anna poco prima che morisse ed è stata ispirata dalla storia della piccola paziente. La pillola è stata studiata per prendere di mira una proteina presente nella maggior parte dei cancri e che li aiuta a crescere e moltiplicarsi nel corpo, l’antigene nucleare di proliferazione cellulare (PCNA), fino a oggi considerata “non controllabile”.

Al momento il farmaco è stato testato in laboratorio su 70 diverse cellule tumorali – dal seno, alla prostata, al cervello, alle ovaie – ed è risultato efficace contro tutti. Tuttavia, se pure i risultati iniziali sono promettenti, gli studi sono stati effettuati solo su modelli cellulari e animali, e la prima fase di sperimentazione sugli esseri umani è appena iniziata. I ricercatori sperano che alla fine possa essere utilizzato assieme ad altre cure o come unica terapia anti-cancro. 




Ospedale San Filippo Neri, recupera l’udito dopo intervento per tumore del nervo acustico

Una delle maggiori casistiche della Nazione per questa équipe multidisciplinare che ha eseguito il trattamento chirurgico con impianto di dispositivo di ultima generazione
 
 
Nella giornata di ieri è stato eseguito con successo da parte dell’équipe di chirurghi dell’orecchio del reparto di otorinolaringoiatria dell’ospedale San Filippo Neri il primo intervento di recupero della funzione uditiva di un paziente operato per tumore del nervo acustico mediante impianto di protesi attiva di ultima generazione.
 
La squadra diretta dal dott. Paolo Ruscito, composta dai dottori Italo Cantore, Paolo De Carli e Francesca Cianfrone, ha effettuato una procedura avanzatissima nel trattamento della sordità completa monolaterale – valida anche in quelle bilaterali – dovuta a deficit di trasmissione del suono da parte della catena ossiculare dell’orecchio.
 
Si tratta di problematiche che si riscontrano nei pazienti precedentemente sottoposti – come nel caso specifico – ad intervento neurochirurgico per tumori del nervo acustico, in esiti di ipoacusie improvvise (infarto dell’orecchio), nelle otiti medie croniche, nelle sordità congenite, traumatiche o dovute ad altre tipologie di cause.
 
L’intervento chirurgico segna il via materiale del progetto congiunto tra l’Otorinolaringoiatria e la Neurochirurgia (diretta dal dr. Mastronardi) della ASL Roma 1. Un percorso integrato multidisciplinare, di fatto attualmente unico in Italia, che prevede l’impiego di dispositivi protesici impiantabili chirurgicamente di ultima generazione e mira alla radicalità del trattamento chirurgico di questi tumori e alla contestuale risoluzione delle problematiche funzionali che ne derivano.
 
Un ulteriore tassello nell’ambito dell’offerta ultra-specialistica delle più recenti tecnologie e metodiche terapeutiche al grande bacino di utenza della ASL Roma 1. Ricordiamo che l’équipe del dott. Ruscito vanta una delle maggiori casistiche della Nazione su queste nuove metodiche, proprio per questo negli ultimi mesi ha partecipato a congressi internazionali, prodotto pubblicazioni scientifiche e ricoperto ruoli rappresentativi per l’Italia in board multicentrici europei.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
ROBERTA MOCHI
CAPO UFFICIO STAMPA
 
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Allarme dell’agenzia Oms: aspartame possibile cancerogeno per l’uomo

L’International Agency for Research on Cancer (Iarc), l’agenzia dell’Oms specializzata nella ricerca sul cancro, potrebbe presto classificare il dolcificante aspartame come “possibile cancerogeno per l’uomo”.

È quanto anticipa la Reuters sul proprio sito citando fonti anonime. 
    L’ufficializzazione della notizia è attesa per il prossimo 14 luglio, quando sarà resa disponibile la monografia Iarc dedicata all’aspartame e la valutazione sarà pubblicata sulla rivista Lancet Oncology.

L’aspartame è uno dei più diffusi dolcificanti in commercio. 
    È presente in numerosi prodotti, dalle bevande a cibi industriali fino ad alcuni farmaci. Una prima valutazione effettuata all’inizio degli anni Ottanta ne aveva confermato la sicurezza definendo la dose massima a 40 mg al giorno per chilo di peso corporeo. 
    A più di 40 anni di distanza giunge oggi la nuova valutazione dello Iarc per decidere sulla capacità della sostanza di favorire lo sviluppo di tumori. Il gruppo di lavoro si è riunito dal 6 al 13 giugno scorsi. Mentre in questi giorni (27 giugno-6 luglio 2023) è in corso la riunione di un diverso gruppo di lavoro Oms-Fao che dovrà decidere la dose sicura per la sostanza. “Le due valutazioni sono complementari”, afferma lo Iarc. “Ecco perché il risultato delle valutazioni sarà reso disponibile insieme”. 
    Il sistema di classificazione dell’agenzia dell’Oms prevede quattro categorie: il gruppo 1 è destinato alle sostanze per cui ci sono sufficienti prove di cancerogenicità; le sostanze inserite nei gruppi 2A (probabile cancerogeno) e 2B (possibile cancerogeno) sono considerate potenzialmente in grado di favorire lo sviluppo di tumori, ma con differenti livelli di forza delle prove scientifiche disponibili. L’ultimo gruppo è riservato alle sostanze per cui non siano disponibili prove di cancerogenicità. 
    Secondo l’anticipazione Reuters, l’aspartame sarebbe stato inserito nella categoria dei ‘possibili cancerogeni’, in cui, al momento sono presenti 322 sostanze.

–  Aziende dolcificanti: L’Associazione Internazionale dei Dolcificanti “nutre serie preoccupazioni per le speculazioni preliminari” sull’opinione dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro “che potrebbero fuorviare i consumatori sulla sicurezza dell’aspartame”. Lo sottolinea in una nota l’Isa, specificando come questo ingrediente sia uno dei più “studiati nella storia” ed è stato dichiarato sicuro da “oltre 90 agenzie per la sicurezza alimentare”. “L’International Agency for Research on Cancer, o Iarc, – spiega Frances Hunt-Wood, segretario generale dell’International Sweeteners Association – non è un organismo per la sicurezza alimentare. Il comitato congiunto Fao e Oms di esperti sugli additivi alimentari dell’Organizzazione mondiale della sanità sta conducendo una revisione completa della sicurezza alimentare dell’aspartame e non è possibile trarre alcuna conclusione fino alla pubblicazione di entrambi i rapporti”. L’aspartame, prosegue il segretario Isa, “è uno degli ingredienti più studiati nella storia, con oltre 90 agenzie per la sicurezza alimentare in tutto il mondo che ne dichiarano la sicurezza, inclusa l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, che ha condotto la più completa valutazione della sicurezza dell’aspartame fino ad oggi”. Per questo Isa, aggiunge, ha “fiducia nel rigore scientifico dell’analisi completa della sicurezza alimentare dell’aspartame condotta da parte del Comitato Congiunto di Esperti Fao/Oms sugli Additivi Alimentari dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e attende con impazienza la pubblicazione completa di tali risultati nelle prossime settimane”. 




Salute dei denti: ogni quanto andare dal dentista

La salute del sorriso è essenziale, prima di tutto perché ci permette di mantenere la funzionalità dei denti e della bocca, fondamentali per mangiare, sorridere, parlare; oltre a questo è importante ricordare che il cavo orale può essere colpito da vari disturbi e patologie, andare dal dentista è una delle pratiche che permettono di mantenerlo in buona salute.

Quante volte dal dentista?

In linea generale, una persona in salute dovrebbe andare dal dentista due volte all’anno, quindi ogni sei mesi. Si parla di soggetti che non presentano problematiche, che quindi si recano dall’odontoiatra per monitorare la salute dei denti e delle gengive e che si sottopongono alla regolare pulizia dal tartaro dentale. Chiaramente ci sono soggetti che necessitano di una maggiore frequenza di visite dal dentista; ad esempio chi indossa un apparecchio ortodontico: può capitare di dover andare dal dentista spesso, anche più volte in un mese. I bambini piccoli, prima dei sei anni, vengono inviati dal dentista dal pediatra, almeno una volta durante la dentizione, successivamente solo quando necessario. Il primo passo per ricordarsi di andare dal dentista con la giusta frequenza consiste nel fissare gli appuntamenti in anticipo. Per esempio trovare un dentista a Roma San Giovanni permette a chi vive nella capitale di sottoporsi a controlli regolari senza troppi problemi.

Quando andare dal dentista

Oltre agli appuntamenti fissati per una visita periodica o per la regolare pulizia dei denti, è possibile trovarsi in situazioni in cui è importante andare dall’odontoiatra. Lo si fa quando si manifestano sintomi di qualsiasi genere ai denti o alle gengive. Appare infatti cruciale, nella cura dei denti, l’intervento tempestivo, non appena si manifestano i primi sintomi e disturbi. Un dente che presenta una variazione di colore, anche solo leggera, una gengiva arrossata o che sanguina, il dolore alla base di un dente o addirittura un gonfiore elevato di una gengiva: tutte queste situazioni dovrebbero portarci a contattare subito il dentista, per fissare un appuntamento. Se le patologie dentali, quali carie e gengivite, vengono prese in tempo è più facile per il dentista curarle in maniera definitiva, senza portare alla perdita di un dente o alla necessità di interventi invasivi. Queste stesse patologie possono infatti divenire più gravi se lasciate indisturbate, fino a sfociare in infezioni alle varie parti dei denti o a problematiche che coinvolgono l’intera bocca.

Quanti italiani vanno dal dentista

Secondo una ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità su tale argomento del 2005 poco meno del 40% degli italiani si era sottoposto a una visita dentistica. Oltre il 75% dei bambini di età inferiore ai 5 anni non era mai stato sottoposto a una visita dal dentista e circa il 10% degli italiani dichiarava di non essersi mai recato dal dentista nel corso della propria vita. Una ricerca molto più recente, risalente al 2019 e agli studi del Consiglio Superiore di Sanità, testimonia che il 51% della popolazione italiana in quell’anno è andato almeno una volta dal dentista. Vi è quindi stato un aumento, anche se, calcolando la lunga distanza di tempo fra le due ricerche, entusiasma poco e mostra quanto il lavoro ancora da fare sia tanto.




Ricerca SLA, Centri NeMO: conoscere la malattia per l’efficacia dei trials clinici

Gli esperti sulla patologia si incontrano per formare i professionisti dei territori alle nuove sfide della ricerca
 
Gli approcci innovativi negli studi clinici sulla SLA; l’attenzione a nuovi biomarcatori per la malattia; l’identificazione precoce dei sintomi sono tra i temi affrontati nel workshop Criticalities in ALS. From disease characterization to clinical trial design. L’appuntamento formativo, dedicato a ricercatori e professionisti sanitari e promosso dai Centri Clinici NeMO, si è svolto presso il Policlinico Gemelli, la sede romana del network nazionale esperto nella cura delle malattie neurodegenerative e neuromuscolari. Solo nell’ultimo anno, la rete NeMO ha attivato 36 studi clinici sulla SLA e preso in carico oltre 2.500 persone con la patologia.
 
Le questioni affrontate dalla seconda tappa del percorso formativo, che ha visto riuniti cinque clinici esperti del network NeMO, colgono le sfide a cui sono chiamate la comunità scientifica e dei pazienti oggi. E dove la ricerca apre a nuovi scenari, l’alleanza del lavoro di rete diventa la risposta che pone la persona al centro del suo progetto di vita.
 
Ed è su questa capacità che si focalizza il contributo della prof.ssa Valeria Sansone, direttore clinico-scientifico del Centro NeMO di Milano e professore ordinario dell’Università degli Studi di Milano, che ha aperto i lavori. Il valore dell’alleanza, infatti, diventa opportunità per traslare l’esperienza costruita su altre patologie neuromuscolari, per meglio approcciare la complessità della SLA, in un momento storico in cui inizia ad esservi un numero crescente di studi clinici farmacologici sulla malattia, fondati su nuovi razionali scientifici.
 
L’urgenza e la necessità è l’identificazione precoce dei sintomi, approfondita dalla dott.ssa Federica Cerri, medico neurologo e referente area SLA del Centro NeMO di Milano. Intervenire tempestivamente è importante non solo nella fase della diagnosi di malattia. Le evidenze scientifiche, infatti, mostrano come una presa in carico mirata e anticipata sia fondamentale nel prevenirne il peggioramento clinico, con un impatto concreto nel migliorare qualità di vita e sopravvivenza. Evidenze che aprono a nuovi scenari di ricerca nel comprendere la SLA come un “processo biologico”, che inizia con una fase presintomatica – definita Mild Motor Impairment – e che è necessario sempre di più imparare a identificare ed interpretare precocemente per essere efficaci anche nei trattamenti di cura. E proprio il percorso di presa in carico mirata deve considerare ogni aspetto funzionale – respiro, nutrizione, movimento e comunicazione – anche come indicatore utile di monitoraggio della malattia, per contribuire dal punto di vista scientifico a comporre i tasselli del puzzle della SLA. Tra questi, il ruolo dei disturbi cognitivo-comportamentali nell’evoluzione della patologia, affrontati dal dott. Emanuele Costantini, medico neurologo del Centro NeMO Ancona. Spesso considerate tardivamente dal punto di vista clinico, le correlazioni della funzione cognitiva con il decorso della SLA sono supportate da un’ampia letteratura scientifica. La sfida sarà comprendere come rendere sempre più misurabile l’impatto di questi sintomi sulla diagnosi e su nuovi trattamenti di cura.
 
E inevitabilmente il riferimento va al farmaco Tofersen per chi ha la mutazione del gene SOD1, approvato da qualche settimana dell’Agenzia regolatoria americana (FDA) e alle ragioni scientifiche che pongono in primo piano il dosaggio dei neurofilamenti quale possibile biomarcatore surrogato di malattia. Tema affrontato dal prof. Mario Sabatelli, direttore clinico del NeMO Roma, area adulti, e presidente della commissione medico-scientifica di AISLA Onlus. Ad oggi la scienza e la pratica clinica evidenziano come nelle persone con SLA vi sia un aumento dei neurofilamenti, proteine che costituiscono una sorta di scheletro delle fibre nervose. A seguito della degenerazione dei motoneuroni i neurofilamenti vengono rilasciati nel siero e nel liquido cerebrospinale della persona ammalata. Il dosaggio dei neurofilamenti nel siero può fornire un contributo importante nella diagnosi precoce e, come nel caso del Tofersen, un supporto di grande utilità per valutare la risposta ai farmaci.
 
In questo contesto, il primo messaggio che emerge è la priorità di porre al centro della relazione di cura la persona e il suo diritto all’autodeterminazione. Una overview presentata dalla dott.ssa Stefania Bastianello, direttore tecnico di AISLA onlus, sugli approcci scientifici e sulla normativa europea e nazionale, a partire dalla L.219/2017 in merito alla Pianificazione Condivisa delle Cure (PCC). Strumenti a sostegno dell’alleanza medico – paziente che permettono alla comunità scientifica e dei pazienti di costruire strategie nuove per far fronte alla complessità della malattia.
 
Nuove strategie di presa in carico, dunque, che cambiano il paradigma della qualità di vita. È questo il tema affrontato dal dott. Riccardo Zuccarino, direttore clinico del Centro NeMO Trento, che chiude i lavori. La SLA costringe, infatti, la persona a ricostruire nuovi contenuti di vita alla luce dell’esperienza di malattia; la risposta clinica allora deve necessariamente partire dalla relazione e dare risposte che ripensino ogni volta ad interventi riabilitativi, adattati alle esigenze specifiche di ciascuno. È guardare al dettaglio del quotidiano con un pensiero creativo, per trovare soluzioni orientate alla ricerca del benessere di ciascuno, come il gesto semplice di riadattare la forchetta per essere portata alla bocca in autonomia. 
 
Con il patrocinio di AISLA Onlus, nell’ambito delle celebrazioni dei suoi 40 anni di attività, di Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Policlinico Universitario Fondazione A. Gemelli, la formazione ha visto gli esperti condividere il valore della continuità tra ricerca e cura per conoscere e cambiare la storia naturale di questa grave malattia neurodegenerativa.



A Padova il primo trapianto con un cuore fermo da 20 minuti

E’ stato eseguito nell’Azienda ospedaliera di Padova il primo trapianto di cuore da un organo che aveva cessato ogni attività elettrica da 20 minuti.

In passato era accaduto che fossero stati eseguiti trapianti con cuore ‘fermo’ da pochi minuti. Ma la legge italiana, in questi casi, prescrive che il prelievo da cadavere possa avvenire solo quando il cuore ha cessato l’attività da almeno 20 minuti.

“Per primi al mondo abbiamo dimostrato che si può utilizzare per un trapianto cardiaco un cuore che ha cessato ogni attività elettrica da 20 minuti” ha detto Gino Gerosa, direttore della cardiochirurgia padovana. Il donatore era un uomo colpito da ‘morte cardiaca’, con contestuali, irreversibili danni cerebrali, da rendere vano ogni accanimento terapeutico.

“Questo risultato straordinario potrebbe portare ad un incremento del 30% nel numero dei trapianti, in un arco di tempo relativamente breve”, ha spiegato Gerosa, che ha guidato l’equipe padovana.  L’operazione è stara effettuata lo scorso 11 maggio, su un uomo di 46 anni, cardiopatico, già operato in età pediatrica, e in lista d’attesa per un trapianto da due anni.

L’importanza dell’intervento è stata sottolineata, nella conferenza stampa di annuncio, anche dal residente della Regione Veneto, Luca Zaia. “Si tratta di una notizia emozionante – ha dichiarato – si apre una nuova pagina di storia sul fronte del trapianto di cuore, risultato di un lavoro di squadra eccezionale portato avanti dalla sanità veneta e da questi medici professionisti di grandissimo spessore”.




Morte in culla, intervista all’ostetrica Bellasio su Sids

In relazione al tragico caso di “morte improvvisa del neonato” (SIDS, Sudden Infant Death Syndrome), avvenuto a Roma (Artena) nella notte tra il 6 e il 7 maggio, Alessandra Bellasio, Ostetrica e divulgatrice sanitaria con quasi 190mila follower su Instagram, fondatrice di UniMamma.it, si è così espressa: “La SIDS (Sudden Infant Death Syndrome) è una condizione tragica che consiste nel decesso entro i primi 12 mesi di vita. Questo disturbo si riferisce a una morte improvvisa e inaspettata che rimane inspiegabile dopo un’attenta valutazione medica e che rappresenta una delle principali cause di morte nei neonati. Il picco del rischio viene raggiunto tra i 2 e 4 mesi di età, in particolare durante l’inverno. Diventa più raro l’insorgere della sindrome dopo i primi 6 mesi. Nonostante gli sforzi degli esperti per comprendere le sue cause, non c’è ancora una soluzione definitiva al problema. Tuttavia, esistono alcune misure per ridurre le possibilità di SIDS, tra le quali: l’adozione della posizione supina, la condivisione della camera ma non dello stesso letto, l’uso di una superficie di sonno semirigida e non inclinata priva di cuscini, paracolpi, peluche o lenzuola sfuse e il mantenimento di una temperatura adeguata nella stanza per evitare il rischio di surriscaldamento. È fondamentale che i genitori siano messi al corrente di tali pratiche, eppure spesso non vengono informati dal personale sanitario e la grande varietà di prodotti per l’infanzia, disponibili sul mercato, contribuisce a creare confusione. In effetti, sebbene sia nota l’inadeguatezza di alcuni accessori per il sonno dei bambini, purtroppo si assiste ancora troppo spesso alla loro promozione come se fossero indispensabili. È dunque fondamentale porre l’accento su questa tematica di primaria importanza che riguarda la sicurezza dei nostri figli e richiede la nostra massima attenzione”.

Alessandra Bellasio – UniMamma Alessandra Bellasio, 37 anni, membro del consiglio direttivo dell’ordine professionale delle ostetriche di Como, Lecco e Sondrio, è consulente certificata a livello internazionale in allattamento (IBCLC), insegnante di manovre di disostruzione pediatrica e divulgatrice sanitaria. Bellasio supporta le donne nel delicato percorso della maternità, durante la gravidanza e nei primi anni di vita del bambino, proponendo videocorsi e consigli pratici attraverso la piattaforma digitale UniMamma, fondata nel 2021, e la pagina Instagram ostetrica_alessandra_bellasio, seguita da 190mila follower. Bellasio è anche nel comitato scientifico dell’ente formativo Mediadream Academy, accreditato presso Agenas, e ha formato oltre 1000 professionisti sanitari in tutta Italia.




Velletri, il ministro Schillaci al Colombo. Nuove prospettive per l’ospedale

Ieri pomeriggio il ministro della Salute Orazio Schillaci ha fatto visita all’ospedale Paolo Colombo di Velletri. Insieme al suo staff, diretto da Marco Mattei, Schillaci è arrivato intorno alle 19, dopo una riunione a Pomezia con alcuni dirigenti sanitari del posto.

Ad attenderlo i dirigenti medici ed infermieristici dell’ospedale, il direttore sanitario della Asl Roma 6 Roberto Corsi e il nuovo commissario straordinario Francesco Marchitelli e l’assessore al Bilancio della regione Lazio, il veliterno Giancarlo Righini.

Il ministro ha visitato il Pronto Soccorso, ha parlato con i medici e i primari dei vari reparti, dopo la visita al reparto di ginecologia, pediatria e al punto nascita chiuso 3 anni fa dalla gestione Zingaretti-D’amato-Mostarda, si è svolta una conferenza stampa nella sala riunioni.

Qui dopo la presentazione dei lavori che inizieranno a breve del “Paolo Colombo”, spiegati dal ds Roberto Corsi, ha preso la parole l’assessore regionale al Bilancio, Giancarlo Righini.

L’assessore veliterno, che ha seguito da sempre, le vicende legate all’ospedale di Velletri ha affermato davanti ai molti operatori sanitari presenti: “L’ospedale, il nostro ospedale, sarà rilanciato. È in programma la riapertura del punto nascita, il potenziamento il reparto di radiologia, che ha macchinari vecchi e obsoleti, un aumento dei posti letto e sono previsti dei lavori di ampliamento e ammodernamento. Questo avverrà, ed abbiamo già firmato tutti gli atti amministrativi, dopo anni e anni di totale abbandono, chiusure di reparti vitali, importanti, come il punto nascita veliterno, che ha visto nascere negli anni migliaia di bambini. Poi chiuso improvvisamente senza reali motivi, solo per una scellerata politica di risparmio sulle spalle dei cittadini inconsapevoli e inermi davanti a tale incapacità di gestione degli anni passati”.

Presenti all’incontro anche il deputato e sindaco di Lanuvio Andrea Volpi, il sindaco di Genazzano Alessandro Cefaro, che è primario di chirurgia a Velletri, altri dirigenti Asl di vari settori e consiglieri comunali dei veliterni e di altri comuni dei Castelli Romani.

A fare gli onori di casa i dirigenti sanitari della struttura, il dottor Ferrante e il dottor Felicetto Angelini, il primario del pronto soccorso Antonio Romanelli, che ha espresso a Schillaci le difficoltà lavorative in cui operano, in una struttura, obsoleta, stretta e angusta, mentre Matteo Orciuoli, coordinatore degli affari generali della Asl Roma 6 ha curato ogni aspetto della visita del ministro.

Orazio Schillaci, al termine della sua lunga visita, ha ringraziato tutti gli operatori sanitari presenti per il grande lavoro svolto durante il Covid e per quello attuale. Ed ha assicurato loro di voler rafforzare i presidi ospedalieri della provincia con lo stanziamento di diversi milioni di euro dal governo alla Regione Lazio, affinché venga valorizzata la professionalità degli operatori e aumentata l’efficienza delle strutture sanitarie con strumenti e macchinari di ultima generazione .

Sono intervenuti anche i primari di vari reparti del Noc, come il professor Fabio Cerza, che dirige l’ortopedia, il dottor Gabriele Maritati della chirurgia vascolare, la dottoressa Diana Di Pietro, dirigente del dipartimento salute mentale, il tecnico delle strutture tecnologiche Daniele Panichelli, il direttore f.f. UOC Ufficio Tecnico e Patrimonio Dottoressa Irene Tagliente, il suo collaboratore geometra Franco Quaranta, la dirigente infermieristica della Asl Roma 6 Cinzia Sandroni, le posizioni organizzative degli altri ospedali del territorio e di Anzio e il direttore del distretto sanitario veliterno dottor Menchini.

Il ministro della salute ha lasciato l’ospedale intorno alle 20.30 per raggiungere piazza Mazzini, dove c’è stato in incontro con alcuni politici locali e con il candidato sindaco del centro destra Ascanio Cascella. L.S.




Roma, “Note di Terapia”, all’ospedale Santo Spirito un concerto con gli allievi di tre Conservatori

Venerdì 14 aprile dalle 10:30 alle 11:30

Gli allievi del Conservatorio di Santa Cecilia, del Conservatorio di Neuchatel e del Liceo Giordano Bruno di Roma insieme per un concerto d’archi per i pazienti del Day Hospital di Medicina interna / Oncoematologia e per tutti i visitatori dell’ospedale e del Borgo.

Venerdì 14 aprile, dalle 10:30 alle 11:30, si terrà il concerto d’archi “Note di Terapia” presso l’Ospedale Santo Spirito di Roma. L’evento è promosso dalla UOC Medicina Interna e vede il coinvolgimento degli allievi del Conservatorio di Santa Cecilia, del Liceo Giordano Bruno di Roma e del Conservatorio di musica di Neuchatel, Svizzera.

Il concerto si terrà in contemporanea in due posti distinti: presso la sala somministrazione DH Medicina interna/OncoEmatologia riservato solo per i pazienti e gli operatori e nel chiostro dei Frati, aperto invece a tutto il pubblico interessato.

L’ensemble musicale è così composto: i sette violini sono suonati dagli allievi del Conservatorio di musica di Neuchatel (Anna Rossier, Hélène De Ceuninck, Anais Moudio, Clara Fumagalli, Mathilde Rusca, Elena Schilli e Elena Moruzzi), la viola da Mariama Coly del Liceo Giordano Bruno di Roma e il violoncello da Angelica Simeoni del Conservatorio Santa Cecilia.

La doppia esecuzione sarà coordinata dai Maestri Francesco Di Donna, Olivier Piguet e Ruggiero Sfregola.

“Dal 2006 seguo l’Orchestra di Santa Cecilia di Roma come medico – dice uno dei promotori dell’iniziativa, il Dott. Agostino Valenti della UOC Medicina Interna dell’Ospedale Santo Spirito – e negli anni ho potuto notare come alcuni musicisti fossero interessati a suonare per i pazienti nei reparti. Nel 2016, insieme al Maestro dell’accademia Ruggiero Sfregola, abbiamo dato il via a questo evento che ha lo scopo di coinvolgere e di intrattenere i pazienti delle terapie oncologiche. Abbiano notato fin da subito come l’iniziativa sia piaciuta e come ci sia stata sempre più adesione. Quest’anno – continua il dott. Valenti – proprio perché sia colleghi, accompagnatori e visitatori in generale, hanno chiesto di poter assistere al concerto, abbiamo deciso di organizzare l’esecuzione in concomitanza sia per le persone che si troveranno nella sala somministrazione del Day hospital di Medicina interna/OncoEmatologia, sia per tutto il pubblico interessato, con accesso libero, nel bellissimo chiostro dei Frati. Siamo molto contenti perché siamo riusciti a coinvolgere anche altre realtà prestigiose come l’Accademia di musica di Neuchatel. E’ molto importante sottolineare anche l’età dei musicisti che hanno aderito, perché sono tutti giovani tra i 20 e 25 anni. Ringrazio quindi la Direzione, il mio reparto, gli allievi e i tre maestri che hanno deciso di sposare questo importante progetto – conclude il Dott. Valenti – perché, come ben sappiamo, la musica è medicina; la musica è terapia.”




Cancro, malattie cardiovascolari e autoimmuni: entro il 2030 i primi vaccini

L’esperienza maturata con i vaccini anti-Covid ha fatto accelerare la ricerca, tanto che l’equivalente di 15 anni di progressi sono stati raggiunti in soli 12-18 mesi

Potrebbero arrivare entro il 2030 i primi vaccini al mondo contro il cancro, le malattie cardiovascolari e quelle auto-immuni.

L’annuncio di una prossima rivoluzione nella medicina che permetterà di salvare milioni di vite grazie a vaccini personalizzati è arrivato dall’azienda americana Moderna, in base a quanto riferisce il Guardian.

L’esperienza maturata con i vaccini anti-Covid, precisa Moderna, ha permesso agli studi sui vaccini anti-cancro di far accelerare la ricerca, tanto che l’equivalente di 15 anni di progressi sono stati raggiunti in soli 12-18 mesi.

Secondo il dottor Paul Burton, direttore sanitario di Moderna, l’azienda potrà offrire questi vaccini in appena cinque anni. “I vaccini che arriveranno – spiega Burton – saranno molto efficaci, e salveranno centinaia di migliaia se non milioni di vite. Credo che saremo in grado di offrire vaccini personalizzati anti-cancro contro numerosi diversi tipi di tumore alla popolazione mondiale”.

I vaccini anti-cancro funzioneranno in questo modo: come primo passo una biopsia sulle cellule tumorali identificherà le mutazioni non presenti nelle cellule sane. Successivamente un algoritmo identificherà quali mutazioni stanno determinando la crescita del tumore e sono in grado di attivare il sistema immunitario. Verrà quindi creata una molecola di Rna messaggero (mRna) con le istruzioni per produrre gli antigeni che causeranno una risposta immunitaria.

La mRna, una volta iniettata, si tradurrà in parti di proteine identiche a quelle presenti nelle cellule tumorali. Le cellule immunitarie li incontrano e distruggono le cellule tumorali che trasportano le stesse proteine.