Rosatellum: oggi la legge elettorale approda in senato

La legge elettorale arriva in aula al Senato (l’appuntamento è alle 11) tra le proteste della sinistra, di Mdp e del Movimento 5 Stelle che ieri hanno abbandonato i lavori della commissione Affari Costituzionali che, uno dopo l’altro, col parere negativo di relatore e governo, ha bocciato gli emendamenti presentati al testo. Oggi in assemblea, le proposte di modifica sono circa 200: 48 riguardano le minoranze linguistiche e sono quindi suscettibili di voto segreto. “E’ impensabile affrontare venti/quaranta voti segreti”, ha spiegato il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento Luciano Pizzatti ai giornalisti che gli chiedono se il governo porrà la questione di fiducia sul Rosatellum. “E’ già autorizzata – ha osservato – la decisione è solo politica”.

 

Alla Camera sono stati tre i voti di fiducia, a palazzo Madama potrebbero arrivare a sei, uno per ogni articolo del testo. A quel punto l’unico rischio da evitare è quello della mancanza del numero legale (la metà più uno degli aventi diritto al voto) che, con Fi e Lega (favorevoli al Rosatellum) fuori dal’aula, i partiti che si oppongono alla legge elettorale potrebbero provare a far saltare. Ma gli espedienti per evitare sorprese ci sono: dal soccorso dei 14 senatori di Ala, a un numero consistente di senatori in congedo (il regolamento ne consente fino a 32) o assenti per incarico avuto dal Senato o per la loro carica di ministro che non verrebbero computati per il numero legale. “Dopo aver fatto il massimo sforzo per motivare i nostri emendamenti, abbiamo capito che non ci sono margini di modifica.

 

I primi voti sulle pregiudiziali di costituzionalità presentate da Mdp e pentastellati saranno nel pomeriggio. Speranza: si eviti ulteriore violenza Parlamento L’auspicio è che oggi in Senato sulla legge elettorale si eviti la fiducia, sarebbe un errore gravissimo, una vera violenza nel Parlamento. Bisognerebbe permettere al Senato di discutere”. Lo ha detto Roberto Speranza, esponente di Mdp, ospite di “Circo Massimo” su Radio Capital. “Noi chiediamo due modifiche essenzial: evitare un Parlamento di nominati, e il voto disgiunt. Questo di oggi è un passaggio decisivo”, ha aggiunto. Sit- in di protesta oggi davanti al Senato “Dopo la forzatura gravissima della fiducia sulla legge elettorale alla Camera, il Pd e il governo non pensino di mettere la fiducia anche al Senato. Sarebbe un atto arrogante e prepotente”. Lo affermano i capigruppo di Sinistra Italiana Giulio Marcon e Loredana De Petris che annunciano la partecipazione dei gruppi parlamentari di Sinistra Italiana, oggi, alla manifestazione contro il Rosatellum, promossa dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, a partire dalle ore 16 nella piazza Corsia Agonale, di fronte a Palazzo Madama. “Il Senato – proseguono i capigruppo di Sinistra Italiana -, deve modificare e migliorare una legge elettorale altrimenti inaccettabile. Una legge che ci consegna un Parlamento fatto di nominati e che toglie ai cittadini la libera scelta di eleggere i propri rappresentanti. Un vero e proprio imbroglio”.

 

70 gli emendamenti presentati dal M5S Sono 70 gli emendamenti depositati in aula al Senato dal Movimento 5 Stelle alla legge elettorale. In sintesi, viene spiegato, sono state ripresentate una serie di proposte emendative di analogo tenore rispetto a quelle già presentate presso la Camera dei deputati. Alcune modifiche hanno come obiettivo quello di ridurre gli effetti delle storture dalla proposta in esame e a cercare di creare contraddizioni nella maggioranza: l’introduzione del voto di preferenza; l’introduzione di una doppia scheda per distinguere l’elezione dei candidati nella parte maggioritaria dei collegi uninominali da quella quelli della parte proporzionale delle liste plurinominali; l’introduzione dello scorporo dei voti che hanno già ottenuto rappresentanza nei collegi uninominali affinché non si violi il principio di uguaglianza degli elettori; l’introduzione del voto disgiunto sulla stessa scheda tra candidati uninominali e liste plurinominali; il divieto delle pluricandidature; l’obbligo per le forze che vogliano unirsi in coalizione di presentarsi agli elettori con lo stesso programma e con un unico leader; la modificazione delle disposizioni speciali sul Trentino Alto Adige (con particolare riguardo al Senato); la previsione di accorgimenti per evitare che i collegi uninominali siano disegnati su designazione del Governo o di limitare la discrezionalità in tale operazione; il divieto di indicare quale ‘capo politico’ chi, in base alle leggi vigenti e quindi anche alla c.d. Legge Severino, non possa essere candidato come parlamentare o che non possa assumere incarichi di governo. Se infatti il ‘capo politico’ è di fatto il candidato a svolgere il ruolo di Presidente del Consiglio, sembra una frode elettorale indicare per questo ruolo chi non può neanche candidarsi a deputato o che comunque non potrebbe assumere quel ruolo per espressa previsione di legge; la previsione dell’esenzione del pagamento del bollo e dei diritti per chi richieda il certificato del casellario giudiziale e del certificato dei carichi pendenti, per favorire la formazione di ‘liste pulite’; proposte varie per garantire la trasparenza e l’affidabilità del voto, sulla base della nostra proposta a prima firma Nesci; come indicato nella parte relativa ai vizi di costituzionalità, la legge è a nostro giudizio gravemente a rischio di incostituzionalità.

Ma data la prossimità delle elezioni non sarà possibile, per mere ragioni di tempo, che la Corte costituzionale si esprima sulla legge prima del voto, con la conseguenza che la sua sentenza potrebbe arrivare nuovamente nel corso della legislatura, producendo nuovamente Parlamento ‘illegittimo’; pertanto non potendo introdurre con legge ordinaria un controllo di costituzionalità vero e proprio abbiamo proposto che sia previsto comunque un ‘parere’ della Corte costituzionale; la soppressione della cosiddetta “norma Verdini” che consentirebbe, un cittadino residente di Italia, di candidarsi in un collegio della circoscrizione Estero.




Salvini: pronti altri referendum

Anche dopo i referendum di Lombardia e Veneto, “c’è una sola Lega che dà speranza a 60 milioni di cittadini italiani. Abbiamo permesso a milioni di persone di votare in maniera pacifica e ordinata, e già ci stanno chiamando e stiamo lavorando per la Puglia, il Piemonte, l’Abruzzo e l’Emilia Romagna. Voglio una politica che spende meno e meglio”. Torna sulla consultazione di domenica il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, parlando a Radio Anch’io.

“Ci sono due milioni e mezzo di veneti che hanno dato mandato per trattare autonomia. Poi quanta autonomia deve arrivare… da persone serie si discute”, si è limitato a rispondere così il leader del Carroccio sullo Statuto speciale chiesto dal Veneto.

Salvini non è entrato nel merito della domanda, prendendosela con “i soliti analisti e giornalisti”. Ma in un altro passaggio del suo breve intervento ha sostenuto che dopo i referendum di domenica “gli italiani devono decidere” se continuare a farsi governare da “un centralismo che ha fallito”, pur restando “nell’ottica dell’unità nazionale”.

“Come Consiglio regionale metteremo a punto una piattaforma rivendicativa per ottenere più competenze e più risorse su tutte le 23 competenze previste. Partirò chiedendo di discutere su tutte”: lo ha detto a Radio Anch’io il governatore della Lombardia, Roberto Maroni. Maroni ha definito “straordinario” il risultato di quasi il 40% di affluenza ottenuto nel referendum in Lombardia.

Quella del governatore del Veneto, Luca Zaia, per lo Statuto speciale “è una proposta che va contro l’unità e l’indivisibilità del Paese”. Lo ha detto il sottosegretario agli Affari regionali, Gianclaudio Bressa, a Radio Anch’io. “Non è una proposta catalana – ha risposto Bressa – ma una proposta che la Corte Costituzionale ha bocciato, e Zaia lo sa”.




Bankitalia, 6 mozioni contro Visco: approvata quella del Pd

Dai 5 Stelle alla Lega, da Scelta civica e verdiniani fino al Pd: è trasversale il fronte che si è creato in Parlamento contro la riconferma alla guida di Bankitalia dell’attuale governatore, Ignazio Visco.

Tutte le mozioni presentate alla Camera e votate nella seduta di martedì scorso, 17 ottobre avevano infatti come obiettivo un cambio al vertice di palazzo Koch. A eccezione di quella presentata da Sinistra italiana che, pur sottolineando ed evidenziando le responsabilità in capo all’Istituto di via Nazionale per la mancata o inefficace azione di controllo, chiede che Visco venga riconfermato per un anno, così da lasciare al nuovo esecutivo il compito di nominare un altro governatore. Tutte le altre mozioni, invece, prendono di mira il ruolo svolto (o non svolto) da Visco, seppur con sfumature e toni diversi, chiedendone di fatto la testa. Anzi, Fratelli d’Italia si è spinto oltre, chiedendone ufficialmente le dimissioni anticipate. Solo la mozione del Pd è stata approvata, le altre 5 – votate per parti separate – sono state tutte respinte dall’Assemblea.

 

L’Aula di Montecitorio ha quindi discusso e votato 6 diverse mozioni: tre di queste, e precisamente quella targata 5 Stelle, quella a prima firma Sinistra italiane e quella della Lega, erano già da tempo calendarizzate. Le altre tre (una di Fratelli d’Italia, e le altre due di Scelta civica e Pd) sono state aggiunte successivamente. Non solo. La mozione del Pd – nella quale non compare mai il nome di Ignazio Visco – ha subito nel corso della seduta una modifica del testo su richiesta del governo (per voce del sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta), riformulazione accettata dai proponenti (la prima firmataria era la deputata dem Silvia Fregolent). Il nuovo testo targato Pd, come è ormai noto, risultava ‘ammorbidito’ dopo l’intervento dell’esecutivo rispetto alla versione originaria, ma la sostanza non cambiava: i dem infatti hanno chiesto al governo l’impegno a “individuare la figura piu’ idonea a garantire nuova fiducia” nella Banca d’Italia.

 

La mozione del Pd In merito alla nomina del governatore di Bankitalia, nel testo si sottolinea che “si tratta di una scelta particolarmente delicata in considerazione del fatto che l’efficacia dell’azione di vigilanza della Banca d’Italia è stata, in questi ultimi anni, messa in dubbio dall’emergere di ripetute e rilevanti situazioni di crisi o di dissesto di banche, che a prescindere dalle ragioni che le hanno originate e sulle quali si pronuncieranno gli organi competenti, ivi compresa la Commissione d’inchiesta all’uopo istituita, avrebbero potuto essere mitigate nei loro effetti da una più incisiva e tempestiva attività di prevenzione e gestione delle crisi bancarie”.

Sempre nella premessa della mozione targata Pd, si aggiunge: “Rilevato che le predette situazioni dl crisi dl crisi o di dissesto hanno costretto il Governo e il Parlamento ad approvare interventi straordinari per tutelare, anche attraverso l’utilizzo di risorse pubbliche, i risparmiatori e salvaguardare la stabilità finanziaria, in assenza dei quali si sarebbero determinati effetti drammatici sull’intero sistema bancario, sul risparmio dei cittadini, sul credito al sistema produttivo e sulla salvaguardia dei livelli occupazionali”, si impegna il Governo “ad adottare ogni iniziativa utile a rafforzare l’efficacia delle attività di vigilanza sul sistema bancario ai fini della tutela del risparmio e della promozione di un maggiore clima dl fiducia dei cittadini nei confronti del sistema creditizio, individuando a tal fine, nell’ambito delle proprie prerogative, la figura più idonea a garantire nuova fiducia nell’Istituto, tenuto conto anche del mutato contesto e delle nuove competenze attribuite alla Banca d’Italia negli anni piu’ recenti”. Dopo l’intervento del governo, scompare la frase: le situazioni di crisi o di dissesto di banche “avrebbero potuto essere mitigate nei loro effetti da una piu’ incisiva e tempestiva attività di prevenzione e gestione delle crisi bancarie”.

 

La mozione del Movimento Cinque Stelle Nel testo dei pentastellati l’attacco a Visco è palese: “a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, nell’ultimo decennio Banca d’Italia non solo avrebbe esercitato un controllo carente su determinate gestioni del credito e del risparmio che hanno rivelato – come accertato da indagini giudiziarie – la sussistenza di condotte in violazione della legge, ma avrebbe anche scelto, per il ruolo di commissari, soggetti considerabili ‘fiduciari’, i quali in alcuni casi sarebbero apparsi soliti portare liquidità di piccoli istituti a banche vicine ai suddetti, invece di risanare quelle loro assegnate; la sopra citata mala gestione del credito e del risparmio avrebbe contribuito a determinare numerosi casi di crac finanziario (ben 7 negli ultimi 9 anni), che avrebbero a loro volta determinato perdite, per risparmiatori, utenti e lavoratori che ammonterebbero a circa 110 miliardi di euro”. Viste le premesse, i 5 Stelle impegnano il governo “in sede di deliberazione sulla proposta di nomina per la carica di Governatore della Banca d’Italia, valutate le circostanze descritte e le relative responsabilità, ad escludere l’ipotesi di proporre la conferma del Governatore in carica, Ignazio Visco”.

La mozione della Lega Il tenore della mozione del Carroccio è molto simile a quelal dei pentastellati, anche se i leghisti parlano più in generale di responsabilità in capo alla “governance” di Bankitalia. La mozione si conclude con la richiesta rivolta al governo di impegnarsi, “tenuto conto delle responsabilità della governance dell’Istituto nazionale nella gestione e nella vigilanza del sistema bancario, a non avanzare, in sede di proposta di nomina del Governatore della Banca d’Italia in scadenza il 1 novembre 2017, la riconferma dell’attuale Governatore, Ignazio Visco”.

 

La mozione di Sinistra Italiana Come spiegato in precedenza, i contenuti di questa mozione si discostano in alcuni punti da quelli degli altri documenti. Pur ammettendo quanto sia “difficile immaginare che chi è istituzionalmente preposto a vigilare non avrebbe potuto evitare l’irreparabile”, Sinistra italiana chiede al governo – visto che “le vicissitudini che hanno segnato il sistema bancario degli ultimi anni stanno accompagnando tutte le discussioni sulla successione al vertice della Banca d’Italia” – di “prorogare di un anno la scadenza dell’attuale mandato del Governatore ed arrivare ad una nomina che abbia la necessaria legittimazione politica e sia, pertanto, espressione di un Parlamento ed un Governo frutto delle imminenti elezioni”. Inoltre, il governo deve “promuovere le necessarie modifiche normative atte a coinvolgere le competenti commissioni di Camera e Senato nel processo di nomina del Governatore della Banca d’Italia”.

 

La mozione di Scelta Civica – Ala La mozione a prima firma Enrico Zanetti chiede sì che non venga riconfermato Visco, ma evidenzia anche il rischio che, “pur di fronte a fatti così gravi e così drammatici, le accuse a scatola chiusa verso fondamentali istituzioni del Paese siano profondamente sbagliate, esattamente come lo sono le difese a scatola chiusa: di qui l’opportunità di aprire la ‘scatola’ mediante il lavoro della Commissione bicamerale d’inchiesta”. Detto questo, Scelta civica e i verdiniani chiedono che il governo si impegni “a favorire scelte di ricambio e non gia’ di conferma nella carica”.

La mozione di Fratelli d’Italia Il testo parla chiaramente delle “responsabilità di Bankitalia dovute alla insufficiente attività di vigilanza e, quindi, alla incapacità di garantire la stabilita’ del sistema bancario e finanziario”. Per questo, FdI chiede l’impegno del governo a “non proporre la conferma del mandato al governatore della Banca d’Italia e ad adottare le iniziative piu’ opportune affinché l’istituto possa svolgere al meglio le funzioni ad esso assegnate, garantendo la tutela del risparmio e tutelando i cittadini”. Nell’intervento in Aula, Walter Rizzetto, deputato FdI, ha chiesto espressamente le dimissioni di Visco.




Referendum per l’autonomia in Lombardia e Veneto: vince il Sì

Vittoria del sì ai referendum per l’autonomia in Lombardia e Veneto. Un risultato che fa esultare la Lega Nord, nonostante i dati evidenzino una netta affermazione nella regione guidata da Luca Zaia rispetto alla Lombardia presieduta da Roberto Maroni, e da sempre ‘cuore’ del Carroccio (60% contro 40% sull’affluenza), L’affermazione dei sì rinsalda anche l’asse con Forza Italia e rafforza l’idea di Silvio Berlusconi che un centrodestra unito possa avere chance di vittoria. Un percorso però da costruire vista la contrarietà di Giorgia Meloni alla consultazione popolare appena conclusa. Esulta anche il Movimento Cinque Stelle da sempre sostenitore della democrazia diretta. Sul piede di guerra invece il Partito Democratico.

In Veneto infatti i Dem invitano Zaia a ricordare che il risultato è frutto anche del loro impegno mentre in Lombardia il Pd evidenzia la scarsa affluenza. Chi si chiama ovviamente fuori dalla polemiche è il governo che con il sottosegretario agli affari regionali Gian Claudio Bressa annuncia di essere “pronto ad aprire una trattativa per definire le condizioni e le forme di maggiore autonomia”. In attesa di capire il timing delle due regioni (Zaia ha convocato la riunione della giunta per domani mattina), la vittoria del sì ha un evidente significato politico. Chi ne può beneficiare è sicuramente Matteo Salvini: “5 milioni di persone chiedono il cambiamento alla faccia di Renzi che invitava a stare a casa”, esulta.

Il leader della Lega, partito che ha fatto dell’autonomia uno dei suoi cavalli di battaglia non a caso parla dunque di “occasione unica”. Ma in ‘casa’ del Carroccio la vittoria del sì riporta sotto i riflettori Luca Zaia che, forte del successo nella sua regione, come uno dei possibili leader per la guida del centrodestra: “Non esiste il partito dell’autonomia, ma dei veneti che si esprimo su questo concetto”, ci tiene a precisare lo stesso Zaia mentre informa che un attacco hacker sta colpendo i siti di raccolta dati. Al di là delle critiche, anche Roberto Maroni si definisce “pienamente soddisfatto per il risultato che arriva al 40%”.

In attesa che il Carroccio faccia i conti con la competizione interna, Silvio Berlusconi incassa il ritrovato asse con la Lega e si prepara al prossimo appuntamento e cioè le elezioni siciliane, altro snodo fondamentale prima delle politiche. Anche gli azzurri, come dice Renato Brunetta, esprimono “grande soddisfazione per il risultato”. Critico invece il partito di Giorgia Meloni. La leader di Fdi nel corso delle settimane passate non ha mancato occasione per prendere le distanze dalla consultazione popolare e dagli alleati: “In una nazione – ribadisce – le riforme costituzionali si fanno insieme e non a pezzi per l’interesse di tutti e non per assecondare l’interesse particolare”.




Visco e Boldrini, inadempienze: istituzioni latitanti e partiti allo sbando

Che sia più inadempiente il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco oppure la presidente (presidenta?) Laura Boldrini non è dato a noi deciderlo. Per stabilire le responsabilità del governatore se ne occuperà un’apposita commissione parlamentare. Sul suo rinnovo si è scatenato uno scontro politico, ma Visco è deciso ad affrontare la commissione e ha già presentato le carte del caso. Comprovare l’inadempienza della presidente (presidenta?) Laura Boldrini resta invece un compito meno macchinoso, senza scomodare costituzionalisti, giuristi e politologi. Qualcuno nel transatlantico mormora : “La Boldrini ha colpito ancora”, riferendosi, senza meno al voto di fiducia che ha concesso in occasione del Rosatellum. Le giustificazioni date allora dalla signora, sostenendo che nel passato già ci sono stati dei precedenti, non la giustifica. L’argomento della Boldrini non regge, perché quello che era irregolare ieri non potrà cambiare le regole di oggi.

Qual è il tema che sta aggiungendo confusione al già poco chiaro quadro politico? Questa settimana il PD ha presentato in Aula alla Camera una mozione di dubbia legittimità costituzionale. In una mozione con oscurità deliberata, uno stile sfuggente ed evasivo, mirante a non rinnovare l’incarico del governatore di Bankitalia Ignazio Visco, è stata convalidata e messa ai voti dalla presidente (presidenta?) Laura Boldrini. Evitiamo qualsiasi commento su chi c’era dietro quella mozione, sorvoliamo sui fini ultimi che muovevano gli ideatori della mozione, non entriamo in merito se Gentiloni sapeva o meno della mozione, facciamo finta di non immaginare l’eventuale coinvolgimento della sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri nel Governo, la signora Maria Elena Boschi, accantoniamo tutto questo anche se tutto questo è importantissimo.

 

Accantoniamo perché il problema qui è un altro, e l’unico che l’ha notato e dichiarato è stato Lamberto Dini, ex presidente del Consiglio, oltre a tante altre alte cariche che aveva coperto nella sua lunga carriera governativa. Non sta nei diritti dei partiti presentare mozioni per il rinnovo o la nomina del governatore di Bankitalia. Non sta nei poteri della Camera discutere tale mozione. Sta invece negli obblighi della presidente, l’obbligo e la facoltà di respingere tale mozione. La signora Boldrini ha scelto di ignorare quanto le detta la legge. Come giustamente riportato nella “discussa” mozione: “L’articolo 19, comma 8, della Legge 28 dicembre 2005, n. 262 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari afferma che la nomina del governatore è disposta con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia. Il procedimento si applica anche per la revoca del governatore”. La presidente (presidenta?) Boldrini questo articolo lo conosce e su questo non ci possono essere dubbi. Perché lo ha ignorato? Nessuno vuole minimamente pensare che l’alta carica di Montecitorio si sia assunta delle responsabilità che non le spettavano! Nessuno oserebbe mai pensare che abbia subito delle pressioni! Dunque?

 

Montecitorio ha scritto un’altra brutta pagina. Troppe pagine brutte per una sola legislazione! Le responsabilità di Visco emergeranno a conclusione dei lavori della Commissione parlamentare e solo allora si saprà in quale misura sono stati danneggiati i risparmiatori. Le inadempienze della presidenza della Camera sono invece una macchia d’inchiostro nero sulla Carta Costituzionale che offende le Istituzioni e mortifica la democrazia parlamentare.

Dietro l’angolo non s’intravede alcuna speranza, latitano le istituzioni ed i partiti sono allo sbando. La saggia voce del Colle non arriva nell’emiciclo tanto meno al segretario del partito di maggioranza lanciato ad alta velocità sul treno dei suoi desideri.

Emanuel Galea




Elezioni in Sicilia: una partita (a due) tutta da giocare

 

A poco più di 2 settimane dal voto, la fiducia dei siciliani nell’istituzione “Regione” crolla dal 33% del 2006 al 12% di oggi: è un dato, quello rilevato dall’Istituto Demopolis, più basso di quasi 20 punti rispetto alla media nazionale e che pesa in modo significativo sull’affluenza alle urne nell’Isola.

Se ci si recasse oggi alle urne, il 52% degli aventi diritto, circa 2 milioni e 400 mila siciliani, non voterebbe per la scelta del nuovo Presidente della Regione: un’astensione molto alta, in parte recuperabile, che aumenta l’incertezza sull’esito della competizione del 5 novembre.

 

È un consenso ancora molto fluido, quello che emerge dall’indagine dell’Istituto Demopolis sul voto per le Regionali in Sicilia. Tra quanti immaginano di recarsi alle urne il 5 novembre, soltanto il 61% ha già un orientamento preciso; il 16% esprime un’intenzione di voto, ammettendo però che potrebbe cambiare idea. Il 23%, quasi un quarto degli elettori siciliani, è ancora del tutto indeciso sulla scelta da compiere.

“A 16 giorni dalle elezioni – spiega il direttore dell’Istituto Demopolis Pietro Vento – la sfida per la conquista di Palazzo d’Orleans resta decisamente aperta. Considerata l’attuale instabilità del consenso, nell’ultimo sondaggio prima del black out previsto dalla legge, Demopolis ha scelto di fotografare non soltanto il voto odierno, ma anche l’elettorato certo, costituito dai cittadini che dichiarano di aver compiuto una scelta definitiva, ed il bacino potenziale dei principali candidati”.

Se si votasse oggi per la Presidenza della Regione, il candidato del Centro Destra Nello Musumeci, con il 36%, avrebbe oggi un lieve vantaggio sul leader del Movimento 5 stelle in Sicilia Giancarlo Cancelleri, attestato al 35%. Musumeci e Cancelleri possono però contare, entrambi, su un bacino potenziale del 42%: si tratta di elettori siciliani che prendono in considerazioni più opzioni e che non escludono oggi di poterli votare il 5 novembre.

 

La sfida elettorale appare più complessa per il rettore Fabrizio Micari e per il Centro Sinistra, su cui pesa non solo la divisione con l’area di Sinistra guidata da Claudio Fava, ma anche e soprattutto l’eredità del Governo uscente. Micari otterrebbe oggi il 21%, con un potenziale stimato al 27; più distante Fava al 7%, con un potenziale del 15%.

A pesare sul consenso saranno anche i numerosi candidati all’ARS, presenti nei diversi contesti provinciali nelle liste a supporto dei candidati alla Presidenza della Regione.

“Quella scattata oggi – afferma il direttore di Demopolis Pietro Vento – rappresenta una fotografia destinata a mutare nelle ultime 2 decisive settimane di campagna elettorale. Gli umori e la motivazione al voto dei siciliani, così come la conquista degli indecisi e dei potenziali astensionisti, potranno incidere in modo determinante sull’esito del voto del 5 novembre”.

 

Nota informativa

L’indagine è stata condotta dall’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento, dal 17 al 19 ottobre 2017 su un campione regionale stratificato di 1.000 intervistati, rappresentativo dell’universo della popolazione maggiorenne residente in Sicilia. Supervisione della rilevazione demoscopica con metodologie integrate cawi-cati-cami di Marco E. Tabacchi. Coordinamento del Barometro Politico Demopolis – per il programma Otto e Mezzo – a cura di Pietro Vento, con la collaborazione di Giusy Montalbano e Maria Sabrina Titone.

Metodologia ed approfondimenti su: www.demopolis.it / Ultima indagine dell’Istituto Demopolis prima del black out elettorale di sabato




Regionali Sicilia: nello stesso giorno Berlusconi e Grillo a Catania

Ultime due settimane per il 5 novembre, data che vedrà le Regionali Sicilia. La sfida oramai non risparmia gli ultimi colpi e il centrodestra di Forza Italia si assicura una importante presenza come a voler dire l’ultima parola prima delle elezioni. Silvio Berlusconi tornato nella mischia mediatica quale fondatore del suo partito FI chiude le porte ai possibili scenari che prevedevano scontri e sfide televisive e opta per le piazze da sempre baluardo del Movimento 5 Stelle quale luogo di vicinanza e contatto con la gente comune. I sondaggi danno per favorito proprio il centrodestra ma è risaputo quanto troppo spesso le aspettative vengano tradite dalla concretezza dei fatti.

 

L’ennesima scesa in campo di Silvio Berlusconi questa volta sembra foriera di motivazioni che vanno oltre la semplice campagna elettorale. Questa volta è interesse di Forza Italia dissipare e seppellire le polemiche e le accuse che da giorni vogliono il candidato leader del centro destra Nello Musumeci reo di aver incluso nella lista alcuni “impresentabili”. Venerdì prossimo Silvio Berlusconi presenzierà nel capoluogo siciliano con un comizio “apripista” per quello che invece sarà il comizio conclusivo della sfida previsto a Catania nella piazza della città con uno sfondo mozzafiato del vulcano Etna che splendido nella sua possenza farà sentire la sua presenza come un occhio attento e perentorio per i futuri assetti politici dell’isola.

 

Non è di meno il fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo che presenzierà a Catania nello stesso giorno per il proprio comizio a rappresentanza del leader candidato Giancarlo Cancellieri. Questa scelta delle due parti dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, quanto le elezioni Regionali siciliane siano importantissime e detteranno i futuri assetti politici su molti fronti a livello nazionale. Le parole di Di Maio girano il coltello nella piaga del centrodestra per la questione “impresentabili”: “Un candidato come Cancellieri che ha una sola lista con 62 candidati tutti puliti ha superato nei sondaggi anche un altro candidato che ha svuotato le carceri. Siamo Davide contro Golia”. Il riferimento a Musumeci è palese ma le parole del vice commissario di Forza Italia Francesco Scoma sembrano una risposta: “Gli elettori siciliani sono stanchi di essere da sempre additati per mafiosi o inetti. I grillini tentano di far credere all’Italia e all’estero che non c’è democrazia in Sicilia e il voto è frutto di clientele mafiose e quindi chiedono l’intervento dell’Osce; non riescono a capire che questa pubblicità negativa colpisce duramente la Regione allontanando gli investitori”.

 

Anche Matteo Salvini ieri convinto di rappresentare da solo il vertice del centrodestra e oggi costretto a rincorrere una leadership che l’immortale Silvio Berlusconi non vuole e non vorrà mai cedere a nessun’altro all’infuori di se stesso; ha scelto di presenziare da domenica prossima per un tour di comizi nell’isola.

Paolino Canzoneri




Noi Con Salvini, tensioni con Zicchieri: Carabella si dimette

ROMA – Simone Carabella responsabile regionale affari sociali Noi con Salvini Lazio rassegna le proprie dimissioni e lascia il movimento. Insieme a lui tutto il gruppo tecnico e legislativo che lo segue. Numerose ed importanti sono state nel corso del suo mandato le iniziative di successo che Carabella ha portato avanti, largamente raccontate sui social e dalle sue dirette che contano centinaia di migliaia di visualizzazioni. Dai lavoratori del San Camillo alle maestre di Fiumicino passando per i tanti ragazzi con disabilità ad arrivare alle tante associazioni di categoria che all’operato di carabella riconoscono il risolversi di diverse e gravi problematiche.

Simone Carabella scende dal parterre salviniano non senza polemiche: “E’ un peccato non trovare spazio e tranquillità per una egemonica conduzione del movimento a livello regionale, un movimento che dovrebbe essere all’insegna dell’inclusione e della totale collaborazione con le parti sociali. Un movimento che dovrebbe essere gestito con competenza ed affidabilità. Per rendere reale quell’immagine di cambiamento che a livello nazionale rappresenta la figura di Matteo Salvini”. Questo l’esito dopo un burrascoso coordinamento regionale.

Carabella lascia il movimento quindi in totale dissenso con le logiche comportamentali del suo coordinatore regionale Francesco Zicchieri: “Per me contano solo i cittadini. prima penso ai lori bisogni alla casa al lavoro e alle necessità di tutti giorni. Non sono condizionabile da quelle che giudico logiche di partito. interessi Che non comprendo e non ci tengo a farlo! Non sopporto lo stupido protagonismo di qualcuno. La gestione regionale del movimento noi con Salvini è stata lasciata nelle mani di un ragazzino che come esperienza politica annovera il consiglio comunale del Comune di Terracina. ” Polemica dura ma reale Si legge nel documento firmato dal gruppo di lavoro degli affari sociali ormai ex noi con Salvini. (130firme) Gruppo che arriva ad una decisione inattesa ma obbligata. ” oggi ci chiediamo, dopo la fuoriuscita del gruppo romano di Schiuma e di Frosinone di Pitocco, nonché di tutti i gruppi ad essi collegati ; ed ora del comparto sociale di tutta la regione Lazio, Uno sgretolamento capillare quindi. ” Quali logiche mantengono zicchieri Nel suo ruolo!? Il connubio tra Zicchieri e Garibaldi, zicchieri e Saltamartini ormai chiaramente è deleterio per il movimento di Matteo Salvini . Quanto ancora rimarrà al comando nella regione Lazio? Quali sono le attese nei risultati elettorali di Ostia? ” questi tra i tanti interrogativi del documento. Si dice che Salvini attenda proprio il banco di prova Ostiense per confermare la leadership regionale. Altre voci invece danno per certo il dissolvimento del movimento per dare vita ad un nuovo gruppo nazionale . Ciò che appare certo è che il movimento di Matteo Salvini nel Lazio ha dato vita ad una stagione di veleni che compete con le vecchie logiche della prima Repubblica.




Regionali Lazio: si candida il sindaco di Amatrice Pirozzi

Lo aveva annunciato poche ore fa, sulla sua pagina Facebook, con un sibillino “ci potrebbero essere novità”, riferendosi alla prossima presentazione del suo libro, in programma martedì 24 ottobre, ma a quanto pare la decisione sarebbe stata presa. Sergio Pirozzi, il sindaco di Amatrice, la cittadina del Reatino rasa al suolo dal terremoto del 24 agosto dello scorso anno, sarà il candidato alla presidenza alle prossime regionali del Lazio, pare alla guida di una lista civica di centrodestra che porterà il suo nome.

Conferme, ma al momento nessuna dal diretto interessato, arrivano anche dal suo entourage. Una scelta, quella di Pirozzi, che pare sia stata molto sofferta, ma che era nell’aria da mesi. Un passo più volte smentito da lui stesso, anche recentemente dalle colonne di Ciociaria oggi. Pirozzi potrebbe dare ufficialità alla sua candidatura proprio nel corso della presentazione del suo libro, “La Scossa dello Scarpone. Anatomia di una passione sociale”, edito da Armando editore, in programma martedì 24 ottobre, alle 17.30, al Salone delle Fontane a Roma, 160 pagine in cui l’attività del sindaco di Amatrice è arricchita anche da note biografiche legate ai ricordi della sua infanzia trascorsa nei “campi di terra” e in mezzo alla natura del suo Comune.

Un racconto della sua esperienza di uomo e di sindaco, “perché – scrive – sento il dovere di testimoniare un passato importante”. Tra coloro che sostengono fortemente la candidatura del sindaco-allenatore c’è, soprattutto, Francesco Storace, attuale vice presidente del consiglio regionale del Lazio, che proprio ieri, in merito a una possibile candidatura di Pirozzi, aveva detto in un tweet che il sindaco di Amatrice non era il “suo” candidato “ma certo ne sarei un suo felicissimo elettore”. Pirozzi, se confermerà quanto riferito questa sera dal quotidiano romano, è il terzo candidato in corsa per le regionali del 2018 dopo la conferma della ricandidatura del presidente Nicola Zingaretti (Pd) e l’esito delle regionarie del M5S che hanno sancito la candidatura di Roberta Lombardi.




Cannabis: cosa cambia in Italia con la nuova legge

La legge che disciplina l’uso della cannabis a scopo terapeutico approvata oggi dalla Camera, fissa i criteri uniformi sul territorio nazionale garantendo ai pazienti equità d’accesso, promuove la ricerca scientifica sui possibili impieghi medici e sostiene lo sviluppo di tecniche di produzione e trasformazione per semplificare l’assunzione (TgCom24). Queste le principali novità che vengono introdotte:

Il medico potrà prescrivere medicinali di origine vegetale a base di cannabis per la terapia del dolore e altri impieghi. La ricetta (oltre a dose, posologia e modalità di assunzione) dovrà recare la durata del singolo trattamento, che non puo’ superare i tre mesi

I farmaci a base di cannabis prescritti dal medico per la terapia del dolore e impieghi autorizzati dal ministero della Salute saranno a carico del Servizio sanitario nazionale. Se prescritti per altri impieghi restano al di fuori del regime di rimborsabilità. Vale in ogni caso l’aliquota Iva ridotta al 5%.

Coltivazione della cannabis, preparazione e distribuzione alle farmacie sono affidate allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. Se necessario può essere autorizzata l’importazione e la coltivazione presso altri enti. Sono stanziate risorse per un milione e 700mila euro (Huffington).

A Regioni e Province autonome spetta il compito di monitorare le prescrizioni, fornendo annualmente all’Istituto superiore di sanità i dati aggregati per patologia, età e sesso dei pazienti sotto terapia di cannabis, nonchè quello di comunicare all’Organismo statale per la cannabis il fabbisogno necessario per l’anno successivo.

Norme specifiche prevedono campagne di informazione, aggiornamento periodico dei medici e del personale sanitario impegnato nella terapia del dolore e promozione della ricerca sull’uso appropriato dei medicinali a base di cannabis.




Officina Stampa: la caduta della prima Repubblica, il 1992 e il caso Bruno Contrada

L’onorevole Stefania Craxi interverrà oggi (giovedì 19 ottobre 2017) in diretta a partire dalle ore 18 alla trasmissione Officina Stampa condotta dalla giornalista Chiara Rai.

Puntata interamente dedicata al caso del dottor Bruno Contrada che pochi giorni fa ha visto revocarsi dal Capo della Polizia Franco Gabrielli il provvedimento del 13 luglio 2007, a firma dell’allora capo della Polizia Antonio Manganelli, con cui era stato destituito di diritto dall’amministrazione della Pubblica Sicurezza con decorrenza retroattiva 13 gennaio 1993.

Ospiti della trasmissione condotta da Chiara Rai, insieme all’onorevole Stefania Craxi: l’avvocato Stefano Giordano legale del dottor Bruno Contrada in collegamento Skype da Palermo, il giornalista opinionista Emilio Ammaturo, l’avvocato Alessandro Biaggi già sindaco di Nemi (RM) per due mandati. Previsto inoltre il collegamento telefonico da Palermo con il dottor Bruno Contrada.  

Nel corso della puntata di Officina Stampa sarà messa in onda la quarta parte della video intervista di Chiara Rai al dottor Bruno Contrada che entrerà nel vivo di quel 1992 che non coincide soltanto con il suo arresto, ma anche e soprattutto con quegli avvenimenti storico politici che hanno segnato la fine della prima Repubblica.

Cliccare per vedere la puntata direttamente su questa pagina a partire dalle ore 18 di giovedì 19 ottobre 2017