Governo Pd5, partito il totoministri: riflettori puntati su Economia e Viminale

Prima il programma, poi la squadra, avvertono Giuseppe Conte il M5S e il Pd. Ma tra i corridoi dei palazzi romani è partito già il totoministri.

I fari sono puntati su Economia e Viminale. Al Mef in pole ci sono personalità tecniche: da Salvatore Rossi (ex direttore generale Bankitalia) a Daniele Franco (ex Ragioniere generale) e Lucrezia Reichlin, con la variabile politica di Roberto Gualtieri.

Il nome per il Viminale dipende, più di tutti gli altri, dal nodo vicepremier. Se il Pd otterrà la carica a Palazzo Chigi dovrebbe finire Dario Franceschini e in quel caso, all’Interno potrebbe arrivare un tecnico alla Franco Gabrielli o alla Mario Morcone. Nel caso in cui Conte scelga di non indicare dei vicepremier, al Viminale potrebbe finire un nome “forte” come quello di Andrea Orlando, profilo adatto anche per dare una netta discontinuità rispetto a Salvini sull’immigrazione. Difficile che Franceschini entri nel governo se non da vicepremier, mentre Marco Minniti più che per il Viminale sembra in corsa per la Difesa. Tra i renziani (sostenitori della mozione Martina alle primarie) che entrerebbero nel Conte-2 in pole ci sono Lorenzo Guerini (ipotesi Affari Regionali), Ettore Rosato o Teresa Bellanova. Tra gli “ultra-renziani” circola il nome di Anna Ascani per Beni Culturali. In corsa anche Maurizio Martina, direzione Agricoltura o Mise, casella verso la quale guarda anche Paola De Micheli. Paolo Gentiloni, infine, resta un nome collocabile agli Esteri o come commissario Ue.

Molto dipenderà anche dalla collocazione di Di Maio. Se il leader M5S non sarà vicepremier potrebbe tornare a chiedere un ministero pesante (Viminale o Farnesina) o “accontentarsi” del Lavoro o della Difesa.
Il M5S punta a confermare nel governo Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede alla Giustizia, la “promozione” di Stefano Patuanelli, con possibile destinazione Mit, è quasi scontata. Così come lo è l’ingresso nel governo di Vincenzo Spadafora, magari come sottosegretario alla presidenza di Consiglio. Meno chiaro il destino dell’altro capogruppo Francesco D’Uva, in bilico tra ministro e viceministro.

Guardando al “Nodo rosa” ha qualche chance, tra gli ortodossi, Marta Grande. Quella di Nicola Morra all’istruzione, per ora, è solo una voce che circola mentre l’Ambiente potrebbe finire a Leu (con Rossella Muroni) anche se è forte il pressing M5S.




Governo Pd5, pensionati con l’opzione “Quota100” o che ne hanno fatto richiesta o che vorranno farne richiesta… che fine fanno?

Sono ormai diversi anni che la vita di pensionandi e neo-pensionati è costellata da pensieri che offuscano la tranquillità a cui avrebbero diritto, impedendogli di fatto di godersi a pieno un meritato riposo dopo aver lavorato per decenni.

La riforma del sistema pensionistico, legata alla professoressa Elsa Maria Fornero Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, redatta in soli 20 giorni nell’ambito del decreto Salva-Italia presentato il 4 dicembre 2011 ha “tolto il sonno” a decine di migliaia di lavoratori “pensionandi” creando di fatto una nuova categoria di lavoratori (o meglio ex-lavoratori): gli “esodati” ovvero “color che son sospesi” tra il lavoro che non avevano più e la pensione a cui, in virtù di tale Riforma, non avevano più diritto nonostante, in virtù di accordi tra il precedente Governo e i Datori di Lavoro, avessero ricevuto da quest’ultimo un bonus come incentivo all’esodo e dal Governo la possibilità di accedere agli ammortizzatori sociali (mobilità) come accompagnamento all’età pensionabile che invece era stata “elevata” dalla Riforma Fornero. Ci sono volute un bel po’ di “salvaguardie” per risolvere le problematiche di questi lavoratori “esodati” che dalla sera alla mattina si sono ritrovati a non avere più diritto alla pensione, nei termini e nei tempi previsti nonostante accordi ben precisi tra le parti Sociali. E il problema sembra non sia stato risolto per tutti gli “esodati”: sembra che ci sia ancora qualche migliaio di lavoratori vittima di questa Riforma.

Lo scorso 28 Gennaio 2019, il Governo gialloverde (M5S-Lega) approvava, in via sperimentale fino a tutto il 2020, con un decreto legge (il n.4 del 2019 convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019 n. 26 e pubblicato sulla G.U. n. 75 del 29 marzo 2019) una nuova possibilità o opzione (quindi restano comunque valide le norme previste dalla Riforma Fornero in materia pensionistica) che consente ai lavoratori di andare in pensione con almeno 62 anni di età e almeno 38 anni di contributi.

Lo stesso decreto n. 4, e successiva conversione nella legge n. 26, prevede per i soli dipendenti pubblici che decidono di andare in pensione avvalendosi dell’opzione Quota100 o con le norme previste dalla Riforma Fornero di richiedere un anticipo del pagamento del TFS/TFR fino alla somma di 45.000 euro (gli interessati potrebbero essere dai 170.000 ai 230.000). Questo potrebbe sembrare un “beneficio” per i dipendenti pubblici, ma in effetti tale non è perché non fa altro che ridurre il gap esistente nei tempi per il pagamento del TFS/TFR tra lavoratori privati e lavoratori pubblici che a differenza dei primi che si vedono liquidare quanto loro dovuto dopo circa 100 giorni dall’uscita dal mondo del lavoro, devono attendere circa 2/3 o più anni dalla data di pensionamento per vedersi riconosciuto quanto spetta loro e a rate (in virtù di una vecchia norma secondo me ormai superata e di cui si potrebbe discutere in altra occasione). L’anticipo del TFS/TFR è demandato agli istituti bancari convenzionati e prevede il pagamento di un interesse, a carico del beneficiario, parzialmente coperto da una parziale detassazione delle somme erogate. Per questa possibilità di “anticipo” però è necessario un “decreto attuativo” di competenza del Ministro della Pubblica Amministrazione.

La situazione che si è venuta a creare con la crisi di Governo formalizzata lo scorso 21 agosto preoccupa non poco per le conseguenze che potrebbe avere soprattutto su coloro che sono in pensione con l’opzione Quota100 o che ne hanno fatto richiesta o che vorranno farne richiesta. Ne avranno ancora la possibilità?

Saremo protagonisti di nuovi scenari simili a quelli post riforma Fornero creando una nuova tipologia di “esodati”? Il blocco dell’aumento dell’età pensionabile in base all’adeguamento alla speranza di vita sarà mantenuto dal nuovo Governo? Senza la possibilità di richiederne un anticipo, quando i dipendenti pubblici potranno vedersi liquidato il TFS/TFR? Dopo 7 o più anni dall’uscita dal mondo del lavoro? Per quanto riguarda quest’ultimo punto mi preme ricordare che il decreto legge n.4 del 2019 (convertito nella legge n. 26 del 2019) nel prevedere la possibilità per il dipendente pubblico di chiedere un anticipo del TFS/TFR ribadisce (nell’articolo 23 – Anticipazione del TFS) che << …….. omissis …… il riconoscimento dell’indennita’ di fine servizio comunque denominata al momento in cui tale diritto maturerebbe a seguito del raggiungimento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, ai sensi dell’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, tenuto anche conto di quanto disposto dal comma 12 del medesimo articolo relativamente agli adeguamenti dei requisiti pensionistici alla speranza di vita. ……. omissis ……. >> Questo significa che un dipendente pubblico che decide di avvalersi dell’opzione Quota100 si vedrà riconosciuta l’Indennità di Fine Servizio o al raggiungimento di 67 anni di età (pensione di vecchiaia) o al raggiungimento di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne (pensione anticipata) per cui diventa di vitale importanza un “finanziamento” che consenta, anche se con un minimo di interessi da pagare a carico del percettore, di fruire del TFS al momento dell’uscita dal lavoro con Quota100, fatti salvi i tempi previsti dalla legge (75 giorni dalla presentazione della domanda) e i tempi previsti dalla banche per perfezionare l’erogazione del finanziamento.

Due esempi di casi limite per chiarire meglio questo concetto:

· dipendente pubblico 62 anni di età e 38 anni di contributi maturerà il diritto a vedersi riconosciuto il TFS a 67 anni (non maturerà mai i requisiti per la c.d pensione anticipata non lavorando e quindi non maturando anni di contribuzione) più i 2/3 anni oggi previsti per il pagamento. In pratica senza finanziamento per l’anticipo percepirebbe il TFS dopo una attesa che va dai 5 ai 7/8 anni.

· dipendente pubblico 62 anni di età e 42 anni di contributi (o 41 se donna): maturerà ugualmente il diritto a vedersi riconosciuto il TFS a 67 anni in quanto, non lavorando, non maturerebbe mai i requisiti per la pensione anticipata sebbene per pochi mesi. In pratica senza finanziamento per l’anticipo percepirebbe il TFS con un “ritardo” di 5 anni rispetto ai 2/3 anni e qualche mese di attesa se avesse optato per quanto previsto dalla Riforma Fornero per andare in pensione

“Sono enormemente preoccupato per quello che potrebbe essere il futuro dei lavoratori che hanno aderito a quota 100 cosicchè, se dovesse rendersi necessario porremo in essere, come segreteria provinciale della Ugl Pensionati di Caserta tutte le iniziative che riterremo più opportune per i fruitori di “quota 100”.

UGL Caserta Segretario Provinciale Unione Territoriale del Lavoro Ferdinando Palumbo




Governo Pd5, Fiore (FN) accoglie le parole della Meloni (FDI): “Questo inciucio è una dichiarazione di guerra agli italiani”

Crisi, Fiore accoglie l’appello della Meloni agli italiani: “Dichiarazione di guerra agli italiani. Il giorno del voto saremo in piazza a Montecitorio”.

“Cambia il volto politico del Paese: l’inciucio tra M5S e PD, oltre a profilarsi anche come coalizione alle regionali spacca di fatto il centrodestra filosovranista a favore di un centrodestra europeista.” E’ questo in sintesi il pensiero di Roberto Fiore.

Arbitro della partita nel centrodestra, secondo il leader di Forza Nuova, ancora una volta Silvio Berlusconi: “Questo nuovo governo stravolge gli assetti politici. Non solo il populismo, sconfitto, ma anche tutto il centrodestra, Lega in primis, ne esce stravolta.

“Le parole di Berlusconi, – prosegue Fiore – uomo chiave e di raccordo con i poteri forti, del resto sono chiare: no al sovranismo, si all’Europa della Merkel”.

Fiore e il suo movimento, che da sempre nel suo dna ha la piazza, chiama i suoi alla battaglia: “Questo inciucio è una dichiarazione di guerra agli italiani. In molti in queste ore invitano gli Italiani alla mobilitazione nel giorno del voto al Parlamento. Forza Nuova sarà in piazza con tutti coloro che trovano inaccettabile questo colpo di mano del governo giallorosso e sarà in piazza a difendere l’integrità e le libertà degli italiani ”.




Governo Pd5: Mattarella ha affidato l’incarico a Conte

Mattarella ha conferito a Conte l’incarico di formare il governo. Il premier incaricato ha accettato con riserva. Oggi stesso avvierà le consultazioni con tutti i gruppi parlamentari: si terranno a Montecitorio. Il presidente del Consiglio incaricato, dopo aver lasciato il Quirinale, si è subito recato a palazzo Giustiniani, dove è a colloquio con la presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati, cui comunica di aver ricevuto l’incarico di formare un nuovo governo.

Il discorso di Conte al Quirinale

“Non sarà un governo ‘contro’ ma un governo per modernizzare il Paese e per i cittadini. Realizzerò un governo nel segno della novità è quello che richiedono anche le forze politiche”, ha affermato il premier dopo aver ricevuto l’incarico al Quirinale. “Siamo agli albori di una nuova legislatura Ue e dobbiamo recuperare il tempo perduto per consentire all’Italia il ruolo da protagonista che merita. Il Paese ha l’esigenza di procedere speditamente”, ha detto Conte.

Tra le priorità indicate la manovra di bilancio

“Mi metterò subito all’opera per una manovra che contrasti l’aumento dell’Iva, tuteli i risparmiatori, dia una solida prospettiva di crescita e sviluppo sociale”, ha detto. Conte ha parlato di “stagione riformatrice, di rilancio, di speranze, che offra al paese certezze”. Lavoreremo per “un Paese migliore, un Paese che abbia infrastrutture sicure, reti efficienti, che si alimenti con energie rinnovabili, che valorizzi i beni comuni, che integri stabilmente nella propria agenda politica il benessere eco-sostenibile, che rimuova diseguaglianze di ogni tipo”.
“Deve essere un Paese di riferimento nella protezione delle persone con disabilità, che non lasci che i giovani si disperdano con esperienze all’esterno ma che sia un paese attraente per giovani che sono all’estero, che veda un Mezzogiorno rigoglioso. Un Paese nel quale la pubblica amministrazione non sia permeabile alla corruzione, un Paese con una giustizia più equa ed efficiente dove le tasse le paghino tutti, ma proprio tutti, ma le paghino meno”. Lo afferma Giuseppe Conte al termine dell’incontro con Mattarella. “Molto spesso negli interventi pubblici sin qui pronunciati ho evocato la formula di un nuovo umanesimo, non ho mai pensato fosse lo slogan di un governo ma l’orizzonte ideale del Paese”.




Governo Pd5: accordo su Conte premier

C’è l’accordo Pd-M5s su Conte premier. E’ quanto emerso dall’ultimo giro di consultazioni al Quirinale. “Abbiamo riferito al presidente di aver accettato la proposta del M5s di indicare in quanto partito di maggioranza relativa il nome del presidente del Consiglio dei ministri. Questo nome ci è stato indicato dal M5s nei giorni scorsi”, ha detto il segretario del Pd Nicola Zingaretti. “Abbiamo altresì confermato risolutamente l’esigenza ora di costruire un governo di svolta e discontinuità”, ha aggiunto. “Sia chiaro che non c’è alcuna staffetta da proseguire e non c’è alcun testimone da raccoglie ma semmai una nuova sfida da cominciare”. Il nuovo governo porterà, ha concluso il segretario, “l’inizio di una nuova stagione, civile, sociale e politica”.

‘C’è un accordo politico con il Pd per Conte premier’: lo ha detto Luigi Di Maio, al termine delle consultazioni

“Siamo sempre stati un movimento post ideologico, abbiamo sempre pensato che non esistano schemi di destra o sinistra ma solo soluzioni. Ci hanno accusato dell’essere dell’una o dell’altra parte. Questi schemi sono ampiamente superati”, ha aggiunto Di Maio, al termine dell’incontro con il presidente della Repubblica.

“Il ruolo di Giuseppe Conte ci fa sentiti garantiti sulle politiche che vogliamo realizzare”, ha proseguito Di Maio. “Si sono alimentate tante polemiche sulla mia persona – ha rilevato – e mi ha sorpreso che in una fase così delicata qualcuno abbia pensato al sottoscritto piuttosto che al bene del Paese. La Lega mi ha proposto di propormi come premier per il M5s e mi ha informato di averlo comunicato anche a livello istituzionale. Li ringrazio con sincerità ma con la stessa sincerità dico che penso al bene di questo Paese e a non me”. A proposito dell’apprezzamento espresso da Trump a Conte, Di Maio ha detto: ‘Ci indica che siamo sulla strada giusta’.
“Lasciatemi dire infine che i cittadini hanno assistito a un dibattito poco edificante su ruolo e cariche. Come capo politico – ha aggiunto – chiederò che il percorso di formazione del nuovo governo parta dalla redazione di un programma omogeneo. Solo dopo si potrà decidere chi sarà chiamato a realizzare le politiche concordate e su questo chiediamo che si rispettino alle prerogative del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio”.




Meloni, al voto o è un inganno

“Abbiamo ribadito la nostra posizione chiara e semplice. Per noi l’unico o sbocco possibile è lo scioglimento immediato delle Camere ed il ritorno alle urne. Abbiamo chiesto a Mattarella di valutarlo anche nel caso in cui M5S e Pd confermassero la loro volontà di procedere verso il ‘patto della poltrona’, che è un inganno”. Lo dice Giorgia Meloni di Fdi. “Scenderemo in piazza se questo governo dovesse nascere: a piazza Montecitorio il giorno della fiducia”. Lo dice Giorgia Meloni di Fdi invitando “anche i delusi dei partiti che fanno il contrario di quello che avevano promesso. Noi siamo dalla parte della democrazia”.




Pd5, Roberto Fiore (FN) sul piede di guerra: “Si prepara il governo più antinazionale degli ultimi 75 anni. Scendiamo in piazza”

E’ su tutte le furie Roberto Fiore, leader di Forza Nuova, che
si dice “disgustato” dall’accordo che da giorni stanno discutendo Partito
Democratico e Movimento 5 Stelle. Un accordo che aprirebbe la strada a un vero
e proprio governo di sinistra come, specifica, non si vedeva da anni: “Sì sta
preparando il governo più antinazionale degli ultimi 75 anni appoggiato dal
solo 20% degli italiani. Salvini sembra aver concluso il suo ruolo, il governo
torna in mano a poteri oscuri pronti a legiferare contro l’Italia e gli
italiani. E’ una situazione inaccettabile”.

Per Roberto Fiore la via per uscire da questo inganno è solo una: “Il potere deve essere in mano al popolo. L’unica difesa, oggi, è la reazione del popolo. Scendiamo in piazza: se le urne non valgono più nulla allora gli italiani si faranno valere nelle strade”.




Verso il governo PD5, Salvini: Mattarella metta fine a questo spettacolo indecente

Ultimo giro di consultazioni al Quirinale. “Abbiamo riferito al presidente di aver accettato la proposta del M5s di indicare in quanto partito di maggioranza relativa il nome del presidente del Consiglio dei ministri. Questo nome ci è stato indicato dal M5s nei giorni scorsi”, ha detto il segretario del Pd Nicola Zingaretti al termine dell’incontro con il presidente Mattarella. “Abbiamo altresì confermato risolutamente l’esigenza ora di costruire un governo di svolta e discontinuità”, ha aggiunto. “Sia chiaro che non c’è alcuna staffetta da proseguire e non c’è alcun testimone da raccoglie ma semmai una nuova sfida da cominciare”. Il nuovo governo porterà, ha concluso il segretario, “l’inizio di una nuova stagione, civile, sociale e politica”.

Alle 17 è la volta di Forza Italia, alle 18 la Lega, alle 19 M5s

“Qualcuno parla di bene dell’Italia, di responsabilità, temi, programmi; tradotto, si parla di poltrone. La verità squallida che sta emergendo è che alcune centinaia di parlamentari disperati sono pronti a tutto pur di non mollare la poltrone e dare la parola agli italiani”. Così il ministro dell’Interno Matteo Salvini, in una diretta facebook, sottolineando che “non c’è una maggioranza in questo Parlamento; qualcuno pensa che il Parlamento degli opposti e dei perdenti possa dare un futuro a questo Paese?”.

“Oggi pomeriggio andremo al Quirinale e diremo a Mattarella di mettere fine a questo spettacolo indecente, vergognoso, senza dignità e onore”, ha aggiunto Salvini.

“Dal Pd non mi aspetto nulla, non cerco coerenza e dignità dove prevale la fame di poltrone. Sto seguendo però il dibattito nel M5S, nato per fare la rivoluzione e che ora fa il Governo con i massimi difensori del sistema, il Governo Ursula, telecomandato da Merkel e Macron, con il partito degli intrallazzi e degli inciuci che andava a cena per riformare la giustizia, riorganizzava gli assetti delle banche, quello di Bibbiano e della legge Fornero”.

“Oggi chiederò questo a Mattarella: lei parlava di un governo forte, con una maggioranza ampia e posizioni condivise, può far nascere un Governo il cui unico collante e l’odio verso di me e la Lega? Spero che il presidente prenda atto che questa roba non rappresenta il popolo”. Così il ministro dell’Interno Matteo Salvini, in una diretta facebook. “Se lei è garante del legame tra popolo e Palazzo – aggiunge Salvini – metta la parola fine a questo spettacolo vergognoso e restituiamo la parola al popolo. Mi auguro che Mattarella ascolti il cuore, la testa, il bene del popolo italiano”.




Niente governo giallorosso di lunga durata: ecco perchè

Tutto secondo copione. Salvini processato in aula da Conte, e gratificato, dal presidente del Consiglio, degli epiteti di “Irresponsabile, ignorante, codardo”. Certamente il Capitano non immaginava di dover affrontare una siffatta corte, dove il giudizio aveva già subito il vaglio della Cassazione PD-Grillina, ed era passato in giudicato.

Mentre Giuseppe-Mastro Titta-Conte leggeva in aula del Senato quel famoso discorso che i tiggì per due o tre giorni ci avevano informati che lui stava “Rivedendo, limando, completando”. Tanto che il dubbio che questa affermazione non fosse reale, ma solo un fatto interlocutorio da parte dei giornalisti Rai era sorto in più d’uno. Era invece un inopinato atto d’accusa verso il vicepresidente leghista, solo contro tutti.

“La frittata è fatta” aveva sentenziato l’altro vicepresidente Giggino Di Maio. Non sapevamo che fosse così indigesta, addirittura avvelenata. Volevo bene a Conte. Oltre tutto è un mio conterraneo, e lo reputavo una persona di alto livello, come aveva dato ad intendere fino a ieri. Non sapevo, nessuno di noi poteva immaginare, che si fosse anche lui schierato con il M5S, sempre – per carità – con il suo aplomb di a “Avvocato del Popolo (italiano)”, e sempre con quell’aura di trasparenza istituzionale che lo ha contraddistinto in questi quattordici mesi.

Non c’era bisogno, infatti, di essere opachi per rovesciare addosso a Matteo Salvini qualunque insulto, arrivando perfino a stigmatizzare l’azione, stupida e ripetuta, di Salvini, di impugnare un rosario e di raccomandarsi alla Madonna. Quella se la poteva risparmiare. Ma tant’è, quando si divorzia, vien fuori tutto. Solo che io, come altri, pensavamo che Conte fosse al di sopra dei giochi: così non si è dimostrato. Un’avvisaglia era giunta, per la verità, quando aveva imposto lo sbarco di migranti dalla Open Arms, e Salvini aveva obbedito.

Conte non sta, lo ha dimostrato, dalla parte degli Italiani che non gradiscono che il loro Paese sia nel disordine più totale, con stranieri che accoltellano, che si spogliano nudi per strada, che defecano nei giardini pubblici. Senza controllo, insomma. Stranieri che se ne fregano del decreto di espulsione – l’assassino della ragazza cinese al bar era stato espulso già due volte, ma era ancora qui – stranieri che picchiano i nostri carabinieri e poliziotti, oltre ai controllori sui treni e sui mezzi pubblici. Lo dico da anni. Gli Italiani non erano xenofobi, né razzisti, e una parte di loro opera ancora l’accoglienza: ma non in questo modo. Xenofobi e razzisti ci hanno fatti diventare con le iniziative del governo PD, sei anni in cui il quarto governo non eletto ha imperato, senza democrazia. Con l’unico scopo di fare le marchette all’Europa e ai suoi lobbisti – vedi petrolieri: ne sanno qualcosa le nostre coste trivellate entro le dodici miglia per iniziativa di Renzi, nonostante fosse stato proibito per iniziativa popolare, con relativa distruzione e inquinamento dei fondali.

Ne sanno qualcosa le torri estrattive in alto mare, che resteranno lì ad imperitura memoria, anche questo un dono di Matteo Renzi ai petrolieri: infatti, nonostante il contratto di estrazione ne prevedesse lo smontaggio, l’allora presidente del Consiglio permise che il miliardo di lire che ne costituiva il costo rimanesse nelle tasche dei suoi ‘amici’. I quali, tra l’altro, pagavano all’Italia la percentuale più bassa in assoluto per l’estrazione, con la clausola che al di sotto di una certa quantità non avrebbero pagato nulla: e tutto ciò senza che nessuno andasse a controllare le quantità estratte, cioè, in pratica, GRATIS! Sapevamo che IL Bullo avrebbe ricicciato, ed eccolo qua, pronto e pimpante e con lo zaino pieno di sorprese.

Pare, ma non c’è da fidarsi, che abbia detto che vuol fare il commissario nel Parlamento Europeo, e che il governo del nostro Paese non gli interessa. Chissà! Sarebbe la prima volta che dice la verità, se fosse vero. È vero, invece, che il M5S negli ultimi tempi – e non tanto ultimi – stava bloccando l’azione del governo, cosa che aveva fatto reagire Salvini fuor dai denti, su tutti i giornali. E il giorno dei Lunghi Coltelli è arrivato. Solo che dalla parte di Di Maio & Co. c’era anche Conte. Fra le quinte, ma non tanto, riesumato alla bisogna, appare ancora una volta il professor Prodi. Vogliamo spiegarci il perchè? Se vogliamo analizzare la questione dello stacco della spina al governo che, secondo Conte, andava così bene, tanto da negare il blocco alle sue azioni operato da ministri cinquestellati, dobbiamo analizzare i fatti, e non le parole, andando indietro di un anno, e considerando – e questo è presumibilmente il nodo della questione – che l’italia è un Paese NATO, un Paese nel quale gli Americani hanno installato sotto quella autorevole egida (e non ‘egidia’, come ebbe disgraziatamente a dire uno dei meno acculturati componenti della nostra compagine governativa, e ne taccio il nome per misericordia, ma tutti se lo ricorderanno con il pugno alzato e la barbetta alla Che Guevara) un considerevole numero di impianti militari, tali da avere il controllo strategico del Mediterraneo.

Un controllo guadagnato attraverso l’entrata in guerra contro il nazifascismo, con grande dispiegamento di uomini e mezzi. Niente si fa per niente. Certo l’intervento bellico è stata l’occasione per piantare un ben robusto paletto strategico nel centro del Mediterraneo. Ma tant’è, l’Italia ha aderito allora e non ha mai manifestato l’intenzione di uscire dal Patto Atlantico. Dicevo, guardiamo i fatti, come riferito da altre fonti. Nel novembre 2018 Di Maio vola in Cina, dopo la sua visita del settembre dello stesso anno, per stabilire un complesso programma di cooperazione con il presidente Xi, che arriva a Roma il 21 marzo del 2019, per firmare il memorandum della ‘Via della Seta’. Un accordo bilaterale peraltro già impostato da Renzi e Gentiloni. Le firme definitive verranno apposte all’accordo il 23 di maggio 2019, a Villa Madama. Presenti Xi, con i suoi ministri, Conte con Luigi Di Maio. Assente Matteo Salvini, che va al Forum di Confcommercio. Nel memorandum, al capitolo ‘cooperazione bilaterale’, nonostante gli avvertimenti e le raccomandazioni degli USA, appare la parola chiave ‘Telecomunicazioni’.

A questo accordo reso pubblico il Washington Post reagisce duramente, con un articolo che stigmatizza la condotta del governo italiano, accusandolo di rompere gli accordi con gli USA, e di sfidare Trump e la sua amministrazione. Un altro fatto è che qualche mese prima della firma dell’accordo, Giorgetti era stato convocato a Washington, dove aveva dovuto rassicurare gli Americani sulla capacità politica di Salvini di fermare la svolta filocinese dei suoi partner pentastellati. Almeno sulle questioni più importanti, ma specialmente a proposito dell’adozione di Huawei come partner per il 5G, la banda larga accusata di spionaggio in quanto legata strettamente al governo cinese. Giorgetti rassicura gli alleati USA a proposito delle gare che potrebbero consentire l’adozione di Huawei come partner, e dagli States torna con in tasca un decreto di rafforzamento del Golden Power, da approvare in Senato, in pratica un decreto anti-Huawei.

Un altro fatto è che il 22 maggio del 2019 Giorgetti è a Milano, alla Camera di Commercio americana, presente l’ambasciatore americano in Italia Eisenberg, a cui il sottosegretario garantisce un cambio di governo qualora i 5 stelle non rispettassero gli accordi da lui stretti con Washington. Un fatto è che l’11 luglio 2019 il Consiglio dei Ministri approva il decreto che intensifica la vigilanza sui contatti di Huawei sulla banda larga e sullo sviluppo della connessione 5G. Il decreto quindi deve solo essere convertito in legge in Senato. Di Maio viene convocato all’ambasciata USA a Roma per una colazione con l’ambasciatore. Pare che anche in quell’occasione il vicepremier abbia rassicurato Eisenberg a proposito della ‘Via della Seta’, dicendo che si trattava di accordi già presi da altre amministrazioni, e che la firma era solo stata una doverosa ratifica. Di Maio in quell’occasione rassicura Eisenberg a proposito del nodo cruciale 5G, per il quale si stava accelerando l’approvazione del decreto legge Golden Power, che avrebbe fermato Huawei.

Un altro fatto è che, al contrario di quanto riferito all’ambasciatore americano, in Senato i 5 stelle affossano il decreto anti-Huawei, raccogliendo le lamentele dei Cinesi che lo reputano discriminatorio. La questione, per gli Americani, è di vitale importanza strategica, poiché riguarda segreti militari a proposito di infrastrutture esistenti in Italia, centro strategico del Mediterraneo. Al punto tale che gli USA hanno inserito sia Huawei Italia che il centro di ricerca Huawei di Milano in una Black List. Washington assiste incredula all’avanzata italiana di Huawei, nonostante la messa al bando da Trump perchè in odore di spionaggio per i suoi stretti legami con il governo di Pechino. Un fatto è che Eisenberg ad un certo punto, invece di convocarlo, piomba direttamente nell’ufficio del sottosegretario Giorgetti.

Non sappiamo cosa si siano detti, ma è facile ipotizzare che l’argomento, vista la incontrollabilità degli uomini Cinquestelle, sia stato un ampio rimpasto di governo, eliminando tutti i componenti filocinesi, ciò che invece Di Maio e soci non hanno voluto. La crisi di governo, quindi, si può facilmente ipotizzare – dati i contatti continui del ministro Centinaio con lo stato maggiore pentastellato – che debba servire ad un forzato rimpasto di governo, a cui guardano con attenzione Trump e la sua amministrazione. Questo il motivo per cui Salvini, a cui si è attribuita ogni colpa, ha inteso staccare la spina a questo governo, nonostante il discorso di chiusura di Conte, un vero e proprio programma elettorale; come quello, del resto, pronunciato alla Vetrata da un Di Maio che ci auguriamo si sia reso conto della figura poco felice fatta a proposito del controllo di un Movimento, che, proprio perchè tale, è sempre ‘in movimento’, con le anime più varie e diverse, incontrollabili, e più che altro estremiste. Un tale coacervo di persone che non seguono il capo senza alcun dubbio non può guidare il governo della nostra nazione, a meno di una selezione che solo Di Maio – dove sono finiti i ‘Duri e Puri’? – può mettere in atto, sfrondando il Movimento di quelle frange che agendo autonomamente, e non nell’ottica di governo, possono portare solo danni. Filocinesi sono i Piddini, come Gentiloni, che per primo ha partecipato al Forum della ‘Via della Seta’ nel 2017. C’è anche il redivivo Prodi, che sta spingendo per un governo giallorosso, non gradito agli USA. Sembra che Prodi sia un punto di riferimento delle massime cariche di governo cinese, al punto di partecipare alle riunioni a porte chiuse della China Development Bank. Ora le posizioni sono più chiare, e anche il perchè delle cose.

Da una parte Prodi, Gentiloni, il PD, che vogliono tornare a governare. Ma tornare al PD sarebbe un tornare indietro, con l’assurdo che coloro che si autodefiniscono ‘progressiti’, oggi sarebbero invece più conservatori della destra. Dall’altra il M5S, a cui si è accodato Giuseppe Conte, con il loro programma che senza dubbio è più populista dei populisti, e questo non lo dico come una diminutio. Terzo incomodo, un Centrodestra che vuole prendere in mano le redini della nazione, probabilmente la soluzione che più piacerebbe agli Americani. Anche se Trump ha detto che gli piacerebbe vedere Salvini e Di Maio riabbracciarsi. Quindi, niente governo giallorosso. O altrimenti, un governicchio che tutti dichiarano di non volere: un governo che durerebbe ‘L’espace d’un matin’. Lo spazio d’un mattino.




Incendio Monte Tuscolo, Bruno Astorre: “Infinita rabbia”

“Provo un senso di infinita rabbia e di profonda tristezza nel vedere le immagini del nostro Tuscolo in fiamme ad opera di maledetti criminali. Mi auguro che gli autori di questo delitto siano individuati e per loro ci siano pene esemplari.
In questo momento il mio grazie va a tutti i soccorritori, vigili del fuoco, volontari della Protezione civile, guardiaparco che hanno operato per domare l’incendio e limitare il più possibile i danni”. Queste le parole del segretario regionale Pd e senatore della Repubblica Bruno Astorre, molto legato all’area dei Castelli Romani e fautore della riqualificazione del Parco Archeologico del Tuscolo che fortunatamente non ha subito danni.

Serena Gara, vicepresidente della Comunità Montana non vedeva episodi del genere da oltre due anni: “Non si è mai verificato un incendio di questa portata – dice – neppure cinque anni fa quando un altro grosso incendio ha colpito il Tuscolo. Fortunatamente le fasce tagliafuoco che abbiamo installato a giugno hanno evitato che l’incendio colpisse l’aria archeologica che si è salvata tranne una parte di vegetazione vicino ai sepolcri. Abbiamo messo a disposizione degli inquirenti le immagini dell’unica telecamera che punta nella zona dell’incendio che si è propagato dalla zona Anagnina a salire”.




Zingaretti, Salvini e quell’accordo non scritto…

Le cose che attengono la strategia possono anche essere incomprensibili ai più ma sono chiarissime a chi la elabora.

Salvini ha passato la palla a Zingaretti. Il primo ha aperto la crisi e il secondo ha ora in mano tutte le opzioni per chiuderla, nuovo governo o elezioni che siano. Se come tra loro c’è stata condivisione strategica allora molte delle azioni che vediamo sono di natura tattica, di posizionamento.

Nessuno può pensare che i due leader potessero far cadere il governo, sciogliere le camere e convocare gli italiani al voto, portando a termine l’intera strategia da soli. Come è noto, dopo l’apertura di ogni crisi entra in campo il Capo dello Stato che, interpretando le volontà dei gruppi parlamentari (non il popolo ma i suoi rappresentanti in parlamento) verifica le condizioni per formare un nuovo governo e in mancanza di queste ultime scioglie le camere e convoca gli italiani al voto. Quindi una strategia nata per gli obiettivi sopra menzionati non avrebbe potuto ignorare il terzo attore, il più importante, Mattarella.

Una moltitudine di soggetti negli ultimi giorni si è affannata a dichiarare “nuovo governo per il paese”, “elezioni subito”, “tradimento” Etc. Questa moltitudine di soggetti, da Renzi alla Meloni, da Grillo a Berlusconi, passando per Grasso e la Lorenzin hanno messo in atto (consapevolmente o meno) una atteggiamento tattico volto a tirare Mattarella sulla soluzione gradita.

Salvini e Zingaretti no.

I due non hanno dichiarato semplicemente la propria posizione preferita ma hanno assunto posizioni tattiche, utili a portare Mattarella sulla propria strategia.

Zingaretti all’inizio ha tentennato prima di arrivare a concedere l’assenso all’apertura della trattativa con i 5Stelle per la formazione di un nuovo governo. Poi (prima azione tattica) ha detto si ma a determinate condizioni, le quali inizialmente sono sembrate assolutamente accettabili e poi, quando declinate sui fatti concreti, sono apparse di chiusura (vedi il diniego alla riduzione dei parlamentari).

Salvini dal canto suo ha tatticamente attenuato i toni dello scontro con i 5Stelle fino a dichiarare che con Di Maio premier, Giorgetti all’economia e se stesso al Viminale si poteva continuare con il contratto di governo (riduzione dei parlamentari compresa).

Di Maio alla fine ha declamato i dieci punti irrinunciabili (di fatto il contenuto del contratto di governo con la lega che al primo punto riporta la riduzione dei parlamentari) e ha chiesto di poter trattare la formazione del nuovo governo.

Questo atteggiamento ha irritato il Capo dello Stato, il quale non ha potuto mascherare il proprio disappunto alle telecamere al termine delle consultazioni.

Con tale stato d’animo ha dato 5 giorni alle forze politiche (attenzione non al PD e a 5Stelle ma alle “Forze Politiche“ presenti in parlamento) per portare una proposta per un governo solido, stabile, duraturo e di ampio respiro.

Questi 5 giorni dovrebbero essere paragonati ai 20 giorni che la legge concede ai sindaci di comuni anche di 500 abitanti per comporre la giunta. Per dire la difficoltà intrinseca a partorire una soluzione solida, stabile, di ampio respiro per comporre il nuovo governo del paese tra due forze che fino a qualche giorno fa dialogavano a insulti e invettive.

Ora delle due l’una o Zingaretti rinuncia ai suoi 3 punti irrinunciabili, Di Maio si accorda anche con punti semiconcordati (senza scriverli sulla pietra) oppure si ripiega su un incredibile ritorno al passato con un nuovo governo giallo/verde che già in premessa recepisce i 10 punti irrinunciabili dei grillini stuzzicando DiMaio con Palazzo Chigi. È ovvio che le due dichiarazioni, i 3 punti di Zingaretti e la riapertura di Salvini sono posizioni tattiche che mirano a destabilizzare un quadro già di suo è giunto al delirio.

In 5 giorni il Pd deve mantenersi compatto, i 5Stelle devono ingoiare qualche rospo, la sirena Salvini con la sua nuova proposta deve essere ignorata da quel cinquanta percento di 5Stelle che la condivide.

Inoltre sempre in 5 giorni devono riuscire a comporre una compagine di governo PD/5Stelle da proporre a Mattarella.

Sembra che gli unici due che potrebbero avere una strategia, Zingaretti e Salvini, con le loro attuali posizioni tattiche stiano continuando a tessere la tela per riuscire ad indurre Mattarella a compiere i due passi successivi, scioglimento delle camere e voto.

Però, c’è sempre un però, la strategia potrà andare a compimento se i due, Zingaretti e Salvini, resteranno granitici difensori dell’ipotetico accordo non scritto.

All’inizio il ruolo determinante lo ha avuto Salvini e lo ha portato a compimento facendo cadere il governo ora è Zingaretti a dover essere determinato per impedire che nasca un nuovo governo.

L’interesse lo abbiamo detto c’è sia nell’uno che nell’altro ma Zingaretti ha anche sulle spalle la necessità di non tradire la granitica posizione della Sinistra Italiana dal ‘94. Una posizione che stabilisce che se esiste il rischio che nell’anno del rinnovo del Capo dello Stato possa esserci un parlamento a maggioranza di centro destra bisogna fare di tutto per non votare mantenendo la maggioranza presente in parlamento ad ogni costo fino al rinnovo della Presidenza della Repubblica

Essendo questo il caso, con le elezioni anticipate virtualmente vinte dal centrodestra, allora bisogna fare di tutto per non votare mantenendo in parlamento gli attuali assetti fino alla scadenza di Mattarella.

È ovvio che Zingaretti si gioca una partita importantissima sia nell’uno che nell’altro caso. Ora bisognerà vedere se i due leader del futuro, Zingaretti e Salvini, riusciranno a sostenere a vicenda le proprie leadership o ci ritroveremo nella palude parlamentare con un governo senza prospettiva tra PD e 5Stelle. Nel frattempo Di Battista, Gentiloni, Renzi, Centinaio ed altri stanno pensando ad agitare le acque e Orlando oggi è arrivato a chiedere, per conto del PD, una dichiarazione Grillina di chiusura definitiva del dialogo con la Lega.

Quanto fin qui asserito Potrebbe essere una deduzione fantasiosa? Vedremo

Marco Mattei