SIMONETTA CESARONI: IL DELITTO DI VIA POMA E QUELLA PISTA NON BATTUTA

di Angelo Barraco

Roma – Il 7 agosto del 1990 a Roma si consuma uno degli omicidi più efferati mai avvenuti in Italia. L’omicidio di Via Poma.
E’ una storia nota a Tutti quella di Via Poma, ma analizzando bene le dinamiche dell’omicidio e i dettagli presenti sulla scena del crimine, bisogna riflettere sul fatto che sembrerebbe vi siano state delle omissioni e che non sarebbe stato tutto svolto secondo dei criteri investigativi ben precisi e identificabili poiché la dinamica dell’omicidio mette in luce una verità, una verità che non ha sfiorato le indagini ma che era sotto gli occhi degli inquirenti e che poteva, probabilmente, far risolvere il caso molto prima.  Ma andiamo per gradi ed analizziamo bene quel giorno.

Simonetta Cesaroni è una ragazza di 21 anni che lavora come segretaria presso l’A.I.A.G. in via Poma 2, quartiere Prati.
Quel giorno Simonetta si reca a lavoro prima delle 15.30.
Il portiere infatti dice agli inquirenti di non averla vista entrare poiché Vanacore iniziava il suo lavoro a quell’ora.

Da qui inizia il mistero, i dati certi che si hanno provengono da ciò che fa e stabiliscono approssimativamente fino a che ora Simonetta è rimasta in vita.
Alle 17.15 telefona ad una collega di d’ufficio per sapere alcuni dati, alle 17.25 la collega richiama Simonetta e le comunica i dati. Alle 18.30 Simonetta avrebbe dovuto chiamare il suo datore di lavoro, Volponi, ma non lo fa.

Passano le ore e la famiglia si allarma, la sorella Paola con il fidanzato Antonello vanno da Volponi e quest’ultimo dice di non sapere dove si trovano gli uffici. Volponi scende allora con il figlio e insieme a Paola ed Antonello si mettono alla ricerca dell’ufficio e riescono a trovarlo. Il cancello è chiuso, suonano ma nessuno apre, allora il figlio di Volponi scavalca il muro ed entra per aprire il cancello. Si dirigono allora tutti verso la portineria dove ad accogliere loro c’è la moglie di Vanacore che si mette sulla difensiva e dice di non avere le chiavi. Dopo essere saliti al terzo piano la signora tira fuori le chiavi e apre la porta.
Il primo ad entrare è Volponi e gli altri a seguito, Volponi ispeziona le due stanze illuminate ma non vede nulla, poi si dirige al buio in fondo nella stanza del direttore dell’A.I.A.G. e fa la macabra scoperta. 

SCENA DEL DELITTO:
Il corpo si presenta in posizione supina, il reggiseno abbassato sul torace, presenta 29 coltellate inferte, secondo analisi, da un tagliacarte, poiché il tagliacarte ha un corpo largo e la punta stretta e le ferite corrispondevano esattamente a questo tipo di arma. Il corpo presenta moltissime ferite concentrate sul viso, addome, torace, pube e anche una tumefazione nella parte destra del volto di Simonetta, il colpo che l’avrebbe stordita.
All’interno delle ferite non sono state trovate tracce di tessuto ergo è stata colpita da nuda.
Simonetta ha perso molto sangue, circa 3 litri, ma nella scena del crimine non vi è traccia poiché tutto si presenta pulito, eccetto le macchie di sangue trovate sulla porta e sui telefoni.
La finestra della stanza dove è stato rinvenuto il corpo di Simonetta ha le tapparelle abbassate, nella sua borsa mancano i suoi gioielli, le chiavi, segno che l’assassino aveva intenzione di ritornare presso quel luogo e i vestiti, nella sua borsa sono state trovate anche delle polaroid non sviluppate. Nel pianerottolo dell’appartamento sono stati trovati segni di ripulitura, come vi è stata ripulitura anche all’interno dell’appartamento da parte dell’assassino.

BREVE SINTESI DEGLI ACCUSATI E DELLE MOTIVAZIONI
L’indagine ha inizio con la verifica di chi c’era nella palazzina in quelle ore, e da quella verifica vengono individuate sette persone: Vanacore, la moglie, i loro figli e l’ingegner Cesare Valle. Vanacore, interrogato, dice di non aver visto e sentito nulla poiché si trovava a casa dell’ingegner Valle in quelle ore (faceva assistenza ad esso) e di non aver visto nessun estraneo entrare ed uscire, Vanacore però fa confusione, si contraddice, cade nel dubbio e dopo tre giorni dall’omicidio viene arrestato con l’accusa di essere l’assassino di Simonetta Cesaroni.
Gli elementi a suo carico sono: Le sue dichiarazioni confuse ed incerte, il fatto che avesse le chiavi di tutti gli appartamenti e, poiché nell’appartamento non vi era segno di effrazione, soltanto chi era in possesso delle chiavi poteva essere entrato ed uscito, Vanacore puliva spesso gli appartamenti dello stabile e visto che il pavimento del pianerottolo tre aveva chiari segni di ripulitura, come d’altronde l’appartamento dove è stato rinvenuto il corpo, ciò ha fatto presupporre logicamente che l’azione di Vanacore, poiché ordinaria, non fosse vista come un’azione sospetta. Non riusciva a fornire un alibi concreto, in più c’era un altro elemento a suo carico: delle macchie di sangue sui suoi pantaloni. A questo si aggiunge anche l’atteggiamento ostile che assume la moglie di Vanacore. In seguito vengono svolte indagini sulla vita di Vanacore e salta fuori che aveva avuto rapporti extraconiugali e da testimonianze ed intercettazioni salta fuori che la figlia era andata via di casa perché lui esercitava su di lei “attenzioni particolari”.
Il 30 agosto 1990 Pietrino Vanacore viene scarcerato per mancanza di indizi a suo carico.
Nel 2008 sono state effettuate indagini presso la casa di Monacizzo, dove l’uomo risiedeva con la moglie, tali rilievi non hanno portato a nulla e nel maggio 2009 la procura di Roma ha deciso di archiviare l'indagine. Il 9 marzo 2010 Pietrino Vanacore si suicida. Il portiere decide di levarsi la vita a distanza di poco tempo dalle scadenze processuali e dalla deposizione che avrebbe dovuto fare in tribunale.

Dopo Vanacore viene indagato Federico Valle, nipote dell’ingegner Cesare Valle. Roland Voller, un austriaco intrattiene, per un errore dovuto al suo apparecchio telefonico, un rapporto telefonico con una donna, questa donna è la madre di Federico Valle. Il 7 agosto 1990 alle 16.30 Voller e la signora si parlano al telefono e lei mostra forti preoccupazioni per i comportamenti del figlio, poiché è andato in Via Poma a trovare il nonno Cesare Valle, ma non torna.

La sera stessa i due si parlano, lei è preoccupata perché Federico è tornato a casa sporco di sangue e presenta un taglio sulla mano. Federico Valle viene accusato di omicidio perché, secondo l’accusa, ingelosito per una possibile relazione del padre con una segretaria, sia andato in escandescenza e l’abbia uccisa per tali ragioni. A tal proposito ritorna sulla scena delle accuse Vanacore che viene imputato per complicità poiché viene accusato di aver aiutato il giovane ad aver ripulito la scena. La Signora, madre di Federico Valle nega di conoscere quest’uomo, il padre di Federico nega di aver mai conosciuto Simonetta Cesaroni e gli esami comparativi del sangue di Federico rispetto la macchia di sangue sulla porta danno esito negativo.
Federico Valle viene scagionato e prosciolto da ogni accusa nel giugno 1993.

Roland Voller si rivelerà un truffatore e le informazioni che darà su Via Poma si riveleranno false.
Dopo Valle: nel 2005 viene prelevato il DNA a 30 persone e comparato con indumenti di Simonetta adoperando le nuove tecnologie. Nel 2007, 29 sospettati vengono scartati e i sospetti cadono su Raniero Busco (all’epoca fidanzato di Simonetta), perché il suo DNA combacia con le tracce di saliva trovata sul corpetto di Simonetta.
Durante il processo di primo grado Raniero viene condannato a 24 anni di reclusione e al pagamento delle spese processuali e del risarcimento, in separata sede, delle parti civili.
Sentenza di secondo grado: Raniero Busco viene assolto dall'accusa con formula piena.

Il 26 febbraio 2014 la Cassazione ha confermato l'assoluzione – che diventa definitiva – per Raniero Busco dall'accusa di aver ucciso Simonetta Cesaroni.
Quello al seno, che veniva considerato un morso ed era stato attribuito a Raniero, durante le indagini e le perizie, è stato smentito ed è stato appurato che in realtà era un taglio e non vi erano segni alcuni di arcata dentaria.

QUELLO CHE NON E’ STATO FATTO E CHE E’ STATO OMESSO.

Durante le indagini ci sono stati dei punti che sono stati omessi, o meglio dei dettagli.
Analizzando bene la scena del delitto è possibile notare che nella borsa di Simonetta vi erano contenuti dei rullini-polaroid. Quei rullini risalivano all’estate 1988, ovvero un’estate in cui Simonetta non era fidanzata con Raniero ma bensì con un tale Alessandro.
Che motivo avrebbe avuto Simonetta per portar dietro quei rullini?
Non ha nessun senso poiché nessuno porta con se vecchi rullini o vecchio materiale se non per darlo al diretto interessato, soprattutto se legato ad una sfera sentimentale.
Sono del parere che Simonetta avesse con se quei rullini perché quel giorno avrebbe dovuto incontrarsi con l’ex fidanzato, Alessandro, probabilmente per restituirli a lui. E se Alessandro fosse stato rifiutato e avesse perso la testa?  
L’ipotesi appena formulata, ripeto l’ipotesi, mostra chiaramente tanti punti fondamentali:
1: Simonetta ha aperto la porta a qualcuno che conosceva bene
2: Non aveva motivo alcuno di portare dietro quei rullini se non per darli alla persona a cui interessavano, Alessandro appunto, che aveva scattato quelle foto
3: Il corpo è stato aggredito secondo una dinamica confidenziale poiché non c’era disordine all’interno delle stanze e non vi era nulla fuori posto ergo Simonetta conosceva quella persona e non si aspettava quel gesto
4: Il modo in cui è stata denudata è un modo estremamente confidenziale, intimo, di qualcuno che quel gesto lo aveva già fatto e non di certo opera di qualcuno che uccide per rapinare o per violentare, infatti non è stata violentata
5: Simonetta è stata accoltellata per la maggiore al pube e agli occhi, come un gesto di sfregio alla sua sessualità e alla sua vista, come se qualcuno gli avesse voluto far pagare a lei la sessualità che lei ha negato all’altra persona e per quanto riguarda gli occhi, per non fargli vedere più nulla

Questa persona. Tale Alessandro non è mai stato indagato e non è mai stato sfiorato dalle indagini. Eppure sarebbe stato essenziale interrogarlo, almeno sarebbero potuti emergere scenari che adesso sono ben lontani dall’immaginario collettivo.
E se il suo agire non fosse stato solitario? Non si può non tornare a ricordare  il comportamento schivo della moglie di Vanacore all’arrivo dei familiari di Simonetta e al fatto che abbia negato di possedere le chiavi. Soltanto dopo, sotto insistenze, la consorte di Vanacore ha ceduto ed ha aperto.
Il pianerottolo come l’appartamento è stato pulito, e come ho già accennato poc’anzi, Vanacore spesso puliva gli appartamenti degli altri condomini nonché era anche in possesso delle chiavi di tutti gli altri appartamenti.
Il fatto che lui pulisse non destava sospetto ergo credo che non sia un azzardo ipotizzare che abbia potuto ripulire la scena del delitto: conosceva il palazzo e i frequentatori dello stesso e per di più  non poteva non essere a conoscenza che in quel periodo molti condomini non c’erano, di conseguenza maggiore sarebbe stata l’opportunità di agire indisturbati.

Non riesco a non includere Vanacore in un presunto coinvolgimento in questo caso. Un coinvolgimento non da attore principale, ma da personaggio “chiave”.
Nel processo Valle la sua posizione era stata centrata, ma probabilmente avevano sbagliato colpevole.




STEFANO DI BONAVENTURA, CARABINIERE AUSILIARIO: OGGI LA COMMEMORAZIONE

Redazione

Alle ore 09.00, di oggi 13 ottobre 2014, all’interno della Caserma “DALLA CHIESA – CALATAFIMI” sede del 12° Battaglione Carabinieri “Sicilia”, è stata deposta una corona di alloro al monumento dedicato al Carabiniere Ausiliario DI BONAVENTURA Stefano, decorato di Medaglia d’Oro di Valor Militare alla Memoria. Alle 09.30 è stata officiata la Santa Messa nella chiesa di Santa Maria Maddalena dal Cappellano militare, Don Salvatore FALZONE.

La cerimonia rende onore al sacrificio del giovane Carabiniere di leva, nato a Roma il 17 agosto 1966, all’epoca dei fatti appena vent’enne, ucciso il 13 ottobre del 1986.

“Erano le 17.20 quando due individui, armati di pistola, facevano irruzione all’interno dell’agenzia di viaggi “SICANTUR”, di via Emerico Amari a Palermo allo scopo di perpetrarvi una rapina. Il Carabiniere DI BONAVENTURA, che si trovava in agenzia per prenotare un biglietto aereo che lo avrebbe portato a Roma tra gli affetti dei suoi cari, libero dal servizio e in abiti civili, reagiva con determinazione, e coraggio ai rapinatori armati di pistola che avevano fatto irruzione, affrontando da solo i malviventi. Al termine di una violenta colluttazione, i malviventi erano ormai costretti alla resa, quando uno di loro non esitava codardamente a colpirlo con un proiettile di pistola alle spalle. Benché ferito e quasi esanime, DI BONAVENTURA facendo appello alle sue ultime forze, che di li a poco l’avrebbero abbandonato per sempre, si poneva all’inseguimento dei rapinatori facendo fuoco con l’arma in dotazione nel disperato tentativo di riuscire a bloccarli, successivamente accasciandosi al suolo morendo sul posto. Per l’efferato delitto venne arrestato e condannato uno solo dei presunti responsabili, mentre i complici sono rimasti tuttora ignoti.

 

L’Arma ha onorato il comportamento di questo giovane militare, eletto tra i suoi “figli migliori”, facendogli conferire “alla Memoria” la Medaglia d’Oro al Valor Militare, conferita con D.P.R. del 16 aprile 1987 e materialmente attribuitagli il 5 giugno 1987, dal Presidente della Repubblica, in occasione del 173° anniversario della fondazione dell’Arma.




OMOSESSUALI: SVOLTA DEL SINODO

Redazione

Incredibile apertura sul tema degli omosessuali. "Le persone omosessuali hanno doti e qualita' da offrire alla comunita' cristiana". Lo riconosce la "Relatio antedisceptationem' del Sinodo, cioe' il documento intermedio che dopo il dibattito preparara quello finale, del quale rappresenta di fatto la bozza che sara' discussa nei "circoli minori". "Siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternita' nelle nostre comunita'?", si chiedono i vescovi che sottolineano com i gay "s pesso desiderano incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro". Il problema aperto resta pero' se "le nostre comunita' sono in grado di esserlo accettando e valutando il loro orientamento sessuale, senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e matrimonio?". "La questione omosessuale – afferma dunque il documento intermedio del Sinodo – ci interpella in una seria riflessione su come elaborare cammini realistici di crescita affettiva e di maturita' umana ed evangelica integrando la dimensione sessuale: si presenta quindi come un'importante sfida educativa. La Chiesa peraltro afferma che le unioni fra persone dello stesso sesso non possono essere equiparate al matrimonio fra uomo e donna". Secondo il Sinodo, "non e' nemmeno accettabile che si vogliano esercitare pressioni sull'atteggiamento dei pastori o che organismi internazionali condizionino aiuti finanziari all'introduzione di normative ispirate all'ideologia del gender". "Senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto – si legga nella 'Relatio' – che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners".
Inoltre, "la Chiesa ha attenzione speciale verso i bambini che vivono con coppie dello stesso sesso, ribadendo che al primo posto vanno messi sempre le esigenze e i diritti dei piccoli"




ALESSANDRO NASTA: NON DIMENTICHIAMO LE MORTI BIANCHE

Redazione

In ricordo di Alessandro Nasta, Sottocapo nocchiere della Marina Militare morto sull'Amerigo Vespucci precipitando da un'altezza di 20 metri, intendo citare la prefazione del libro "Angeli senza ali, morti bianche e sicurezza sul lavoro" Edizioni Lavoro 2008, curata dal Presidente della Repubblica Giorgio NAPOLITANO:

In nessun luogo – scrive il Presidente – i lavoratori possono essere trattati come numeri. Il più delle volte, tuttavia, le vittime degli infortuni sul lavoro sono quasi anonime, i loro nomi restano solo un giorno nelle pagine interne dei giornali di provincia, quasi fossero morti naturali.

Solo di rado, nei casi di incidenti eclatanti, che coinvolgono più lavoratori, i grandi mezzi di comunicazione paiono assumere consapevolezza di un fenomeno drammatico e, quasi sempre, evitabile.

L'auspicio è quello di dare sempre un volto alle vittime di questa tragedia, raccontare le loro vite, ricordare il loro lavoro, le loro speranze, la famiglia, gli amici. Per contrastare l’idea dell’inevitabilità di questi incidenti occorre una diversa cultura del lavoro, fondata sul rispetto della vita e sul primato di chi lavora.




CARO VINCENZO, ANCHE TU UNA VITTIMA DI QUESTA INSULSA SOCIETÀ.

Di Christian Montagna

Caro Vincenzo
ho deciso di scriverti una lettera dopo che la tua mamma mi ha concesso di farti visita in quella triste e cupa camera d'ospedale perché è giusto che tutti sappiano cosa state vivendo.Sono da poco passate le 13 di sabato e tu sei nel letto. Al tuo fianco mamma e papà che ti assistono da quel maledetto martedì. Tu hai caldo, vuoi al più presto tornare a casa. Intubato e stanco di soffrire. Si, perché qualcuno quel giorno ha scelto di farti conoscere così presto la sofferenza. Quando vengo a farti visita, mi trattengo a chiacchierare con le tue zie e non sai il dolore che tutti stanno provando. Sbrigati a guarire che devi tornare a casa, alla tua vita e ai tuoi sogni. Immagino quanti bei sogni puoi avere nel cassetto. L'adolescenza, la fase più bella della vita,in cui tutto ha il sapore di nuovo e tutto si carica di emozioni e incanto. Qualcuno voleva vietarti di viverla ma non ci sono riusciti. Nella mia carriera, sono avvezzo a seguire casi di cronaca ma in questo non sono riuscito ad evitare un coinvolgimento personale. Forse perché ho visto quei tuoi occhi sofferenti, forse perché ho constatato quanto male ti è stato fatto. Vincenzo purtroppo tu sei l'ennesima vittima di questa società. Prima di te tanti altri e chissà ancora quanti ne verranno. Sei vittima dei pregiudizi, dell'incoscienza, dell'ignoranza, della maleducazione, del finto perbenismo. Semplicemente sei vittima della follia umana. E io che ripetutamente mi chiedo: a chi puoi aver fatto del male così piccolo e innocente come sei? A nessuno, Vincenzo. È il destino beffardo che si è accanito su di te ingiustamente. Ma tu sei forte e robusto. Non obeso come qualcuno ti ha descritto. Non si offende un minore né tantomeno si denigra. Maleducati! Ti sei trovato al momento sbagliato,nel posto sbagliato con esseri sbagliati. Non li chiamo umani perché non me la sento. Quando sento dire che è stato uno scherzo,mi si contorce lo stomaco.Non si scherza in questo modo, non si tocca il corpo di un bambino. È stata una tortura vera e propria quella che ti hanno fatto piccolo. Ma io sono sicuro di due cose: che la giustizia farà bene il proprio corso e che tu,con la tua grande voglia di vivere supererai tutto ciò e presto sarà solo un brutto ricordo. Io ne sono sicuro campione,presto tornerai a casa. Forza Vincenzo, sono con te, siamo tutti con te!




ELENA CESTE: IL CANE DI ELENA E' SCOMPARSO O FATTO SCOMPARIRE?

di Simonetta D'Onofrio

Costigliole D'Asti – Ancora molti i misteri sul caso Elena Ceste, scomparsa dalla sua abitazione di Costigliole d'Asti il 24 gennaio, frazione di Santa Margherita in provincia d’Asti. Questa volta è il settimanale “Giallo” a svelare l’ennesima oscurità che gira attorno alla mamma di quattro figli, dove viene riportata un’intercettazione fatta nella casa dove Elena viveva con i quattro figli e il marito.

Il marito Michele Buoninconti sembrerebbe aver detto ai propri figli di non menzionare dettagli particolari sulla sua vita affettiva con la loro madre, in altre parole durante questa intercettazione dovevano tacere in merito ai litigi che emergerebbero anche nel racconto contradditorio dell’uomo, subito dopo la sparizione della moglie.

Altro elemento è la sparizione del cane, sempre in concomitanza dell’allontanamento di Elena Ceste. Da quanto ricostruito sembrerebbe che il piccolo cucciolo non dimostrò alcuna attenzione per gli abiti abbandonati nel giardino antistante l’abitazione dalla Ceste. Infatti, come più volte menzionato dal nostro giornale, Michele Buoninconti, ha sempre detto di averli trovati in giardino la mattina stessa, in uno stato di completa integrità. Gli investigatori, anche su questo indagheranno: una semplice coincidenza o qualcuno il cane lo ha fatto allontanare volontariamente?

Ricordiamo che Elena Ceste la mattina della sua sparizione aveva aveva lasciato i suoi quattro figli al marito che li aveva accompagnati a scuola. Quando ritornò Michele trovò il cancello chiuso, gli oggetti personali della donna rimasti in casa, come il cellulare, i documenti, gli occhiali da vista e il giaccone che abitualmente utilizzava per coprirsi. La villetta da riordinare, le faccende domestiche mai iniziate, come i letti dei ragazzi da ricomporre.



La storia


Elena aveva rapporti d’amicizia anche con alte figure maschili. Viene accertato dagli inquirenti che riceva diversi messaggi sul suo cellulare personale e che aveva anche un proprio profilo personale su Facebook, all’insaputa dei familiari. Aveva riallacciato amicizie con molte persone legate al suo passato.

Gli investigatori hanno chiesto a Michele se fosse a conoscenza del contenuto dei messaggi ricevuti da Elena, che in alcuni casi sono riconducibili a legami amorosi intrattenuti dalla giovane donna. Michele si è sempre mostrato incredulo a tutto ciò e avrebbe messo le mani sul fuoco, a conferma dell’ottima reputazione che aveva per lui la sua consorte. Mai e poi mai si sarebbe comportata così, distraendosi con altri uomini, lontano dal focolare domestico. Insomma era per tutti una donna casa e chiesa.

Anche a luglio nella trasmissione “Chi l’ha visto?”, la giornalista Federica Sciarelli ha detto che in redazione era arrivata anche una lettera da un amico della vittima, il quale sarebbe a conoscenza di alcuni dettagli della vita coniugale di Elena Ceste e del marito. La conduttrice ha letto solo la parte iniziale del testo, evidenziando che l’autore avrebbe affermato di essere a conoscenza del fatto che Elena avesse intenzione di richiedere la separazione coniugale. La Sciarelli ha invitato l’artefice della missiva a farsi avanti, poiché come lui sostiene, non è alla ricerca di clamore e non è tanto meno un mitomane. La lettera rimane una pista valida, che potrebbe far cadere la maschera a chi ancora oggi, cade dalle nuvole.

Tante sono le circostanze oscure in questo caso. Anche la mattina della scomparsa, il 24 gennaio, Michele si recò da un medico, proprio perché era turbato dal comportamento che avrebbe avuto sua moglie la sera prima della scomparsa. Proprio su questo episodio ci sono le telecamere che hanno ripreso i movimenti dell’uomo, che a tutt’oggi non è accusato di nulla. Ed è il marito a confermare che qualcosa di preoccupante doveva esserci nello stato d’animo della moglie: “Mi aveva detto delle cose molto strane, confidandomi di aver paura che qualcuno ci portasse via i nostri bambini. Anche al suo risveglio mi aveva detto che non si sentiva bene e per questo mi aveva chiesto se potessi accompagnare io i nostri figli a scuola. Poi però aveva cambiato idea e mi aveva detto di lasciarli a casa. Allora io l’avevo tranquillizzata e poi ero uscito. Rientrando a casa, dopo aver lasciato i bambini a scuola, mi ero fermato davanti allo studio del medico. Era ancora chiuso. Mi ero segnato Borano di ambulatorio perché volevo che visitasse mia moglie. Arrivato a casa, Elena non c’era più».

Presto ci saranno le conclusioni investigative da parte degli inquirenti e solo allora potremmo definire completamente il quadro complessivo degli indizi, analizzando anche eventuali indagati.




STRAGE ERBA: C'E' CHI E' CONVINTO DELL'INNOCENZA DI ROSA E OLINDO

In attesa che ci sia un colpo di scena che riaccenda i riflettori su un processo che probabilmente andrebbe rivisto e che riguarda la strage di Erba. Gli addetti ai lavori che hanno seguito in maniera approfondita la questione sono sempre più convinti dell'innocenza di Rosa e Olindo. 

di Angelo Barraco

Non ho dubbi sulla loro innocenza, avendo seguito tutto il processo, l'impianto accusatorio ha costuito le sue fondamenta su delle liti condominiali pregresse ma in sostanza non c'è nulla che riconduca a loro, nulla. La loro casa è stata ispezionata con i luminor subito dopo il delitto e nulla fu trovato quando è matematicamente impossibile ripulire quelle tracce dopo una strage del genere. Il luminor evidenzia tracce di sangue risalenti anche a 20 anni prima del fatto compiuto ed evidenzia anche tracce eliminate con la varechina ergo è impossibile che siano stati loro, poichè se fossero stati loro avrebbero sporcato tutta casa. Poi c'è quel famoso scontrino del Macdonald che è il loro alibi e che dimostra il fatto che loro non stavano nel complesso residenziale nel momento della strage. Ci sono altri due elementi di grandissima importanza: il primo è che la confessione di Olindo e Rosa è venuta fuori dopo che un carabiniere ha minacciato Olindo di non vedere più Rosa e, poichè (secondo una perizia psichiatrica) entrambi avevano un rapporto simbiotico a causa di traumi regressi, Olindo ha preferito confessare non prima però di aver parlato con Rosa e le loro confessioni si basavano esclusivamente sulle informazioni che fornivano i giornali e la Tv, infatti erano piene di buchi. Punto di estrema importanza: anche la confessione del compianto Frigerio è stata manipolata poichè Frigerio (unico superstite, da poco deceduto) aveva dichiarato inizialmente che l'individuo che lo aggrediì era alto, scuro di pelle, insomma l'antitesi di Olindo. In seguito, nel secondo interrogario, hanno fatto pressioni su di lui affinche dicesse il nome di Olindo, ma inizialmente l'uomo riconosciuto da lui era un altro. La storia è un'altra e in carcere ci sono due innocenti. Durante le "accurate" indagini, fu ispezionata con i luminor la macchina di Olindo e Rosa per vedere se all'interno di essa vi fossero tracce si sangue. Nella macchina non fu trovato nulla eccetto una piccola macchia di sangue nella parte esterna dell'abitacolo. Tale traccia fu esaminata e fu fatta risalire alla vittima, madre del bambino (al momento mi sfugge il nome).



Quì si basa parte dell'impianto accusatorio contro i coniugi ma qui si verifica anche un grande, grandissimo errore giuriziario. Quella macchia intanto era nella parte esterna della macchina e, vista l'enorme quantità di sangue che c'era nei locali era una "macchia trasportabile" ergo una macchia che si era attaccata sotto la scarpa di Olindo mediante il calpestamento del suolo e questo è stato evidenziato il sede processuale.



L'errore enorme sta ne fatto che la foto repertata che dovrebbe raffigurare quella parte esterna di abitacolo con la relativa macchia di sangue, non fu repertata con l'abitacolo illuminato dal luminor ma con l'abitacolo senza illuminazione mediante luminor ergo la macchia non si vede, di conseguenza quella prova non dovrebbe avere alcuna valenza.

di Silvio Rossi

Fabio Schembri, avvocato della coppia condannata per la strage di Erba non ha dubbi: Rosa Bazzi e Olindo Romano non hanno ucciso quattro persone e ferito gravemente Mario Frigerio. Secondo quanto dichiara il loro legale, ci sono una serie di nuovi elementi che possono ribaltare le convinzioni della corte, che si basava principalmente sulla testimonianza di Frigerio.

Secondo quanto afferma Schembri, che ha difeso i coniugi Romano al processo d’appello assieme alla collega Luisa Bordeaux, una parte dell’opinione pubblica è convinta dell’innocenza dei due, e che i colpevoli della strage non sono stati trovati.

Dello stesso avviso è Luca D’Auria, avvocato di Azouz Marzouk, padre e marito di due delle vittime, che afferma di aver trovato un supertestimone che scagionerebbe i Romano, e di aver presentato un ricorso alla Corte di Giustizia europea di Strasburgo.

Le dichiarazioni dei due avvocati giungono nei giorni in cui i due detenuti hanno finito di scontare l’isolamento. Ora Olindo e Rosa, condannati all’ergastolo, possono vivere in un normale regime carcerario, socializzando con gli altri detenuti. 

Fino a oggi hanno avuto la possibilità di tre incontri mensili di due ore ciascuno, ma non di incontrare altre persone. I coniugi Romano sono detenuti nei carceri di Opera (Olindo) e Bollate (Rosa), entrambi nell’hinterland milanese.

Schembri ha dichiarato che presenterà a breve, entro un paio di mesi circa, la richiesta di revisione del processo, supportato anche da alcune dichiarazioni dello stesso Marzouk, che ha dimostrato in più occasioni di non credere alla sentenza dei giudici.

 

La strage

Era l’11 dicembre 2006. In una palazzina nel centro di Erba, cittadina della provincia comasca, divampa un incendio. Quando alcuni vicini raggiungono l’appartamento in fiamme, trovano un uomo a terra sulla porta, lo trascinano sul pianerottolo, cosa che ripeteranno subito dopo col corpo di una donna. 

L’uomo è Mario Frigerio, che è sopravvissuto grazie al tempestivo intervento dei soccorritori, la donna invece era già morta quando gli uomini sono giunti nell’abitazione.

Mentre i primi soccorritori portano in salvo Frigerio, si sente una voce femminile che chiede aiuto, ma le fiamme e il denso fumo impediscono di raggiungerla. Quando arrivano i pompieri e domano l’incendio, si contano quattro morti: Raffaella Castagna, che abitava nell’appartamento andato a fuoco, suo figlio Youssef, di due anni, e la madre Paola Galli. Al piano superiore, soffocata dal monossido di carbonio sviluppato dall’incendio, giace il corpo senza vita di Valeria Cherubini, moglie di Mario Frigerio, la donna che chiedeva aiuto.




PAS, SINDROME DA ALIENAZIONE PARENTALE: SEPARAZIONE E AFFIDAMENTO FIGLI

A cura della Dott.ssa Catia Annarilli, Psicologa – psicoterapeuta

La Sindrome da Alienazione Parentale PAS è una complessa dinamica psicologica disfunzionale che si attiverebbe sui figli minori coinvolti in contesti di separazione e divorzio altamente conflittuali e non adeguatamente mediati. Il primo che ha parlato di questa situazione è stato Richard Gardner, psichiatra statunitense, che ha definito tale quadro psicologico per la prima volta nel 1984, ma ancora oggi la PAS è oggetto di esame e di controverso dibattito e non è ufficialmente riconosciuta né dall’ambito scientifico né da quello giuridico. Sembra che le cose stiano lentamente cambiando: infatti, recentemente l’APA – American Psychiatric Association – ha deciso di non definirla come un disturbo mentale, quanto piuttosto un problema di relazione tra genitore e figlio, o tra i due genitori; in Italia la Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dall’Adolescenza identifica la PAS come un abuso nelle “linee guida di abuso sui minori” del 2007. 

La Sindrome da Alienazione Parentale coinvolge almeno tre soggetti: bambino, genitore alienante e genitore alienato, e consiste in una continua e corposa campagna di denigrazione nei confronti del genitore non affidatario da parte del genitore affidatario; la si riesce a identificare dopo un’attenta valutazione e osservazione del comportamento del minore; viene instillata e mantenuta viva nel bambino dall’azione continua del genitore alienante sul di esso.
Gardner la definisce come: “… il risultato della combinazione di una programmazione (lavaggio del cervello) effettuata dal genitore indottrinante e del contributo dato dal bambino in proprio, alla denigrazione del genitore bersaglio. In presenza di reali abusi o trascuratezza dei genitori l’ostilità del bambino può essere giustificata e, di conseguenza, la Sindrome di Alienazione Parentale, come spiegazione dell’ostilità del bambino, non è applicabile”.
Nel dibattito riguardante il riconoscimento scientifico della PAS nel 2001 R.A. Warshak ha identificando alcuni elementi essenziali comuni a tutte le definizioni del disturbo: il rifiuto di un genitore; l'ingiustificatezza del rifiuto; il contributo causale (parziale) al rifiuto da parte dell'altro genitore. La manipolazione dei figli contro un genitore può essere considerata una forma di manipolazione affettiva, azione questa studiata fin dal 1960 dalla scuola di Terapia Familiare e dall’approccio sistemico relazionale come modalità di relazione disfunzionale all’interno della famiglia. La manipolazione dei figli contro i genitori è un fenomeno noto anche nei casi di sottrazione internazionale, pratica questa punita anche dalla Convenzione dell'Aia.
Il momento della separazione per una coppia è un momento importantissimo del ciclo vitale di una famiglia, e comporta una riorganizzazione profonda delle relazioni e degli equilibri familiari e individuali in cui però è necessario che le funzioni restino intatte; un figlio di genitori separati ha bisogno come gli altri bambini, e anche di più, di stabilità, di continuità nelle relazioni affettive, di sentirsi protetto dalle figure genitoriali, di un’educazione condivisa all’interno di un progetto più ampio di genitorialità.
Quando in una coppia si instaura un conflitto, il progetto coniugale è fallito e quello genitoriale potrebbe entrare in crisi determinando la contrapposizione dei due genitori che ritengono, ognuno per sé che il proprio progetto genitoriale sia il migliore per il figlio e, in questo clima teso e conflittuale, il figlio può allora divenire oggetto di strumentalizzazioni a discapito di quello che sarebbe il suo miglior interesse educativo. Il bambino può sentirsi conteso tra le due posizioni, oscillando continuamente tra il senso di accoglienza di uno e il rifiuto dell’altro in una ciclicità sempre uguale e ripetitiva; in questo clima emotivo ansia e aggressività, ma anche tristezza e impotenza possono diventare modalità diverse con le quali il bambino tenta di fronteggiare lo stress derivante dalla conflittuale dinamica di coppia.
La mancata elaborazione della separazione da parte dei coniugi potrebbe determinare uno stallo nel ciclo vitale della famiglia, situazione in cui i comportamenti e le tensioni tendono a cronicizzarsi, a irrigidirsi, e il conflitto a cristallizzarsi non lasciando alcuno spazio per la mediazione. Nel tempo ciò comporta lo strutturasi di dinamiche relazionali sempre più patologiche che vedono la messa in atto di comportamenti ostili verso l’ex-partner, il coinvolgimento e la triangolazione del bambino all’interno del conflitto coniugale. Proprio perchè è una distorsione relazionale la sindrome da alienazione parentale è di difficile diagnosi.
La PAS si manifesta principalmente nel rifiuto immotivato del figlio a mantenere i rapporti con il genitore non affidatario, rifiuto accompagnato da una forte e ingiustificata campagna di denigrazione dello stesso, che è il risultato dell’azione di manipolazione che il genitore affidatario, o comunque con cui vive il figlio, consapevolmente o inconsapevolmente, mette in atto per allontanare il figlio dall’altro genitore “… in questa campagna di denigrazione il minore ha un ruolo attivo in quanto la manipolazione delle informazioni raggiungono il livello cognitivo del figlio influenzando le sue credenze trasformandolo in “giudice” dei propri genitori…” (Malagoli Togliatti, Franci, 2005)

Si identificano alcuni momenti distinti nell’induzione della PAS:
– guadagnare accondiscendenza – è per questo che il bambino deve essere giunto ad un livello di sviluppo cognitivo e morale sufficiente per la programmazione;
– testare come funziona la programmazione;
– misurazione della lealtà;
– generalizzazione ed espansione del programma sulle persone che si sono alleate all’altro genitore e sugli oggetti e animali che gli appartengono;
– mantenere il programma (quando il modellamento è stato ottenuto perché non si estingua bisogna tenerlo attivo mediante dei rinforzi); questo permetterà al genitore alienante di mantenere il condizionamento sul minore, che si estinguerebbe se per un prolungato periodo di tempo questi non ricevesse più alcun rinforzo … (Buzzi).

Negare sempre l’esistenza dell’altro genitore, manipolare i fatti a vantaggio proprio, sottolineare l’inaffidabilità dell’altro genitore, minacciare una diminuzione del proprio affetto se il bambino mostra desiderio di avvicinamento all’altro genitore, soddisfare le richieste disapprovate dall’altro genitore, creare confusione e sensi di colpa nel bambino sono tutte tecniche che, se ripetute nel tempo, hanno l’effetto di vincolare il bambino al genitore alienante in un legame morboso e patologico. I motivi che possono spingere un genitore ad attuare tali strategie sono diversi e complessi, e possono includere ad esempio la rabbia per la fine del matrimonio, il desiderio di vendetta, il desiderio di mantenere comunque un rapporto con il partner anche attraverso il conflitto, il voler ottenere vantaggi economici.

Le caratteristiche principali con cui la sindrome si manifesta includono: la campagna di denigrazione; futili e/o assurde razionalizzazioni a sostegno della denigrazione; mancanza di ambivalenza; sostegno automatico del genitore alienante nel conflitto parentale; assenza di senso di colpa in relazione alla crudeltà e/o insensibilità nei confronti del genitore alienato; estensione dell’ostilità alla famiglia allargata e agli amici del genitore alienato.
Un bambino coinvolto in una PAS riferisce continuamente messaggi immotivati e superficiali di disprezzo nei confronti dell’altro genitore, una visione totalmente buona del genitore alienante, e una visione totalmente negativa del genitore alienato. E’ pienamente coinvolto nel confitto di coppia conoscendo aspetti ed argomenti che solo il genitore alienante può avergli confidato, e usa queste informazioni contro l’altro genitore; l’ostilità è diffusa ed estesa anche alla famiglia dell’altro genitore.

Gli effetti di questa dinamica relazionale disfunzionale possono essere gravi e invalidanti, manifestandosi su ognuno dei singoli protagonisti, ma in particolare è possibile che il bambino con la crescita possa manifestare alcuni sintomi tipici come un cattivo esame di realtà, sviluppare patologie inerenti l’area narcisistica, avere difficoltà nelle relazioni affettive, in particolare nei rapporti di fiducia, soffrire di ansia, di paure e di fobie.
Indicazioni per l’intervento psicoterapeutico
L’intervento psicoterapeutico dovrebbe tenere in considerazione tutti i soggetti coinvolti, anche se la persistenza del conflitto di coppia potrebbe rendere impossibile seguire le indicazioni per una terapia familiare per il rifiuto di uno dei due genitori, in questo caso si potrebbe suggerire o un intervento sulla coppia, in cui il conflitto ancora aperto potrebbe comunque trovare uno spazio di contenimento ed elaborazione senza danneggiare ulteriormente il bambino, o un intervento distinto di terapia individuale.
Le indicazioni di terapia individuale dovrebbero tenere in considerazione queste caratteristiche:
– nel lavoro con il bambino, dedicare tempo per la ricostruzione di un rapporto con il genitore alienato lavorando sul senso di colpa e sullo svincolo dal legame simbiotico con il genitore alienante;
– la psicoterapia con il genitore alienante si dovrebbe centrare sull’elaborazione della separazione e della fine del matrimonio, sul superamento del conflitto di coppia e su azioni a tutela del minore, attivando infine movimenti di ricostruzione dei legami del bambino con l’altro genitore;
– la psicoterapia con il genitore alienato dovrebbe prevedere un lavoro psicoterapeutico sul vissuto di sofferenza ed impotenza, sul destino di vittima e sull’acquisizione di nuove e più efficaci strategie di gestione del conflitto.

Dott.ssa Catia Annarilli
Psicologa – psicoterapeuta
Cell. 347.130714 dott.catia.annarilli@cpcr.it
www.centropsicologiacastelliromani.it
Piazza Salvatore Fagiolo n. 9 00041 Albano laziale

Bibliografia di riferimento
Gulotta G., Cavedon A., Liberatore Milano, 2008.
Cigoli V., Gulotta G., Santi G., Separazione divorzio e affidamento dei figli. Tecniche e criteri della perizia e del trattamento, Giuffrè editore, Milano, 1997
Gardner R. A., The relationship between the Parental Alienation Syndrome (PAS) and the False
Memory Syndrome (FSM). The American Journal of Family Therapy, 32,79-99. Traduzione di Luca Milani.
Gulotta G., Manni Y., Ricerca sulla possibilità di riduzione della suggestionabilità infantile, in Maltrattamento e abuso all’infanzia, 3, 2006.
Gulotta G., Cavedon A., Liberatore M., La Sindrome di Alienazione Parentale (PAS). Lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno dell’altro genitore. Giuffrè Editore, 2008.




RIINA E BAGARELLA NON SARANNO PRESENTI ALLA DEPOSIZIONE DI NAPOLITANO

Redazione

Roma – I boss Riina e Bagarella non ci sarano. La Corte d'assise di Palermo ha rigettato la richiesta dei capi dei capi Toto' Riina e Leoluca Bagarella di essere presenti in videoconferenza alla deposizione al Quirinale del Capo dello Stato Giorgio Napolitano. La Corte d'assise presieduta da Alfredo Montalto, sciogliendo la riserva, dunque non ha ammesso la partecipazione degli imputati all'udienza del 28 ottobre quando verra' sentito il Presidente della Repubblica. A formulare la richiesta erano stati i boss Salvatore Riina, Leoluca Bagarella, l'ex ministro Nicola Mancino. "L'esclusione non appare contrastare con le norme costituzionali ed europee", ha detto Montalto leggendo nell'aula bunker dell'Ucciardone di Palermo l'ordinanza.




GARLASCO: SI TORNA IN AULA IL 15 OTTOBRE, SCONTRO SUL BULBO DEL CAPELLO IN MANO A CHIARA POGGI

di Chiara Rai

Garlasco – Nel palmo della mano di Chiara è stato ritrovato un capello che potrebbe raccontare molto sull’assassino della ragazza di Garlasco. Ieri si è tenuta l’udienza a Milano davanti alla prima Corte d’Assise d’Appello

In aula si ritorna mercoledì prossimo 15 ottobre. Le altre udienze sono state fissate per il 20 e il 27 di ottobre mentre quella del 29 ottobre non è certa.

Ci sono stati diversi momenti di tensione al processo sul delitto di Garlasco . Lo scontro, sembrerebbe essersi acceso nella tarda mattinata, finita la relazione con cui Francesco De Stefano, ordinario del dipartimento di Scienza e Salute dell’ Università di Genova, ha illustrato gli esiti degli esami sul bulbo del capello castano trovato nel palmo della mano di Chiara e sulle tracce di dna maschile individuate su alcuni frammenti di unghie della ragazza. Essendo trascorsi sette anni dal delitto il materiale su cui si è lavorato è stato scarso e degradato e, quindi, le analisi nel primo caso non hanno dato informazioni sufficienti per una “lettura” affidabile, e nel secondo, pur avendo portato a evidenziare 5 marcatori tutti compatibili con quelli di Stasi, non attendibili. Si potrebbe effettuare un’altra tipologia di analisi sul capello rinvenuto che invece potrebbe dire qualcosa di più.  E di fatto, con tutta probabilità, la difesa della famiglia Poggi si muoverà in tal senso affinché venga evaso qualsiasi dubbio in merito.

Roberto Testi, responsabile dell’unità di medicina legale dell’Asl 2 di Torino, Gabriele Bitelli e Luca Vittuari, entrambi docenti del Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Bologna,  hanno sostanzialmente stabilito come fosse «pressoché impossibile» che Stasi abbia potuto evitare di calpestare delle macchie di sangue”, quando, poche ore dopo il delitto entrò nella villetta di via Pascoli

La camminata

 La perizia sulla ricostruzione virtuale della camminata di Alberto Stasi in casa Poggi e' stata depositata nelle cancelleria della prima Corte d'Assise di Appello di Milano, davanti alla quale si sta celebrando il processo d'appello-bis a carico di Alberto Stasi, imputato per l'omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco. La perizia, che consta di 160 pagine, e' stata consegnata in cancelleria dai tre esperti che erano stati nominati dai giudici che hanno deciso riaprire il dibattimento nella primavera scorsa. A cercare di ricostruire i movimenti di Alberto Stasi per capire se potesse non sporcarsi le suole delle scarpe con il sangue della vittima sono stati il medico legale torinese Roberto Testi e i professori Gabriele Bitelli e Luca Vittuari dell'universita' di Bologna. Stando alle indiscrezioni filtrate nei giorni scorsi, il lavoro dimostrerebbe che sarebbe stato quasi impossibile per Stasi non calpestare le macchie di sangue. Perdipù si cercano le famose scarpe con suola a pallini che avrebbero lasciato la firma sul delitto. Stando alle indiscrezioni la taglia sarebbe la 42, la stessa di Alberto Stasi anche se le scarpe consegnate dal ragazzo sarebbero marca Lacoste.

L’omicidio
Il 13 agosto del 2007 Alberto Stasi, studente di Economia e Commercio alla Bocconi, prova a prendere contatto telefonicamente la fidanzata Chiara Poggi, con la quale aveva trascorso la sera precedente, mangiando due pizze, prima di tornare a casa, perché in quel periodo Alberto stava preparando la tesi di laurea.
Verso le 13.30 si reca a casa della fidanzata, non ricevendo risposta al citofono decide di scavalcare il cancello. Arrivato sulla porta di casa, decide di entrare, e trova molto sangue a terra, seguendo le tracce verso la tavernetta trova il corpo di Chiara.
Chiama subito i soccorsi, e si reca nella vicina caserma dei Carabinieri, che distano pochi metri dalla villetta dei Poggi.
Chiara è morta per una decina di colpi violenti inferti con un’arma appuntita, che non sarà mai ritrovata, tra le 9 e le 12 di mattina (l’orario preciso non sarà mai stabilito). Nella villetta le uniche tracce presenti sono quelle di Chiara, dei suoi familiari, di Alberto e di un falegname che aveva fatto dei lavori pochi giorni prima della morte (oltre alle tracce dei soccorritori chiamati da Stasi).
Le indagini si concentrarono sull’ex fidanzato. Hanno destato sospetto l’atteggiamento dopo il ritrovamento del cadavere (sembra che il tono di voce di Stasi quando chiamò il 118 era troppo “rilassato”), le tracce del DNA di Chiara sulla bici di Alberto, la mancanza di sangue sotto le sue scarpe, nonostante il pavimento della casa fosse pieno.
Alberto Stasi venne arrestato il 24 settembre, ma la scarsità d’indizi certi convinse il GIP a scarcerarlo dopo quattro giorni. Nelle indagini successive (dicembre 2007) viene trovato nel computer di Stasi materiale pedopornografico, elemento che ha contribuito a minare l’immagine del fidanzato di Chiara nell’opinione pubblica. Il 3 novembre 2008 Alberto Stati viene rinviato a giudizio per l’omicidio di Chiara Poggi.




EBOLA ITALIA: MASSIMA ALLERTA, SOPRATTUTTO PER LA SICILIA

Redazione

Italia – E pian piano ci si blinda mentre la psicosi da ebola comincia pian piano a propagarsi ma bisogna tenere la calma perché per il momento c'è il rischio ma nessun caso in Italia (almeno per quanto è dato sapere). Dunque, massima allerta per l'ebola, con qualche preoccupazione in piu' per la Sicilia. Lo dice la Simit, Societa' italiana di malattie infettive e tropicali, in relazione all'allarme ebola scoppiato dopo il caso spagnolo. La Simit annuncia che anche il nostro Paese e' in stato d'allerta: attivate tutte le possibili misure di prevenzione a livello nazionale, regionale e locale, comprese le misure di profilassi presso porti e aeroporti. Le regioni italiane piu' esposte geograficamente al rischio di importazione della malattia da virus Ebola sono le regioni costiere presso le cui aree portuali sbarcano periodicamente clandestini provenienti dai Paesi africani. "La Sicilia – spiega spiega Antonio Chirianni, Vicepresidente SIMIT -, per motivi geografici, sembra essere la regione piu' interessata dal potenziale contagio, a causa dei periodici sbarchi di clandestini lungo le sue coste". "Sebbene l'infezione – spiega Chirianni – si trasmetta mediante contatto interumano diretto con organi, sangue e fluidi biologici, e' importante anche evidenziare che il virus permane a lungo nello sperma e che, pertanto, i rapporti sessuali possono rappresentare un veicolo di diffusione dell'infezione anche 6-7 settimane dopo la guarigione. Oggi, appare notevolmente difficile contenere il traffico aereo ed impedire, dunque, gli spostamenti internazionali; inoltre in molti dei territori colpiti dall'epidemia, quali la Liberia, la Guinea e la Sierra Leone sono scarsi i sistemi di controllo. Non si puo' quindi escludere del tutto la probabilita' che l'infezione giunga anche in Italia, sebbene non vi siano voli diretti dai Paesi endemici. In Europa e in Italia sono, comunque, state attivate tutte le possibili misure di prevenzione a livello nazionale, regionale e locale, comprese le misure di profilassi presso porti e aeroporti".