ALICI RIPIENE: LA RICETTA DI LIVIA PICA

di Livia Pica

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Le alici sono diffuse in tutto il Mediterraneo quindi è facile trovarle fresche, tuttavia al momento dell’acquisto è sempre bene controllare l’occhio che deve essere vivo, sporgente e con la pupilla nera. Con l’occasione, si possono guardare anche le branchie che devono essere di un colore rosato tendente al rosso e il corpo del pesce che deve essere sodo e con le squame aderenti.

Le alici, o acciughe, fanno parte del pesce azzurro. La definizione è dovuta al colore della parte dorsale che è di un bell’azzurro brillante mentre il ventre è argenteo. Nella stessa definizione rientrano anche sardine, aringhe e sgombri che sono accomunati, oltre che dalle ridotte dimensioni, anche dai comportamenti, infatti questi pesci vivono in branchi abbastanza numerosi e si spostano tutti insieme.

Ecco una ricetta molto semplice e veloce che ne esalta il sapore.


Alici ripiene

Ingredienti per 4 persone

1 kg di alici

4 uova

4 fette di pan carrè bianco

pane grattugiato

1 spicchio d’aglio

prezzemolo

olio

Preparazione

Prendete le alici, lavatele, togliete la lisca e la testa e lasciatele aperte.

Preparate l’impasto con 2 uova sbattute, pan carrè sbriciolato, prezzemolo, aglio e olio.

Mettete un po’ dell’impasto sopra l’alice aperta e coprite con un’altra alice, procedete così per tutte le alici. Successivamente, sbattete le altre 2 uova e immergetevi ad una ad una le alici ripiene che vanno poi passate anche nel pangrattato.

Cottura: fritte per qualche minuto in olio (in extra-vergine di oliva o di arachidi) bollente oppure al forno per 20’ a 180°.

Portatele in tavola guarnite con il prezzemolo e accompagnate da fettine di limone.

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SUFFRAGETTE SVENTURATE O CROCEROSSINE CONVINTE?

Di Christian Montagna

Che sia stato pagato un riscatto oppure no importa e come: gli italiani devono sapere la verità sulle due sventurate che, come se vivessero nel paese dei balocchi, si sono inabissate nei meandri oscuri della Siria. La cronologia degli eventi ci ricorda che altri italiani sono stati sequestrati, alcuni sono stati rilasciati, altri hanno perso la vita in nome di una patria che forse tanto patria non è. Ma sulle ultime due una riflessione è d'obbligo. Partire come crocerossina all'età di vent'anni per recare aiuto alle persone del "territorio" più infuocato del mondo senza alcuna esperienza alle spalle? Beh, senza dubbio è un'azione azzardata che anche stavolta hanno pagato gli italiani. Ed è inutile che tu le difenda Paolo, d'altronde sai che gli italiani sono ottimi investigatori. Greta e Vanessa, le due suffragette lombarde, tramavano contro la nazione che le ha salvate, o meglio, fornivano kit medici ai Jihadisti. Criminali che probabilmente stavano studiando il prossimo attentato terroristico e che con quei milioni che improvvisamente si sono visti accreditare nelle loro casse, avranno ora tutte le possibilità per potersi armare. Eppure, mamma Italia le ha tirate fuori da quello che per tutti appariva un incubo ma che in realtà era una situazione dalle fanciulle fortemente voluta! Le imbarazzanti telefonate pubblicate dalla stampa italiana rasentano l'inimmaginabile, eppure, ci sono state. Le due crocerossine che ora volete far apparire come ennesime vittime di una guerra santa e di un fondamentalismo islamico, in realtà, dalle prove a noi giunte finora, erano più che convinte e schierate! Sin dalle analisi dei kit medici lo avevamo intuito che queste due stessero andando a recare soccorso ai militari combattenti: la cosa era evidente già dal colore dei kit medici mimetici. Eppure, abbiamo pagato per farle liberare! Insomma una situazione paradossale classica all' italiana sulla quale spero che un giorno qualche regista possa crearci su una bella commedia, perchè, almeno in quello siamo abili. Ancora stento a crederci che le ventenni avrebbero voluto aiutare il Free Syrian Army e, come me, saranno increduli tutti quegli italiani che sono stati in pena in quei giorni in cui contrastanti notizie si susseguivano riguardo le loro condizioni di vita. Dodici milioni di euro o dieci o anche soltanto due, in una situazione come quella che sta vivendo l'Italia sono tanti e allora mi chiedo: perchè dobbiamo pagare noi gli errori di due ragazze che non hanno avvertito del viaggio in una zona dichiarata a rischio? Perchè non hanno rispettato i divieti imposti dalle autorità? Siccome le ombre che calano su questa vicenda sono veramente tante, forse forse, questa esosa cifra agli italiani dovrebbero proprio restituirla, salvo naturalmente dimostrazioni contrarie!




CORPO FORESTALE DELLO STATO: MESSO IN GINOCCHIO DAL DDL MADIA

Redazione

"Le modifiche apportate dal relatore al disegno di legge di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, sono insufficienti a garantire la piena autonomia e la salvaguardia della professionalità acquisita dal personale del Corpo Forestale dello Stato nell'attività di contrasto ai crimini ambientali ed agroalimentari". Lo dichiara Danilo Scipio, responsabile del Coordinamento Sicurezza UGL. "Non saranno certo un paio di paroline inserite nella legge delega a sanare lo scempio che il Governo si appresta a compiere distruggendo l'unica forza di polizia che si dedica alla tutela della natura e delle produzioni agroalimentari – spiega il sindacalista – perché l'organizzazione della Polizia di Stato è talmente complessa ed articolata da imporre che il personale di tutte le specializzazioni debba comunque concorrere nell'assolvimento del compito prioritario dell'ordine pubblico".
"Ormai è fin troppo chiaro che al Premier non interessa affatto preservare il nostro immenso patrimonio ambientale e tutelare il Made in Italy ed i produttori agricoli onesti – prosegue Scipio – è disposto a sacrificare tutto solo per poter scrivere l'ennesimo inutile Tweet di presa in giro ai cittadini".
"Auspico che il Parlamento sappia fare la differenza e riesca a distinguere ciò che serve veramente al Paese e agli italiani dagli spot elettorali necessari solo a Renzi – conclude il Segretario – in  maniera di far nascere, al termine del lungo e complesso iter legislativo, una polizia ambientale rafforzata dalle polizie provinciali e dai corpi forestali regionali veramente e pienamente autonoma dal punto di vista operativo. E ciò è possibile solo presso il Ministero delle Politiche Agricole".   
 




SALVINI: CUI PRODEST?

di Silvio Rossi

Salvini è un politico navigato, e sapeva bene, al momento della presentazione del referendum per l’abrogazione della legge Fornero, che la Corte Costituzionale non avrebbe mai accolto la sua proposta. Non avrebbe potuto farlo, per due ragioni che non avrebbero potuto essere trascurate neanche chiudendo entrambi gli occhi.
La proposta della lega era inammissibile perché la legge non prevede la possibilità di presentare referendum su temi finanziari o di bilancio, e la spesa pensionistica ha un impatto notevole su quest’argomento. Inoltre non è possibile abrogare una legge se la sua cancellazione provocherebbe in automatico un ammanco di bilancio. Che nel caso di cancellazione della Fornero sarebbe pari a circa venti miliardi di euro, una cifra che corrisponde a un’intera finanziaria.
Salvini sapeva che il referendum non si sarebbe fatto, e allora perché ha portato avanti fino alla fine la proposta? Per cercare di cancellare le norme sulla pensione? Oppure per ottenere un facile consenso (la legge Fornero è forse la più odiata degli ultimi anni). Una mossa propagandistica per schierarsi dalla parte dei difensori del popolo?
Se veramente avesse voluto far modificare i tempi e le modalità per raggiungere il trattamento pensionistico avrebbe dovuto fare qualche proposta al governo, trattare, collaborare nel trovare le adeguate coperture economiche, e votare la nuova eventuale proposta di modifica migliorativa.
Ma tutto ciò costa, se non altro politicamente, perché si dovrebbe rinunciare ad assumere le posizioni di quelli sempre arrabbiati, di quelli che non fanno inciuci. È più facile mandare una proposta a schiantarsi contro un muro per poi urlare che è morta la democrazia, condita con un termine riciclato dai primordi delle manifestazioni grilline. Però, a queste azioni, viene da chiederci: a chi servono?




TUTTI I SEGRETI DEL CASO MARĂ’

di Maurizio Costa

Il caso dei due Marò che sono in attesa di un processo per aver ucciso due pescatori in India, scambiati per pirati, è stata la crisi diplomatica più grave tra l'Italia e la nazione asiatica. Negli ultimi tempi, anche l'Europa ci si è messa di mezzo, cercando di venire incontro alle due parti per arrivare ad una soluzione immediata. Intanto, il caso ha avuto sempre più ombre, e nell'arco di tre anni, sono uscite molte incongruenze che fanno pensare ad un processo molto opaco e pieno di segreti.

Prima di tutto, la notizia che fece più scalpore fu quella delle telefonata dell'armatore dell'Enrica Lexie, la Fratelli D'Amato, che alle 19,15 ordina alla nave di rientrare nel porto di Kochi, in India, per fare in modo che le autorità indiane salgano sulla nave e vedano i responsabili dell'uccisione dei due pescatori. La capitaneria italiana avrebbe voluto far rimanere l'Enrica Lexie in mare, ma l'armatore agì tempestivamente e riportò la nave a riva. Fu in quell'occasione che le autorità indiane salirono sulla petroliera e mostrarono le foto ai fucilieri, che, dal canto loro, non riconobbero il peschereccio mostrato dagli indiani. Secondo i Marò, infatti, la barca era blu e non bianca, ma le fotografie che lo avrebbero dovuto dimostrare erano troppo sfocate per capirlo. Anche in questo caso, le autorità indiane non credettero alla versione dei due fucilieri.

Intanto, il peschereccio che è stato attaccato dai fucilieri italiani è stato portato a riva “con decine di fori nello scafo”, secondo le autorità indiane. Ma questa barca non è mai stata mostrata e i due pescatori uccisi sono subito stati seppelliti con rito cristiano, senza dare la possibilità ai magistrati di disporre autopsie o controlli legali. Per questo motivo, tutti i rilievi che avrebbero potuto portare a nuove svolte nella vicenda dei due fucilieri della Marina non sono stati effettuati dai magistrati indiani. Successivamente, però, i magistrati riuscirono a svolgere le autopsie.

Tra l'altro, sembrerebbe che i proiettili trovati successivamente nei corpi dei due pescatori non corrispondano a quelli in dotazione ai Marò. Quelli estratti dalla testa di Jalastine e dal torace di Binki erano calibro 7 e 62 e quindi molto più grandi dei proiettili dei due fucilieri, calibro 5 e 56. Infatti, dopo aver seppellito i corpi, i magistrati sono riusciti a fare le autopsie. I Marò continuarono a dire che avevano sparato solamente colpi di avvertimento in acqua e che quindi era impossibile che avessero colpito i due pescatore. Inoltre, le istanze scritte che accertavano che i due pescatori indiani fossero stati uccisi sarebbero state modificate a macchina successivamente, cancellando il documento antecedente.

L'ingrandimento del documento, infatti, mostrerebbe delle sbavature di una macchina da scrivere diversa da quella usata inizialmente. Inoltre, anche la data sarebbe stata scritta in modo differente: nell'originale si legge “Cr No.02/12”, mentre nel documento successivo “Cr. No: 02/12”. Un'incongruenza che porta a pensare che i due testi siano stati ritoccati o manomessi.




LA CHIAMANO "SHARIA" PER GIUSTIFICARE LA PAZZIA

di Christian Montagna

Ormai, non trascorre un giorno senza morti, senza terrore, senza panico, senza attentati, senza video shock e senza la paura che il proprio vicino di casa possa essere un combattente dell' Isis. Ma quanto potremo ancora andare avanti così? Oggi, per noi, è un giorno come tutti gli altri, si lavora, si studia e si affronta la vita…Oggi, per l'isis, è un altro giorno di pazzia. Sono tredici le nuove vittime di una guerra senza cause, senza colore e senza religione. Una partita di calcio è bastata ai Jihadisti per uccidere tredici anime innocenti; tredici bambini colpevoli di amare la propria squadra del cuore, così come tutti i bambini sono soliti fare. Un tifo da stadio e una gioia infinita verso i propri idoli che non sono stati apprezzati ma anzi, puniti con atroci fucilate. Oggi, altri due innocenti giapponesi sono stati rapiti sotto richiesta di un riscatto di duecento milioni di dollari entro settantadue ore, pena, la morte imminente. Questo è solo l'ultimo aggiornamento di un bollettino di guerra che non stenta a fermarsi. La chiamano guerra santa e si pone l'obiettivo di diffondere l'Islam nell'occidente, con forza e terrore. Ma siamo sicuri che sia veramente così? Non esiste alcuna religione al mondo che inneggi alla guerra, alla morte e alla distruzione; lo ha detto il Papa, non io, lo dicono i musulmani e chi meglio di loro può saperlo. Non esiste una legge islamica che accetti tutto ciò. E allora perchè sta accadendo? Dovevamo realmente attendere la strage di Charlie Hebdo prima di cominciare ad interessarci del terrorismo a questi livelli? Ho la sensazione che il disinteresse troppo volte sia stato voluto e perciò ripetutamente mi sono chiesto: dov'erano i servizi segreti la mattina dell'attentato a Parigi? Perché vengono esosamente retribuiti se poi i segreti non riescono a stanarli? C'è qualcosa che non torna. I grandi potenti della terra pare che si siano accorti solo oggi di questa grande minaccia per l'intera umanità. Eppure, se non ricordo male, già due grandi guerre in passato si sono combattute per evitare l'assolutismo di un paese sugli altri, perchè non se ne sta combattendo ufficialmente una terza? Forse sto ponendo troppi interrogativi ai quali nessuno può rispondere, sto chiedendo troppe cose che nessuno deve sapere e allora, ditelo che la posta in ballo è troppo alta e che gli interessi sono comuni a tutti. Possibile che come dei burattini, non ci resti che attendere i prossimi spostamenti ? Vi prego, evitateli questi incontri europei in cui si spendono solo i soldi per i voli di Stato, tanto, se in quindici anni nulla è cambiato figuriamoci adesso cosa può succedere. Troppo tempo è stato sprecato, ormai, i terroristi sono ovunque. La calamita Isis li ha attirati a sè proprio come fa una madre con i propri figli. In ogni parte del mondo, in questo momento, qualcuno potrebbe essere pronto a preparare il nuovo attentato del giorno, come pretendete di scovarlo? Una banca dati in cui poterli schedare di sicuro non vi risolverà il problema. Proprio oggi,tra l'altro, si è scoperto che Napoli è risultata essere una città di transito per molti personaggi di spicco del terrorismo islamico. Proprio a Napoli è stata identificata la principale centrale europea di produzione e distribuzione dei documenti falsi. A quanto pare non sono poi così tanto distanti allora questi terroristi da noi…E' dal nuovo millennio che la minaccia terroristica si è affacciata sull'Occidente, da quel maledetto 11 Settembre, quando abbiamo assaporato la potenza distruttiva di questi folli, e ora, non venite a mostrare i vostri sforzi per combatterli. In fondo, se l' Isis sta combattendo questa guerra univoca, è anche colpa vostra che lo avete permesso, ma non chiamatela "Sharia" perchè questa è solo una pazzia!

 




BANDA DELLA MAGLIANA IV PARTE: 1983 ARRESTATE 64 PERSONE

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di Angelo Barraco

Roberto Calvi, rimesso il libertà provvisoria, riassume la presidenza del Banco Ambrosiano. Ma la sua situazione non è delle migliori, entra perciò in contatto e in rapporti con Flavio Carboni, amico di alti prelati e politici, ma anche amico di Pippo Calò e Danilo Abbruciati. Carboni conquista la fiducia di Calvi e lo convince a farsi concedere un forte prestito dal Banco Ambrosiano. Carboni promette a Calvi che con quella somma lo aiuterà ad uscire dalla brutta situazione in cui si trova. Roberto Rosone, vicepresidente del Banco Ambrosiano, non è d’accordo a questo prestito. Roberto Rosone è un uomo che è entrato nel Banco Ambrosiano da semplice impiegato e ha fatto carriera diventanto vicepresidente, capisce le difficoltà di Calvi e capisce anche che Calvi rischia di trascinare l’intero istituto nel baratro e critica apertamente questa scelta di Calvi. A questo punto le vicende del Banco Ambrosiano entrano in misterioso contatto con la Banda romana.
26 aprile 1982,  Danilo Abbruciani si dirige in treno verso Milano. Il 27 aprile 1982 due persone, uno in motocicletta e uno a piedi, poco distante, attendevano che Roberto Rosone uscisse di casa per recarsi al Banco Ambrosiano. Roberto Rosone esce dal suo appartamento per raggiungere l’appartamento per raggiungere l’ufficio, un uomo gli si avvicinò, cerco di sparare ma l’arma non gli funzionò subito, riprovò e riusci a colpirlo e Rosone cadde a terra. L’uomo che spara è Danilo Abbruciati, ma l’errore che commette è quello di voltare le spalle alla vittima. Dopo aver sparato Abbruciati scappò, c’erano delle persone presenti tra cui una guardia giurata, la guardia giurata sparò ad Abbruciati e morì. Abbruciati ha agito senza informare il resto del gruppo e ancora una volta Abbatino si è sentito tradito. Per Abbatino parte uno scontro aperto contro la banda dei Testaccini, guidati ormai da Enrico De Pedis. I ragazzi della banda non si sono resi conto che le forze dell’ordine, tramite gli omicidi, hanno individuato il gruppo criminale e sono sulle loro tracce.

La magistratura si rende conto di avere un’arma da puntare anche contro la Banda della Magliana, i pentiti. Il 15 dicembre 1983 vengono arrestate 64 persone. La capitale viene passata al setaccio. L’organizzazione viene messa dietro le sbarre, da Abbatino a De Pedis. Vengo accusati di associazione a delinquere, sequestro di persona, pluriomicidio, traffico di stupefacenti. Hanno sempre potuto contare di amicizie compiacenti, per loro stringere amicizie nei corridoi dei tribunali non è mai stato un problema. Questa volta non hanno valutato un imprevisto, Fulvio Lucioli diventa collaboratore di giustizia. Lucioli era un uomo di Selis e fece comprendere ai suoi uomini di essere esposti ad un enorme rischio, sapeva che sarebbe stato ucciso e quindi decise di parlare. La sua confessione fiume lascia gli inquirenti senza parole, Lucioli parla di un’organizzazione con appoggi politici, mafiosi e di alto livello. La situazione era cambiata per la banda. Il clan compatto non c’è più.

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BANDA DELLA MAGLIANA V PARTE: ENRICO DE PEDIS E IL MISTERO DI EMANUELA ORLANDI

di Angela Barraco

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Enrico De Pedis, ormai divenuto unico boss del quartiere Testaccio, è anche il più ricco poiché ha saputo intrecciare amicizie tra i colletti bianchi e dai suoi mirati investimenti e dalle sue amicizie potenti, è divenuto il boss più potente e più ricco, ma anche il più invidiato. Dall’altro fronte ci sono i Maglianesi di Abbatino che sono rimasti ancorati allo spaccio e, dopo la spaccatura che si è venuta a creare, bramano vendetta. Enrico De Pedis sin da piccolo viene chiamato Renatino, nasce nelle borgate romane, ma sempre ben curato nell’apparire. De Pedis a 20 anni si unisce con la Banda di Giuseppucci e in pochi anni diventa il boss di Testaccio insieme al compagno Abbruciati. Sotto il suo rigidissimo controllo viene organizzato lo spaccio nella zona, ma le ambizioni di De Pedis sono altre, lui guardava oltre e puntava sull’investimento del denaro. Nei primi anni 80 De Pedis coltiva le amicizie giuste per reinvestire il denaro sporco in attività lecite. Diventa un bandito dal volto pulito. Nel 1983 la presidenza di Craxi, leader del partito socialista che spezza il lungo monopolio democristiano e introduce una politica mirata allo sviluppo del paese. Allo stesso tempo, maturano le condizioni per lo sviluppo della mafia dei colletti bianchi. L’abilità di Enrico De Pedis è quella di cavalcare anche quest’onda, e in poco tempo riesce a sedere a tavolo di politici, finanzieri e altri prelati.

I rapporti tra De Pedis e le più alte sfere del Vaticano, sono ancora oggi avvolte dal mistero e sono al vaglio degli inquirenti. Rappresentano un groviglio complesso alla base di uno dei misteri più oscuri che riguardano la nostra nazione, la scomparsa di Emanuela Orlandi.

22 giugno 1983, Emanuela Orlandi, 15 anni, figlia di un commesso della prefettura del Vaticano, scompare nel nulla. Dopo la sua lezione presso Sant’apollinare non farà più ritorno a casa. Le ricerche partono immediatamente e si affacciano i primi testimoni; l’ultimo ad averla vista è un vigile urbano, ha notato Emanuela salire su una BMW scura, ma la ragazza non è sola, è in compagnia di un uomo. La scomparsa di Emanuela Orlandi è un mistero fitto ma nel 2005 avviene una svolta, il programma televisivo “Chi l’ha visto?” parla della scomparsa di Emanuela Orlandi, quando arriva in trasmissione una telefonata che dice: “Riguardo al fatto di Emanuela Orlandi, per trovare la soluzione del caso, andate a vedere chi è sepolto nella cripta della Basilica di Sant’Apollinare e del favore che Renatino fece al cardinal Poletti, all’epoca”. Nella Basilica di Sant’Apollinare vi è una cripta e dentro la cripta è sepolto Enrico De Pedis, e si è scatenata la caccia al motivo che ha spinto e concesso la sepoltura di un criminale all’interno di una delle chiese più importanti di Roma. Si riapre la vicenda Orlandi, dopo tale scoperta, e si aggiunge ad essa anche l’ex compagna di De Pedis, Sabrina Minardi, che fa delle clamorose dichiarazioni. Sabrina Minardi dichiara a “Chi l’ha visto?” che Emanuela Orlandi fu portata a Monteverde all’interno di sotterranei, complice di tale sequestro sarebbe anche il cardinale Marcincus. La Minardi dice di aver partecipato al sequestro insieme a De Pedis, se tale dichiarazione avesse una valenza, rimane aperta l’ipotesi dei moventi. Si sono affacciati diversi moventi piuttosto inquietanti e vari.  Attualmente nulla ha dato riscontri concreti sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta ormai 30 anni fa. Non è nemmeno possibile spiegare il perché il boss di Testaccio, Enrico De Pedis, sia stato sepolto accanto a cardinali e vescovi, all’interno di una delle chiese più importanti di Roma.

Nel 1983, quando Emanuela Orlandi scompare e quando tutti gli uomini della Banda della Magliana vengono arrestati, De Pedis è il boss più ricco tra gli uomini della Magliana e ha imparato a gestire i soldi e principalmente li gestisce per il suo interesse personale, e questo ai suoi compagni non piace.

Le denuncie di Fulvio Lucioli hanno incastrato gli uomini della Magliana. Gli arrestati nutrono rancori, gelosie e bramano vendetta, cercando di distinguere bene gli amici dai nemici. Ognuno cerca di aggiustare il suo processo. Il primo a farlo è il maglianese Abbatino, che è pronto a tutto per uscire dal carcere. Abbatino negli anni ha imparato un modo per sottrarsi al carcere, usare se stesso come cavia umana. Si è iniettato sangue infetto, si è sottoposto a biopsie, gastroscopie e operazioni varie. Tutto ciò per essere trasferito in case di cura, dove i medici che ha corrotto gli possono produrre false prove e finte diagnosi. Per uscirsene da questo processo, per esempio, si fa diagnosticare un tumore allo stadio terminale, a qualche udienza presenzia in barella e viene portato via in ambulanza. La sua strategia lo porta ad essere ricoverato in una struttura. Inizia per lui un lento allontanamento dalla Banda, ma ai ragazzi non piace il fatto che Abbatino si sottrae ai suoi doveri di capo. Abbatino, che aveva promesso ai compagni incarcerati di aiutarli non appena avesse avuto la possibilità, non lo fa e ai compagni non piace e bramano vendetta. I compagni si rivolgono allora a De Pedis, l’unico ad avere la possibilità di deviare il corso della giustizia tramite le sue conoscenze. Non tutti però si fidano di De Pedis, c’è chi lo accusa di non aver trovato gli avvocati giusti come Edoardo Toscano è stato uno dei sicari della Banda della Magliana e rischia l’ergastolo.

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Sinistra in confusione tra Cofferati e Tsipras

di Silvio Rossi

 

Più che dal nemico storico, Berlusconi, colui che con l’unica eccezione del 1996 li aveva sempre battuti alle urne (perché il risultato del 2006 non può certo essere considerato una sua sconfitta), la sinistra italiana, o meglio, ciò che ne rimane, sembra non riuscire a resistere a un premier che, annoverato nelle proprie file, propone ricette decisamente indigeste ai rappresentanti più ortodossi della linea più radicale della gauche nostrana.
Da quando Renzi è al governo SEL ha vissuto una scissione drammatica, con l’addio del capogruppo alla Camera Gennaro Migliore, la Federazione della Sinistra diminuisce nei sondaggi raggiungendo percentuali imbarazzanti, la sinistra interna del PD con Civati e Fassina subisce umiliazioni continue.
L’ultima in ordine di tempo è la sconfitta di Cofferati alle primarie liguri, sconcertante non tanto per il risultato, solo una parte della vecchia dirigenza non aveva compreso che il “vento” è cambiato e non si possono riproporre vecchie statue di cera per sperare in un successo, ma per la reazione sconclusionata del “cinese” che dopo l’amaro risultato ha fatto come i bambini capricciosi, tornando a casa urlando “con voi non ci gioco più”.
Un atteggiamento criticato da tutti, tranne dal solito sempiterno Fassina, che non perde nessuna occasione per porsi come bastone di traverso rispetto a Renzi, riuscendo ogni volta a essere travolto dalla maggiore esuberanza e convinzione del leader fiorentino.
Cofferati ora si è dimesso, Fassina e Civati minacciano di fare altrettanto, attratti sulla via di Atene dal nuovo messia della sinistra italiana, che come alcuni anni fa, in mancanza di un faro vicino si erano lasciati abbagliare da Zapatero, fino a rimanerne bruciati dall’inconcludenza della sua azione amministrativa. Oggi invece schifano il loro governo e lanciano segnali d’amore verso Tsipras, in attesa di vivere quella che, se Siriza non effettuerà una svolta nella politica annunciata, potrà diventare una nuova tragedia greca.




BERLUSCONI TRANQUILLIZZA RENZI SU RIFORME

Redazione

Tre giorni fa, alla riunione dei senatori, l'ultimo scontro: da una parte Verdini e Romani, dall'altra Renato Brunetta. Quando il capogruppo di FI alla Camera il giorno dopo ha cercato di rinviare il voto sulle riforme c'e' stata, secondo quanto riferito da fonti parlamentari, una telefonata tra Silvio Berlusconi e l'ex ministro della Funzione Pubblica. Anche in quella circostanza il Cavaliere si e' limitato ad invitare l'esponente azzurro a non deviare dalla linea del 'Patto del Nazareno'. Io vado avanti per questa strada, se non va bene posso sempre essere sostituito, e' stata la risposta.

Ma e' oggi che per la prima volta l'ex premier ha espresso pubblicamente la sua irritazione per i continui distinguo da parte di Brunetta. Lo ha invitato a cambiare atteggiamento e se Brunetta rimanda la 'querelle' all'appuntamento di mercoledi' prossimo e' perche' i malpancisti sono convinti di poter ampliare l'area dei 'frondisti' e sbarrare la strada al percorso individuato dal premier Matteo Renzi. La richiesta e' nota: posticipare il passaggio alle Camere della legge elettorale e del pacchetto costituzionale a dopo l'elezione del presidente della Repubblica. Ma gia' ieri sera Berlusconi ai suoi aveva ribadito la sua intenzione di rispettare i patti, convinto che il Renzi concordera' proprio con gli azzurri un nome per la sostituzione di Napolitano.

Questa mattina Verdini avrebbe fatto sentire la sua voce, ribadendo al Cavaliere – dicono fonti parlamentari di FI – che non possono esserci due linee. Da qui la decisione di Berlusconi di mettere fine alle polemiche. Io non c'entro nulla, ha fatto sapere ai suoi Raffaele Fitto. Ma lo scontro di oggi potrebbe portare anche a delle conseguenze in settimana visto che la riunione di gruppo alla Camera si potrebbe trasformare, spiega un esponente di FI di primo piano, in una sorta di sfiducia a chi guida i deputati. Una 'mossa' che Berlusconi ha sempre negato di voler compiere ma che non e' esclusa alla luce della 'delegittimazione' odierna. FI vuole a tutti i costi essere sul tavolo delle trattative sul Quirinale: i nomi di Amato e Mattarella – le ipotesi al momento piu' accreditate per il Colle – agli azzurri vanno benissimo.

Per ora il Capo dell'esecutivo non scopre le carte, ha fornito solo il metodo e tratteggiato un identikit che lascia in gioco tutti i papabili al Quirinale emersi in questi giorni. Alla direzione del Pd non c'e' stato uno scontro tra la minoranza e la maggioranza del partito, ma l'annunciata fuoriuscita di Sergio Cofferati potrebbe pesare sul clima interno al partito. Nel centrodestra Alfano e Berlusconi hanno concordato di vedersi martedi' o mercoledi' per portare avanti un patto di responsabilita' che veda proprio FI, Pd e l'area popolare capaci di arrivare all'individuazi9one di una figura entro il quarto scrutinio. Da questo patto verrebbero esclusi la Lega e il Movimento 5 stelle, con Salvini e Grillo che per ora si sfilano anche se anche loro vogliono essere della partita




QUIRINALE: ROMANO PRODI NON NE VUOLE SAPERE, MATTEO RENZI IN ALTOMARE

Redazione

Nulla di fatto, è tutto in altomare.Non e' venuto fuori il nome del candidato, e nemmeno quello di qualche candidato sgradito, ma alla direzione del Pd Matteo Renzi apre ufficialmente le danze in vista della competizione, con il Quirinale come posta, che iniziera' il 29 gennaio alle 15. Se dovessimo fallire, avverte, a fallire sarebbe il Pd. Meglio evitare allora di creare le condizioni per un replay del 2013. Un esplicito richiamo alla disciplina di partito, il suo, proprio per scongiurare l'incubo dei 101 che, quasi due anni fa, tagliarono le gambe a Romano Prodi prima e Pier Luigi Bersani poi. "Niente ironie e demagogie, il Presidente della Repubblica, si fa cercando di coinvolgere tutti", premette. Ma poi aggiunge molto meno ecumenico: "Nessuno ha il diritto di mettere veti, nemmeno tra di noi". La minoranza interna e' avvisata. Stesso trattamento anche per alleati e possibili interlocutori. I primi vengono soprattutto blanditi: ""I nostri alleati di governo saranno insieme a noi in questa sfida. E saranno le prime persone con cui riflettere". I secondi quasi minacciati: "Il Presidente della Repubblica si prova a fare con gli altri. Berlusconi ha votato gli ultimi due presidenti della Repubblica. I Cinque Stelle se vogliono stare al tavolo ci stiano. Noi abbiamo dato loro la possibilita'. Sta a loro scegliere se essere parte del gioco istituzionale. Spero possano cogliere l'occasione. Noi possiamo fare anche senza di loro, ma speriamo di fare con loro". Nelle pieghe, un messaggio di pace a Silvio Berlusconi, mentre un passaggio secondario viene usato per polemizzare con Renato Brunetta, uno dei capi della corrente dissenziente all'interno di Forza Italia. Il risultato promesso da Renzi e' che il Pd si presentera' all'appuntamento con da forza tranquilla, e soprattutto con un nome in tasca."Nelle 24 ore precedenti al primo voto si deve arrivare a formalizzare la proposta del Pd riunendo i gruppi, e i grandi elettori", scandisce. Da lontano, Romano Prodi gli manda a dire un garbato "sto passando una fase molto interessante e molto creativa della mia vita. Non voglio piu' essere in mezzo a queste tensioni e a questi problemi". Nessuno conti su di lui, insomma. Tantomeno per l'annuncio del candidato da fare prima della prima votazione. Renzi quell'annuncio vuole darlo. Dopo, beninteso, aver sentito gli altri. Ma nessuno avra' la possibilita' di porre un veto. Sarebbe un fallimento.