Pastiera napoletana: la ricetta originale e la sua storia

NAPOLI – La pastiera napoletana è una passione, la pastiera è un dolce amato e conosciuto da tutti. La Pasqua è il periodo che viene subito dopo la Quaresima, e a questa festa non possono mancare pietanze caratterizzanti che ci accompagneranno, l’Italia da Nord a Sud è ricca di numerose ricette di primi piatti, di secondi e di dolci elaborati, o anche semplici nella preparazione. Tutti le pietanze  fanno parte del patrimonio storico-culturale italiano da gustare il giorno di Pasqua fino al tipico pranzo “al sacco” del lunedì in Albis. I dolci che caratterizzano la Pasqua in tutto il “Bel Paese” sono tanti, fra i dolci più conosciuti in tutta Italia è la “colomba”, venne inventata nel 1930 in Lombardia, questo dolce divenne famoso in poco tempo in tutta la penisola, ma anche oltre confine, la classica è ricoperta di glassatura alle mandorle. Tra i dolci famosi c’è anche la colomba siciliana, ed è riconosciuta come gusto, insieme alla colomba lombarda sono state inserite nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T).

Per chi è in visita a Napoli la pastiera è tra i dolci caratteristici campani da assaggiare  assolutamente per chi soggiorna nella città partenopea. E’ il dolce tipico tradizionale pasquale napoletano, questo caratteristico dolce dal sapore inconfondibile grazie al suo gustoso ripieno associato alla pasta frolla è famoso in tutto il mondo,  lo si può trovare anche tutto l’anno nelle più rinomate pasticcerie della città, vivendo un’esperienza unica tra sapore e memoria storica.

Questo dolce non mancherà assolutamente durante tutta la settimana pre-pasquale sulle tavole dei partenopei, fino, ma anche oltre alla Pasquetta. Le sue origini sono di certo antiche, interessante è la leggenda della sirena Partenope  che aveva scelto come dimora il Golfo di Napoli, a Piazza Sannazaro vi è una statua a lei dedicata dal titolo “Fontana della sirena”. Per ringraziarla la popolazione portò a lei sette doni, ossia gli ingredienti per fare la pastiera, i principali: la farina, simbolo di ricchezza; la ricotta, simbolo di abbondanza; le uova, che richiamano la fertilità; il grano cotto nel latte, simboleggia la fusione tra regno animale e vegetale; le spezie, omaggio a tutti i popoli; lo zucchero, per celebrare la dolcezza del canto della sirena. La leggenda narra che Partenope li mescolò ed è così che nacque questo straordinario dolce.

Nella realtà come concordano gli studiosi furono le suore ad inventarla nel XVI secolo, con molta probabilità nel Convento di San Gregorio Armeno, ben raffigurate nell’affresco di Luca Giordano dal titolo “Le monache basiliane accolte” erano maestre nel preparare i dolci, infatti e a loro che si deve la pasta di mandorle. Si narra che l’ignota suora che ha inventato la pastiera volle preparare un dolce per associare il simbolismo cristiano come le uova, la ricotta e il grano, con le spezie provenienti dall’Asia e il profumo dei fiori d’arancio del giardino conventuale.

Si dice che il suo sapore inconfondibile fece sorridere anche l’ombrosa  Regina Maria Teresa D’Austria, infatti è ricordata come “La Regina che non rideva mai”, consorte del goloso Ferdinando II di Borbone che commentò per l’occasione: “per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”.

Secondo la tradizione va preparata il Giovedì Santo e consumata a Pasqua, ma negli ultimi anni da circa quindici anni per soddisfare le richiesta dei turisti in visita nel capoluogo campano, è possibile trovarla nelle pasticcerie anche tutto l’anno insieme ai dolci natalizi partenopei, infatti molte famiglie napoletane mangiano la pastiera anche a Natale.

La globalizzazione dà una mano alla tradizione, infatti i laboratori di dolci all’occorrenza  la spediscono in tutto il mondo, ed in ogni momento dell’anno, ovviamente anche personalizzata, oppure preparata in maniera  tradizionale, ossia con il grano a chicchi.

Tra poco le strade campane odoreranno di quel suo odore inconfondibile di millefiori, di cannella, di zucchero a velo, di canditi, di grano, di pasta frolla e di strutto, quasi tutte le famiglie la preparano, e già si assapora la festa con la preparazione di essa. Ogni massaia che non vuole rinunciare alla tradizione ha la sua ricetta personale, che custodisce gelosamente, una volta preparata la fa assaggiare ai propri familiari o agli amici. La ricetta tradizionale è con il grano a chicchi, il famoso libro di ricette napoletane “Frijenno Magnanno” raccomanda di ammollare il grano per due o tre giorni in acqua. Un altro elemento è lo strutto, ma il grano resta l’elemento principale, fra le variazioni  c’è chi usa il grano già cotto, c’è chi lo preferisce frullato dai chicchi interi e anche con il burro, oppure fra le innovazioni invece del grano preparano questo dolce fantastico con le mandorle tritate. Gli intenditori raccomandano di a gustare la pastiera bevendo il liquore “Strega”, oppure aggiungerlo nell’impasto, quel che è certo che il risultato non passerà inosservato. Diceva Pellegrino Artusi nel suo libro “La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene” che  “La cucina è bricconcella”, ma può dare anche grandi soddisfazioni se fatta con passione ed arte.

Giuseppina Ercole

 

Come farla? Ecco la ricetta ma è chiaro ognuno poi ci mette le varianti che più gradisce

Preparate la pasta frolla per pastiera 10/12 ore prima.

Disponete a fontana su un tavolo farina e zucchero e mettete al centro il burro a pezzetti ammorbidito, le uova, lo zucchero, la vanillina e la scorza di limone. Sbattete le uova al centro della fontana e incorporate lentamente il burro e lo zucchero.

Quando avrete amalgamato tutti gli ingredienti, lavorate la pasta velocemente, su un piano infarinato, senza impastarla ma pressandola fino ad ottenere un panetto liscio e omogeneo. Riponete il panetto in frigo per almeno un’ora, avvolto nella pellicola.

Pesate il grano cotto e lavatelo sotto l’acqua corrente in uno scolapasta. Versate il grano in una pentola con il latte, il burro e la scorza di limone e mettete a cuocere per una ventina di minuti, mescolando con un mestolo di legno.

Quando il grano avrà assorbito il latte, e si sarà creato un composto cremoso, potrete spegnere la fiamma. Lasciate raffreddare la crema di grano, eliminate la scorza di limone, e passatene una parte al mixer insieme alla metà dei canditi. In una ciotola mescolate la ricotta di pecora, la crema di grano messa da parte, quella che avete tritato al mixer con i canditi, le uova, il resto dei canditi. Aggiungete la cannella, l’essenza di vaniglia e l’acqua di fiori d’arancio

Mescolate con una frusta a mano per amalgamare gli ingredienti. Su di una spianatoia infarinata, stendete 3/4 della pasta frolla con un mattarello, fino a creare una pasta alta mezzo centimetro. Prendete la tortiera di 24 cm di diametro in superficie, imburratela e stendetevi la pasta frolla per creare la base della vostra pastiera. Tagliate i bordi in eccesso, versate all’interno il ripieno (8) e poi procedete a ritagliare le strisce di pasta frolla tenuta da parte con l’aiuto di un tagliapasta

Decorate la pastiera ponendo alcune strisce in obliquo e poi  sovrapponete le altre in modo da creare dei rombi. Sigillate bene i bordi della pastiera con i rebbi di una forchetta. Cuocete in forno ventilato preriscaldato a 160° per circa un’ora. Non sfornatela finché non si sarà scurita la superficie. Una volta cotta, sfornatela e lasciatela raffreddare nel suo ruoto per un giorno intero. Prima di servirla, spolverizzate con lo zucchero a velo

 

 




Dalì è protagonista al Palazzo delle arti di Napoli

NAPOLI – “IO DALì” e così che si chiama la bellissima mostra al PAN |Palazzo delle arti di Napoli dal 1 marzo fino al 10 giugno 2018, exibhition dedicata al grande genio del novecento Salvador Dalì. L’intento dell’evento è di svelare ai visitatori la vita segreta del grande genio poliedrico, è vivere un viaggio attraverso dipinti, disegni, collage, video, fotografie e riviste dell’artista catalano. E’ come lui stesso ricorda egli era il SURREALISMO in persona, è l’incarnazione per eccellenza del movimento di André Breton che fondò nel 1924, ricordiamo che all’inizio era essenzialmente letterario, ma nel 25’ il teorico si pose il problema di come poteva essere la pittura surrealista scrivendo un trattato dal titolo:” Le surréalisme et la peinture” pubblicato su “Revolution Surréaliste”. Tutto  il movimento non era uno stile pittorico, letterale, ma un atteggiamento, un modo di essere, ed in questo il grande Salvator Dalì ha incarnato appieno tutta l’ideologia bretoniana.

Salvator Dalì era un’artista che operava non solo nella pittura, egli era sperimentale verso tutto ciò che era COMUNICAZIONE, si è reso immortale perché era soprattutto un artista cosiddetto della “flànerie”, ossia il suo girovagare fra le varie espressioni come un artista del Rinascimento senza meta e sempre in costante mutazione, sempre in attesa della scoperta, sempre con lo sguardo rivolto al passato, ma capace anche di proiettarsi nel futuro, tutto questo ha fatto in modo che il suo personaggio diventasse senza tempo. L’Exibhition è stata fortemente voluta dal Sindaco di Napoli Luigi de Magistris, dall’Assessorato alla  Cultura e al turismo Nino Daniele, in collaborazione con la Fundacio’Gala-Salvador DALì, la Direttrice dei Musei Dalì Montse Aguer. La direzione generale è del Presidente di C.O.R. (Creare Organizzare Realizzare) di Alessandro Nicosia  realizzata e co-organizzata. Ed inoltre è supportata dal Ministero della Cultura spagnola, con il patrocinio dell’Ambasciata di Spagna in Italia e l’Istituto Cervantes.

Precursore dell’automatismo odierno potremmo dire che è il “padre” spirituale del divismo che noi tutti siamo testimoni, di quel narcisismo esasperato nel modo di porsi sui social, e sui vari medium che l’uomo contemporaneo ha a sua disposizione. Per Salvator Dalì l’uso dei media era un modo di completare le sue creazioni, un atto performativo non solo durante gli eventi, ma anche nel suo quotidiano, infatti non appariva spesso in pubblico, il medium era da usare con condizione di causa con parsimonia, riconosceva  appieno tutta la sua potenza, egli era molto attento per le “messe in scena” di stesso quando appariva in pubblico, usava se stesso come un Brand da promuovere. Dali e sul tema dei medium ha fatto parecchie dichiarazioni, e tra queste dichiarò ad un giornalista “ Odoro la pubblicità, e se per fortuna i giornalisti mi conosceranno e si occuperanno di me, offrirò loro il mio pane, come San Francesco alle folle”.

Scoprì che l’immagine mediale è comunicazione, ma soprattutto è anch’essa un processo creativo non solo nell’atto dell’invenzione dell’artista, ma è anche capace di dare alla mente un’ulteriore stimolo a sé e al fruitore, e di dare nuove forme all’idea primordiale della creazione.

L’immagine surrealista per eccellenza era un insieme di fattori incompatibili e non accostabili tra di loro, ma ciò che la mente umana in quel momento suggeriva all’artista, ossia di mettere insieme simboli o cose senza una ragione e con diverse letture; qualche critico ha ipotizzato che il bersaglio del surrealismo era il pensiero tradizionale del mito francese della RAGIONE. Le creazioni per Dalì è una grande “scena” teatrale e molte volte fatta di immagini fantastiche, oppure lucidi paradossi con molteplici interpretazioni alle immagini, ma anche le performance e agli happening che egli dava erano delle vere opere d’arte. Tutte le sue “creazioni” erano sempre sulle orme di Freud e di Lacan, il conscio e l’inconscio erano sempre i protagonisti,  i suoi messaggi erano onirici, ma anche attenti alle problematiche reali, sociali e alle scoperte scientifiche come il ciclo dei dipinti dedicati al DNA del 1973.  Precursore dell’immagine 3D, realizzò opere che davano al fruitore la terza dimensione in un dipinto bidimensionale, queste creazioni dovevano essere viste con attrezzature adatte, questa ricerca è la testimone di come Dalì aveva un forte interesse per le nuove frontiere dell’immagine, ma rimanendo ancora al classico, le opere in 3D  sono realizzate ad olio e con il supporto di compensato. E’ il primo artista del ventesimo secolo a lavorare su questo fronte concretamente, ossia la rappresentazione dell’immagine che, senza la minima alterazione degli elementi che compongono l’opera, può trasformarsi grazie alla semplice stimolazione della volontà del fruitore, egli chiede a quest’ultimo la partecipazione per il suo completamento, dando via all’interazione tra artista e il fruitore, diventando quest’ultimo parte del processo creativo, che molte volte l’idea iniziale era diversa dell’artista.

Fra i dipinti che si possono ammirare a questa imperdibile mostra  è “l’Autoritratto con il collo di Raffaello” che realizzò nel 1921, ma anche diversi disegni per la sua autobiografia “Vita segreta” pubblicata nel  1942.

Nel 1961 alla Biennale di Venezia un giornalista  chiese a Salvator Dalì su cosa fosse il surrealismo, pronunciò la famosa frase ”il surrealismo sono io”, nonostante il suo rapporto con Breton e il gruppo del caffè Cyrano fosse terminato da anni, ricordiamo che il suo teorico considerava l’artista per eccellenza Max Ernest. L’intento della mostra “Io Dalì” è un modo di indagare un particolare aspetto della personalità dell’artista, e la sua personale visione del mondo reale ed irreale, ed è anche il modo di vedere come fece la sua vita un capolavoro. Consapevole di avere comportamenti bizzarri un giorno dichiarò “io non mi drogo, la droga è in me”, fin dalla sua nascita ha cercato di attirare l’attenzione a sé in maniera consapevole, infatti ha dovuto per tutta la vita confrontarsi con il fratello morto di cui i genitori non smisero mai di parlare come “genio”, tutto questo lo portarono a sviluppare un ego smisurato. Fin da quando era piccolo aspira ad essere un genio, nel suo diario personale tra il 1919 e il 1920 egli scrisse: “Sarò un genio e il mondo mi ammirerà. Magari sarò disprezzato e incompreso, ma sarò un genio, un grande genio, ne sono sicuro”. Nel 1928 conobbe a Parigi Picasso, Mirò, Breton ed Eluard che lo orientarono verso il surrealismo, ma aderì l’anno successivo, dando alla teoria di Breton una chiave personale che chiamò “metodo paranoico-critico”.

Al Palazzo delle Arti di Napoli si può constatare che i video, le performance e le apparizioni non hanno nulla a che fare con l’improvvisazione, anzi è ben studiato, si possono ammirare le copertine della rivista Time del 1936, oppure alla sua partecipazione in veste di ospite ad un concorso televisivo americano popolarissimo dal nome”What’s My Line?” trasmesso nel 1957 dall’emittente CBS.

Salvator Dalì domina in tutto il primo piano al Palazzo delle esposizioni partenopeo, appena si entra ad accogliere i visitatori c’è il  video con Gregory Peck del 1954 di O.Selnick, Usa, dal titolo: “ Sequenza del sogno basato su Dalì”, è un viaggio all’interno delle opere del maestro catalano, Dalì riusciva a dare colore anche ai film in bianco e nero.

In tutta la mostra si nota che il grande genio aveva “adottato” uno sguardo penetrante e un look identicativo, ad esempio i suoi famosi baffi, era come una vera star del cinema, egli interpretava se stesso quando era in pubblico, Dalì era il regista di Dalì.

Grazie alla sua abilità di promuovere la sua immagine trasformava ogni sua exibhition in un evento sensazionale, non solo si confermò al pubblico come genio, egli assicurò che la sua genialità fosse immutata nel tempo. Nel percorso al Palazzo delle arti sono presenti le foto di Philippe Halsman, le famose immagini che hanno reso ancor di più i suoi celebri baffi, il fotografo  in un’intervista dichiarò al Simon and Schuster a New York del 1954: “ Dalì è un surrealista, la più surrealista fra le sue creazioni, tuttavia è lui stesso. Non so cosa lo abbia reso più famoso, se i suoi dipinti o la leggenda che egli stesso contribuì a creare attorno a sé”. Dal punto di vista pittorico è minuzioso e delicato, in netto contrasto con i suoi soggetti, adorava gli sguardi e il gioco degli specchi dedicati a Velasquez come i dipinti dedicati a Gala dal titolo “Dalì che dipinge Gala di spalla” che si possono ammirare all’esposizione.  Amava i maestri del passato, usava i colori ad olio su supporti in legno dipingendo dipinti in 3D, al Palazzo si possono ammirare anche i dipinti stereoscopici,  queste opere sono una fusion tra il passato e il futuro.

E’ imponente il manifesto che accoglie i passanti e i visitatori che si trova all’ingresso del Palazzo delle Esposizioni a Via Dei Mille del capoluogo partenopeo nella strada dello shopping e del lusso, il suo sguardo ed i suoi celebri baffi ancora governano la scena, dando l’impressione che Dalì sia veramente immortale a distanza di molti anni dalla sua morte.

Giuseppina Ercole




Marco Silvestroni (FdI): “Tasse, immigrazione, sicurezza e famiglia. Fratelli d’Italia subito al lavoro”

“Fratelli d’Italia è subito al lavoro e non perde tempo: sul tavolo ci sono sei proposte concrete che possono realizzarsi subito e mi vedono impegnato in prima linea insieme al presidente Giorgia Meloni per gli italiani e per dare una risposta concreta a tutti coloro che ci hanno dato fiducia e ci hanno eletti. – Così in una nota il neo eletto deputato Marco Silvestroni, segretario FdI per la Provincia di Roma. – L’Italia – prosegue Silvestroni – può risollevarsi con la tassa unica al 15% su quanto dichiarato in più rispetto al 2017: questo significa tagliare le tasse per tutti, sia persone che aziende, e rimettere in moto l’economia eliminando anche il limite all’uso del contante perché ognuno può disporre dei propri soldi come vuole. Fondamentale è dare attenzione alle persone più deboli e quindi provvedere immediatamente al raddoppio delle pensioni d’invalidità. Gli italiani possono risollevarsi soltanto se si mette un freno all’immigrazione incontrollata dimezzando i costi di accoglienza dei richiedenti asilo e raddoppiando invece il fondo per i rimpatri. Inoltre, per tornare a sentirsi sicuri nel proprio Paese è necessario destinare più risorse alle Forze dell’Ordine e al comparto Sicurezza e questo si può fare destinando alla sicurezza degli italiani il 50% per cento dei beni e delle risorse sottratti alla mafia. Fondamentale per risollevare l’Italia è mettere la famiglia al primo posto: quello che vogliamo è che gli asili nido siano gratis e aperti fino a tardi anche d’estate. Perché c’è un Italia che lavora e che ha bisogno di essere sostenuta. Noi lavoriamo per gli italiani, siamo pronti. Aiutateci a realizzare le proposte di Fratelli d’Italia – conclude il deputato FdI – firmando domenica 18 marzo ai tanti gazebo sparsi per il territorio o tramite il sito del partito (www.fratelli-italia.it).”




Torino, Thyssenkrupp: ex manager chiede la grazia a presidente della Repubblica

TORINO – Ha chiesto la grazia al presidente della Repubblica uno degli ex manager della Thyssenkrupp condannato per l’incendio che, il 6 dicembre 2007 a Torino, uccise sette operai. Marco Pucci sta scontando dal maggio 2016 la pena di sei anni e tre mesi di carcere. Nel giugno dello scorso anno aveva ottenuto la possibilità di svolgere un lavoro esterno con obbligo di rientro in cella alle 18.30.

“Marco Pucci ha diritto all’oblio, che va di pari passo con il diritto al perdono per una responsabilità oggettiva e non diretta”: l’avvocato Massimo Proietti, legale dell’ex manager Thyssen condannato in via definitiva a sei anni e 10 mesi per il rogo di Torino commenta con l’ANSA la richiesta di grazia presentata dal suo assistito.

L’istanza, in base a quanto si apprende, è stata inoltrata nel dicembre scorso, ma la difesa ha ritenuto opportuno tenerla riservata. “Siamo sempre stati convinti – ha detto ancora l’avvocato Proietti – che le responsabilità di quanto accaduto dovessero essere ricercate altrove”.

Secondo il legale “al di là dell’assoluta gravità del fatto, Pucci non può essere simbolo di una crocifissione o di una gogna”. “Ha già pagato pesantemente fino ad oggi – ha aggiunto – il suo ruolo di responsabile commerciale dell’area marketing. Ora ha diritto di intraprendere questo percorso nel silenzio ed in maniera serena, come la legge gli consente”.

Per i parenti delle vittime, non può essere concessa alcuna grazia. “Noi non concediamo la grazia a nessuno. E nemmeno lo deve fare il presidente Mattarella”: afferma Graziella Rodinó, madre di Rosario, uno dei sette operai morti. “Ce li hanno ammazzati, non meritano nessun perdono. Semmai lo chiederanno a Dio. Per ora devono stare in galera”, ha aggiunto.

 




Palermo, Ingroia: la Finanza gli sequestra oltre 151 mila euro di beni

PALERMO – La Guardia di Finanza ha sequestrato oltre 151 mila euro all’ex pm di Palermo Antonio Ingroia nell’ambito dell’inchiesta in cui l’ex magistrato è indagato per peculato. Si tratta di un sequestro per equivalente disposto dal gip su richiesta della Procura del capoluogo. Da amministratore unico di Sicilia e Servizi, società a capitale pubblico che gestisce i servizi informatici della Regione siciliana, Ingroia avrebbe percepito indebitamente rimborsi di viaggio per 34 mila euro e si sarebbe liquidato un’indennità di risultato sproporzionata rispetto agli utili realizzati dalla società: 117 mila euro. Nella vicenda è coinvolto anche Antonio Chisari, all’epoca dei fatti revisore contabile della società partecipata regionale Sicilia e Servizi s.p.a. Anche lui come Ingroia è accusato di peculato. Le contestazioni mosse agli indagati nascono dalla natura riconosciuta alla Sicilia e-Servizi s.p.a. di società in house della Regione da cui deriva che entrambi abbiano rivestito la qualifica di incaricato di pubblico servizio. Ingroia, prima liquidatore della società (dal 23 settembre 2013), è stato successivamente nominato amministratore unico dall’assemblea dei soci, carica che ha ricoperto dall’8 aprile 2014 al 4 febbraio 2018.




Tensioni tra Russia e Gran Bretagna: Putin accusato di aver avvelenato ex spia russa e sua figlia

S’infittisce il giallo sulle morti russe in Gran Bretagna e dei tentati omicidi, mentre il ministro degli Esteri di Londra, Boris Johnson, rompe l’ultima barriera dello scontro ad altissima tensione con Mosca accusando Vladimir Putin in persona d’aver dato – con “estrema probabilità” – l’ordine di avvelenare l’ex spia Serghei Skripal e sua figlia Yulia, ridotti in coma a Salisbury il 4 marzo con un micidiale agente nervino.

Il caso Skripal s’incrocia intanto – seppure senza un legame diretto, avverte Scotland Yard – con quello di Nikolai Glushkov: sodale 69enne dell’oligarca ribelle Boris Berezovski nelle scorribande miliardarie del business russo degli anni ’90, trovato morto lunedì nel suo lussuoso rifugio londinese di Clarence Avenue e sulla cui fine giusto oggi la polizia britannica ha deciso di aprire un fascicolo per omicidio. Dopo aver riscontrato tracce di “compressione sul collo” che questa volta – a differenza di quanto capitato nel 2013 per lo stesso Berezovski, ex eminenza grigia del Cremlino diventata bestia nera di Putin nei primi anni ’90 e deceduto sempre nel Regno Unito – non si ritiene possano essere giustificate come allora con un ‘suicidio’ o un qualche ‘gioco estremo’.

Per il momento, in effetti, i sospetti sulla morte di Glushkov restano confinati genericamente alle sue “frequentazioni” di uomo d’affari pluri-condannato, sul quale del resto pendeva una domanda d’estradizione russa già respinta da Londra. Ma l’associazione col reprobo Berezovski fa suonare un ennesimo campanello d’allarme, al di là del fatto che nella sua vicenda “non c’è alcuna evidenza che sia stato avvelenato”. Evidenza che viceversa c’è eccome per gli Skripal, vittime di un attacco chimico che sta intossicando ogni giorno di più anche le relazioni politico-diplomatiche fra Mosca e Londra. E più in generale fra Mosca e l’occidente.

L’indiscrezione del giorno da Salisbury, sul fronte investigativo, è che l’agente nervino usato contro l’ex spia e sua figlia potrebbe essere arrivato dalla Russia nella valigia di Yulia, in visita al padre da pochi giorni: nascosto forse in polvere fra “i vestiti, i cosmetici o un regalo” (un profumo?). Questo almeno a prestar fede a fonti dell’intelligence di Sua Maestà citate dal Daily Telegraph, le quali peraltro non chiariscono se questa ipotesi, presentata come “una teoria”, si basi già su qualche elemento concreto o sia invece saltata fuori per esclusione, dopo il mancato ritrovamento di tracce di sorta di quella squadra di esecutori “al servizio del Cremlino” che nelle parole del giornale conservatore gli investigatori pare immaginassero di trovare. Sia come sia, la convinzione britannica di una colpevolezza russa ai massimi livelli resta granitica, mentre il leader laburista Jeremy Corbyn appare isolato – fra le critiche del suo stesso partito – nell’invito a “non affrettare il giudizio”.

Raccolta la solidarietà degli alleati Nato (oggi è stata la volta di Paolo Gentiloni, mentre Angela Merkel ed Emmanuel Macron fanno sapere per ora di “valutare reazioni” aggiuntive di Germania e Francia), Theresa May si prepara alla replica di Mosca all’espulsione dei 23 diplomatici russi e alle altre misure annunciate nei giorni scorsi. Il Cremlino però prende tempo, assaporando il momento giusto e controbattendo per ora alla guerra delle parole. In particolare all’indirizzo di Boris Johnson, i cui sospetti su Putin vengono bollati dal portavoce presidenziale Dmitri Peskov come “affermazioni sconcertanti e imperdonabili”, estranee persino al “galateo diplomatico”. Buone maniere perdute a parte, la sfida ha comunque il sapore di una Guerra Fredda sempre più risorgente.

La Nato ammonisce la seconda potenza nucleare del pianeta a non “sottovalutare la risolutezza e l’unità” d’intenti degli alleati occidentali. E nel frattempo le inchieste giudiziarie incrociate di Mosca e Londra si moltiplicano su binari (o forse mondi) paralleli. In attesa di una resa dei conti anche di fronte all’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac), dove i russi – che insistono a negare ogni coinvolgimento di Stato – aspettano di vedere i campioni della sostanza identificata dai britannici come una specifica tossina dei letali agenti novichok. Concepiti nella vecchia Urss e monopolio ‘loro’, accusa Londra. Riprodotti pure negli Usa e in Gran Bretagna, rimbecca Mosca.




16 marzo 1978, il giorno in cui siamo diventati adulti

Avevo quattordici anni. Ero troppo grande per non capire che qualcosa di terribile era successo, qualcosa che aveva indotto i miei professori a sospendere le lezioni. Facevo la terza media.

In terza media certi discorsi ancora non si fanno. Normalmente. Capii che ciò che era successo era più grave di altri attacchi che ero abituato a sentire in televisione. Più grave della morte dei fratelli Mattei, cinque anni prima, del quale mi ricordo il botto, avvenuto a meno di duecento metri da casa mia, che mi svegliò la notte. Ma non avevo una piena consapevolezza di quanto accaduto. Forse anche molti adulti non compresero esattamente ciò che potesse significare quella strage, figuriamoci cosa può comprendere un ragazzo di quattordici anni.  Un’età nella quale ancora non segui collettivi, assemblee, impegno politico, che giungerà l’anno successivo, con la frequentazione della scuola superiore.  A quell’età si pensava solo alla pallavolo, ai primi dischi acquistati, a crescere. Non si è certo maturi per capire a fondo l’attacco che è stato fatto al cuore dello stato.

Anche se, rispetto a molti ragazzi della mia età, mi ritenessi più informato della media, sapevo che Aldo Moro era stato Presidente del Consiglio e che fosse un importate politico democristiano, non potevo certo comprendere il valore simbolico di tale bersaglio.

Eppure qualcosa dentro, iniziava a maturare. Nella mia coscienza da adolescente, l’accostamento con altri episodi precedenti, dal giudice Occorsio, a Giorgiana Masi, Walter Rossi, o il Presidente della Confindustria tedesca, del quale francamente il nome non ho mai ricordato, e non interessa forse ricordare, ha fatto comprendere come la guerra dei terroristi riguardasse tutti noi.

Ma la consapevolezza di quanto, noi persone “normali” fossimo antagonisti ai distributori di morte l’ebbi solo tre anni dopo, nell’agosto dell’ottantuno, mentre ero in vacanza con un gruppo di amici, e sentimmo per radio la notizia dell’uccisione di Roberto Peci, per rappresaglia contro il pentimento del fratello Patrizio.

Un’esecuzione giunta 55 giorni dopo il rapimento, con 11 colpi d’arma da fuoco, proprio come nel caso dello statista. A dimostrazione che, nella folle logica dei brigatisti, lo Stato si identificava tanto in un leader politico, quanto in un operaio che aveva l’unica colpa di essere fratello di un “infame”, così come si è definito lui stesso in un libro autobiografico




Libia: tre militanti Isis arrestati per il sequestro degli operai della Bonatti

LIBIA – Tre cittadini libici, tutti appartenenti all’Isis, sono stati arrestati in Libia per il sequestro dei quattro operai della Bonatti, due dei quali morirono nel corso di un conflitto a fuoco. Fausto Piano, Salvatore Failla, Filippo Calcagno e Gino Pollicardo furono rapiti a Sabrata il 19 luglio del 2015. Piano e Failla morirono il 3 marzo del 2016 durante un conflitto a fuoco nel corso di un trasferimento. L’indagine è coordinata dal pm di Roma Sergio Colaiocco. I tre hanno ammesso le loro responsabilità.

I tre sono accusati di sequestro di persona con finalità di terrorismo aggravato dalla morte di due ostaggi, gli operai della Bonatti.

L’indagine, coordinata dal pm Sergio Colaiocco, è stata svolta dai carabineri del Ros.

L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata firmata dal gip Antonella Minunni.

I tre si trovano già in carcere a Tripoli per altri reati. Si tratta di Youssef Aldauody, l’autista che guidava il mezzo sui cui erano a bordo i due italiani al momento del rapimento, e di Ahmed Dhawadi e Ahmad Elsharo. Nella confessione i tre hanno raccontato che il piano di rapimento era stato messo a punto al fine di ottenere soldi per finanziare l’organizzazione terroristica.




Ximena Garcia, ecco il punto esatto del ritrovamento del cadavere sul lago di Nemi. I prelievi autoptici: “Stato di putrefazione avanzata”

NEMI (RM) – “In stato di putrefazione avanzata” così è stato definito il corpo di Ximena Garcia, la transessuale argentina di 22 anni scomparsa lo scorso 22 gennaio da Lanuvio e trovata morta sabato scorso nel lago di Nemi.

I prelievi autoptici sono stati effettuati ieri dall’Istituto di Medicina legale di Tor Vergata da medici legali tra i più affermati d’Italia: il Professor Giovanni Arcudi e il professor Luca Marella. I prelievi serviranno per effettuare gli esami istologico e tossicologico che, oltre alle indagini che stanno portando avanti i carabinieri del Nucleo investigativo di Frascati, la stazione dei carabinieri di Lanuvio e la compagnia dei Carabinieri di Velletri potranno rispondere principalmente a due quesiti che non sono ancora noti: se Ximena avesse assunto stupefacenti e in che misura e lo stato degli organi per capire se qualche agente esterno abbia provocato la morte.

A seguito dei prelievi dei medici legali emerge però un dato certo: non è stato possibile verificare se sul corpo ci siano lividi o abrasioni o segni di violenza perché il cadavere è in avanzato stato di putrefazione. 

Soltanto dunque gli esami istologico e tossicologico sapranno dare indicazioni certe. Intanto è importante chiarire che il luogo dove è stata trovata Ximena è vicino ad una sorta di piazzola di sosta, poco dopo il centro canoa comunale, dove attraverso un ripido viottolo in pendenza si arriva in acqua dove c’è un albero. Proprio in quel punto è stata ritrovata Garcia. lì, ci sono diversi preservativi e una mascherina che con tutta probabilità è stata utilizzata dagli uomini della scientifica.

A un chilometro di distanza invece c’è l’albero dove i giornalisti di Chi l’ha Visto? hanno ritrovato la cinta appesa ad una protuberanza che si trova molto in alto, impossibile da raggiungere senza arrampicarsi. Da indiscrezioni gli inquirenti non hanno la certezza che si tratti della cinta di Ximena e comunque non può ritenersi in alcun modo l’arma del presunto delitto. Ulteriori aggiornamenti arriveranno nelle prossime ore.

 

 

 

 




Puigdemont e Renzi, oltre la sottile linea rossa: qualcuno salvi i due soldati Ryan

Dalla collezione Barrack-Room Ballads, e precisamente dal poema Tommy di Rudyard Kipling, è stato tratto il film “La sottile linea rossa”. Il poema di Kipling che a sua volta è basato sull’azione dei soldati britannici nel 1854 durante la guerra di Crimea, chiamata “The Thin Red Line (Battaglia di Balaclava)”. Nel poema, Kipling descrive i soldati come “Una sottile linea rossa di eroi”.

Ci si domanda, Puigdemont e Renzi che c’entrano nella battaglia della Balaclava?

In quella di Balaclava non c’entrano nulla, ma nelle rispettive battaglie da loro ingaggiate, rappresentano ambedue “Una sottile linea rossa di eroi”, e si può aggiungere, votati alla morte sociale.
Nella figura del soldato Witt di Rudyard Kipling, che in prima battuta diserta e si rifugia fra gli indigeni melanesiani per poi, riemergendo, sacrificarsi per i propri compagni instillando così più di un dubbio al suo diretto superiore. Nella vicenda catalana traspare in dissolvenza la figura di Puigdemont che fuggendo in Belgio pur dichiarandosi battuto cerca di animare i sui compagni seminando così qualche scompiglio nella Corte Suprema madrilena. Si intravede, nello scontro durante la guerra di Crimea tra il colonnello Tall e il capitano Staros, una curiosa analogia con i fatti nostrani. Tall rifiuta di mandare i suoi uomini in una missione suicida e per questo verrà sollevato dall’incarico e sostituito dal tenente Band.

In dissolvenza si può vedere il “colonnello” Matteo Renzi che rifiutando di andare in soccorso alla formazione di un governo per il paese viene sostituito dal reggente Martina che a sua volta ignora gli accorati richiami alle responsabilità da parte del “capitano” Mattarella.

Sempre avendo come sfondo la guerra di Crimea, nell’atteggiamento del soldato Bell, che non sopporta la forzata lontananza dalla moglie, dalla quale alla fine verrà lasciato tramite una lettera che gli annuncia il divorzio, si può facilmente immaginare “il soldato” Berlusconi che non concependo altre soluzioni che un’ ennesimo “Nazareno” alla fine rischia di venire fagocitato da Salvini, che poi non si sa bene se è peggio o meglio del divorzio breve. In un messaggio al deputato Toni Comin, intercettato dalle telecamere della tv privata spagnola Telecinco, si riporta che Charles Puigdemont ha confidato al collega, l’amareggiato sfogo: “Penso ti sia chiaro che è finita. I nostri ci hanno scaricato. Perlomeno me”. In quello sfogo vi erano racchiusi la sconfitta, la delusione e l’amarezza di essere stati scaricati dagli stessi compagni.

Intanto regnando l’incertezza e attendendo l’imprevisto, membri del governo decaduto di Puigdemont cercano altre sistemazioni.

La ministra dell’educazione, professoressa Clara Ponsati, il 10 di questo mese ha lasciato il Belgio, dopo quattro mesi e mezzo di soggiorno, partendo per la Scozia essendo stata assunta all’ University di St Andrews. Quando Puigdemont si confidava con Comin, lamentando che i suoi lo avevano scaricato, non diceva niente di inverosimile. Di fatti, la vicepremier spagnola Soraya de Saenz Santamaria, a gennaio scorso aveva avanzato una proposta al presidente del parlamento catalano, Roger Torrent, di avviare un nuovo giro di colloqui con le forze politiche e presentare il nome di un nuovo candidato alla presidenza della Catalogna, alternativo a Charles Puigdemont.. Proprio in quell’occasione la Soraya si riporta d’aver accennato ad alcuni esponenti del partito di Torrent : “È giunto il momento di assumere pubblicamente quello che si è detto molte volte in privato”. Tutti hanno capito che si riferiva ad un possibile sacrificio di Puigdemont. Il defenestrato presidente catalano è ormai costretto ad evitare i confini catalani, ma non si dà per vinto e continua a scrivere che: “Il piano della Moncloa trionfa”. Strana coincidenza. Matteo Renzi, disconosciuto da molti dei suoi ed accomiatandosi “provvisoriamente” dalla scena pubblica ha chiuso: “La ruota gira, la rivincita verrà …”.

Il 31 gennaio, twittando, Puigdemont aveva scritto:

“Sono umano, ci sono momenti in cui anch’io dubito. Ma sono anche il Presidente, e non mi nasconderò o mi tirerò indietro per rispetto, gratitudine e impegno con i cittadini e il paese. Andiamo avanti!” Ma guarda un po’ Nel messaggio affidato da Renzi alla sua Enews, poco prima della direzione, alla quale il dimissionario segretario dem ha deciso di non partecipare: “Io non mollo. Mi dimetto da segretario del Pd com’è giusto fare dopo una sconfitta. Ma non molliamo, non lasceremo mai il futuro agli altri”. Altra classe, altra forma, stesso messaggio. Qualcuno salvi i due soldati Ryan.

Emanuel Galea

 




Aldo Moro, le Brigate Rosse e la fine di un’epoca

ROMA – Il rapimento di Aldo Moro fu il tentativo delle Brigate Rosse di diventare un potere alternativo allo Stato, di interloquire con le istituzioni su un piano paritario.

Valerio Morucci, uno dei componenti del commando che rapi’ Moro ha dichiarato: “ Lo Stato continuava a considerarci dei terroristi, noi invece eravamo politici che avevano scelto di fare politica con le armi.”

Contrariamente alle aspettative dei terroristi lo Stato non trattò e scelse questa linea per due ordini di motivi: il primo era scongiurare il pericolo di legittimare le Brigate Rosse, il secondo era impedire il compromesso storico che Moro era fermamente intenzionato a siglare con il PCI.

A ciò si aggiungeva che Aldo Moro era sgradito a molti: i comunisti puri lo consideravano un traditore che avrebbe inglobato il PCI nella DC a vantaggio di quest’ultima; la destra lo detestava per il suo comportamento compiacente con Gheddafi quando il colonnello aveva espulso gli italiani dalla Libia e perché con la sua teoria delle “convergenze parallele” avrebbe portato i comunisti al governo.

Lo Stato non trattò, Moro venne ucciso e le Brigate Rosse, assassinandolo, decretarono la loro fine. Per la verità non sarebbero sopravvissute neanche se lo avessero liberato. Il tentativo di affermarsi come forza politica sullo scenario italiano era fallito e al tribunale del popolo non restava che abbandonare l’idea che attraverso la lotta armata si potesse prendere il potere. Di quegli anni di sangue restano vittime sacrificate in nome della rivoluzione per liberazione dallo Stato imperialista- capitalista, ex terroristi mai pentiti, ancora increduli che lo Stato non si sia piegato alla trattativa: “Noi liberiamo uno dei tuoi, tu liberi i nostri”, tante ombre sul caso Moro e molti dubbi intorno agli appoggi e alle connivenze su cui poterono contare i brigatisti rossi: chi li finanziava, chi li addestrava e li proteggeva.

Il 9 maggio 1978 in via Caetani terminò un’epoca e portò via con se’ il coprifuoco che aveva imposto nelle grandi città. Poi il mondo cambio’: arrivarono il riflusso, Margareth Tatcher, Ronald Reagan e gli scintillanti anni 80.

Susanna Donatella Campione