C’era una volta Carosello, spettacolo pubblicitario amato da grandi e piccini

La pubblicità odierna, amorfa,
grigia ed afona, per la sua invasività rende la visione dei programmi
sgradevoli. Ottiene effetto negativo sul prodotto reclamizzato e fa sì che il
cittadino, il più delle volte, si tiene lontano dall’apparecchio tv. Tutt’altra
cosa la pubblicità semplice ed 
intelligente dei tempi di Carosello.

Chi non si ricorda Calimero che non era piccolo e non era nero; Ernesto
Calindri, all’incrocio stradale che brindava “Contro il logorio della vita
moderna?”. Ancora ci ritorna in mente il ritornello “Fino dai tempi dei
Garibaldini” e l’espressione: “Non dura, dura minga, non può durare.”

Personaggi simpatici che rendevano appetibile il prodotto. Minuti di
pubblicità, rilassante, rispettosa verso gli ascoltatori. Una pubblicità che
convinceva, trasmetteva affidabilità del prodotto reclamizzato, si accoglieva con
fiducia.

Triste il dover assistere oggi a tutta un’altra pubblicità. E’aggressiva,
invasiva e non convincente. Un messaggio colorato ma privo di sostanza.
All’insipienza dei messaggi, che sembrano fatti appositamente per annoiare il
telespettatore, ci si mette con impegno, la trasmissione, interrompendo
continuamente il programma per trasmettere il messaggio. Il risultato chiunque
lo può capire, rende la visione della trasmissione sgradevole con quello che ne
consegue come spiegheremo di seguito.

Gli audaci del “clic” ed i temerari del “like”

La nostra è una società piena d’interessi generici, ma nessuno in
particolare. Una strana società che sente ma non ascolta, guarda ma non vede.
Grazie allo smartphone, sempre aggiornato secondo le ultime innovazioni, è
onnipresente ma disinteressata di quello che le capita intorno. Si occupa degli
indigeni dell’altro mondo ma snobba i barboni che dormono nei cartoni sotto
casa. 

Sa brontolare, trova gusto a lamentarsi e protesta solamente in piazza,
non si identifica ma si confonde tra altre mille facce. In privato piace
ritirarsi davanti alla tastiera del PC, fa parte degli audaci del “clic”, dei
partecipanti attivi dei “like” e spesso e volentieri, davanti allo schermo tv
36”, anche questo ultimo modello sul mercato, indottrinandosi del non detto,
del vuoto a perdere, del banale e dello scontato, non accorgendosi che la
stanno bidonando, ipnotizzando e condizionando.

Metamorfosi della
sponsorizzazione

La nostra società, tanto presa a correre dietro al “non conosciuto”, al
“non avuto”, sempre più ansiosa di riempire il vuoto incolmabile, ignora l’eccessiva ingerenza degli sponsor sul
contenuto delle trasmissioni.
La pubblicità è stata ed è tutt’ora oggetto di contestazioni tra carta
stampata, radio, cinema e le stesse reti tv, pubbliche e private. Il mercato
pubblicitario fa gola a tanti e coinvolge una pluralità di merci e servizi il
cui costo, direttamente o indirettamente ricade sul prodotto e cioè sul
consumatore. E’ un giro di milioni di euro e per questo la pubblicità in tv è
stata dall’inizio regolamentata e si è cercato di disciplinarla. Tante sono le
forme di pubblicità alla quale lo spettatore viene assiduamente assoggettato,
quale spot, televendite, trailer, videoclip e anche, perché no, pubblicità
occulta. La pubblicità nasce alla Rai nel 1957, circoscritta alle trasmissioni serali della durata di 10
minuti. Per rispetto del telespettatore fu, intelligentemente collocata tra il
telegiornale e il programma di prima serata.

La comunicazione pubblicitaria televisiva fu regolamentata in maniera
tale da non danneggiare la stampa, che anche questa da essa trae le sue
risorse.

La legge di riforma della Rai del 1975, all’art.21 stabiliva che gli
spazi pubblicitari non potevano superare il tetto del 5% del tempo di
trasmissione totale. Il mercato pubblicitario si è organizzato sotto le testate
Sipra e Upa. Quest’ultima gestiva circa 400 aziende, vale a dire l’80% della
pubblicità circolante in Italia.

Questo dato e non solo, spiega l’invasività, l’aggressività e la
prepotenza che si scatena dai monitor durante i programmi di maggiore ascolto,
siano essi di intrattenimento, di approfondimento o altro.

Invasività pubblicitaria rende la visione dei programmi sgradevole

Oggi la televisione non ti allunga la vita, oggi ti logora, ti annoia e
palesemente dimostra mancanza di rispetto verso il telespettatore. Come?

Alcuni casi esemplificativi:

  • Mentre si sta seguendo un dibattito, nel
    momento più critico della discussione, ecco la conduttrice che interrompe
    dicendo, un attimo di pubblicità. Lo schermo cambia colore e si riempie di
    pannolini, mutande e donne incontinenti.

Cambi canale, ti dicono, se non vuoi vedere. Bene. Si cambio canale,
con quale risultato?

  • Altra interruzione dello spettacolo per la
    pubblicità. Questa volta protesi, creme per la cellulite, intime di push up
    varie, antidiarroici, crema anti emorroidaria e tante altre belle cose. 

Ciak si cambia nuovamente. Un caso
particolare. Un interessante dibattito sui fatti del giorno.

  • E’ il giorno che Trump sganciando i suoi
    missili ha ucciso Soleimani. Il mondo è ad un passo dalla guerra. La Libia
    brucia sotto i nostri piedi. Il Medio Oriente è una polveriera. In Puglia 20
    mila operai dell’ex Ilva rischiano di perdere il lavoro. Dipendenti
    dell’Alitalia a rischio licenziamento. La Banca di Bari con 4 miliardi di euro
    e oltre mancanti. I risparmiatori defraudati in piazza. Il governo sull’orlo di
    una crisi di sopravvivenza.
  • Orbene, di cosa si discute in studio? Non ci
    si crede. E’ proprio così. Si discute di Tola Tola, sì, di Tola Tola! Ma cosa avrà
    fatto mai di male questo paese per essere così ridotto? 

Una amara constatazione:

Vicino a Sipra e UPA nascono nuove società pubblicitarie come
Publitalia, la concessionaria Publiepi e altre. L’affare pubblicità ha sempre
richiamato gli interessi di forti investitori. Per rendere chiaro il concetto
basti dire che nel 2018 Publitalia ha raggiunto un fatturato di 3,401 miliardi di euro. Il fatturato della Sipra nel 2000  si è fermato a euro 1.446 milioni,
esiguità  della cifra spiegata con altre
forme di entrate..

Assistere oggi giorno ad uno spettacolo televisivo sia esso di
intrattenimento, sia un dibattito culturale, politico  o documentario, oppure durante i vari Tg e
altro,  è diventato sgradevole e pochi
sopportano la continua interruzione per dare spazio alla pubblicità.

Per questo disservizio si deve ringraziare anche il ben noto Parlamento
Europeo che nel 2006 espresse voto favorevole al testo della nuova direttiva,
recepita dall’Italia nel 2010 con una modifica al Testo unico della
radiotelevisione, e così permettendo un’interruzione pubblicitaria ogni 30
minuti e consentendo la pubblicità indiretta.

Conclusione:  Si è doppiamente “cornuti
e mazziati”. Prima perché non è più gradevole guardare la televisione, poi
perché il costo di tutta quella pubblicità si riversa sul costo dei prodotti e
cioè sui consumatori.

Addio all’intrattenimento! Largo alla pubblicità! Così è se vi pare.

(Ha collaborato Miranda Parca)




Arce, omicidio Serena Mollicone e morte del Brigadiere Santino Tuzi: due facce della stessa medaglia?

La famiglia del brigadiere dei carabinieri Santino Tuzi è
stata ammessa, insieme all’Arma dei carabinieri, come parte civile nel
procedimento penale che, se il Gup del Tribunale di Cassino riterrà sufficienti
le prove addotte dalla pubblica accusa, si svolgerà a carico del Maresciallo
dei carabinieri Franco Mottola, di sua moglie e di suo figlio Marco, indagati
con altri due militari dell’Arma per la morte di Serena Mollicone e per il
reato di istigazione al suicidio riguardante appunto la morte del brigadiere Santino
Tuzi.

Addentrarsi nel caso del suicidio del brigadiere Santino
Tuzi è come avventurarsi nelle sabbie mobili di una palude in cui alla fine si
perde il senso d’orientamento. Una donna che dichiara di essere stata l’amante
del brigadiere, riferisce il fatto che Santino si sarebbe tolto la vita con un
colpo di pistola al petto di cui lei ha sentito la deflagrazione attraverso il
cellulare durante una conversazione con Santino, dopodichè il telefonino è
stato chiuso.

Il cadavere del brigadiere è stato trovato riverso sul sedile di guida della sua Fiat Marea, con la pistola d’ordinanza posta sul sedile accanto, quello del passeggero. E questi sono gli unici fatti certi, di cui esistono immagini, tranne quelle, che sarebbero state preziosissime, del corpo del brigadiere.

La famiglia, ed in particolare la figlia Maria, nega ogni possibilità che il brigadiere Santino Tuzi avesse una relazione extraconiugale, e che addirittura la ragione del suicidio sia da trovare nell’intenzione della sua amante di lasciarlo per un’altra persona.

L’intervista all’avvocato Rosangela Coluzzi e Maria Tuzi figlia del Brigadiere dei Carabinieri Santino Tuzi

Viene anche posto in dubbio il fatto che il brigadiere, descritto come marito affettuoso, in procinto di andare in pensione per dedicarsi al nipotino, avesse una relazione adulterina.

Viene adombrato il dubbio che qualcuno sia intervenuto nella sua morte, che cioè sia stato ‘suicidato’, dato che a breve sarebbe stato ascoltato in merito alla morte di Serena Mollicone, quale unico testimone che avesse visto Serena, in quella fatidica mattina del primo giugno, entrare nella caserma per non uscirne più, fino a quando il Tuzi era di piantone. Né vogliamo addentrarci qui in considerazioni che sarebbe troppo lungo esperire. L’unico fatto oggettivo è la morte del brigadiere.

È chiaro però un fatto: nessuna indagine scientificamente esatta è stata fatta dai carabinieri o da chi per loro sul luogo della morte di Tuzi, né sono state poste in essere tutte quelle cautele che riguardano una che oggi possiamo definire una scienza esatta, cioè l’esame della scena del crimine.

Non si sa se esistessero due fondine d’ordinanza, né perché sia stato dichiarato che una era stata reperita nell’armadietto del brigadiere, e l’altra sul sedile posteriore dell’auto. Non sono stati fatti esami comparativi con la pistola d’ordinanza, ritrovata sul luogo della morte di Tuzi, dell’ogiva che lo ha ucciso, per stabilire se effettivamente era l’arma del delitto. Non è stato fatto alcun esame per rilevare tracce di polvere da sparo (stub) sulle mani del brigadiere, per vedere se fosse stato lui a sparare.

Non sono stati fatti rilevamenti per stabilire se lo sparo fosse avvenuto nell’abitacolo dell’auto. Ha generato sospetti il fatto che la pistola fosse sul sedile del passeggero, ma nessuno ha chiesto ai carabinieri intervenuti (della caserma di Isola Liri, dove Tuzi era stato da poco trasferito) se per caso avessero toccato l’arma, ne avessero ripulito le impronte e l’avessero spostata; anche se il medico legale prof. Costantino Ciallella ha dichiarato che sparandosi un colpo al petto probabilmente il Tuzi avrebbe potuto impugnare l’arma con ambedue le mani, e quindi il fatto che la stessa sia stata trovata su quel sedile ci sta tutto.

Non si sa perché – e non si sa se – dal caricatore della Beretta mancassero non uno ma almeno due cartucce, né si sa se nell’abitacolo siano stati repertati uno o due bossoli; né gli stessi sono stati esaminati per l’evidenziazione di tracce papillari (impronte digitali) di chi l’avrebbe dovuta materialmente caricare, cioè Santino Tuzi. Questo per cominciare.

La leggenda metropolitana, visto anche che la figlia Maria nega recisamente che il padre avesse un carattere tale da portarlo al suicidio e men che meno per una presunta amante che volesse lasciarlo, fa intendere che il Tuzi sarebbe stato ‘suicidato’ perché teste chiave nel procedimento contro la famiglia Mottola, quale unico testimone di un fatto che non è mai stato accertato senza ombra di dubbio, e cioè che Serena Mollicone quella mattina del primo giugno 2001 sia effettivamente andata in caserma dal maresciallo Mottola. E quindi il ‘suicidio’ porterebbe a ben altri scenari, cioè un crimine commesso per coprirne un altro commesso precedentemente. E questo accuserebbe il maresciallo Mottola e la sua famiglia. La morte di Tuzi è stata comunque archiviata come suicidio, e il capo d’accusa che la riguarda, nei confronti dei cinque imputati, è quello di ‘istigazione al suicidio’.

In tanto marasma, un altro fatto è certo: che nei confronti della morte di Santino Tuzi nessuna indagine è stata fatta, o ciò che è stato fatto è stato fatto ‘con i piedi’, per usare un’espressione corrente. Tanti fatti non sono più verificabili, e non sapremo mai la verità.

Vogliamo, in chiusura, riportare una dichiarazione del professor Carmelo Lavorino, consulente della difesa della famiglia Mottola, già artefice dell’assoluzione del carrozziere Carmine Belli dopo diciassette mesi di isolamento, accusato dello stesso omicidio.  

Carmelo Lavorino: “Poiché risulta che il brig. TUZI era UOMO E CARABINIERE onesto, fermo, coerente, coraggioso, con alto senso della LEGALITÀ e tutore dell’ordine, MAI E POI MAI se avesse realmente assistito a un reato (entrata di Serena Mollicone nella caserma e percezione dell’aggressione ai suoi danni così come dicono gli Inquirenti “rumore della colluttazione al piano superiore tanto che Serena veniva sbattuta con forza contro la porta”) avrebbe permesso tale reato e lo avrebbe taciuto: AVREBBE FATTO SICURAMENTE IL SUO DOVERE. MAI avrebbe omesso di avvertire i superiori provinciali e la Procura sorpassando il m.llo Mottola, MAI si sarebbe reso complice di tale misfatto. QUINDI, il brig. Tuzi, proprio per le sue qualità personali, NON HA VISTO NULLA E A NULLA HA ASSISTITO altrimenti non avrebbe omesso per sette anni la verità ed avrebbe sicuramente salvato Serena Mollicone (la reticenza ripetuta è inganno: un carabiniere ha l’obbligo giuridico di dire la verità e di impedire reati). QUINDI, il brig. Tuzi per complicati e delicati fenomeni e processi psichici ha riferito un qualcosa che MAI ha visto (altrimenti non sarebbe stato reticente) e, per motivi da investigare, ha riferito un qualcosa che MAI ha visto. Per la morte di Tuzi, che gli inquirenti hanno archiviato come suicidio dopo due consulenze medico legali, stiamo attendendo il fascicolo per capire noi, in modo indipendente, come siano andate le cose.”




Nave Gregoretti, slitta a lunedì il voto sul processo a Salvini. Il Pd grida allo scandalo

Approvato l’ordine del giorno del centrodestra per un verdetto il 20. Anche Casellati ha votato a favore

La Giunta per le immunità del Senato voterà il 20 gennaio l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini. L’ha deciso la Giunta per il regolamento, approvando l’ordine del giorno del centrodestra per un verdetto il 20, nonostante scadano oggi i giorni perentori.

Alla votazione ha partecipato anche la presidente del Senato Casellati, votando a favore. Nella Giunta, reintegrata di due senatori di maggioranza, le due parti sono 6 a 6, esclusa la presidente. Polemiche nella maggioranza per la decisione della presidente che però “respinge ogni messa in discussione della propria terzietà”.

Il Pd diserterà la Giunta delle immunità il 20 gennaio? “Non lo so, ne ragioneremo. Di sicuro la Giunta si riunisce in modo illegittimo”, ha risposto il capogruppo del Pd Andrea Marcucci al termine della Giunta per il regolamento del Senato. “Ma la cosa più grave – ha aggiunto – è che noi avevamo proposto che si riunisse oggi per completare il nostro lavoro, ma evidentemente questa cosa non era di gradimento. Così hanno fatto un colpo di mano gravissimo. Siamo molto preoccupati per la democrazia”.

“Trovo molto grave che cinque minuti prima si stabilisca che il termine è perentorio (entro il quale decidere sulla richiesta di un’autorizzazione a procedere, ndr) e dopo 5 minuti, non dopo un giorno, si procede a stabilire che il termine non è perentorio e quindi si può assolutamente derogare. E questo è successo dopo che la presidente Casellati ha più volte affermato che lei non avrebbe partecipato al voto per la Giunta. Invece, ha fatto una scelta che non possiamo non considerare di parte, questo non ce lo saremmo mai aspettati”, l’ha detto la capogruppo del Misto Loredana De Petris uscendo dalla riunione della Giunta per il regolamento.

“In riferimento alla seduta odierna della Giunta per il regolamento, il presidente del Senato Elisabetta Casellati respinge con forza ogni ricostruzione dei fatti che in qualche modo possa mettere in discussione la terzietà della sua azione ovvero connotarla politicamente, perché non si può essere terzi solo quando si soddisfano le ragioni della maggioranza e non esserlo più, quando si assumono decisioni che riguardano il corretto funzionamento del Senato”.

Nella nota il presidente ha chiarito la sua posizione nella riunione della Giunta per il regolamento. “Il presidente non ha votato sulla proposta dell’opposizione – continua – circa la perentorietà del termine previsto per le autorizzazioni a procedere a carico di ministri, così come non ha votato sulla proposta della maggioranza di assimilare alle commissioni permanenti gli organi del Senato aventi natura giuridica diversa da quelli delle stesse commissioni”. E chiarisce: “Solo ed esclusivamente per contemperare diverse previsioni del regolamento altrimenti confliggenti tra loro (artt. 29 e 135 bis), si è espressa a favore di una proposta avanzata da un singolo componente della Giunta, al fine di garantire la mera funzionalità degli organi del Senato”. Casellati rimarca inoltre che “contro il parere espresso dalla Giunta e segnatamente dai gruppi Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, ha proceduto a integrare la stessa Giunta con due componenti appartenenti alla maggioranza di governo, nelle persone delle senatrici De Petris e Unterberger”.

Intanto Salvini pubblica un post

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Guidonia Montecelio, M5s addio: Zarro, Terzulli, Cacioni e Ammaturo fanno il punto sulla gestione Barbet

GUIDONIA MONTECELIO (RM) – Sono passati quasi tre anni dall’11 giugno del 2017 quando i cittadini di Guidonia Montecelio sono stati chiamati alle urne per le elezioni comunali che hanno visto poi eleggere, al secondo turno, il sindaco Michel Barbet con il Movimento 5 Stelle.

Una campagna elettorale, quella del 2017, svolta
soprattutto sui social network che ha visto poca partecipazione di piazza e che
al primo turno ha registrato un 52 percento di assenteismo, sintomo quest’ultimo
di una città che con tutta evidenza si è sentita delusa e fortemente demotivata
dalle precedenti amministrazioni.

CLICCARE SULLA FOTO PER GUARDARE IL VIDEO SERVIZIO

Il video servizio trasmesso a Officina Stampa del 16/01/2020

E oggi, arrivati a metà mandato, di quella che
doveva rappresentare la legislatura della speranza e del rinnovamento, sono
parecchi i mal di pancia che si sono registrati tra quei cittadini che avevano
riposto le proprie speranze nella gestione del sindaco Barbet che invece ha
portato ad un vero e proprio terremoto politico soprattutto con la recentissima
uscita dalla maggioranza consiliare dei consiglieri Loredana Terzulli e Claudio
Zarro.

Uscita arrivata dopo i tanti malumori rappresentati
più volte al sindaco e ai suoi più stretti collaboratori ai quali era stato
chiesto di invertire la rotta.

CLICCARE SULLA FOTO PER GUARDARE LA VIDEO INTERVISTA

L’intervista ai consiglieri comunali Arianna Cacioni (Lega), Giovanna Ammaturo (FDI), Claudio Zarro (Gruppo Misto) e Loredana Terzulli (Gruppo Misto) a Officina Stampa del 16/01/2020

Un cambiamento nelle scelte amministrative, quello
richiesto,  per andare incontro ai veri
bisogni dei cittadini, soprattutto per quei servizi essenziali che fino ad oggi
non hanno offerto interventi concreti in una città in cui l’ordinario è
diventato emergenza. Appello rimasto inascoltato e che dopo mesi di tensioni ha
portato alla fuoriuscita di Terzulli e Zarro dalla maggioranza consiliare pentastellata.




Impianto e discarica Roncigliano, tuona Andreassi: “Cara Raggi, caro Zingaretti, Albano non pagherà la vostra incapacità”

di Luca Andreassi, Professore Università Roma Tor Vergata e consigliere delegato ai Rifiuti del Comune di Albano Laziale

C’è un impianto di gestione dei rifiuti. Uno di quei vecchi TMB in cui entra il rifiuto dei cassonetti stradali ed esce rifiuto che finisce in discarica o incenerito.

L’impianto è quello di Roncigliano ad Albano.

Ed era il 2016 quando andò a fuoco. (Mica solo quello di Roncigliano. Perché gli impianti TMB oltre che inutili – se si fa una buona differenziata – sono anche dannosi).

Ad inizio estate, ci comunicano che i vecchi proprietari del sito industriale di Roncigliano hanno ceduto in locazione ad una terza società un ramo d’azienda.

Guarda caso proprio quello che comprende l’impianto TMB andato a fuoco.

Contestualmente, i nuovi proprietari ci comunicano che è loro intenzione riattivare l’impianto.

Ma come?! – diciamo noi – Non serve un impianto TMB! Un impianto che tratti l’indifferenziato dei cassonetti stradali in una città che è all’82% di differenziata e, comunque in un’area vasta, i Castelli Romani, estremamente virtuosa in termini di differenziazione dei rifiuti!

E poi l’autorizzazione scade ad agosto.

Anche la Regione Lazio la pensa come noi. L’autorizzazione è scaduta. Se proprio i nuovi proprietari vogliono realizzare un impianto TMB che presentino il progetto e attivino tutta la procedura di richiesta autorizzativa.

Fin qui la logica.

Da qui in poi, un susseguirsi di colpi di scena.

A settembre la Regione Lazio, per mano della stessa dirigente che aveva affermato che l’autorizzazione era scaduta (come se fosse una cosa su cui ci possa essere discussione) afferma che “contrariamente a quanto ritenuto e precedentemente affermato”, a seguito della cessione del ramo d’azienda, l’autorizzazione doveva intendersi prorogata. Fino al 2023.
Autorizzando di fatto la rimessa in funzione dell’impianto.

E’ evidentemente una cosa folle.

La Città di Albano pertanto propone ricorso al TAR, con il supporto dell’ Associazione Culturale Contro Tutte Le Nocività, richiedendo la sospensiva. Convinti che la procedura di proroga di un’autorizzazione scaduta effettuata in questo modo abbia dei dubbi di liceità. E richiedendo un intervento immediato perché, come certificato da ARPA Lazio, ufficio tecnico della Regione Lazio (dalla cui penna è uscita la proroga dell’autorizzazione), esistono anche problemi di superamento di sostanze inquinanti nei pozzi spia.

Due giorni fa ci viene notificato la decisione del TAR, ovvero che la nostra richiesta è respinta perché il TAR ritiene che si tratti di una mera volturazione.

Caspita. Mera volturazione. Ma è quello l’oggetto del nostro ricorso! Ovviamente nessun interesse nei confronti dell’impatto ambientale.

Aspettiamo il merito del TAR. Ricorreremo al Consiglio di Stato. Intraprenderemo ogni tipo di protesta che riterremo adeguata ad impedire l’ipotesi di una riapertura.

La situazione di Roncigliano è figlia di una totale assenza di programmazione in materia di gestione dei rifiuti.

Caro Presidente Zingaretti, cara Sindaca Raggi continuate a discutere litigando, o facendo finta di farlo, sull’ubicazione della nuova discarica che dovrebbe risolvere il problema di Roma.

Consapevoli, escludo l’ipotesi alternativa, ovvero che non sappiate di cosa state parlando, che una discarica non risolve assolutamente nulla e che, probabilmente, non serve neanche a gestire l’emergenza romana.

E mentre questo accade, città come Albano che vincono premi su premi e sono all’82% di differenziata diventano vittime di questa totale assenza di programmazione. Non ve lo consentiremo. Albano non pagherà la vostra incapacità.




Conclave Dem, pronto il piano strategico da proporre al governo

“Proporremo al governo un vero e proprio piano strategico per l’Italia: 5
obiettivi politici con misure concrete da adottare”. Così Nicola
Zingaretti al seminario Pd in vista della verifica. In sintesi i pilastri,
illustrati dal leader dem, sono: rivoluzione verde per tornare a crescere,
Italia semplice per sburocratizzare a favore di imprese e cittadini, Equity Act
per parità salariale uomo-donna ed equilibrio nord-sud, aumento della spesa per
l’educazione, piano per la salute e l’assistenza.

Sulla legge elettorale “sono d’accordo, verifichiamo, siamo
disponibili ad andare anche oltre e rafforzare questo schema”, cioè
valutare “il rafforzamento dei poteri governativi, non so con quale
formula. Ma non dobbiamo aver paura, mettiamo in campo delle proposte aprendo
il confronto con gli altri”. Così Nicola Zingaretti nel suo intervento
finale al seminario Pd, che ha accennato alla formula del cancellierato.

“Il Pd è
l’unico grande pilastro e baluardo dal Nord al Sud per ricostruire un progetto
credibile di sviluppo del nostro Paese, per sottrarre alle destre l’arroganza
che mette nello scontro politico”. Così Nicola Zingaretti nel chiudere il
seminario dem.

“E’ il tempo di
una nuova fase – ha detto il segretario dem – che dovrà vedere protagonista la
squadra che si mette al servizio di questo progetto. Un partito aperto nella
società, che deve mutare per diventare forza motrice che interpreta il
cambiamento. Siamo qui per indicare al Paese una prospettiva nuova, per dare
una visione all’Italia, un’alternativa percepibile”. “Questo governo
ha salvato l’Italia da una catastrofe e ha iniziato un cambio di indirizzo non
banale su temi fondamentali. Ora ci vuole un salto in avanti credibile e
percepibile per il Paese”.

“Noi
non siamo un circolo bocciofilo, un circolo culturale,
noi abbiamo il dovere etico e morale di dare una risposta a questa condizione
umana
” di chi soffre le diseguaglianze economiche e
sociali. “Non voglio rinnegare nulla dell’azione condotta in passato, ma
se le condizioni sono queste va aperta una nuova era” di politiche di
sostegno, perché “l’aumento delle diseguaglianze mette in pericolo la
democrazia”.

“Nessuno pensa
a un ritorno al passato, non facciamo caricature tra di noi, ma non dobbiamo
neppure rimanere fermi in un eterno presente”.




Tesina copiata, la ministra pentastellata Azzolina finisce nel ciclone delle accuse

Il vaso è colmo o dovremmo ancora sprofondare di più nella vergogna? Che il ministro dell’Istruzione, la pentastellata Lucia Azzolina abbia addirittura copiato dai manuali la sua tesi senza citare le fonti è veramente troppo.
Intere frasi copiate si trovano incollate pari pari nella sua tesina finale della Scuola di specializzazione (Ssis) che abilita all’insegnamento alle secondarie superiori.

La tesi della responsabile dell’Istruzione, su cui ha fatto luce il linguista e critico letterario Massimo Arcangeli, è risultata contenere ampi stralci copiati da fonti non citate. Interi paragrafi presi da manuali specialistici, senza citazioni, facendoli così passare per propri.

La scoperta l’ha fatta il quotidiano La Repubblica e adesso è scoppiato l’ennesimo scandalo. I paladini dell’onesta sono, come si dice, sotto botta.
“Fare peggio del ministro Fioramonti sembrava impossibile. E invece Azzolina ci stupisce: non solo si schiera contro i precari ma ora scopriamo che copia pure le tesi di laurea. Un ministro così non ha diritto di dare (e fare) lezioni. Roba da matti. Si vergogni e vada a casa”: così il segretario della Lega Matteo Salvini. “Un ministro (Azzolina, ndr) che assume i professori che ha copiato la tesi e un altro ministro indagato (Manfredi, ndr) che ora rappresenta studenti e insegnanti. Penso sia indegno per la scuola italiana, si dimettano subito perché in classe ci devono andare persone preparate e al ministero ancor di più”, ha rincarato Salvini da Novellara, nel tour elettorale in vista delle Regionali in sostegno di Lucia Borgonzoni.
Nella stessa direzione le critiche della deputata leghista Giorgia Latini, vicepresidente della commissione Cultura a Montecitorio: “Quanto riportato dalle colonne di Repubblica oggi è gravissimo. Chiederemo al ministro di venire subito in Aula a riferire e di rassegnare immediate dimissioni, come già in passato hanno fatto i suoi omologhi in altri Paesi, perché gli italiani e il mondo della scuola meritano rispetto e verità”.




Taglio dei parlamentari, raggiunto il numero minimo per il referendum: decisivo il contributo della Lega

Raggiunto e superato il numero minimo di 64 firme per presentare il quesito del referendum contro il taglio dei parlamentari. A contribuire al raggiungimento del numero anche l’appoggio di alcuni senatori leghisti. “Abbiamo dato un contributo per avvicinare la data delle elezioni – dice Matteo Salvini – perchè prima va a casa questo Governo di incapaci e meglio è, non per Salvini ma per l’Italia”.

I tre promotori del referendum sul taglio dei parlamentari, Andrea Cangini (Fi), Tommaso Nannincini Pd) e Nazario Pagano (Fi) hanno, dunque, depositato le 71 firme necessarie per la richiesta. Ben 7 in più del numero minimo richiesta di 64.

Dopo la rinuncia di 7 senatori a sottoscrivere la richiesta di referendum per il taglio del parlamentari, sono 11 le new entry che hanno deciso di aderire consentendo così la possibilità di depositare il quesito in Cassazione. Hanno aggiunto le loro firme: 5 senatori di Fi, 6 della Lega e 1 di Leu.

M5s all’attacco del Carroccio. “Non hanno resistito alla voglia di tenersi strette le poltrone e a quanto pare è arrivato ‘l’aiutino’ della Lega” nella raccolta delle firme per il referendum sulla riforma sul taglio dei parlamentari, attaccano fonti M5s. “Non vediamo l’ora di dare il via alla campagna referendaria per spiegare ai cittadini che ci sono parlamentari che vorrebbero bloccare questo taglio, fermando così il risparmio di circa 300mila euro al giorno per gli italiani che produrrebbe l’eliminazione di 345 poltrone”.

“Stamattina – fa intanto sapere il senatore M5s Michele Giarrusso – ho ritirato la firma sul referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. L’ho ritirata, perché la mia posizione è stata strumentalizzata da alcuni e travisata da altri”. 

Anche i senatori del Pd Francesco Verducci e Vincenzo D’Arienzo hanno ritirato le firme dalla proposta del referendum sulla riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari. Fonti Dem spiegano che i due senatori lo avrebbero fatto in conseguenza “di un fatto politico nuovo” e cioè la presentazione di quella proposta di legge elettorale proporzionale, che fin dall’inizio era stata chiesta dal Pd in relazione al taglio dei parlamentari.




Sanità, Lazio, ULS: “Ares 118 affida ai privati per 120 milioni di euro in tre anni 116 servizi di soccorso, intervenga la Regione”

Continua la privatizzazione del servizio Ares 118 della Regione Lazio grazie ad una delibera (la n. 365 del 30 dicembre 2019) dell’Azienda Regionale Emergenza Sanitaria 118 che al costo di circa 120 milioni di euro in tre anni vorrebbe appaltare ben 116 lotti ai privati – dichiarano dal Direttivo ULS-Unione Lavoratori Sanità Roma e Lazio.
Riteniamo assurdo che per garantire i LEA dell’emergenza in area extra ospedaliera – proseguono i sindacalisti ULS – si faccia per l’ennesima volta ricorso ad affidamenti in convenzione della durata triennale dal costo di quasi 42 milioni di euro l’anno, soldi pagati dai cittadini della Regione Lazio, e non si vada invece nella direzione di modelli socio-lavorativi di internalizzazione e gestione diretta del Servizio Sanitario pubblico.
Nelle more dell’espletamento delle nuove assunzioni già autorizzate e delle procedure concorsuali di Medici, Infermieri, Autisti e Barellieri, la delibera in questione traccia un solco sulla riorganizzazione dell’Ares 118 in termini di futuri concorsi per assumere nuovo personale e per poter internalizzare, tramite apposite procedure previste per legge, le centinaia di Lavoratori precari che, sotto la dicitura di volontariato, svolgono un servizio importante.
Chiediamo un intervento urgente della Regione che annulli la delibera e si impegni a destinare le opportune risorse economiche per l’acquisizione di mezzi e di personale affinché si garantisca il servizio di soccorso regionale all’interno del Servizio Sanitario Nazionale, ponendo fine alla stagione delle esternalizzazioni per milioni di euro sostenute dalle tasse dei cittadini” concludono dal Direttivo Regionale ULS.




Poveri ma belli, Belle ma povere e Poveri milionari: l’Italia tra reale, virtuale e governo Conte

Poveri ma belli, Belle ma povere e Poveri milionari è la famosa trilogia di film di Dino Risi, tre film di successo del 1957/1959. E oggi ci si domanda chi sono i belli, le belle e i milionari?

I poveri si riconoscono a vista. Non si trovano certamente a Courmayeur come non si trovano a prendere il sole sulle coperte di costosi yacht al largo di Viareggio e tantomeno a bordo di lussuose Ferrari, Lamborghini o Bentley parcheggiate nelle vie della Versilia e non si vedono come alcuni personaggi a pranzo al ristorante “Il Porto” o da “Gattuso” oppure da “Dolce & Gabbana”, sorseggiando champagne e assaporando ostriche e delizie affini. L’Italia dei poveri va cercata altrove ed è un’esclusiva per pochi in quanto l’argomento pare non interessare a nessuno.

In quale veste di questi tre scenari egregiamente proposti da Dino Risi si presenta oggi l’Italia?

C’è un Italia reale che si trova nelle periferie, c’è un’Italia virtuale largamente promossa dai mass media, c’è poi l’Italia del governo Conte, l’Italia del “Tutto va bene madama la marchesa” prostrata e con il cappello in mano, rassegnata nell’atrio dei palazzi della Ue.

Andando a ritroso si può sintetizzare lo scenario attuale in tre quadri, un canovaccio lacerato e sbiadito:

L’Italia di Conte

L’Italia di Conte, generazione del “Faccio tutto mi”, belli ed eleganti, che si atteggiano a Muse dell’alto Olimpo, veri dei che tutto conoscono, a tutti assistono dall’alto del loro sapere, ma che poi in effetti sono poveri di progetti, barcollano nel buio, sconvolgendo strutture, imprese ed il poco che di rassicurante che ancora si può rinvenire dopo la crisi. E’ l’Italia dei saputelli, dei presuntuosi e degli improvvisati.

L’Italia dei mass media

Subito dopo viene l’Italia virtuale massicciamente rappresentata dai mass media e dalla “Raccomandati ed Associati” club di privilegiati che si affacciano a turno nei vari talk show che assillano le serate televisive del popolo italiano, ansiosi di dire la loro sui vari argomenti. Sparano percentuali a piacere e alzano polvere e polveroni per colmare il non detto, per coprire il vuoto che creano ogni volta che si affacciano al pubblico.
Ahinoi, sono fortemente reclamizzati, usano il linguaggio dei giovani, sposano lo slogan “green deal” di Ursula von Der Leyen, si dichiarano gretini e gretine, celebrano in piazza i Fridays for Future, si fanno sentire e per questo, e non solo per questo, risultano vincenti.

Come si dice, fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Questa Italia virtuale rappresenta i valori che cadono e cadendo fanno tanto rumore.

L’Italia dei “poveri milionari”

Questa Italia è come un fiume carsico. Cammina e trascina con se una parte del Paese che conta. E’ l’Italia della corruzione, dell’evasione. Se è vero come asseriva durante il primo governo Conte il vicepremier nonché ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro Luigi Di Maio, che l’evasione era arrivata alla cifra astronomica di euro 300 miliardi, quasi il 16% del prodotto interno lordo ma anche se fosse di soli 100 miliardi di euro come aveva corretto allora la Commissione del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), nulla cambia e non c’è da stare allegri.

Solamente, come al solito, vige la legge “forti con i deboli e deboli con i forti”. Il governo Conte 2 ha preso di mira i piccoli imprenditori, i consumatori ed i pensionati. Il conto delle tasse in Italia per i giganti del web e della sharing economy, Amazon e Google, inerente al 2018 ammontano ad appena 14 milioni di euro. Le tasse pagate da Facebook non sono pervenute, però si sa che per il 2017 il colosso web avrebbe pagato la vergognosa cifra di 120 mila euro.

Quale lotta, a quali evasori? Si cercano quelli sconosciuti ma guai a nominare gli intoccabili

Lo scorso 9 luglio il Tribunale di Roma ha decretato che “I gestori di slot machine sono obbligati, al pari dei concessionari, a versare la quota della tassa di euro 500 milioni prevista dalla legge di stabilità 2015 per la filiera degli apparecchi da gioco”. Attualmente all’appello mancano circa 110 milioni di euro. Chi è che s’incarica di recuperarli?

Alla fine è il caso di dire, c’è l’Italia dei poveri, che poi siano belli o brutti poco importa. Quello che si sa di certo è che la loro povertà è brutta che più brutta non si può. Pochi sanno bene dove vivono, quanti sono, come campano, di che cosa vivono.

I politici si ricordano di loro solamente durante i comizi elettorali. Parlano dei poveri con voce rotta e qualche lacrima d’occasione.

La sceneggiata convince e il deputato di turno guadagna consensi

Si promette di tutto: lavoro, casa, sussidi, asili nido, buoni da spendere a piacere, felicità, benessere e giù con le promesse, tanto promettere non costa nulla.

Una volta eletto però, che nessuno si azzardi ad avvicinare quel politico, prima ed innanzi tutto deve sistemare la sua situazione, poi quella dei suoi cari, degli amici e degli amici degli amici. Ci si deve rassegnare, Montecitorio non è più lo stesso. A Montecitorio la voce della periferia non riesce ad arrivare, non arrivano le frequenze dei quartieri dell’ombra, le periferie sono rimaste sole e da tutti dimenticate.

”È inutile chiamare, non risponderà nessuno – Soli, mangiando un panino in due – Soli, il mondo chiuso fuori con il suo casino”. Caro Adriano, le tue sono parole profetiche, sono frasi d’amore per la bella. Non fa niente, il povero della periferia se ne appropria per gridare la sua solitudine, il suo abbandono, sperando che qualcuno lo ascolti.




Riforma tributaria, avvocato Lucarella su eliminazione di un grado di giudizio: “Serie perplessità. Ecco perché”

“Quale neo incaricato alla guida della Consulta Legale Nazionale di Asso-Consum esprimo perplessità, soprattutto sul piano giuridico, in merito alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe
Conte, recentemente riportate dalla stampa nazionale, in relazione all’idea di una riforma tributaria che elimini un grado di giudizio.
Quest’ultima idea di riforma contrasta fortemente con lo spirito di uno Stato di diritto; l’appello esiste nel nostro sistema giuridico, specie nel settore tributario, quale strumento di revisione delle decisioni di primo
grado, talvolta, ingiuste sia da un punto di vista procedurale che di merito.
E’ dato ufficiale del Ministero di Economia e Finanza che il contenzioso tributario a fine 2018, in termini statistici, ha registrato un meno 10,34% del numero complessivo delle controversie rispetto al 2017 (per un complessivo contenzioso nazionale di 373.685 cause pendenti).
Pertanto, voler modificare il processo tributario nell’ottica appena rappresentata, con molta probabilità non favorirà un sano rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini. A ciò si aggiunga che nei
primi 9 mesi del 2019 le commissioni tributarie provinciali e regionali hanno definito circa 160.000 ricorsi e che, in primo grado, la parte pubblica (cioè lo Stato) è riuscita a vincere quasi una volta su due (47,4% dei
successi), mentre il contribuente ha avuto ragione meno di una volta su tre (28,7%).
Sempre dati alla mano, in secondo grado le decisioni dei primi giudici subiscono un ribaltamento per un buon 32,6% contro il 49,5%; in Cassazione, nel 2018, la parte pubblica ha vinto più di due volte su tre nei
confronti del cittadino.
Dinanzi a questi dati ufficiali è difficile comprendere ove possa risiedere la ragione effettiva di una scelta di Governo così poco digeribile per i contribuenti italiani. Privare i cittadini di uno strumento così
importante per garantire l’effettiva difesa dei diritti non equivale, di contro, ad incamerare più soldi a titolo di imposte e tasse.
Tutt’al più ne aumenterà la percezione di soggiogamento di quei contribuenti ritenuti vessati e destinatari di atti amministravi-tributari illegittimi.
Spiace aver ascoltato una proposta del genere da parte di un Presidente del Governo come il Prof. Conte il quale dovrebbe vestire di diritto, sartorialmente parlando, l’azione del potere esecutivo e farne
essenza irrinunciabile.
Tuttavia, senza presunzione e pregiudizio alcuno, come Presidente incaricato della Consulta Legale Nazionale di Asso-Consum, proprio perché rappresento un organo consultivo di una delle poche associazioni riconosciute dal Ministero dello Sviluppo Economico (e perciò indirettamente dal Governo stesso), sarei curioso di comprendere l’intera portata dell’idea di riforma al fine di meglio apprendere la
tipologia degli eventuali bilanciamenti giuridici che si offriranno sul piatto legislativo: nella pratica reale, ho il timore che il costo effettivo relativo al sacrificio di diritti ed interessi legittimi dei cittadini sarà troppo più alto
rispetto alle ragioni di Stato.
Credo che una scelta di riforma, come quella accennata dal Prof. Conte, non possa prescindere dall’interazione giuridica che esiste ai più alti livelli di sistema: si considerino, ad esempio, la Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Prima di tutto c’è, però, la Costituzione italiana la quale, pur non esplicitamente, riconosce l’impugnazione quale elemento essenziale di dignità stessa dello Stato di Diritto.
Non è certamente privando i cittadini di diritti e sistemi di garanzia a loro tutela che si posso ridurre i tempi di giustizia od aumentare il gettito fiscale; si genererebbe tutto l’effetto opposto: ulteriore sfiducia nello Stato democratico con progressiva degenerazione del rapporto di fedeltà e leale collaborazione tra Pubblico e Privato.
Occorrerebbe, piuttosto, semplificare il sistema tributario alla fonte e non a valle: una riforma della giustizia tributaria è improcrastinabile e non più differibile, ma non credo che eliminando un grado processuale si potrà ritenere di aver fatto una cosa giusta e socialmente utile per le sorti della società italiana per quanto, in realtà, significativa per le casse dell’erario statale.
Una riforma tributaria necessita sempre di molta attenzione perché si mettono in gioco principi democratici delicati ed importanti: primi fra tutti la dignità del cittadino e la capacità di uno Stato di rispettare i dettati costituzionali oltreché la tutela dei diritti umani inviolabili”.

Presidente CLN Asso-Consum
Avv. Angelo Lucarella