Covid-19, nuova possibile terapia con i nanoanticorpi contro il virus e le sue mutazioni

Speranze per una nuova possibile terapia anti-Covid: si tratta di nuovi nanoanticorpi, sviluppati lavorando su lama e alpaca, che impediscono l’ingresso del virus nelle cellule e sembrano funzionare anche se subisce delle mutazioni.

A metterli a punto, i ricercatori svedesi dell’Istituto Karolinska, insieme a quelli dell’università di Bonn e dello Scripps Research Institute della California, come spiegano sulla rivista Science. A breve un’azienda spin-off dell’università di Bonn testerà i nanoanticorpi in una sperimentazione clinica sull’uomo. 




Consiglio dei Ministri: ok al Recovery con astensione ministre Iv: Renziani verso lo strappo, Conte pronto alla sfida in Aula

“Se non ci sarà il Mes le ministre di Iv si asterranno”, annuncia l’ex premier in tv. E il piano passa infatti con l’astensione delle ministre Teresa Bellanova e Elena Bonetti.

La conferenza stampa convocata da Renzi nel pomeriggio alla Camera potrebbe certificare l’addio di Iv al governo. “Decidiamo in mattinata e poi lo comunicheremo alla stampa”, annuncia il senatore.

I margini di trattativa, dopo il Cdm, si assottigliano ulteriormente

Se nel pomeriggio fonti di maggioranza evocavano ancora la possibilità di un vertice tra i leader per una ricucitura e, prima di entrare a Palazzo Chigi, Vincenzo Spadafora vedeva ancora le “condizioni per gesti di responsabilità”, alla fine della riunione l’impressione è che non restino molti margini per ricompattare la maggioranza. Tanto che continuano a circolare voci e ‘conteggi’ sui possibili “responsabili” pronti a prendere il posto di Iv al Senato: si accredita l’uscita di 4 senatori dal gruppo di Renzi e ben 8 da Forza Italia. E’ sul Mes intanto che si consuma l’ultimo scontro tra Iv, Conte e gli altri partiti alleati. Le ministre renziane definiscono “incomprensibile” la rinuncia al fondo salva-Stati, lamentano ritardi sulle urgenze del Paese e sui nuovi ristori. “Il Mes non è compreso nel Next Generation, non è questa la sede per discutere il punto”, è la replica di Conte, che invita a “non speculare sul numero dei decessi in Italia per invocare l’attivazione del Mes”, con “un accostamento che offende la ragione e anche l’etica”.

Subito dopo è Roberto Gualtieri a intervenire.”Il Mes non ha “nulla a che vedere con il programma Next Generation Eu” e anche se si decidesse di attivarlo, “non avremmo a disposizione risorse per investimenti aggiuntivi”, spiega il ministro dell’Economia. “Il Mes non c’entra, non c’è ragione per astenersi”, è il concetto che sottolineano a loro volta Francesco Boccia e Enzo Amendola. Mentre il ministro della Salute, Roberto Speranza, ricorda quano fatto per contrastare la pandemia, anche in termini di risorse. Il confronto viene descritto assai teso, lo strappo di Iv non rientra e le ministre si astengono. Ma Cdm terminato, Gualtieri esulta: “E’ stato un gran lavoro, più importante d’ogni polemica. Ora via al confronto in Parlamento e nella società”. Fra poche ore, però, potrebbe essere la crisi di governo a dominare nella politica italiana. Non a caso Conte decide di correre e convoca un doppio Cdm, uno in serata sul nuovo dl anti-Covid (con lo stato di emergenza che potrebbe essere prorogato al 30 aprile), l’altro giovedì sul nuovo scostamento per i ristori di gennaio. Tentando così di mettere in cassaforte i provvedimenti più cruciali per il Paese in questo momento. Poi, se le ministre di Iv si dimetteranno, per il premier si potrebbe davvero aprire la strada della conta e del sostegno dei Responsabili. “Sarà un governo Conte-Mastella e noi saremo all’opposizione o un esecutivo diverso”, attacca Renzi.

“Ci sono delle forze che vogliono contribuire nel segno di un rapporto con l’Europa e penso che al momento opportuno queste forze possano palesarsi”, è la previsione ribadita da Goffredo Bettini, gran tessitore di questi giorni di pre-crisi. Mentre al premier, e al suo argine a un Conte-ter se Iv si sfilasse nelle prossime ore, una sponda arriva da Romano Prodi. “Conte ha fatto bene. A me sembra che Renzi abbia assolutamente lo stesso obiettivo di Bertinotti (nel Prodi I, ndr), cioè rompere”, spiega l’ex presidente del Consiglio. E il dado della crisi, ormai, sembra davvero tratto




Vaccino Moderna, prime 47mila dosi arrivate a Roma

E’ giunto in Italia il primo carico di vaccini della casa farmaceutica Moderna. Poco dopo le 2 di notte il furgone ha attraversato il Brennero e intorno a mezzogiorno è arrivato all’Istituto Superiore di Sanità (Iss) a Roma, per poi essere distribuito in 4-5 Regioni individuate dal commissariato all’emergenza di Domenico Arcuri.

I vaccini di Moderna sono distribuiti alle Regioni con i mezzi messi a disposizione da Poste Italiane dando priorità a quelle con un maggior numero di abitanti sopra gli 80 anni. 

Il lotto potrebbe essere ripartito tra le Regioni ‘virtuose’, che smaltiscono più rapidamente le dosi

Al momento guida la Campania con il 101,7% (oltre la dotazione perché da una fiala Pfizer si possono ricavare 6 dosi invece di 5), poi Umbria 90,7%, Veneto 87,9% delle dosi. All’altro capo della classifica Trentino Alto Adige 34,8%, Calabria 42,7%, Lombardia poco più del 44%. La Campania non tiene una riserva per il richiamo, la seconda dose, mentre ad esempio il Veneto, ma anche il Lazio, lo fa per fronteggiare eventuali ritardi nelle forniture.

Il vaccino Moderna dovrebbe proteggere dal coronavirus per almeno un anno: lo ha detto agli investitori un alto funzionario della stessa società, secondo quanto riporta la Cnn. “La nostra aspettativa è che la vaccinazione duri almeno un anno”, ha detto Tal Zaks, direttore medico di Moderna, alla 39ma conferenza annuale di JP Morgan sulla sanità. La società, ha proseguito, dovrà verificare adesso se è possibile estendere la protezione con l’aggiunta di una terza dose. Attualmente il vaccino viene somministrato in due dosi a circa un mese di distanza.

“Appena un anno fa questo virus era sostanzialmente sconosciuto, e ora abbiamo già due vaccini approvati, con la prospettiva a breve che se ne aggiungano altri, un traguardo impensabile frutto di uno sforzo senza precedenti nella storia. Ora le istituzioni, in Italia come nel resto del mondo, sono chiamate ad un’altra sfida epocale, quella di portare il vaccino a tutti i cittadini”., afferma Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di Sanità.

“Ci auguriamo tutti che entro la fine di gennaio l’Ema autorizzi anche il vaccino di AstraZeneca, ma la strada per arrivare all’immunità di gregge è ancora lunga e impone a tutti di non abbassare la guardia sulle misure di contenimento del virus”. Lo afferma il commissario straordinario Domenico Arcuri.

La società biotecnologica tedesca BioNTech, associata al colosso Usa Pfizer, ha stimato di poter produrre “due miliardi di dosi” del suo vaccino anti-Covid entro la fine dell’anno dopo la recente decisione dell’Ema di autorizzare la somministrazione di sei dosi per flaconcino di questo prodotto invece di cinque: si tratta di un target notevolmente superiore a quello precedente di 1,3 miliardi di dosi.

L’Ema ha dichiarato che AstraZeneca e l’Università di Oxford hanno presentato un’offerta formale per l’autorizzazione del loro vaccino contro il coronavirus e che una decisione potrebbe arrivare entro il 29 gennaio. Lo si legge in un comunicato.

“Buone notizie. AstraZeneca ha presentato il dossier all’Agenzia europea del farmaco (Ema) per far autorizzare il suo vaccino in Ue. L’Ema valuterà la sicurezza e l’efficacia del vaccino. Una volta che il vaccino avrà ricevuto un parere scientifico positivo, lavoreremo a tutta velocità per autorizzare l’uso in Europa”. Così la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, su twitter.

“Se AstraZeneca otterrà il via libera” per la commercializzazione del suo vaccino anti-Covid nell’Ue, “speriamo che la casa farmaceutica faccia le prime consegne due settimane dopo l’autorizzazione, proseguendo con due consegne al mese. Ma questo è tutto in divenire e deve essere discusso con gli Stati membri”. Così la direttrice generale del dipartimento Salute e sicurezza alimentare della Commissione Ue, Sandra Gallina, nel suo intervento al Parlamento europeo.

La Commissione europea ha concluso oggi le discussioni preliminari con la società farmaceutica Valneva per acquistare il suo potenziale vaccino contro il Covid-19. Il contratto previsto con Valneva prevede la possibilità per tutti gli Stati membri dell’Ue di acquistare congiuntamente inizialmente 30 milioni di dosi, e fino a 30 milioni di dosi aggiuntive. Lo riferisce in una nota l’esecutivo comunitario.

“Il perdurare della pandemia di Covid-19 in Europa e in tutto il mondo rende più importante che mai l’accesso da parte di tutti gli Stati membri a un portafoglio di vaccini che sia il più ampio possibile per contribuire a proteggere le persone in Europa e altrove”. Così la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. “Il passo compiuto oggi verso un accordo con Valneva integra ulteriormente il portafoglio di vaccini dell’Ue e dimostra l’impegno della Commissione per trovare una soluzione duratura alla pandemia”, ha aggiunto.

“Con questo ottavo vaccino arricchiamo la già ampia e diversificata gamma di vaccini all’interno del nostro portafoglio. In questo modo possiamo massimizzare le possibilità di garantire a tutti i cittadini un accesso a vaccini sicuri ed efficaci entro la fine del 2021”. Così la commissaria europea alla Salute Stella Kyriakides, dopo che la Commissione europea ha concluso le discussioni preliminari con la società farmaceutica Valneva per acquistare il suo potenziale vaccino contro il Covid-19. “Tutti gli Stati membri hanno già avviato campagne di vaccinazione e inizieranno a ricevere un numero crescente di dosi per soddisfare il loro fabbisogno nel corso dell’anno”, ha aggiunto.

“Sono in corso contatti tra l’azienda russa” che produce il vaccino Sputnik “e l’Ema. La compagnia non ha ancora presentato una richiesta per l’autorizzazione alla commercializzazione” nell’ Ue, “ma l’Ema è in contatti esploratori con la casa russa”. Lo spiega un portavoce della Commissione Ue ad una domanda.




Consiglio dei Ministri, Renzi: “Nessun passo indietro”

Strappo sempre più vicino in maggioranza in vista del Consiglio dei ministri di questa sera. Italia viva smentisce “passi indietro” rispetto alle sue decisioni relative al governo.

In queste ore, spiegano fonti qualificate renziane, si sta cercando un luogo dove fare una conferenza stampa domani pomeriggio, alla Camera o al Senato.

Alla conferenza stampa parteciperà il leader di Iv Matteo Renzi

Del resto la giornata si è aperta subito ad alta tensione con Palazzo Chigi tenta di ‘isolare’ Renzi e in mattinata fa trapelare che “se il leader di Iv Matteo Renzi si assumerà la responsabilità di una crisi di governo in piena pandemia, per il presidente Giuseppe Conte sarà impossibile rifare un nuovo esecutivo con il sostegno di Iv”.

“A differenza di ciò che raccontano a reti unificate i cantori del pensiero unico – è andato all’attacco il senatore dopo la notizia – non c’è nessuna richiesta di poltrone, nessuna polemica pretestuosa, nessun atto irresponsabile.

Quello che noi stiamo facendo si chiama politica: studiare le carte, fare proposte, dare idee. Irresponsabile sarebbe sprecare centinaia di miliardi dei nostri figli facendo debito cattivo e non investendo sulla sanità, sull’educazione, sull’innovazione”. E “se non ci sono risorse sufficienti nel piano pandemico nazionale prendiamo il Mes”.

Quindi aggiunge: “Adesso è avvenuto anche sul Recovery Plan dove – almeno a parole – ci stanno dando ragione”. “Prima ci insultano. E poi ci danno ragione senza ammetterlo – insiste Renzi – è avvenuto sul rapporto Stato/Regioni. È avvenuto sul bicameralismo. È avvenuto sulla decontribuzione del JobsAct. È avvenuto su Industria 4.0. È avvenuto sui diritti sociali e civili. E’ avvenuto sui vaccini. È avvenuto sull’idea di Europa, su Trump, sui temi dell’Expo.È avvenuto sulla centralità della scuola”. Per poi ribadire: “Leggo le veline di oggi sulla stampa: come si fa a aprire una crisi di governo con tutti questi morti? Io rispondo: davanti a tutti questi morti, noi non vogliamo più ministeri. Vogliamo più soldi per la sanità. È così difficile da capire?”.

“Chi sta tenendo in ostaggio il Paese non sta di certo in Iv. Andare avanti con le minacce, non aiuta nessuno”. Lo dice Teresa Bellanova, capo delegazione di Iv, a L’aria che tira. “Non abbiamo detto “Conte o niente”, è Conte che sta tenendo in ostaggio la sua maggioranza”, aggiunge. “Bisogna prendere atto che una fase è chiusa – prosegue – e capire se si possa aprire un percorso di riscrittura di un programma. Si era iniziato a farlo, per iniziativa di Renzi, Zingaretti, Crimi e Speranza, che avevano incontrato Conte a novembre”.

Intanto Matteo Renzi e Roberto Speranza hanno avuto un colloquio telefonico nel quale il leader di Iv ha assicurato al ministro della Salute che, comunque vada il dibattito in Cdm, domani in Parlamento Iv voterà le risoluzioni di maggioranza sullo stato di emergenza legato al Covid. Lo avrebbe spiegato, a quanto si apprende, il capogruppo di Iv al Senato Davide Faraone, in una riunione di maggioranza che precede la capigruppo. Faraone avrebbe duramente attaccato Conte per quanto trapelato da Chigi stamane pur ribadendo che Iv, a prescindere dagli sviluppi della crisi di governo, non farà mancare il sostegno alle misure sull’emergenza Covid.

Intanto dovrebbe tenersi giovedì il Consiglio dei ministri per il nuovo scostamento di bilancio, destinato a finanziare il decreto ristori, e per il varo del nuovo decreto legge Covid. Lo spiegano fonti di maggioranza secondo le quali si attendono però gli sviluppi della possibile crisi di governo e non si esclude che il Cdm possa tenersi anche domani. Il Consiglio dei ministri convocato questa sera alle 21.30 ha all’ordine del giorno solamente il Recovery plan.

E scende in campo anche Alessandro Di Battista che attacca frontalmente il partito di Renzi accusandolo di squallore: “Da quando i cosiddetti renziani – ovvero un mediocre manipolo di politicanti assetati di potere e poltrone – hanno aperto, ovviamente solo sui giornali, la crisi di governo, sono morte, di Covid, 16570 persone. 16570 persone che oggi ricevono meno spazio delle dichiarazioni del mediocre manipolo”, scrive Di Battista su Fb. “I morti si trasformano in fantasmi o, cosa ancor più indecente, in vessilli da sbandierare per volgari speculazioni politiche. ‘Sono morti tanti medici, prendiamo il Mes’ dicono i renziani. Che squallore”, commenta l’esponente del M5S.

“E’ il momento di chiudere questa crisi mai formalmente aperta e smetterla di essere appesi alle “prossime 48 ore” più lunghe della storia repubblicana. È ovvio sottolineare che, se la crisi sarà formalizzata col ritiro delle ministre come più volte dichiarato da Renzi, la collaborazione tra Italia Viva e il Movimento 5 Stelle non potrà proseguire in alcun modo e in alcuna forma in futuro”. Lo dichiara il ministro per lo Sport e le Politiche Giovanili, Vincenzo Spadafora ribadendo quanto trapelato in mattinata da Palazzo Chigi.

Nella maggioranza – dunque – le continue minacce di Renzi di far uscire le “sue ministre” dal governo vengono accolte con fastidio e preoccupazione.
“Il Pd continua a chiedere un rilancio di governo ma una cosa è chiedere di rafforzarlo un’altra è farlo cadere. Il Pd ha promosso il rilancio ma rilancio non è mandare a casa il governo o provocare una crisi che il 99% italiani non capisce. E’ un grave errore politico e io lancio un appello al buon senso”, dice il segretario del Pd Nicola Zingaretti a Sky Tg24. Se Iv ritira le ministre l’evoluzione “sarà una valutazione che farà il premier Conte con il presidente Mattarella, spero che ci si renda conto che così si entra in un tunnel di cui nessuno conosce l’uscita”, aggiunge Zingaretti secondo il quale se “il vaso si rompe, i cocci non si rimettono insieme”. La crisi di governo è “un grave errore politico, penalizza l’Italia anche all’estero. Si è aperta con l’elezione di Biden una nuova fase di multilateralismo e in Italia si paventa addirittura che alleati di Trump tornino al potere?” chiede il segretario Dem. “Risolviamo i problemi e non creiamoli” è l’invito che rivolge a Renzi.

“Una crisi di governo è inspiegabile. Non solo perche’ siamo nel bel mezzo di una pandemia e dobbiamo fare il decreto ristori. Ma anche perche’ questo è l’anno in cui l’Italia presiederà il G20 e in Italia ci sarà la conferenza globale sulla salute”, afferma il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ad Agorà su Raitre. “La crisi non interessa agli italiani ma neanche all’estero”, sottolinea. “Il Mes non è un tema ideologico ma un prestito a delle condizioni così difficili e così complicate che nessun Paese europeo lo ha chiesto”, aggiunge Di Maio. “Sul reddito di cittadinanza sfido chiunque a dire che non sia stato un pilastro di questa crisi”, dice ancora. “Se qualcuno lo vuole togliere deve spiegarlo a quei tre milioni di italiani che lo hanno ricevuto”. “Si cita Mario Draghi sempre quando il governo è in fibrillazione e quindi viene utilizzato a volte come oggetto contundente contro Conte o contro altri”, osserva il ministro degli Esteri. “Il presidente Mario Draghi non merita di finire nel dibattito solo quando c’è da accoppare qualche politico”. “Io il vice premier l’ho già fatto, conosco il valore di quella carica. La si sta descrivendo come la panacea di tutti i mali ma non è così. Ho rifiutato due volte di fare il presidente del Consiglio. In questo momento non ci interessano i giochi di Palazzo, stiamo pensando agli italiani”, prosegue. “Siamo vaccinati alle crisi”, assicura Di Maio.

Intanto il capo politico del M5S Vito Crimi definisce un “Tradimento agli italiani” la possibilità che i ministri di Italia Viva escano dal governo. “Mi sembra un’ipotesi impensabile, sarebbe un tradimento verso gli italiani nel momento più difficile. Stiamo lavorando e facendo molto e tante cose ci sono da fare. Le persone ci chiedono risposte, hanno bisogno di aiuto e che le istituzioni si facciano carico dei loro problemi, compiendo fino in fondo loro dovere.

Chiamarsi fuori ora sarebbe di fatto un sabotaggio ai danni del Paese” sottolinea Crimi, in un colloquio con l’ANSA rispondendo in merito all’eventualità che nel Cdm di stasera Iv ritiri la sua delegazione al governo. “Se Renzi si rende colpevole del ritiro dei suoi ministri, con lui e Italia Viva non potrà esserci un altro governo”, assicura il senatore. “Se mi aspetto che il Recovery Plan questa sera vada in porto? Non vedo perché non dovrebbe essere così visto che è il frutto di un lavoro condiviso da tutti. Il Consiglio dei ministri di questa sera è una bella notizia, stiamo per approvare il recovery Plan. È la dimostrazione che stiamo lavorando e procedendo speditamente, non solo per il presente ma anche per il nostro futuro”, dichiara Crimi.

“Ancora oggi prosegue l’inspiegabile attacco quotidiano, dall’interno della maggioranza, nei confronti del Presidente del Consiglio e dell’azione del Governo. È davvero desolante dover constatare la persistenza di toni volti unicamente ad alimentare tensioni”, scrive su Fb il capodelegazione M5S Alfonso Bonafede che aggiunge: “Qualcuno dirà che nella politica ci può stare. Può darsi, ma ci sono momenti in cui tutti dovrebbero capire che non si può continuare a sfidare la pazienza degli italiani evocando crisi del tutto aliene rispetto ai bisogni dei cittadini”.

Anche l’opposizione è sul piede di guerra e chiede, come fa il capogruppo alla Camera di Forza Italia Maria Stella Gelmini, di “farsi da parte”. “Il governo è arrivato al capolinea dopo oltre un mese di tira e molla incomprensibili che hanno condannato il Paese all’immobilismo. Una crisi in piena pandemia e senza aver messo in sicurezza i risarcimenti per le attività chiuse è l’emblema della irresponsabilità di questa maggioranza che, a questo punto, deve farsi da parte”, dichiara Gelmini al Giornale Radio Rai.
“Stamattina ho sentito tutto il centrodestra: stiamo lavorando a un piano serio sul Recovery. L’alternativa a questo governo sono le elezioni o un governo di centrodestra”, afferma il leader della Lega, Matteo Salvini.

Intanto i deputati di Fratelli d’Italia Emanuele Prisco e Paolo Trancassini annunciano interrogazioni parlamentari per capire se il governo abbia utilizzato o meno, per mettere a punto il suo Recovery Plan, quello elaborato dal Comitato di esperti voluto dal premier Conte e presieduto da Vittorio Colao.
Ma nonostante il contrasto nel Governo dall’Europa arriva un segnale positivo: “Non commentiamo le situazioni politiche all’interno dei Paesi membri, lavoriamo con le autorità italiane e abbiamo piena fiducia che l’Italia farà del suo meglio per presentare e avviare il piano nazionale del Recovery, per beneficare dei fondi di Nex GenerationEu quando saranno disponibili”, risponde il portavoce della Commissione europea Erica Mamer ai giornalisti che chiedevano di commentare la situazione politica in Italia.

Il contenuto del recovery plan

  • Più fondi a scuola e digitale. Nelle riforme il taglio dell’Irpef e la Giustizia Un piano in 171 pagine, 6 missioni, 47 linee di intervento e 4 tabelle: arriva la bozza del Piano Recovery che, inviata ai partiti dal Mef e da Palazzo Chigi, approderà oggi al Consiglio dei Ministri. Il documento promette di spendere subito, nel 2021, 25 miliardi di euro per gli obiettivi individuati e aumenta le risorse per i due importanti capitoli di istruzione e digitale. Ai 222,9 miliardi (144,2 per nuovi interventi) previsti imbarcando anche i fondi per la coesione, vengono poi aggiunti i soldi della programmazione di bilancio 2021-26. Il totale sale così 310 miliardi. Una massa enorme dalla quale il governo si aspetta una “svolta per l’Italia nella programmazione e attuazione degli investimenti” per un Paese che intende essere “protagonista del rinascimento europeo”. Tre sono gli assi strategici del progetto – digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale – ma tre sono alcune priorità trasversali a molti progetti sui quali il governo intende porre l’attenzione: le donne, i giovani, il Sud. Ovviamente un posto primario ha la sanità, alla quale vanno quasi 20 miliardi di interventi, 19,72 per l’esattezza. Rispetto alla prima stesura i cambiamenti sono molti, ma anche se si guarda al documento di confronto tra partiti di qualche giorno fa si scopre che aumentano le risorse per il capitolo istruzione e ricerca (da 27,91 a 28,49 miliardi) e quelle per la digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (da 45,86 a 46,18 miliardi).
    Non cambiano le somme cumulate degli altri capitoli: 68,9 miliardi per la Rivoluzione Verde e Transizione ecologica, 31,98 miliardi per le infrastrutture per una mobilità sostenibile, 21,28 miliardi per l’inclusione e la coesione. Attenzione anche all’agricoltura, cara alla ministra Bellanova che guida all’interno del governo le posizioni di pungolo di Italia Viva. Difficile scorporare la cifra in un capitolo che parla anche di fonti energetiche come l’idrogeno, che ammonta in totale a 6,3 miliardi, a dire il vero gli stessi previsti nella prima bozza. Ma il piano prevede comunque di “rendere la filiera agroalimentare sostenibile, preservandone la competitività. Implementare pienamente il paradigma dell’economia circolare”. Altrettanto importante per Italia Viva anche il capitolo famiglia che compare con oltre 30 miliardi della programmazione di bilancio al 2026, volti a finanziare l’assegno unico a partire da quest’anno. Rimane tutta da sciogliere invece la questione della governance. Nel testo solo poche righe. “Il Governo, sulla base delle linee guida europee per l’attuazione del Piano, – si legge – presenterà al Parlamento un modello di governance che identifichi la responsabilità della realizzazione del Piano, garantisca il coordinamento con i Ministri competenti a livello nazionale e gli altri livelli di governo, monitori i progressi di avanzamento della spesa”. Viene invece indicato il contesto nel quale il governo utilizzerà le risorse che serviranno a rilanciare la crescita. Il Pnrr verrà accompagnato da una serie di riforme per “rafforzare l’ambiente imprenditoriale, ridurre gli oneri burocratici e rimuovere i vincoli che hanno rallentato gli investimenti”.
    In particolare la riforma della giustizia e quella dell’Irpef con “la riduzione delle aliquote effettive sui redditi da lavoro, dipendente ed autonomo, in particolare per i contribuenti con reddito basso e medio-basso, in modo da aumentare il tasso di occupazione, ridurre il lavoro sommerso e incentivare l’occupazione delle donne e dei giovani”.



Banca Popolare del Lazio, mutui agrari tra Coopcredit e Ampla: il Tribunale di Roma vuole vederci chiaro [L’inchiesta 11 parte]

L’imprenditore agricolo Stefano De Marchi dopo aver richiesto ed ottenuto un mutuo agrario con l’intervento oneroso della Coopcredit (3% sull’importo del mutuo), si è visto negare l’erogazione dalla Banca Popolare del Lazio, dopo la stipula dell’atto di vendita e del mutuo stesso

Respinto dal Tribunale di Roma il ricorso della società di mediazione Coopcredit S.C.p.A nei confronti dell’imprenditore agricolo Stefano De Marchi, titolare dell’Azienda Agricola di De Marchi Stefano che è stato travolto da una vicenda dai contorni paradossali e tutt’ora in corso con la banca Popolare del Lazio.

La grande notizia è che il giudice del tribunale di Roma Francesco Remo Scerrato vuole vederci chiaro su quella che si prefigura come una mediazione creditizia che di fatto non appare necessaria. Perché? Perché è “mediatore chi (Cass. 1447/2000; Cass. 6959/2000) interponendosi in maniera neutrale e imparziale tra due contraenti, deve metterli in relazione e farli pervenire alla conclusione dell’affare, cui è subordinato il diritto al compenso, e ricordato altresì che l’indipendenza del mediatore va intesa come assenza di qualsiasi vincolo o rapporto che renda riferibile al dominus l’attività dell’intermediario”.

Il giudice ha ritenuto “opportuno non concedere la provvisoria esecutorietà e rimettere al prosieguo ogni migliore approfondimento sugli effettivi rapporti fra l’opposta e la mutuante”. Un grande risultato perché evidentemente, al Tribunale di Roma non appare chiara una situazione che è finita tra le questioni rilevate in un verbale di Banca d’Italia e evidenziate a più riprese nella nostra inchiesta giornalistica sulla Banca Popolare del Lazio.

LE PUNTATE PRECEDENTI DELLA NOSTRA INCHIESTA GIORNALISTICA

Nelle nostre puntate dove siamo entrati nei particolari abbiamo parlato anche dei fatti riportati nel verbale redatto dalla Banca D’Italia dell’anno 2018, rompendo un silenzio disarmante per i cittadini onesti e compiacente, probabilmente, per altri. Una sorta di rigurgito di verità che fino ad oggi ha fatto fatica ad emergere a causa di una presunta immobilità degli organi preposti, primo tra tutti la Vigilanza della Banca D’Italia. Quest’ultima ha anche abdicato al conflitto di interessi, certificato nel proprio verbale, non sanzionato individualmente e quindi ritenuto lecito, con buona pace del controllo sulla sana e prudente gestione.

Eppure, non sembra possa esserci nulla di sano e prudente nei fatti e casi che abbiamo raccontato. Ricordiamo tra tutti il caso Protercave, il caso Ciarla-Masi, la situazione Di Giacomantonio, la posizione Ladaga, alle quali la Vigilanza ha aggiunto i conflitti di interesse del Consigliere Natalizia, e conseguentemente del Dott. Romagnoli, presidente del collegio sindacale della Natalizia Petroli e della Banca Popolare del Lazio, tanto da dimettersi per primo subito dopo i rilievi della Vigilanza.

Sembrerebbe che la Vigilanza abbia fatto tesoro del famoso contenuto della lettera dei soci coraggiosi, lettera da cui è partita la nostra inchiesta, dimostrandone la affidabilità delle affermazioni contenute. Di contro, se la Vigilanza ha ritenuto che non costituiscano conflitto di interessi i fatti dalla stessa individuati, tutti gli amministratori di Banca in futuro potranno regolarsi di conseguenza, sapendo di non incorrere in sanzioni nel caso in cui vengano taciuti i propri rapporti professionali e di fornitura con clienti ai quali venga deliberata una qualche forma di affidamento, anche quando si sia a conoscenza di situazioni di rischio per la Banca che si è chiamati ad amministrare.

Si deve però prendere atto che per la prima volta, e speriamo sia solo l’inizio di un fiume in piena che neanche i più consolidati rapporti tra poteri paralleli più o meno occulti sia in grado di fermare, un Magistrato ha inteso mettere in dubbio la legittimità di uno dei tanti fatti, di quello che a noi sembra un malgoverno della Banca, posti in essere da amministratori non certo specchiati e da questo giornale narrati in tempi non sospetti.

Stiamo parlando della società Ampla, di proprietà della sig.ra Angela Ghirga moglie del sig. Roberto Lucidi, fratello del Ragioniere Massimo Lucidi, (amministratore delegato della Banca Popolare del Lazio ai tempi dei fatti narrati), società che si prestava ad emettere fatture di consulenza alla Coopcredit per ottenere il pagamento di una somma che sembrerebbe aver costituito parte delle somme che la Popolare del Lazio riconosceva a quest’ultima società (Coopcredit) per il lavoro definito dalla Coopcredit di intermediazione tra il cliente agricoltore e la banca.

Questo giornale ha trattato la questione in una puntata di officina stampa, nella quale con stupore ed una certa incredulità andammo a commentare i documenti dai quali risultava che la Coopcredit dopo aver ricevuto dagli agricoltori l’importo di mediazione pari al 3% dell’importo mutuato, provvedeva a saldare le fatture emesse dalla Ampla per prestazioni di consulenza immaginiamo finanziaria;

Sembrerebbe che solo nel primo anno di gestione da parte della Coopcredit, degli affidamenti in materia agricola per conto della Banca Popolare del Lazio, siano stati pagati circa 900mila euro dagli agricoltori a fronte di circa 30milioni di mutui. Di tale passaggio di denaro ne certificò l’esistenza perfino la Banca D’Italia la quale nella propria ispezione del 2018 constatò, mettendolo nero su bianco, della esistenza di tale sistema avendo avuto la possibilità di riscontrare la presenza di fatture emesse dalla Ampla srl a favore della Coopcredit.

Immaginiamo che Massimo Lucidi possa essere rimasto imbarazzato nel dover giustificare tali avvenimenti in Consiglio di Amministrazione, in ogni caso benevolo, per non essere i componenti stati in grado di scagliare la prima pietra, (non va dimenticato il Consigliere che mentre invitava ad acquistare azioni della Banca, si preoccupava di far liquidare quelle del padre venuto a mancare del valore di circa 232.755,00 euro) accontentandosi delle giustificazioni fornite, d qualcuno definite come “giustificazioni fanciullesche”.

Sembra che il ragionier Lucidi ne sia uscito brillantemente alla italiana maniera…. limitandosi ad affermare, nella più classica delle giustificazioni che non fosse a conoscenza dell’esistenza della società Ampla e di tale passaggio di denaro. La storia insegna.

Neanche il famoso Scajola seppe riferire chi gli aveva pagato la casa vista Colosseo, ma almeno lui fu indagato.

Così vanno le cose in Italia, soprattutto quelle bancarie in cui nessuno sa, nessuno vede e sicuramente nessuno interviene salvo fare a scaricabarile quando una banca affonda, in un rimbalzo di responsabilità tra la Banca D’Italia (sulle cui specifiche responsabilità ci piacerebbe tornare a parlare in futuro) che sembra non aver controllato a fondo, la Magistratura che non ha indagato e la Politica che non ha preso provvedimenti.

Viene alla memoria l’affermazione dell’Onorevole Paragone, non a caso fuoriuscito dai 5 stelle, il quale indicava come malato un sistema nel quale le Banche finanziano in modo trasversale i politici, questi ultimi nominano i vertici della Banca D’Italia e la Banca D’Italia dovrebbe prendere provvedimenti nei confronti di quegli amministratori che si sono dimostrati tanto affidabili da finanziare la politica che li ha nominati (i vertici di banca D’Italia).

Finché la giostra gira nessuno ha interesse a fermarla, ognuno ha la sua parte; I politici (vedi caso Verdini/Chiocci/Protercave) ottengono lauti finanziamenti occulti, i dirigenti della Banca D’Italia, se si dimostrano servili alla politica che li ha nominati, mantengono i loro privilegi, gli amministratori della Banche in questo ginepraio sanno che non saranno oggetto di provvedimenti dalla Vigilanza, qualunque Ampla decidano di far girare sulla giostra, fin tanto che saranno in grado di “aiutare” la politica.

Qualcuno potrebbe obiettare ma la magistratura?

Ebbene non vogliamo pensare che la Magistratura, come ha dimostrato il caso Palamara, non sia altro che lo specchio della politica; forse esiste qualche Procuratore che si metta anche solo a guardare come gira la giostra.

In tutto questo girotondo, gli unici che hanno pagato la realizzazione della giostra senza capire come funziona, sono i poveri investitori, in genere i micro-investitori, quelli realmente poveri, le famiglie i pensionati la cui utilità marginale degli investimenti è enorme, i grandi investitori forse sanno per tempo quando devono scendere dalla giostra, disinvestire e recuperare i propri profitti, forse hanno sempre un vocina che li mette in guardia, fa parte delle regole della giostra.

L’attività posta in essere, anche in questo caso non è rimasta priva di effetti per gli investitori della domenica

La vigilanza, infatti, dopo aver accertato i fatti ad essa segnalati, fu costretta a ritenere totalmente prive di efficacia le garanzia Ismea, acquisite grazie all’intervento, evidentemente ritenuto non troppo sapiente, della Coopcredit, con la conseguenza la Banca Popolare del Lazio, su imposizione della Vigilanza dovette eseguire accantonamenti sui mutui agrari anche per la parte che riteneva garantita da Ismea (50%), tanto che nell’anno in esame 2018, la semestrale si presentò in perdita e il bilancio chiuse con il più basso utile degli ultimi quaranta anni. Il valore delle azioni già in declino iniziò una inesorabile ed ancora oggi irreversibile picchiata.

Del resto un altro degli effetti negativi della giostra messa in piedi fu che le migliori e più solide aziende agricole emigrarono verso altri istituti bancari dai quali ottennero affidamenti a costi di gran lunga inferiori a quelli praticati dalla Banca Popolare del Lazio, che dal canto suo richiedeva la percentuale a favore della Coopcredit, un tasso a proprio favore ed uno a favore dell’Ismea oltre a qualche spicciolo per le spesucce di istruttoria; rimasero clienti della Banca solo coloro che non erano solidi ovvero che facevano richieste anomale, quali ad esempio mutui equivalenti all’intero prezzo della compravendita, tutte operazioni ad alto rischio.

Nella nostra inchiesta giornalistica ci siamo imbattuti in una unica grande azienda agricola che ha avuto la forza e la sfrontatezza di affrontare il Drago rifiutandosi di pagare la Coopcredit richiedendo indietro quanto già versato. Vinse la battaglia ma perse la guerra. Dopo aver ottenuto l’esenzione dal pagamento della provvigione a Coopcredit, a tempo debito ma con fermezza gli venne “educatamente” comunicato di accomodarsi alla porta in quanto cliente sgradito.

Ancora oggi nessuno, né la politica, né la vigilanza, né gli organi di indagine hanno mai avuto il coraggio o forse l’interesse di affrontare il Drago, quanto meno a tutela dei piccoli investitori, ciò fino a quando nell’imminente vigilia di Natale un Magistrato del Tribunale di Roma, ignaro del vespaio che ne sarebbe potuto seguire, ha sollevato dubbi sulla legittimità giuridica del rapporto di collaborazione che intercorreva tra la Banca Popolare del Lazio e la Coopcredit, rigettando le richieste di quest’ultima nei confronti di un povero agricoltore, ritenendo opportuno di indagare a fondo sull’”indipendenza del mediatore” Coopcredit, rispetto alla Banca ed all’agricoltore.

Anche quest’ultima vicenda è nota e ne abbiamo già parlato nella puntata di Officina Stampa del 15 ottobre 2020

Si tratta di Stefano De Marchi, che abbiamo avuto ed avremo nuovamente nostro ospite, insieme al suo legale l’Avvocato Francesco Innocenti nella prossima puntata di Officina Stampa del 14 gennaio 2021.

De Marchi avendo richiesto ed ottenuto un mutuo agrario con l’intervento oneroso della Coopcredit (3% sull’importo del mutuo), si vedeva negare l’erogazione dalla Banca Popolare del Lazio, dopo la stipula dell’atto di vendita e del mutuo stesso.

Mentre quest’ultima vicenda è all’attenzione di altri magistrati, l’agricoltore si vedeva anche recapitare una ingiunzione dalla Coopcredit per il pagamento di circa 39mila euro quale provvigione senza la quale sembrerebbe che non avrebbe potuto ottenere il mutuo.

Apprendiamo dalla lettura del provvedimento del magistrato che diversamente da quello che era sempre stato a noi evidente, la Coopcredit quale mediatore avrebbe dovuto essere equidistante tra le parti acquisendo autonomamente il cliente ed adoperandosi al fine di far ottenere un mutuo agrario.

L’evidente anomalia era che il cliente agricoltore non veniva intercettato e reperito dal mediatore Coopcredit e successivamente presentato alla Banca per la richiesta di mutuo, circostanza quest’ultima che forse avrebbe potuto giustificare il pagamento di un importo, per quanto a noi possa sembrare elevato, pari al 3% del mutuo da pare dell’agricoltore, si trattava al contrario di un cliente storico della Banca, che rivoltosi a quest’ultima sembra venisse indirizzato dal ragioniere alla Coopcredit, la quale, non avendo, come certificato dalla vigilanza, acquisito le garanzie Ismea e non avendo acquisito neanche il cliente, deve ritenersi che avesse il solo ruolo di farsi pagare la percentuale sul mutuo quasi fosse una garanzia per l’agricoltore di buon esito della pratica, anche e soprattutto, come accennato, quando il mutuo veniva richiesto, in modo del tutto anomalo, per l’intero prezzo di compravendita.

Alcuni professionisti del campo giuridico riferiscono che tale ricostruzione possa configurare anche ipotesi di reato quali l’estorsione ovvero presunte false fatturazioni emesse dalla Ampla. Per quanto ci riguarda non essendo esperti della materia ci limitiamo ad osservare gli eventi e gli sviluppi della vicenda, sempre che esista ancora qualcuno che abbia interesse a fermare la giostra, piuttosto che continuare a salirci sopra, ed abbia a cuore i piccoli investitori.




Nucleare, Cangemi (Lega) “Cnapi tema delicato, ma Governo lo approva di notte”

“Il tema scorie nucleari è delicato e dovrebbe essere affrontato con massima lucidità da parte del Governo, soprattutto perché interessa territori e cittadini. Invece Conte sceglie di approvare la Cnapi alla chetichella durante un Consiglio dei ministri notturno, con una prova muscolare che non ha visto il coinvolgimento degli enti locali e dei residenti”.

Lo dichiara il vicepresidente del Consiglio regionale del Lazio e consigliere Lega, Giuseppe Emanuele Cangemi.

“Non siamo disposti a  pagare lo scotto di un governo traballante e ormai in crisi. La Regione Lazio – conclude Cangemi – si impegni a tutelare i cittadini del viterbese, che ieri sono andati a dormire tranquillamente e oggi si svegliano con la minaccia di una pioggia di scorie radioattive sul territorio”.




Governo in bilico, Bellanova: “Il tempo è finito. Questa esperienza per me è archiviata”

di Teresa Bellanova, ministro all’Agricoltura (Italia Viva)

Leggo e rileggo l’intervista a Giuliano Pisapia, una persona che ho sempre stimato ma che raramente ha fatto scelte politiche simili alle mie. E ne sono confortata. Leggo che l’ex sindaco di Milano conviene che, al di là dei metodi, le questioni che poniamo sono condivisibili. Leggo che anche lui sostiene che il Premier non possa fare tutto da solo, specie di fronte all’altezza delle sfide che abbiamo davanti e che il Recovery Plan non può essere uno sconto per cambiare i rubinetti di casa come si è fatto in finanziaria, ma l’occasione per ridisegnare il nostro futuro. L’Italia del 2030.

Non sono poche le voci che in queste settimane si sono levate dal centrosinistra per costringere tutti a concentrarci sui temi, sui contenuti del piano, sulle questioni di merito, oltre che di metodo. Penso all’intervento di Luigi Zanda in Senato, all’intervista all’ex Premier Gentiloni, a Massimo Cacciari, a De Vincenti, a tanti altri. O a Walter Veltroni sulla nostra collocazione internazionale. Se non è questo il nostro compito, se non è questo il compito di chi vi rappresenta in Parlamento e serve il Paese da un ruolo di governo, quale è allora? Schiacciare tasti?

A chi ci dice che proprio in una pandemia si dovrebbe stare tutti uniti ed accelerare sul piano, rispondo: non a prescindere da tutto. Il treno del Recovery passa ora e non passerà per molti anni, quasi sicuramente per decenni. Le scelte che dobbiamo fare sono enormi, valgono più di quattro leggi di bilancio. Che cosa vi aspettate quindi dalla politica? Che non legga il piano e lo approvi così come viene proposto, in nome di quell’unità, o che entri nel merito e costringa tutti ad un supplemento di riflessione? Che respinga al mittente chi prova a sfidare questo nostro insistere sui contenuti cercando maggioranze raccogliticce, minacciando elezioni – che in democrazia non sono mai una minaccia – o passaggi in Parlamento a scatola chiusa, con un piano presentato con il diktat: prendere o lasciare? Che infine si ponga il dubbio se la squadra di “costruttori” che dovrà attuarlo sia la migliore del mondo o se invece questo Paese, a fronte delle sfide che ci attendono, non possa e sappia esprimere di più?

La democrazia è fatica. È mediazione, sintesi, dialogo. Ma è e deve essere anche approfondimento. Velocità, certo, perché questo richiedono le sfide della modernità, ma anche attenzione ai contenuti. Ed allora io continuo a dire di non essere a mio agio in un equipaggio in cui ci si chiede di prendere o lasciare. In cui passiamo ore ad attendere che parti di questo Governo ci mandino come fossimo una controparte un documento su cui ci giochiamo il futuro dei nostri figli, senza che nessuno metta in dubbio il fatto che proprio in una squadra sarebbe normale sedersi a un tavolo e forse scriverlo insieme. In cui “intanto siete al 2%” o “vogliono incarichi” sono le veline che vengono sapientemente riproposte ogni volta che insistiamo sui contenuti. In cui giornali contigui a pezzi determinanti di questa maggioranza insultano me e la comunità cui appartengo un giorno sì e l’altro pure. In cui vengo fatta passare come la “record woman” delle dimissioni paventate, mentre ciò che mi trattiene è solo ed unicamente il senso di responsabilità verso il Paese che rappresento, verso il settore agroalimentare che ho difeso in tutto questo anno e continuerò a difendere, verso la comunità politica di cui faccio parte. Perché come sono fatta, nel bene e nel male, un po’ l’avete intuito. Ed avete intuito quali sarebbero state le mie reazioni di istinto alle vicende di queste ultime settimane.

Per uscire serve discontinuità. Radicale discontinuità, nei metodi e nel merito. Ed il compito di metterla in campo, ben oltre qualche post Facebook ma con atti politici, non spetta a me, ma spetta a chi ne ha oggi la responsabilità. Al Presidente del Consiglio, quindi. Cui chiediamo, ora sì, chiarezza di comportamento, capacità di rilanciare, onere della sintesi politica, affermazione del proprio ruolo di garanzia di tutte le componenti. In una parola: leadership. Perché a chi queste ore mi chiede che farà Italia Viva dico che la domanda è inversa: cosa risponde Conte? È Conte che deve dire. Noi abbiamo già detto. Alle domande non è arrivata nessuna risposta, se non un Bignami di 13 pagine. Non c’è ad oggi alcun testo su cui valutare. Non c’è alcuna discontinuità, se non un post Facebook cui, per farlo comprendere, è dovuta seguire un’agenzia di stampa chiarificatrice.

Il tempo è davvero finito. E questa esperienza per me è archiviata, perché sono insostenibili questi metodi e queste incertezze sul meriti, questo giocare a un rimpiattino intollerabile e offensivo, che toglie forza e credibilità a questa maggioranza. Che ha solo una strada obbligata: guardarsi in faccia, intendersi sul da farsi, sconfiggere questa pigrizia continua, questo lasciar scorrere il tempo scansando problemi e non sciogliendo i nodi. Arrivi questo benedetto Recovery Plan, ci si dia il tempo di leggerlo e valutarlo e ci si confronti in Consiglio dei Ministri. Perché noi a confronti sui contenuti non ci siamo mai sottratti, anzi siamo stati quasi sempre i primi a chiederlo a gran voce. Anzi, il confronto si faccia anche sugli altri nodi politici che ci separano, costruendo un patto di legislatura su cui vedo oggi in tanti accapigliarsi reclamandolo a gran voce, ma che Italia Viva chiede da mesi. Se ci sarà tutto questo io ci sono, noi ci siamo. Diversamente l’esito di tutta questa vicenda è già scritto, e la responsabilità sarà solo di altri, di chi non ha dato risposte al tempo giusto e nei luoghi giusti, preferendo alle risposte chiare e alla lealtà il gioco dei muri di gomma, non di chi ha avuto il ruolo scomodo di parlare sempre chiaro e mettere al centro i temi. Perché tirare a campare non è mai stato il mio forte. Perché fare tappezzeria è un esercizio che preferisco lasciare ad altri. Perché le sfide che abbiamo di fronte richiedono persone che ne siano all’altezza. Perché voglio continuare a guardare negli occhi mio figlio spiegandogli che i soldi che mi ha prestato li ho spesi per il suo futuro.




Covid, cinque Regioni in “area arancione”. Speranza respinge le polemiche: “Così evitiamo il lockdown”

Cinque Regioni in area arancione. Si tratta di Calabria, Emilia Romagna, Lombardia, Sicilia e Veneto.

Il ministro della Salute, Roberto Speranza, sulla base dei dati e delle indicazioni della Cabina di Regia, ha infatti firmato una nuova ordinanza che andrà in vigore a partire da domenica 10 gennaio fino a venerdì 15 gennaio, data in cui scadrà il DPCM. “Dobbiamo tenere il massimo livello di attenzione perché il virus circola molto e l’indice del contagio è in crescita”, ha detto il ministro.

Polemico il governatore della Lombardia Attilio Fontana. “La semplice definizione dei colori e delle relative fasce – sottolinea – basata su valutazione che spesso cambiano con frequenza molto rapida vanno nella direzione opposta a quello che chiedono i cittadini e le imprese creando solo incertezze e danni economici rilevantissimi”. Fontana sottolinea “quanto sia necessario porre in essere, su scala nazionale, un modello che vada oltre a valutazioni ‘settimanali’ e comunque basate sul breve periodo”. Per Fontana, “serve un sistema più consolidato, in grado di garantire certezze concrete in ogni ambito, sia produttivo, sia di carattere famigliare, come ad esempio per l’attività scolastica”. Proprio per quanto riguarda la scuola, Fontana ha firmato l’ordinanza anticipata ieri che prevede che le lezioni per le scuole secondarie di secondo grado in Lombardia saranno svolte con la didattica a distanza al 100% da lunedì 11 fino al 24 gennaio, “una decisione susseguente alle valutazioni e alle risultanze di carattere sanitario, condivise dalla Regione con il Comitato Tecnico Scientifico della Lombardia”, si legge in una nota della Regione.

Con il sistema delle fasce “teniamo il paese in sicurezza ed evitiamo il lockdown”. Lo ha detto il ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia al Tg3 sottolineando che è è necessario “tenere sotto controllo la curva per tutelare i più fragili e le reti sanitarie”

LA BOZZA DEL MONITORAGGIO ISS. Nel periodo 15-28 dicembre 2020, l’indice di trasmissibilità Rt medio calcolato sui casi sintomatici è stato pari a 1,03 (range 0,98 – 1,13), in aumento da quattro settimane e per la prima volta, dopo sei settimane, sopra uno. Lo rileva la bozza del monitoraggio settimanale Ministero della Salute-Istituto superiore di sanità (Iss). L’epidemia si trova “in una fase delicata che sembra preludere ad un nuovo rapido aumento nel numero di casi nelle prossime settimane, qualora non venissero definite ed implementate rigorosamente misure di mitigazione più stringenti”.

Sono 12 le Regioni a rischio alto questa settimana (nessuna la settimana precedente), 8 a rischio moderato (di cui due ad alto rischio di progressione a rischio alto nelle prossime settimane) e solo una Regione (Toscana) a rischio basso. Lo evidenzia la bozza di monitoraggio settimanale Iss-ministero della Salute. Tre Regioni (Calabria, Emilia-Romagna e Lombardia) hanno un Rt puntuale maggiore di 1 anche nel valore inferiore, compatibile quindi con uno scenario di tipo 2; altre 6 (Liguria, Molise, Sardegna, Sicilia, Umbria, V. d’Aosta/V./d’Aoste) lo superano nel valore medio, e altre quattro lo raggiungono (Puglia) o lo sfiorano (Lazio, Piemonte e Veneto). Il dato emerge dal monitoraggio settimanale Iss-ministero Salute. Sono 13 le Regioni/PPAA che hanno un tasso di occupazione in terapia intensiva e/o aree mediche sopra la soglia critica (vs 10 la settimana precedente). Il tasso di occupazione in terapia intensiva a livello nazionale torna a essere sopra la soglia critica (30%).

Si osserva, dopo alcune settimane di diminuzione, nuovamente un aumento dell’incidenza a livello nazionale negli ultimi 14 giorni (313,28 per 100.000 abitanti 21/12/2020-03/01/2021 vs 305,47 per 100.000 abitanti 14/12/2020 – 27/12/2020). Si evidenzia, in particolare, il persistente valore elevato di questo indicatore nella Regione Veneto (927,36 per 100.000 abitanti negli ultimi 14 gg). Lo rileva la bozza di monitoraggio settimanale Iss-ministero Salute.




7 Gennaio 1978 via Acca Larenzia: una strage necessaria per qualcuno…

Grave la situazione politica italiana in quell’inizio del 1978 in cui si inserisce quella che viene ricordata come la “Strage di Acca Larenzia”. Un quadro politico che vede a rischio rottura quell’equilibrio democratico di quei partiti che avevano governato il Belpaese per oltre un trentennio.

“La crisi del governo Andreotti, – riportava l’Unità dell’8 gennaio del 1978 in un articolo a firma Emanuele Macaluso – non sorge quindi da un improvviso ripensamento del partito Comunista Italiano ma dall’incapacità oggettiva e soggettiva del governo di delineare una prospettiva chiara leggibile incisiva di fronte alle masse popolari per impegnarle fino in fondo nello sforzo di superare la crisi e non per vivere alla giornata.

Questo il quadro in cui si inseriscono i gravi fatti di via Acca Larenzia del 7 e 8 gennaio 1978 anno in cui la Democrazia Cristiana stava vagliando una possibile alleanza con il partito Comunista (compromesso storico) per la formazione di un nuovo governo che sfociò successivamente nel rapimento di Aldo Moro.



E la questione di rilevanza politica evidenziata all’epoca soprattutto da Civiltà Cattolica e da Carlo Donat Cattin era quella che la DC non poteva certamente formare un governo con il partito Comunista senza prima aver ottenuto l’assenso dal congresso e soprattutto da una conferma che poteva arrivare solo dalla consultazione elettorale.

Un clima di odio politico, dunque, quello che si respirava e che veniva amplificato dai vari media, soprattutto quelli schierati con determinati partiti che richiamavano al bisogno di recuperare quei valori democratici.

E dopo un decennio dei tragici fatti del Tuscolano in un covo delle Brigate Rosse di Milano viene trovata una mitraglietta modello Skorpion con la matricola ancora intatta: si tratta dell’arma che ha ucciso nel marzo del 1985 l’economista Ezio Tarantelli, nel febbraio 1986 l’ex sindaco di Firenze Lando Conti e nell’Aprile 1988 il senatore Roberto Ruffilli.

I periti accertano inoltre che la mitraglietta CZ 61 Skorpion calibro 7,65 era anche la stessa usata ad Acca Larenzia il 7 gennaio 1978 e poi usata anche nel sequestro di Aldo Moro.

Si scopre anche che la Skorpion nel 1971 era stata acquistata dal cantante Jimmy Fontana, collezionista di armi, poi venduta nel 1977, un anno prima dei fatti del Tuscolano, al funzionario di polizia Antonio Cetroli deceduto nel 2005 che si sarebbe sbarazzato dell’arma finita poi nelle mani di un soggetto abitante al Tuscolano che utilizzava la Skorpion nelle vicine grotte della Caffarella per esercitarsi.

Ma il funzionario di polizia prima nega di avere avuto contatti con il cantante (Jimmy Fontana) e poi ammette di essersi interessato all’arma di Fontana, ma come collezionista.

Sulle basi delle confessioni di una pentita il 30 Aprile 1987 il giudice istruttore Guido Catenacci spicca 5 ordini di cattura contro i presunti appartenenti ai nuclei armati per il Contropotere Territoriale responsabili dell’agguato ai giovani missini. Tra questi c’è Mario Scrocca figura fondamentale per capire da chi è perché era stato compiuto l’eccidio.

Per la magistratura infatti è il Mario visto dalla pentita nella casa dove si svolgevano le riunioni degli estremisti.

All’epoca dell’eccidio Scrocca aveva 19 anni e militava in Lotta Continua e l’ordine di cattura contro di lui parla di duplice omicidio, tentato omicidio, associazione sovversiva e partecipazione a banda armata.

Il 30 Aprile 1987 Mario Scrocca varca il cancello del carcere romano di Regina Coeli dove viene interrogato dai magistrati catenacci e Ionta ai quali nega di aver partecipato all’azione armata di 9 anni prima pur ammettendo la sua militanza politica dell’epoca ma il giorno dopo viene trovato impiccato ad una inferriata con un rudimentale cappio fatto con un asciugamano.

Mario Scrocca non corrisponde all’identikit fatto dal sopravvissuto Maurizio Lupini

L’intervista di Chiara Rai a Maurizio Lupini sopravvissuto alla strage di Acca Larenzia

Maurizio Lupini, tra i sopravvissuti alla strage, ha dichiarato che l’identikit che era stato fatto dagli inquirenti su sue indicazioni a una delle persone del commando, che aveva poi portato all’arresto di Mario Scrocca non corrispondeva assolutamente a quest’ultimo. Lupini ricorda chiaramente che la persona da lui descritta nell’identikit aveva un viso “quadrato”, “capelli lisci”, un po’ “grassoccio” e al momento della strage portava un paio di occhiali Ray Ban con lenti fotocromatiche tendenti al giallo.

*I fatti:

Sono le 18,23 del 7 gennaio del 1978. Via Acca Larenzia, nel quartiere romano del Tuscolano, è, più che una via, una piazzetta. Uno slargo non percorribile dalle auto, fra due strade. Un piazzale dove i ragazzini amano andare a fare due tiri al pallone. Un’area su cui affaccia l’ingresso della sezione del Tuscolano.

Cinque ragazzi, appartenenti a quella sezione, stanno per andare a raggiungere altri camerati per un volantinaggio. Appena escono dalla porta blindata, vengono investiti da una scarica di piombo. Gli assassini – cinque o sei, questo non si saprà mai con certezza – sono appostati dietro alcune colonnine di pietra che impediscono l’accesso alle auto, in basso. In alto c’è la scalinata su cui cadrà, colpito a morte, Francesco Ciavatta. Il primo ad uscire, Franco Bigonzetti, il più visibile dei cinque, data la sua mole, ma soprattutto per il bianco dell’impermeabile che era solito indossare, viene colpito ad un occhio. L’arma, verrà poi stabilito in sede autoptica, è di grosso calibro, almeno una 38 special. Il suo corpo si alza da terra, all’impatto, e lui cade, già senza vita, con le braccia aperte e il viso rivolto verso il cielo. Il secondo, Francesco Ciavatta, tenta una fuga disperata su per la scalinata, ma verrà anche lui raggiunto alla schiena da un colpo di 38. Morirà in ospedale il giorno dopo.

Gli altri tre, Giuseppe D’Audino, Vincenzo Segnieri – rimasto ferito ad un braccio – e Maurizio Lupini, riescono a chiudersi dentro

Inutilmente gli aggressori si scagliano contro quella porta, scaricando la loro rabbia e le loro bestemmie sul corpo inerte di Bigonzetti, su cui sparano anche una raffica dalla mitraglietta Skorpion cal. 7,65 – una delle armi utilizzate nell’agguato. Dopo quarant’anni, gli autori di questo attentato non sono stati individuati, nonostante fossero – e siano tuttora – evidenti molti elementi per le indagini, molte ‘piste’, che non si sono volute seguire. Ma che, se si fosse indagato, avrebbero portato certamente all’arresto degli assassini.

Cè pero anche una terza vittima

Il giovane Stefano Recchioni, accorso, il giorno dopo, con altri amici sul luogo dell’eccidio, colpito al capo, nei disordini seguiti alla strage, da un proiettile cal. 7.65, partito non s’è mai saputo da quale arma in pugno a chi. Del fatto fu incolpato all’inizio un capitano dei carabinieri, poi scagionato.

*Ricostruzione di Roberto Ragone pubblicata su questo quotidiano:




Scorie nucleari, l’ennesimo regalo del Conte bis: nullaosta del Governo per realizzare il Deposito Nazionale

Individuate 67 aree che potrebbero ospitare le scorie radioattive in tutta Italia, 22 delle quali si trovano nel Lazio e tutte in provincia di Viterbo

La Sogin, società pubblica di gestione del nucleare, ha ricevuto il nullaosta del Governo e nella notte scorsa ha pubblicato sul sito web, la Carta nazionale delle aree più idonee dove realizzare il Deposito Nazionale delle scorie nucleari.

Uno studio tenuto segretissimo dal 2015 e che viene reso noto nel momento in cui la pubblica opinione è distratta dalle festività natalizie e dalla pandemia di Corona Virus.

Preoccupa la mappa delle aree che potrebbero ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi italiani. La “Cnapi”, ovvero la Carta delle aree potenzialmente idonee appena pubblicata, ne individua 67 in tutta Italia, 22 delle quali si trovano nel Lazio e tutte in provincia di Viterbo.

“E fondamentale avviare un processo trasparente per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi – spiega il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri – Una scelta che deve tutelare innanzitutto la vocazione dei territori. Il sistema agricolo del Lazio rappresenta una grande risorsa con la qualità e le tradizioni della sua agricoltura. La nostra regione è al quinto posto in Italia per numero di marchi di indicazione geografica, con 65 riconoscimenti ed è il primo anello di una filiera agroalimentare che comprende la trasformazione alimentare”.

Si tratta di 36 marchi ottenuti nel comparto vini e 29 in quello food. Riconosciute 30 Dop per i vini e 6 Igp. Nel settore food invece i marchi sono 29, 16 Dop, 11 Igp e 2 Stg. Oltre 68 mila aziende agricole sono presenti sul territorio regionale con una superficie agricola utilizzata (SAU) che ammonta ad oltre 622 mila ettari e rappresenta circa il 36% dell’intera superficie regionale. I produttori agricoli aderenti al circuito delle IG sono oltre tremila, in aumento del 16% rispetto all’anno precedente, mentre gli allevatori sono oltre duemila, in crescita del 10%.

“Solo nel comparto delle carni fresche – prosegue Granieri – la provincia di Viterbo si colloca al primo posto per impatto provinciale delle IG. Durante la pandemia è emerso maggiormente il valore strategico rappresentato dal cibo e dalle necessarie garanzie di qualità e sicurezza che vanno difese e valorizzate per difendere la sovranità alimentare, ridurre la dipendenza dall’estero e creare nuovi posti di lavoro”.
Il Lazio con oltre 140 mila ettari, si colloca al quinto posto per importanza delle superfici biologiche in Italia. Il valore aggiunto prodotto dal sistema agricolo laziale è pari a quasi 1,8 miliardi di euro. Un valore che è pari a circa l’1% del complessivo valore aggiunto regionale, mentre l’incidenza sul valore aggiunto agricolo nazionale supera il 5%.

Tra i Comuni individuati nella provincia di Viterbo potenzialmente idonei nel Lazio ad ospitare il deposito nazionale delle scorie nucleari secondo la carta Cnapi figurano Ischia di Castro, Canino, Cellere, Montalto di Castro, Tessennano, Tuscania, Tarquinia, Arlena, Piansano, Arlena di Castro, Soriano nel Cimino, Vasanello, Vignanello, Gallese, Corchiano.

“Crediamo sia folle spostare i rifiuti nucleari dai luoghi dove sono prodotti per portarli da altre parti – dichiara Francesco Greco, presidente nazionale di Fare Verde – ci sembra assurdo andare a contaminare ulteriori territori con scorie ad alta radioattività, che hanno una durata di secoli, mentre i terreni dove ci sono i resti delle centrali atomiche italiane ben difficilmente potranno tornare ad essere coltivabili o abitabili.

Uno spandimento di scorie, quello proposto dal Governo Conte, di cui nessuno ha bisogno

Per questo ci auguriamo la più ampia mobilitazione per rispedire al mittente questo piano irricevibile.

Inoltre, mettiamo in guardia sul pericolo del “ricatto occupazionale”, metodo già usato in passato per piegare la volontà delle popolazioni e degli amministratori locali. Infatti, sono previsti incentivi, con i quali convincere i Comuni ricompresi nella mappatura a farsi avanti e accettare il progetto che costerà 1,5 miliardi di euro.

Il problema enorme dello stoccaggio dei rifiuti radioattivi – conclude Greco – è l’ennesima conferma di quanto fossimo nel giusto noi ambientalisti, quando assieme al popolo italiano ci siamo battuti affinché l’Italia uscisse dalla follia nucleare.”

Il Partito Democratico di Tarquinia dice NO al deposito nazionale di scorie radioattive nella Tuscia

Dopo aver appreso dalla pubblicazione della Cnapi (la mappa dei luoghi atti alla costruzione del sito nazionale di stoccaggio di scorie radioattive) da parte della Sogin – società pubblica di gestione del nucleare – che la Tuscia figura, con ben 8 dei suoi comuni (compresa Tarquinia), tra i primi 12 siti idonei a livello nazionale ad ospitare il deposito nazionale di stoccaggio delle scorie radioattive, non
possiamo che ribadire il nostro fermo NO a qualunque iniziativa che insista con un impatto ambientale sul nostro territorio già fortemente sfruttato a livello energetico.

Come asserito dalla referente provinciale del Partito Democratico Manuela Benedetti e dal senatore
Bruno Astorre, il territorio viterbese, a forte vocazione agricola, archeologica e culturale (con
Tarquinia sito UNESCO), si dimostra assolutamente inadatto ad ospitare tale progetto.

Ringraziamo il consigliere regionale Enrico Panunzi per essersi prontamente espresso sulla questione confermando la sua contrarietà e quella della Regione Lazio e per essersi attivato, con il Presidente Nocchi della Provincia di Viterbo, organizzando una consultazione in call conference prevista per lunedì mattina alle 11,30 a cui parteciperanno il sottosegretario all’Ambiente Morassut e l’assessore regionale Valeriani, insieme ai sindaci del territorio.

Sarà importante partecipare alle istanze che il nostro territorio vorrà portare avanti attraverso le sue istituzioni, in vista della consultazione pubblica appena avviata che consente di inviare pareri tecnici e controdeduzioni, per far sentire la “voce” degli abitanti della Tuscia che, in termini di inquinamento
ambientale, hanno già abbondantemente dato.

Scorie radioattive, il sindaco di Soriano nel Cimino: “Faremo di tutto per difendere il nostro territorio”

“La giornata di oggi è iniziata con una notizia a dir poco allarmante. – dichiara il sindaco di Soriano nel Cimino Fabio Menicacci – Su tutti i giornali la comunicazione che il nostro comune, insieme a molti altri del viterbese, è stato inserito nella mappa dei siti che potrebbero ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi italiani. Faremo di tutto per opporci a questo progetto”.

Il primo cittadino, e l’intera amministrazione comunale, si sono dichiarati immediatamente contrari all’individuazione del territorio di Soriano nel Cimino come possibile deposito per i rifiuti radioattivi.
La notizia, che circola dalle prime ore di questa mattina, è scaturita la scorsa notte ed è leggibile nella Cnapi, la “Carta delle aree potenzialmente idonee”.

Il documento individua 67 aree, in tutta Italia, che potrebbero ospitare un deposito per i rifiuti radioattivi. I comuni sono stati selezionati in base ad alcuni criteri, fissati nel 2014-2015, che prevedevano alcune condizioni come ad esempio bassa sismicità, ridotto rischio idrogeologico, distanza da aeroporti ed industrie.

I comuni italiani selezionati sono stati raccolti in cinque macroaree e, tra queste, rientra quella denominata “Toscana-Lazio” con 24 aree tra Siena, Grosseto e Viterbo. “Nel viterbese – aggiunge il sindaco Menicacci – sono moltissimi i comuni scelti insieme a Soriano. Per questo motivo l’amministrazione comunale è già al lavoro per contattare i sindaci dei comuni interessati e creare un gruppo di opposizione coalizzato affinché le scorie radioattive di tutta Italia non vengano portate nei nostri bellissimi territori”.

La preoccupazione maggiore riguarda i rischi per la salute pubblica e per l’ambiente, senza tralasciare il fatto che buona parte dell’economia di queste zone è basata sull’agricoltura e, inevitabilmente, il rischio che possano crearsi danni alle pregiate coltivazioni è fonte di preoccupazione da parte di tutti.

“Dobbiamo muoverci in fretta – conclude il sindaco – poiché a breve sarà avviata una consultazione pubblica dove potremo far sentire la nostra voce, manifestare il nostro dissenso e la nostra opposizione totale nei confronti di questo progetto”.




Venezia, progetto “Life Vimine”: salvati 100 ettari di barene grazie all’ingegneria naturalistica

Gargano Dir. Generale ANBI: “Un ambiente lagunare ben conservato contribuisce a sostenere l’occupazione”

Sono 95, gli ettari di barene (terreni di forma tabulare tipici delle lagune, periodicamente sommersi dalle maree) della laguna nord di Venezia (tra la palude dei Laghi e le isole di Burano, Mazzorbo, Torcello), protetti dall’erosione, in particolare causata dal moto ondoso, grazie al progetto Life Vimine, co-finanziato dal programma Life+Nature 2012 della Commissione Europea.

I soggetti aderenti, tra cui il Consorzio di bonifica Acque Risorgive, hanno deciso, dopo i positivi risultati della fase sperimentale, di dare seguito a questa attività, estendendo gli interventi protettivi ad altre barene e paludi più interne nella laguna.

Per proteggere i quasi cento ettari di barene sono state utilizzate, nei quattro anni di sperimentazione, 4.000 fascine prodotte con legno locale, infissi 11.000 pali in laguna, rimossi 60 metri cubi di rifiuti.

“Esemplare della moderna Bonifica – evidenzia Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI) – il progetto Life Vimine, attraverso piccoli interventi di ingegneria naturalistica a basso impatto ambientale, prevede l’utilizzo di materiale biodegradabile, principalmente legno e fascine di rami, proveniente perlopiù dall’attività di gestione forestale e manutenzione idraulica, eseguita dall’ente consorziale nella Terraferma veneziana.”

A spingere i soggetti attuatori di “Life Vimine” (oltre al Consorzio di bonifica: il Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche per Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia; la Regione Veneto; il Comune di Venezia; l’Università di Padova) a continuare l’attività con la sottoscrizione di una convenzione della durata di ulteriori 5 anni è anche il coinvolgimento delle comunità locali.

“Un’attività come il progetto Life Vimine – aggiunge Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – non solo consente di proteggere un ambiente di grande valore ambientale in modo integrato e sostenibile, ma crea nuovi e stabili posti di lavoro per manodopera qualificata, costituita ad esempio dai locali pescatori. Inoltre, un ambiente lagunare ben conservato contribuisce a sostenere l’occupazione, legata ad attività come pescaturismo, ecoturismo e, più in generale, al turismo sostenibile.”

A supporto del progetto si è svolta anche un’intensa attività di comunicazione, che ha coinvolto circa 27.000 persone con la promozione di buone pratiche, quali la riduzione della velocità in barca e la segnalazione di criticità riscontrate nelle barene, come l’abbandono di rifiuti.

“La sperimentazione – conclude Carlo Bendoricchio, Direttore di “Acque Risorgive” – ha confermato che si tratta di un metodo di intervento rispettoso delle valenze ecologiche e paesaggistiche dei fragili ambienti lagunari, nonchè sostenibile dal punto di vista sociale ed economico.”