After day

Questo periodo, siamo tutti protagonisti di un film drammatico, la cui trama ci angoscia e terrorizza ogni giorno di più.

E’ inverosimile che sia tutto vero, ciò che accade intorno a noi ci sta logorando il sistema nervoso, facendoci rendere conto giorno per giorno della nostra fragilità.

La nostra sicurezza di onnipotenza, vacilla progressivamente ed esponenzialmente, spogliandoci della nostra superbia e mettendo a nudo tutte le debolezze insite nell’essere umano. La nostra spavalderia si è affievolita, il mondo moderno, sicuro di poter fare ciò che vuole, trema, piange, si dispera, costretto a rintanarsi contro un nemico che non conosce, subdolo, che nell’ombra continua come una falciatrice impazzita, a seminare morte e distruzione di famiglie intere.

Un grande sceneggiatore, non avrebbe potuto immaginare meglio, una trama semplice, efficace e dannosa nel colpire una società ormai senza valori e senza la coscienza del rispetto di un mondo in cui viviamo. Il credente pensa ad un castigo divino, mentre l’ateo, si appella alla stoltezza umana, vile e codarda, messa alle corde da un avversario forte, che colpisce senza pietà, irriverente del rispetto del genere umano. Tutti e due, accumunati nel pericolo, inermi, ma finalmente frenati nella corsa scellerata del progresso, e forse, (speriamo) consapevoli di fermarsi e riflettere sui valori veri ed essenziali della vita.

La riflessione porta ad una reazione per la propria sopravvivenza, non ci si può arrendere e perdere tutto ciò che si è conquistato, e quindi ci si comincia ad organizzare per una strenua difesa. Ma, fortunatamente, c’è una gran parte buona e positiva della società, che non si è mai fermata di dedicarsi al bene del prossimo, investendo il proprio tempo in tutte quelle molteplici opere, dalle più semplici alle più complesse, salvando le svariate situazioni più o meno drammatiche e rappresentando il motore trainante di una nazione malata di disonestà e spesso di incapacità politica e culturale. Il motto “Ce la faremo” è vero ed ovvio, ma il vero problema consiste nel farcela nel più breve tempo possibile, per ricreare al più presto quelle condizioni di una rinascita epocale.

Ora, il primo pensiero è quello della salute, e non si può far finta di niente, ignorando il dolore, la disperazione ed il devastamento pratico e psicologico di migliaia di famiglie italiane. Eravamo abituati alle stragi magari di due o tre persone, ed oggi assistiamo attoniti a notizie devastanti per le nostre coscienze, di centinaia di morti giornalieri, con altrettante famiglie nel dolore più atroce e magari distrutte anche economicamente. Sentire di sciacalli che approfittano del dolore altrui, è davvero umiliante per una società onesta, lavorativa e dedita ad enormi sacrifici, che spera in una nuova giustizia più vera e sana. Forse si capirà finalmente l’importanza della ricerca, di una sanità che funzioni bene, per permettere agli addetti di operare nel miglior modo possibile e nella massima sicurezza.

Non basta il plauso e gli onori che stiamo dando a chi mette a rischio la propria vita per la collettività, in questo momento di tragica necessità, ma occorre, capire ed investire prima degli eventi tragici, per poter essere lungimiranti e proiettati verso un futuro migliore.

Ciò nonostante è commovente tutto quello che sta accadendo, ed ancor più commovente è l’abnegazione di tutte quelle persone dei vari settori della società che si stanno prodigando in questa tragedia mondiale, alle quali non finiremo mai di dire loro grazie, grazie, grazie.

La pandemia verrà presto sconfitta, ma non dovremo crogiolarci, perché ci attende un lungo periodo di sacrifici, e non sarà facile rimettersi in carreggiata, ma la cosa ancora più importante, sarà quella di essere pronti in futuro, a contrastare i nuovi pericoli che inevitabilmente e periodicamente ci verranno incontro.

La speranza, è che l’umanità capisca la lezione che stiamo subendo, che cambi in positivo il modo di vivere ed agire, dando la priorità a tutto ciò che è veramente importante per il genere umano, mettere da parte gli interessi economici e finanziari, ed infine isolare e sconfiggere gli estremismi delle varie religioni. Ma, ricordiamoci tutti, di rispettare innanzitutto la natura, perché è lei che ci consente e ci consentirà di sopravvivere in questa terra che rimane il vero paradiso terrestre.




La politica tra DPCM e PPPP: il presidio di garanzia della Costituzione

(A scanso di equivoci) Il fine giustifica i mezzi? Così suol dire.

di Angelo Lucarella*

Da diverse settimane si sente discutere delle presunte analogie tra il richiamo salviniano ai pieni poteri e l’aratura normativa contiana degli ultimi mesi.

Strategie politiche che parrebbero far intuire, a diversità di strumenti, medesimo fine: l’accentramento di poteri.

C’è una differenza quasi oceanica, soprattutto in termini di politica-giuridica, tra i c.d. “D.P.C.M.” (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministeri) ed i c.d. “P.P.P.P.” (acronimo dei ribattezzati Pubblici Proclami per Pieni Poteri).

I primi hanno una collocazione ferma nell’ordinamento giuridico italiano (ad esempio l’art. 2 legge n. 13/1991), i secondi con tutta evidenza e conoscenza no.

Dato che i PPPP hanno, fondamentalmente, una matrice storico politica, ci si limita a ricordare, solo per migliore esemplificazione, che a differenza di quanto accadde in occasione della legge “Pieni Poteri” approvata dal parlamento tedesco nell’anno 1933 (di cui una sorta di reviviscenza, pur non proprio simile, si sta registrando nello Stato ungherese), in Italia il tutto è rimasto lettera morta nell’agosto del 2019 non foss’altro perché la Repubblica italiana è dotata di una Costituzione che, soprattutto grazie alla lungimiranza dei nostri padri costituenti, prevede pesi e contrappesi tali per cui difficilmente il singolo individuo può assumere l’intera regia di Stato.

Farebbe al caso esclamare “God save the Quenn”?

Meglio rimanereun po’ piùautentici in questo drammatico periodo, segnato dalla diffusione del coronavirus, al massimo dicendo che “Dio ci salvi e basta” o che “la Scienza ci salvi e basta”.

Potremmo spingerci ancor più avanti, in una forma più contemperata e con toni certamente meno esagitati, nel dire che “il Dio di chiunque, la Politica di chiunque e la Scienza di chiunque possano salvare l’Umanità” (magari potrebbe fare al caso il concetto dell’henomènon di Pomponio).

A quanto sopra va unita imprescindibilmente la riflessione che, specie nell’ultimo periodo (da gennaio 2020 in poi), continua ad intensificarsi tra gli italiani fino a far pensare all’idea del presunto ritorno di un mostro del passato apparentemente o velatamente nascosto (secondo qualcuno) tra gli atti messi in piedi dal Governo Conte: ci si riferisce, per esser più chiari, all’ipotesi di una eventuale dittatura tecnocratica o meno.

C’è qualcuno che è davvero lì lì per dare una spallata alla democrazia a suon di DPCM?

Questo non si può sapere e, certamente, non è questa la sede per esprimersi senza dati certi o quantomeno elementi gravi, precisi e concordanti (giusto per fissare un richiamo giuridico); ciò anche perché le dittature non avvisano. Esse si insinuano nel sistema, da antisistema, per poi diventare il sistema stesso (mi si perdonerà per la ripetizione).

Ma stiamo all’analisi dell’evoluzione politica quale parte complementare essenziale del discorso, appena iniziato, al fine di comprendere al meglio ove risieda la radice giuridica di quanto sta avvenendo ai giorni nostri.

Ora, proprio a scanso di equivoci, tenuto conto dell’ultimo caso di PPPP (registrato nel vituperato periodo di stallo politico dell’agosto 2019 ovvero momento nel quale il primo Governo Conte, nato dall’accordo tra Lega e M5S, è entrato in crisi tanto da bloccare l’attuazione del c.d. “Contratto di Governo”) occorre valutare se, per certi versi, i c.d. DPCM del secondo esecutivo contiano siano non altro che un superamento dei PPPP in chiave moderna oppure se, più semplicemente, si tratti di atti istituzionalmente e temporalmente funzionali, nell’ottica delle prerogative del Presidente del Consiglio (di cui all’art. 95 della Costituzione), volti a mantenere l’unità di indirizzo politico ed amministrativo del paese con l’intuibile obiettivo di armonizzare il da farsi a più livelli (dal ministeriale al decentrato e fino al locale).  

Quale sarebbe, quindi, la genetica giuridica che hanno quest’ultimi?

Non siamo dinanzi ad atti legislativi (anche perché, oltre al disposto costituzionale, c’è l’art. 1 legge 13/1991 il quale prevede l’intervento del Presidente della Repubblica ove mai si trattasse di genetica normativa di tal fatta).

La Costituzione italiana fa chiarezza: gli artt. 76 e 77 ammettono che il Governo possa legiferare solo se delegato dal Parlamento (nella prima ipotesi) oppure autonomamente se vi ricorrano condizioni di urgenza e necessità (nella seconda ipotesi).

Il caso dei DPCM, quindi, fuoriesce dal dettato costituzionale benché, come intuibile, non possa discostarsi dalle ragioni di legalità, legittimità e trasparenza amministrativa quali essenze vitali tipiche di un sistema che si fonda su un ordinamento democratico; principi che, ad esempio, incarnano lo spirito (perdonando l’ossimoro) dell’art. 97 Cost..

Ad ogni modo, colgasi una particolarità dei DPCM in questione: non riportano alcuna firma del Presidente della Repubblica.

Il motivo è semplice, non banale, oggettivamente legato in maniera specifica al dettato della Carta fondamentale italiana che, ulteriormente, fa luce con l’art. 87, co. 5; quest’ultimo attribuisce al nostro Presidente della Repubblica il potere di promulgare le leggi, emanare decreti aventi valore di legge nonché i regolamenti.

Ed allora qual è il riflesso di politica-giuridica dei tanto discussi DPCM?

Sono potenzialmente idonei a squilibrare il rapporto tra poteri, esecutivo e legislativo in particolare, mediante un presunto disegno politico “nascosto” rispetto a quello giuridico?

Qualcuno, stando a quanto si legge ultimatamente, lo affermerebbe poiché attinto dal presumere che siano atti presidenziali tesi ad accentrare nelle mani dell’Uomo di comando il tutto.

Andiamo per gradi.

La legge n. 400/1988, menzionata nell’incipit di ogni DPCM pubblicato su Gazzetta Ufficiale, prevede all’art. 5, co. 1. lett. g) ed f) che spetti al Presidente del Consiglio dei Ministri esercitare le attribuzioni conferitegli dalla legge in materia di servizi di sicurezza potendo, al contempo, disporre con proprio decreto l’istituzione di particolari Comitati di ministri ed eventualmente anche di esperti non appartenenti alla pubblica amministrazione. In costanza dell’emergenza coronavirus si considerino, a titolo di esempio, i famosi gruppi di task force.

Ma si aggiunga di considerare anche l’ultimo comma dell’articolo 5 il quale, espressamente, stabilisce che spetta al predetto Presidente del Consiglio dei Ministri esercitare le altre attribuzioni conferitegli dalla legge (a prescindere dalla materia e dal tipo di strumento normativo e cioè Decreto Legge, Decreto Legislativo o Legge ordinaria).

Di tutta evidenza, quindi, risulta che i DPCM non solo siano stati emanati in forza di una legge deliberata dal Parlamento italiano (ci si riferisce alla n. 400/88), ma anche in virtù di appositi recentissimi D.L. (che, come detto, sono norme a tutti gli effetti).

Condivisibili potrebbero essere alcune preoccupazioni sollevate da autorevoli giuristi (in particolare, come ad esempio Cassese e Marini, illustri costituzionalisti) in relazione alla portata giuridica dei DPCM; preoccupazioni che, come opportunamente si precisa, vanno contestualizzate rispetto all’oggetto centrale della questione.

Nella fattispecie era necessario, all’inizio, differenziare la portata politico-giuridica tra DPCM e PPPP mentre, ora, è necessario chiudere il cerchio riguardo al collocamento normativo dei primi strumenti (in realtà già in parte definito).

È pur vero che l’abuso di Decreti presidenziali non farebbe altro che mortificare il rapporto di controllo tra legislativo e governativo; non foss’altro che forzare la fuoriuscita d’ambito, quanto a competenza, di atti vestiti di portata non normativa, ma sostanzialmente tali in radice, metterebbe in seria discussione la base della struttura democratico-costituzionale della Repubblica.

A questo punto, però, occorre ricordare a noi stessi che il Governo consolida una propria ragion d’essere legittimatoria nel rapporto di fiducia parlamentare, allo stato, immutato rispetto all’inizio del secondo esecutivo Conte.

Sicché il controllo politico parlamentare c’è tutto seppure, come si può facilmente constatare, a suon di colpi di “fiducia” e quindi quasi a luci spente.

Ma parlare di abuso dello strumento decretale da parte del Presidente del Consiglio è assai delicato e doloroso perché, togliendo per un attimo dal campo minato il retropensiero dei cavalieri di galoppo politico avventuriero, montare la piazza della competizione e dello schernimento è fin troppo facile.

Allora è bene cercare una chiave di lettura quanto più attendibile e comprensibile in termini di certezza del diritto: non va dimenticato, infatti, che è il diritto a servire l’Uomo e non il contrario.

Stiamo vivendo una fase storica dai tratti somatici indecifrabili, poco individuabili e scarsamente addomesticabili se non per auto-responsabilità che in altri termini si chiamerebbe, per gli amanti della scienza politica, in c.d. “autoconservazione”.

Occorre prudenza nelle affermazioni, specie quando si deve gestire qualcosa di molto labile in termini di discussione istituzionale (come sta accedendo con il COVID – 19), perché ne va senz’altro della salute di tutti soprattutto da un punto di vista mentale.

Non è un caso che la distonia tra Governo centrale e Regioni stia emergendo tutta proprio ora, salvo qualche rara eccezione.

Una distonia che si può tradurre, sotto un’altra ottica, in colpi e contraccolpi dell’autonomia non bilanciata dall’ultima riforma costituzionale in materia: il famoso art. 117 della Costituzione.

Qui va solo ricordato che in materia sanitaria (la più delicata in relazione sia all’art. 32 Cost. che a buona parte dei Principi Fondamentali della nostra Carta pilastro) si gioca il tutto per tutto certuna politica in perenne ricerca di affermazione o conservazione.

Buona critica giuridica ha fatto rilevare che il Governo, davanti alla diversità di regolamentazione sanitaria regionale, avrebbe potuto attivare le procedure sostitutive previste dall’art. 120 della Costituzione.

La scelta del Governo Conte è risaputa: mix di Decreti legge e DPCM (anche se c’è ancora altro).

Segno che una certa presenza istituzionale per fronteggiare la crisi da coronavirus, a torto o ragione, non si può certo disconoscere.

Parallelamente si assiste ad attribuire tutta la colpa dell’andamento politico complessivo ad un Presidente del Consiglio, senza storia politica alle spalle, per il semplice fatto di essere partoriente dei suoi decreti (tra l’altro previsti dalla legge).

Si badi bene, però, ad una differenza sottile: la colpa politica sistemica è un conto (poiché la determinano elettori e partiti secondo, grossomodo, gli schemi di cui agli artt. 1 e 49 Cost.) mentre la colpa in ordine a scelte governative è altra storia (poiché ricade, ovviamente, su chi ne sovrintende il consesso a ciò preposto in ossequio al già menzionato art. 95 Cost.).

Non si può, allo stesso tempo, sottacere che non c’è ad oggi molto equilibrio tra maggioranza e Governo.

Qualcuno maliziosamente potrebbe domandarsi perché mai, a questo punto, non giungere alle dimissioni consentendo al Presidente della Repubblica di individuare in seno al Parlamento una nuova maggioranza ovvero, pur con la stessa maggioranza, un nuovo esecutivo che sappia fronteggiare la crisi collegialmente invece di “delegare tutto” ad un Uomo che di certo “non può tutto”.

Quanto sta avvenendo in relazione ai DPCM, sicuramente, avrà dei deficit nel merito sul piano giuridico, ma in questo momento storico la legittimità di forma dei predetti decreti resta funzionale al doveroso “andare avanti” in termini di sistema.

Fintanto che ci sarà l’obbligazione politica che investe tutti si manterrà la democrazia.

Il punto di fondo che distingue la metodologia tra DPCM e PPPP sta proprio in questo: la scelta dell’obbligazione nei confronti dei cittadini.

Sfruttando le parole del celebre Norberto Bobbio, il quale magistralmente ci insegna tutt’oggi a cosa serva il potere nell’accezione della filosofia politica, si giunge alla conclusione del ragionamento con una domanda che premette da sé la riposta: “A chi devo ubbidire? E perché?”.

Il Decreto è presente, il Proclama è non altro che futurologia.

Si tratta di fare i conti con la realtà (finché ne avremo una da tutelare) cercando di evitare il più possibile di diventare vittima di noi stessi per un eccesso di credulità derivata dal tramutarsi della iniziale credibilità delle scelte fatte in sede elettorale.

Popper docet: egli direbbe che “La negazione del realismo porta alla megalomania.”

Oggi c’è una crisi devastante in atto. Perciò quando tutto finirà ci sarà tempo per andare a scovare dietrologie di potere o meno.

Per ora, se proprio dobbiamo ubbidire a qualcosa si tratta della Costituzione: la radice del verbo ubbidire deriva, d’altronde, da “ascoltare”. Non è quindi un verbo intendente allo sfruttamento del prossimo, ma di conformità alla regola.

Ubbidire, in ratio, non è da sudditi, ma da cittadini liberi che hanno scelto un Parlamento.

Comunque, legge elettorale permettendo, ne riparleremo più avanti.

Perché ubbidire quindi?

Perché ce lo chiede il nostro passato, senza con ciò dover rinunciare a vagliare, controllare, sindacare, criticare come si svolge il presente.

Però a questa funzione di sindacato abbiamo delegato tutti un “qualcuno” che siede tra gli scranni parlamentari di Camera e Senato; luoghi, quest’ultimi, nei quali, parafrasando, dovrebbe organizzarsi democraticamente la resistenza dei giorni nostri ove mai si ritenessero i DPCM fuori dagli schemi costituzionali o, comunque, al di là del confine di legalità.

E se ciò non avviene ognuno tragga le conclusioni.

Per ora non ci rimane che sperare nella responsabilità di ognuno per il bene di tutti: anche politicamente parlando.

*Avvocato tributarista, Presidente CLN AssoConsum, membro Commissione Giustizia MISE




Finlandia, Covid-19: decisa la riapertura parziale delle scuole per il 14 maggio

Il governo ha deciso di revocare la chiusura delle scuole per l’educazione e la cura della prima infanzia e di quelle sull’istruzione primaria e secondaria inferiore sulla base di una valutazione da parte delle autorità sanitarie, che quindi riapriranno il 14 maggio in modo controllato e con ogni attenzione alla sicurezza.  Allo stesso tempo, i responsabili  del settore scolastico hanno il tempo di organizzarsi per riprendere l’insegnamento di contatto informando il personale e prendendo altri accordi.

Sulla base di una valutazione epidemiologica, il governo ha valutato che non sussistano più motivi per continuare ad applicare il decreto sull’applicazione della legge sui poteri di emergenza in materia di istruzione e cura della prima infanzia e istruzione primaria e secondaria inferiore.

Per il governo di centrosinistra finlandese, l’esperienza internazionale e nazionale sta indicando che il ruolo dei bambini nella diffusione delle infezioni da coronavirus non è simile a quello degli adulti, i bambini non sono essenzialmente una fonte di infezione. Sulla base delle informazioni attuali, l’apertura delle scuole si valuta quindi sicura sia per gli allievi che per il personale.

Il Ministero dell’istruzione e della cultura e l’Istituto finlandese per la salute e il benessere hanno elaborato linee guida e istruzioni sulle modalità per il ritorno all’istruzione e alle cure della prima infanzia e all’istruzione primaria e secondaria inferiore. Lo hanno annunciato congiuntamente il primo ministro Sanna Marin e il ministro dell’istruzione, Li Andersson.

da sin. Li Andersson e Sanna Marin, foto© Lauri Heikkinen VNK

La cosa più importante è evitare contatti fisici non necessari e organizzare i locali di insegnamento in modo più spazioso del solito. I tempi di pausa scolastica e i pasti scolastici devono anche essere gestiti con la classe o il gruppo degli studenti. Grandi raduni, come i festival di primavera, non saranno organizzati. Il personale deve anche lavorare con lo stesso gruppo di bambini e le linee guida sull’igiene devono essere rigorosamente rispettate. I responsabili del settore prenderanno decisioni su accordi più specifici.

Il Ministero degli affari sociali e della sanità e il Ministero dell’istruzione e della cultura prepareranno congiuntamente le istruzioni per le agenzie amministrative statali regionali. Le restrizioni sull’istruzione e l’assistenza della prima infanzia e sull’istruzione primaria e secondaria inferiore per contenere la diffusione di un’epidemia nella società sono regolate dalla legge sulle malattie trasmissibili.

I medici valuteranno se i gruppi a rischio possono impegnarsi nell’insegnamento di contatto. Nel caso dei dipendenti, la valutazione sarà effettuata insieme a un medico e al datore di lavoro.

Una volta che il decreto sull’applicazione della legge sui poteri di emergenza non sarà più vigente, i responsabili del settore istruzione non possono organizzare l’insegnamento sotto forma di insegnamento a distanza; le stesse autorità locali non possono decidere di chiudere le scuole, né le autorità locali possono decidere di organizzare l’insegnamento solo sotto forma di insegnamento a distanza. Il diritto all’istruzione di base è un diritto soggettivo stabilito dalla Costituzione finlandese e appartiene ugualmente a tutti. Il governo discuterà in seguito delle restrizioni all’istruzione secondaria superiore e all’istruzione superiore.

Allorquando il governo decise la chiusura delle scuole, dichiarò lo stato di emergenza e proibì incontri di oltre 10 persone. Tali divieti hanno anche chiuso musei, teatri, cinema, opera nazionale, biblioteche, biblioteche mobili, strutture per hobby e piscine, club per giovani e altri punti di riunione raccomandando che le organizzazioni del terzo settore e le congregazioni religiose facessero lo stesso. I confini internazionali della Finlandia sono stati parzialmente chiusi il 19 marzo. Un paio di settimane dopo, il governo ha ordinato la chiusura dei bar, dei caffè e dei ristoranti del paese il 4 aprile, ma ha aggiunto la disposizione secondo cui i ristoranti possono ancora offrire il servizio di asporto.

I confini della regione meridionale di Uusimaa, con la capitale Helsinki, che ospita 1,7 milioni di persone e l’area in cui il coronavirus si è diffuso maggiormente, sono stati temporaneamente chiusi il 28 marzo, ma un paio di settimane dopo il governo ha annunciato che la regione sarebbe stata riaperta il 15 Aprile.

Al 29 aprile la situazione della pandemia in Finlandia risultava la seguente:

  • 4906 infezioni confermate in laboratorio a partire), 166 in più rispetto al giorno precedente
  • 8900 i test effettuati, + 166 sul giorno precedente
  • 206 decessi dovuti a complicazioni Covid-19 , sette in più rispetto al giorno precedente
  • 2800 i guariti
  • in relazione alla popolazione totale della Finlandia (5.543.233), il rapporto è di 89 casi per 100.000 persone
  • età media dei deceduti è di 84 anni, il 52% dei quali uomini
  • oltre il 90% dei deceduti aveva almeno una malattia cronica
  • 200 casi confermati nei bambini



Coronavirus: salvare la vita delle persone, salvare l’economia o rischiare entrambi? Si apre o non si apre? Gli spunti di riflessione del prefetto Francesco Tagliente

di Francesco Tagliente*

“Premetto che la vita è sacra (anche per gli anziani e le persone con altre patologie che hanno la disavventura di essere contagiati dal coronavirus) e che è necessario assumere le decisioni più opportune per riavviare gradualmente le attività ed evitare ulteriori disastri per l’economia.

Il virus si è “diffuso a livello globale e a causa della pandemia nel mondo sono già oltre 3 milioni e 200 mila le persone contagiate e più di 228 mila i morti. Una condizione inedita, che rischia di mettere in pericolo l’esistenza dell’intera comunità.

Questo comporta la responsabilità, a tutti i livelli, di agire per contenere la diffusione del virus sia per salvare il maggior numero di vite umane che per evitare ancora più gravi catastrofe economiche. E questo anche emanando provvedimenti volti alla sospensione e compressione dei diritti fondamentali dei cittadini.

In Italia alla data del 29 aprile in Italia sono stati registrati oltre 205 mila casi positivi di coronavirus con circa 28 mila decessi. Che nelle ultime 24 ore ci sono stati 1.872 nuovi casi positivi e 285 decessi, e ogni giorno continuiamo a registrare migliaia di nuovi infetti e centinaia di decessi.

La comunità scientifica ha informato il Governo e ripete continuamente che se riaprissimo quasi tutto subito, il tasso di riproduzione del virus tornerebbe alto con conseguenze drammatiche sul piano sanitario ed economico perché secondo uno studio elaborato da un gruppo di scienziati (pubblicato sulla rivista scientifica Pnas) le restrizioni alla mobilità decise dal governo hanno ridotto progressivamente la capacità di contagio del 45%. E ancora che secondo gli studiosi, dall’inizio dell’epidemia al 25 marzo scorso, le restrizioni alla mobilità avrebbero evitato il ricovero ospedaliero di almeno 200 mila persone.

Il nostro ordinamento costituzionale, riconosce espressamente un particolare valore al diritto alla salute e al connesso diritto alla vita. Un diritto fondamentale, qualificato come “inviolabile” dell’individuo, oltre che un interesse primario per la collettività, quindi prevalente su tutti gli altri diritti che sono solo tra loro bilanciabili, per la semplice ragione che la vita è precondizione per il godimento di tutti gli altri diritti.

La vita quindi è sacra anche per gli anziani e le persone con altre patologie che hanno disavventura di essere contagiati.

Qualora dovessero verificarsi nuovi decessi riconducibili al mancato rispetto di ordini e discipline, oltre alle intuibili ancora più gravi conseguenze per l’economia potrebbero scaturire responsabilità anche di natura penale, civile ed amministrativa.

La negligenza, l’imprudenza, l’imperizia, ovvero l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline può comportare responsabilità a titolo di colpa e che il nostro ordinamento penale contempla anche l’epidemia e l’omicidio colposi. Ed ancora che quando l’evento è prevedibile, potrebbe essere ravvisata anche la cooperazione colposa.

Fatte queste premesse inviterei a riflettere responsabilmente su tutti gli scenari possibili e alle potenziali responsabilità personali di una apertura tutto e subito puntando alla responsabilizzazione dei comportamenti individuali.

Solo il comportamento di ogni singola persona potrà legittimare la decisione di sostituire le restrizioni con modelli organizzativi, comportamentali e strutturali

E di tutta evidenza che questa nuova fase 2, legittimando ad uscire milioni di persone, avrà successo solo se i comportamenti individuali saranno rispettosi delle regole di contenimento del virus. In altre parole la capsula di sicurezza e prevenzione che fino ad oggi è stata la casa, diventerà ogni singola persona.

Ciascuno di noi diverrà protettore di se stesso e degli altri rappresentando la garanzia per la prosecuzione o motivo di interruzione del percorso di ritorno alla normalità che il governo ha intrapreso con le garanzie della progressività e del quotidiano monitoraggio.

*Prefetto, già Questore di Firenze e Roma




Regione Lazio, sostegno all’editoria: c’è chi può e chi non può. Ecco l’elenco dei beneficiari

Europa Verde Albano Laziale si unisce all’appello lanciato dall’Associazione sindacale emittenza radiofonica e televisiva locale affinché, “in questa fase – hanno dichiarato Elena Grandi e Angelo Bonelli – di crisi generale, si pensi anche alle ‘voci del territorio’ che, da sempre, hanno avuto un ruolo fondamentale in termini culturali oltre che giornalistici: raccontando le cronache, denunciando le storture, portando alla luce i paradossi, giorno dopo giorno.

L’informazione locale ha aiutato a formare consapevolezza, contribuendo alla crescita dei territori, della loro classe dirigente, dell’economia, dei cittadini.

https://www.facebook.com/europaverdealbano/posts/546390772730430

Stampa ed emittenti televisive e radiofoniche locali – proseguono Grandi e Bonelli – non sono esenti dalla profonda crisi che sta colpendo famiglie, lavoratori e imprese. Con la chiusura di attività ed esercizi commerciali, non sono pochi i contratti pubblicitari sospesi o disdetti. È quindi fondamentale che all’impegno assunto dal Governo nel Decreto Cura Italia di stanziare risorse aggiuntive rispetto a quelle previste attualmente dal Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione venga dato seguito al più presto e in maniera urgente”.

Ebbene, la maggior parte della stampa e delle emittenti televisive e radiofoniche locali in questo periodo di profonda crisi economica da Covid-19 evidenziano un malessere relativo a quella che ormai è una realtà di abbandono consolidata da molto tempo da parte delle istituzioni.

E così, per quanto riguarda il Lazio, “pochi fortunati” riescono ancora oggi a raccogliere qualche contributo qua e là, mentre c’è chi ancora riesce a proseguire con le proprie forze aspettando il minimo accenno di un segnale di cambiamento.

281.334,76 euro dalla Regione Lazio

La Regione Lazio lo scorso dicembre 2019 è intervenuta a sostegno dell’editoria, delle emittenti televisive e radiofoniche locali, della distribuzione locale della stampa quotidiana e periodica nonché delle emittenti radiotelevisive e testate online locali approvando la cifra di 281.334,76 euro di cui 41.334,76 euro per 4 domande a sportello idonee e ammissibili a finanziamento e 20 domande a graduatoria idonee e ammissibili a finanziamento per un importo complessivo pari a 240.000,00 euro.

La Regione ha quindi approvato la graduatoria definitiva dalla quale risultano finanziabili i seguenti interventi:




Abbandono incontrollato di mascherine e guanti dopo l’uso: Fare Verde lancia l’allarme

Il Presidente Greco: “Ritrovate anche in mare. Rischiamo un disastro sanitario ed ambientale “usa e getta”. Attuare sistemi di sterilizzazione e riutilizzo delle mascherine”

L’associazione ambientalista Fare Verde lancia l’allarme sul malcostume in atto in questi giorni di emergenza “coronavirus”: l’abbandono incontrollato di mascherine protettive e guanti di plastica, evidenziando sia l’aspetto sanitario che quello ambientale della questione.

“Da ogni parte d’Italia i nostri volontari segnalano episodi del genere in tutta Italia – dichiara Francesco Greco, Presidente Nazionale di Fare Verde – addirittura mascherine sono state rinvenute in mare, ripercorrendo il triste fenomeno, già verificato con “Il Mare d’Inverno”, della plastica trasportata dalle città in mare aperto.”

Fare Verde invita i cittadini a non gettare a terra le protezioni personali e a conferire mascherine e guanti, secondo le indicazioni diffuse dagli enti preposti, nel sacco dell’indifferenziato.

Anche nei prossimi mesi, per affrontare l’emergenza covid-19, ci vorranno milioni di mascherine e guanti, una “montagna” di rifiuti “usa e getta” che dovrà essere gestita responsabilmente da cittadini ed amministrazioni”.

Inoltre, “Fare Verde chiede alle Autorità di intervenire per cercare di gestire e ridurre il rifiuto “usa e getta” connesso alla prevenzione del Covid-19, ad esempio mediante la sterilizzazione delle mascherine per riutilizzarle. A tal fine Fare Verde ha scritto al Ministro dell’Ambiente – conclude Greco – chiedendo, con particolare riferimento alle mascherine che saranno prodotte dallo Stato, come comunicato nei giorni scorsi dal Presidente del Consiglio, Conte, di studiare la possibilità di lavare e sterilizzare le mascherine usate, affinché siano riutilizzabili e, quindi, ridurre l’impatto ambientale della pandemia.”




Terapie anti Covid-19, il mancato uso dell’eparina a domicilio: due proposte terapeutiche dal professor Salvatore Spagnolo

Ancora oggi, questa terapia proposta non è nelle linee guida dei farmaci da somministrare nei pazienti ammalati di covid-19 e l’eparina viene utilizzata solo in terapia intensiva quando i coaguli sono già presenti nel circolo polmonare: ne segue che i trombi occludono i vasi di un’estesa superficie di polmone e si ha la morte per eccessivo abbassamento della saturazione dell’ossigeno nel sangue

Due proposte terapeutiche per il Covid-19 sono state sviluppate dal cardiochirurgo professor Salvatore Spagnolo già responsabile della cardiochirurgia del Policlinico San Martino di Genova, della cardiochirurgia del Policlinico di Monza ed, attualmente, corresponsabile presso la cardiochirurgia dell’ICLAS di Rapallo (Ge).

Il cardiochirurgo, inoltre, ha eseguito come primo operatore, migliaia di interventi di cardiochirurgia, comprendenti tutte le patologie cardiovascolari dell’adulto. Per primo, nel 1986, ha sostituito l’arco aortico in età pediatrica e, per questo intervento, gli è stato conferito il premio “I numeri uno” dal Presidente della Repubblica.

Il professore ha competenza specifica nel trattamento dell’embolia polmonare massiva, patologia quest’ultima gravata da un’elevata mortalità. Se non operata, porta a morte il paziente per scompenso del cuore destro. Anche il relativo intervento chirurgico di embolectomia polmonare presentava, però, una mortalità così elevata che i cardiologi lo ritenevano eticamente non proponibile.

Quindi, Spagnolo ha ideato una tecnica nuova di inversione dei flussi nella circolazione polmonare allo scopo di eliminare sia i piccoli coaguli sia l’aria che si formavano nei vasi periferici a seguito dell’intervento classico di embolectomia polmonare per embolia acuta massiva.

Attualmente, questa tecnica introdotta dal cardiochirurgo costituisce il capitolo “Retrograde Pulmonary Perfusion for Pulmonary Thromboembolism” del testo americano di cardiochirurgia e fisiopatologia del circolo polmonare “Principles of pulmonary protection in heart surgery” (Curators: Gabriel Edmo Atique, M. D. Salerno, A. Tomas – Springer Nature Editor).

VIDEO DIMOSTRATIVO DELL’Entità dei trombi che si formano in un’embolia polmonare massiva come quella causata da Covid-19 e del perché sia necessario intervenire il più precocemente possibile con la terapia domiciliare

Le due proposte terapeutiche del professor Salvatore Spagnolo sono dunque avanzate sia in base alle caratteristiche cliniche di tale malattia sia in base alle cause che conducono il paziente alla morte.

Spagnolo ha avanzato e proposto queste terapie fin dal mese di marzo

Terapia 1: trattamento precoce a domicilio con eparina a basso peso molecolare per prevenire la formazione dei trombi, da somministrare allorquando i segni dell’influenza non tendono a migliorare dopo 3-4 giorni dall’inizio dei sintomi.

Terapia 2 nei pazienti gravissimi: utilizzo dell’ossigenatore a membrana e dell’inversione dei flussi del circolo polmonare per rimuovere i coaguli periferici.

TERAPIA 1

Dall’osservazione dell’andamento clinico dei pazienti ricoverati a Codogno, caratterizzati da una precoce desaturazione del sangue, da un’improvvisa dispnea ingravescente che necessita spesso di un supporto respiratorio e dall’insorgere di molti casi di morte improvvisa, Spagnolo ha dedotto che questo non è il decorso clinico di una polmonite ed ha ipotizzato che la principale causa di morte potesse essere un’embolia polmonare periferica diffusa.

Tale ipotesi poggia su:

  1. Quadri radiologici di processi flogistici, a vetro smerigliato, localizzati prevalentemente nei campi polmonari inferiori ed alle regioni posteriori, espressione di una verosimile azione gravitazionale con progressione della patologia in senso cranio caudale.
  2. Studi con AngioTAC polmonare, eseguiti dal dott. Pietro Spagnolo presso l’istituto radiologico di San Donato (Mi) che hanno evidenziato quadri periferici di interruzione della circolazione, specie a carico dei campi polmonari inferiori (Studio pubblicato: “Prevalence of Acute Pulmonary Embolism in SARS-CoV-2 Hospitalized Patients: A Brief Report”).
  3. Studi autoptici, eseguiti all’ospedale civile di Bergamo e, successivamente, in altri Centri, su 50 pazienti deceduti per Covid-19, che hanno descritto quadri di polmonite, dilatazione enorme dei vasi polmonari e presenza di piccoli trombi che sono indovati non solo nei vasi polmonari ma anche in altri organi come il cervello, il cuore, il fegato ed i reni.

Attualmente, si ritiene che l’embolia sia originata dai fattori infiammatori legati alla polmonite e, per favorire lo scioglimento dei coaguli, è stata introdotta l’eparina che ha migliorato il decorso clinico della patologia; purtuttavia, nella forma di embolia massiva la mortalità rimane elevata. Studi sulle proprietà dei virus hanno evidenziato un loro elevato tropismo per le strutture vascolari (arteriole e capillari alveolari).

Quando i virus raggiungono gli alveoli polmonari, oltre ad innescare un processo infiammatorio a carico della parete alveolare, penetrano all’interno dei capillari dove producono un danno endoteliale della parete vascolare (Sardu et al, 2020). Le modalità con cui i fattori della coagulazione sono alterati non sono ancora ben conosciute ma le conseguenze che ne derivano risultano drammatiche: il virus è in grado di innescare la formazione di quei piccoli trombi che sono stati riscontrati agli esami autoptici.

PURTROPPO, IL TERMINE PICCOLI TROMBI È STATO ABBINATO AL TERMINE DI PATOLOGIA EMBOLICA BENIGNA

Questo è un errore molto grave, perché l’embolia polmonare periferica è ben più severa della embolia polmonare centrale: l’ostruzione del microcircolo impedisce gli scambi gassosi tra alveoli e capillari con una progressiva desaturazione dell’ossigeno nella circolazione sanguigna. quando l’ostruzione del microcircolo interessa una porzione estesa di parenchima polmonare, la desaturazione diventa così grave da causare la morte del paziente.

Partendo dalla circostanza che sono i virus a causare la formazione dei microtrombi, Spagnolo ha proposto di somministrare a domicilio l’eparina a basso peso molecolare allorquando i segni dell’influenza non tendono a migliorare dopo 3-4 giorni dall’inizio dei sintomi.

Quest’eparina va assunta sotto pelle ed ha la proprietà di impedire la formazione dei coaguli.

L’eparina somministrata a domicilio previene la formazione dei trombi e modifica radicalmente l’andamento clinico di questa patologia.

Purtroppo, ancora oggi, questa terapia proposta non è nelle linee guida dei farmaci da somministrare nei pazienti ammalati di covid-19 e l’eparina viene utilizzata solo in terapia intensiva quando i coaguli sono già presenti nel circolo polmonare: ne segue che i trombi occludono i vasi di un’estesa superficie di polmone e si ha la morte per eccessivo abbassamento della saturazione dell’ossigeno nel sangue.

TERAPIA 2 NEI PAZIENTI GRAVISSIMI

Quando i microtrombi hanno chiuso il circolo polmonare periferico, la situazione clinica diventa drammatica. Sono impediti il passaggio dell’ossigeno dagli alveoli polmonari ai capillari e l’eliminazione dell’anidride carbonica dai capillari agli alveoli polmonari. Ciò conduce ad un progressivo abbassamento della saturazione dell’ossigeno nel sangue ed al conseguente decesso del paziente.
L’unica possibilità terapeutica che rimane è collegare il paziente ad una macchina cuore polmone e provvedere all’ossigenazione del sangue mediante un ossigenatore a membrana. Questa terapia si può attuare per una durata di 12-24 ore.

Contemporaneamente all’ossigenazione del sangue, per rimuovere i coaguli dal circolo periferico e permettere al sangue di riprendere una normale circolazione, si può utilizzare l’inversione della direzione dei flussi nella circolazione polmonare associata alla somministrazione diretta dell’eparina nel circolo polmonare. Il flusso di sangue invertito spinge i piccoli coaguli verso l’esterno.

Questa tecnica è stata ideata ed applicata dal professor Salvatore Spagnolo per rimuovere i piccoli coaguli e l’aria a fine intervento di embolectomia polmonare e ha permesso di eliminare la causa principale dell’alta mortalità che si registrava negli interventi di embolectomia polmonare.




Ricerca sul cancro, università di Torino tra le migliori al mondo: primo e unico ateneo italiano nella classifica di Nature

La prestigiosa rivista scientifica Nature, considerata una delle più autorevoli dalla comunità scientifica internazionale, ha recentemente pubblicato la classifica mondiale delle migliori 200 istituzioni accademiche impegnate nella ricerca sul cancro, la Nature Index 2020 Cancer Table. L’Università di Torino risulta essere il primo e unico Ateneo italiano presente in graduatoria, collocato alla 176° posizione a livello globale.

La presenza dell’Ateneo di Torino in questa classifica testimonia che la ricerca condotta nei suoi Dipartimenti tiene il passo, in questo settore in rapida evoluzione, con gli istituti dei Paesi a livello globale maggiormente presenti. Gli Stati Uniti guidano la classifica con l’Università di Harvard e compaiono nella graduatoria di Nature con 85 istituzioni accademiche, seguiti dalla Cina con 43 istituzioni accademiche.

La classifica Nature Index 2020 Cancer prende in considerazione la produzione di articoli scientifici sulla ricerca sul cancro scritti tra il 1° gennaio 2015 e il 31 agosto 2019 e presenti nel Nature Index, un database costantemente aggiornato relativo alle affiliazioni degli autori di articoli di ricerca pubblicati su 82 riviste scientifiche di alta qualità selezionate da un gruppo di scienziati indipendenti.

La metodologia utilizzata per la redazione di questa classifica si basa sul numero di articoli condivisi sulla ricerca sul cancro pubblicati da gennaio 2015 ad agosto 2019, denominati Share; sul numero di articoli pubblicati da ciascuna istituzione da gennaio 2015 ad agosto 2019, denominati Count, e sul numero di articoli scritti sulla base di collaborazioni internazionali pubblicati nello stesso periodo di riferimento. Nella categoria Share l’Università di Torino si colloca al 25° posto a livello globale.

La tradizione più che quarantennale nello studio dei meccanismi molecolari e cellulari che stanno alla base del cancro ha preparato l’Ateneo a raccogliere con successo la sfida della medicina di precisione, volta a garantire un uso ragionato dei nuovi farmaci anti-tumorali che aspirano a controllare un alterazione genetica ben precisa, riducendo effetti tossici e costi.

“La base di questo ottimo posizionamento nella graduatoria proposta da Nature” dichiara il Rettore Stefano Geuna “dimostra la capacità di UniTo di creare gruppi interdisciplinari (medici, oncologi molecolari, informatici, fisici, ingegneri, matematici) che affrontano a 360 gradi la patologia oncologica proponendo percorsi diagnostici e terapeutici di frontiera.”

Il piazzamento dell’Università di Torino in questa top 200 riflette altri ottimi risultati raggiunti dall’Ateneo nella ricerca sul cancro lo scorso anno. La Highly Cited Researchers list di Clarivate Analytics ha identificato gli scienziati che hanno mostrato un’influenza significativa nel mondo della ricerca oncologica attraverso la pubblicazione di articoli altamente citati (top 1% a livello mondiale) nell’ultimo decennio, tre di questi scienziati appartengono all’Università di Torino. Inoltre, sempre nel 2019, l’agenzia U.S. News & World Report ha pubblicato le classifiche delle migliori università del mondo per il 2020 ed eccellente è stata la posizione raggiunta da UniTo nella classifica della disciplina Oncology. Non solo l’Ateneo si è collocato alla 38° posizione a livello globale, ma in questa disciplina è risultato essere anche il primo Ateneo italiano.




Osservatorio Anbi sullo stato delle risorse idriche: è allarme in Veneto

Si aggrava la situazione nei campi veneti: dopo settimane climaticamente miti, le colture hanno anticipato il ciclo vegetativo, ma le loro necessità irrigue non possono essere adeguatamente soddisfatte a causa di concessioni per prelievi idrici, inadeguate alla condizione di siccità, che si sta registrando quest’anno, pregiudicando i raccolti.

“È necessario che la Regione del Veneto riveda sollecitamente la modulazione delle derivazioni irrigue per far fronte alle criticità in atto, conseguenza dei cambiamenti climatici – chiede Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI) – In questo periodo, infatti, c’è disponibilità d’acqua nei fiumi, grazie allo scioglimento delle nevi in alta quota ed i bacini montani del Veneto sono mediamente all’80% della loro capacità d’invaso. E’ un paradosso: i campi hanno sete ma, a causa di rigidità burocratiche, stiamo perdendo molta acqua dolce che, non potendo essere prelevata, dai fiumi va direttamente a mare.”

Il caso più eclatante è quello del canale L.E.B. – Lessinio Euganeo Berico, la principale asta irrigua veneta, che deriva acqua dal fiume Adige e la distribuisce su un territorio di oltre 350.000 ettari tra le province di Verona, Vicenza, Padova e Venezia.

“Il Consorzio irriguo L.E.B. – spiega Andrea Crestani, Direttore di ANBI Veneto – sta prelevando, in questi giorni, 21 metri cubi d’acqua al secondo e ad inizio Maggio potrà aumentare la derivazione fino a 25 metri cubi, ma è sempre troppo poco rispetto alle attuali necessità irrigue. In questo inizio di primavera, il bisogno d’acqua nelle campagne è pari a quello di Giugno-Luglio, quando la concessione di derivazione del Consorzio L.E.B. arriva a 34 metri cubi al secondo; stiamo dunque prelevando 13 metri cubi d’acqua in meno, rispetto a quanto previsto in un’analoga situazione, seppur in un periodo diverso dell’anno. L’acqua nell’Adige c’è, ma non possiamo prelevarne a sufficienza.”

Secondo i dati dell’Osservatorio ANBI sullo Stato delle Risorse Idriche, è lo scioglimento delle nevi a caratterizzare l’attuale situazione idrica nel Nord Italia; a beneficiarne sono soprattutto i grandi laghi: pur rimanendo sotto la media stagionale sono in ripresa il lago Maggiore (55,1% di riempimento) ed il lago di Como (36,5%), mentre il lago d’Iseo, dopo mesi di sofferenza idrica, è al 66,4% della capacità d’invaso, sopra la media stagionale così come il lago di Garda (82,9% di riempimento).

Di riflesso ne beneficia anche il fiume Po che, lasciato il Piemonte e dopo centinaia di chilometri in deficit rispetto allo scorso anno, torna in media al rilevamento di Pontelagoscuro verso il delta. Analogamente sono in ripresa idrica i fiumi piemontesi Dora Baltea, Tanaro e Stura di Lanzo.

“E’ una ricchezza però che, in assenza di bacini di stoccaggio, defluirà rapidamente verso il mare; sono risorse, che rischiamo di rimpiangere di fronte a mesi, che si preannunciano idricamente complicati – aggiunge Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – È auspicabile che i gestori idroelettrici dei laghi alpini invasino ora più acqua possibile da rilasciare, però, in caso di bisogno a valle.”

Cresce intanto la preoccupazione per la situazione dei fiumi in Emilia Romagna: sotto le medie mensili, ad eccezione di Panaro, nel modenese e Nure, nel piacentino; nelle stesse province, altresì, Secchia e Taro hanno raggiunto il minimo storico.

Sono, invece, le piogge ad aver lenito il grave deficit idrico, che si registra in Puglia e Basilicata, dove continuano a mancare rispettivamente 109 e 88 milioni di metri cubi negli invasi; a beneficiare delle precipitazioni sono stati soprattutto i bacini di Occhitto e Pertusillo (il suo livello è ora addirittura superiore all’anno scorso).

Resta largamente deficitaria la situazione idrica in Calabria e Sicilia (-62 milioni di metri cubi circa negli invasi dell’isola), mentre si conferma confortante l’accumulo idrico nei bacini della Sardegna, così come nell’Italia Centrale.




Fase 2, Terziario. Confcommercio Trentino: “Non è questo il modo di garantire la ripresa al sistema Paese”

Mentre il governo Conte annuncia i primi provvedimenti per la cosiddetta fase 2, quella di riapertura, il terziario entra in una crisi che rischia di diventare irreversibile portando alla morte centinaia di imprese con le conseguenze drammatiche che ciò comporterebbe.

“Non accettiamo questa impostazione – spiega il vicepresidente vicario di Confcommercio Trentino Massimo Piffer. Non è questo il modo di garantire la ripresa al sistema Paese: così il terziario viene pesantemente danneggiato e rischia di subire un tracollo irreversibile. Si è deciso per la riapertura di alcune tipologie di esercizi commerciali, lasciandone fuori molti altri. Con il giusto senso di responsabilità, regole chiare e misure di prevenzione crediamo che anche le altre attività oggi rimandate a data di destinarsi, come il settore della moda, le librerie, potrebbero invece ripartire subito. Magari ci fosse l’afflusso di clienti, ma non sarà comunque così: dobbiamo però mettere le aziende in grado di ripartire subito, in sicurezza”.
“Stesso discorso – prosegue Piffer – anche per gli altri settori del terziario, dalla ristorazione ai pubblici esercizi, all’alberghiero: questo fermo ad oltranza sta mettendo in ginocchio migliaia di imprese, e con loro gli imprenditori ed i loro collaboratori, che significano famiglie che rischiano di entrare in uno stato di miseria. Così non può funzionare: dopo l’emergenza sanitaria ora rischiamo un’emergenza economica e sociale senza precedenti”.
“Valuteremo con la provincia la sua possibilità di manovra, per intervenire subito e concretamente. Il primo problema è la liquidità, e nonostante protocolli e accordi il sistema bancario sta opponendo ancora troppa resistenza ed è troppo lento. Per chi sta garantendo gli stipendi occorre prevedere interventi che abbattano il costo aziendale. Il tempo ormai è agli sgoccioli e il malcontento tra gli imprenditori sta montando in maniera veloce e massiccia: si cambi strategia e lo si faccia in fretta”.




FCA: riapre la produzione in Sevel con misure per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro

Oltre 300 mila metri quadrati di superficie sanificati nelle officine, circa 130 dispenser igienizzanti installati, diffusione delle informazioni di prevenzione ai dipendenti attraverso 15 maxi tabelloni e 25 monitor video, oltre 6000 brochure informative consegnate e 18.000 locandine affisse, una decina di termo camere di controllo della temperatura corporea agli ingressi e oltre 600 punti di dotazione disinfettante per i dipendenti per pulire quotidianamente le attrezzature che utilizzano durante il turno di lavoro.

Sono solo alcuni dei numeri che caratterizzano il ritorno oggi al lavoro della maggior parte degli oltre 6.000 dipendenti dello stabilimento Sevel di Atessa, joint venture con il Gruppo PSA, che produce veicoli protagonisti del mercato internazionale nel settore dei commerciali.

Queste ed altre misure fanno parte dell’accordo firmato lo scorso 9 aprile con le organizzazioni sindacali nazionali FIM-CISL, UILM-UIL, FISMIC, UGLM, AQCFR e FIOM-CGIL per attuare in tutte le sedi italiane di FCA ogni possibile azione per garantire ad ogni lavoratore del Gruppo la massima sicurezza sanitaria in occasione del riavvio delle attività produttive che erano state sospese a causa del COVID-19. Contemporaneamente a Sevel, sono ripartiti anche alcuni piccoli reparti a Cassino, Pomigliano, Termoli e Mirafiori connessi allo stabilimento abruzzese per la componentistica.

“Ciò che abbiamo dimostrato oggi alla Sevel di Atessa – commenta Pietro Gorlier, COO della regione EMEA di FCA – è l’esempio concreto del nostro impegno prioritario nella protezione dei nostri lavoratori. La riapertura di oggi in Abruzzo, insieme alle attivita’ di ricerca, sviluppo e produzione pre-serie dei modelli elettrici e ibridi a Torino e Melfi, sono il frutto di un lavoro approfondito con esperti e virologi concluso con un accordo con tutte le organizzazioni sindacali. Lavoriamo quotidianamente con il Governo e con tutte le autorità locali – aggiunge – per rilanciare la produzione in Italia ma senza ammettere nessuna deroga alla sicurezza delle persone in ogni impianto produttivo o ufficio di FCA”.
Prima del rientro dei lavoratori, sono state aggiornate in Sevel tutte le opere di pulizia, igienizzazione e sanificazione che erano state già intraprese in occasione della sospensione dall’attività avvenuta lo scorso 17 marzo: tra gli altri, sono stati fatti interventi in 18 aree relax, 52 servizi igienici, 29 spogliatoi con oltre 7.400 armadietti, 2 sale mediche e 4 mense che avranno una capienza ridotta e turnazioni ampliate per rispettare la norma della distanza di un metro tra le persone. Tutte queste zone sono state attrezzate con materiale sanitario a disposizione dei dipendenti (gel igienizzanti, saponi più aggressivi per i microrganismi, kit per le pulizie delle superfici, etc) per ogni esigenza e salvaguardia. Specifiche segnaletiche di sicurezza sono state disposte in tutto lo stabilimento.

Prima dell’avvio delle attività produttive, è stato inviato ai dipendenti Sevel tramite WhatsApp ed email un link a una pagina web dedicata alla condivisione e diffusione delle misure da adottare in ogni reparto aziendale e video tutorial esplicativi. Tra le altre, la distanza di oltre un metro tra ogni singola persona, le modalità per il lavaggio delle mani sia con acqua e sapone sia con liquido igienizzante, le modalità di approvvigionamento dai distributori d’acqua con bicchieri/borracce, le misure da rispettare nelle mense e le corrette modalità di gestione delle riunioni. Sono state inoltre fornite informazioni per la gestione di possibili sintomi di COVID-19 e attività di prevenzione da adottare nelle situazioni di emergenza. Anche l’organizzazione del lavoro sulla linea e negli uffici è stata rimodellata in base alle esigenze sanitarie per permettere la ridistribuzione dei lavoratori e un maggiore distanziamento tra coloro che erano impegnati a distanza ravvicinata negli allestimenti dei veicoli. Nei reparti produttivi è stata inoltre limitata, per quanto possibile e in base a specifiche esigenze, la mobilità di personale tra le varie unità. Analoghi azioni sono state adottate nelle aree comuni mentre negli 85 uffici dell’impianto sono state utilizzate barriere di protezione tra i dipendenti o diverse dislocazioni delle postazioni di lavoro. Le pause collettive sono state differenziate tra i singoli reparti e sono state distribuite all’interno di tutto il turno.

Nei prossimi giorni la formazione sulle norme di sicurezza proseguirà attraverso le piattaforme on-line di e-learning, i normali canali di comunicazione interna e con i responsabili dei singoli settori con il supporto di personale specializzato e medico.
Ad ogni dipendente di Atessa è stato inoltre consegnato oggi da FCA un kit personale che comprendeva mascherine chirurgiche e guanti (che sarà rinnovato ogni giorno) e un paio di occhiali da utilizzare durante le operazioni di pulizia del proprio posto di lavoro. La dotazione di mascherine consegnata consentirà a coloro che utilizzano i mezzi pubblici di poter usufruire della mascherina aggiuntiva anche durante il tragitto casa-lavoro e viceversa.

Ai cancelli d’ingresso della Sevel sono stati infine messi in atto anche i rigidi controlli previsti dall’accordo siglato da FCA e organizzazioni sindacali. A seconda delle situazioni per coloro che sono entrati a piedi o in macchina, personale addetto al primo soccorso e medico, opportunamente protetto da dispositivi specifici, ha misurato la temperatura corporea utilizzando telecamere termiche fisse e mobili e termometri manuali a distanza.