Germania, sventato attentato in aeroporto. Caccia a un siriano

Redazione

CHEMNITZ – In Germania torna alta l'allerta terrorismo. Le forze di polizia tedesche stanno cercando un cittadino siriano sfuggito a un blitz della polizia compiuto nella cittadina di Chemnitz. Si tratta di un siriano di 22 anni, Jaber Albakr. L'agenzia Dpa, citando "fonti di sicurezza", parla di un "nesso con l'Isis" in quanto accaduto. L'uomo, secondo il sito del settimanale Focus, è "sospettato di aver pianificato un attentato dinamitardo contro un aeroporto tedesco" la polizia – sempre secondo il sito – cerca ora Jaber Albakr, su cui pende un mandato di cattura internazionale. La polizia regionale (Lka) sassone non ha voluto confermare l'informazione, riferisce il sito del Tagesschau, il telegiornale del primo canale pubblico Ard. L'indiscrezione di Focus è stata rilanciata dal sito del quotidiano Bild.

 

Esplosivo in casa del siriano Nell'appartamento del siriano in fuga a Chemnitz è stato rinvenuto un tale quantitativo di esplosivo da rendere "necessarie ulteriori misure di evacuazione". Lo riferisce la polizia sassone su Twitter.

 


 

I fatti Un quartiere della città tedesca era stato posto in 'lockdown' per una 'grave minaccia' e i poliziotti avevano fatto evacuare una strada di Chemnitz, nel Land della Sassonia, come precauzione. Successivamente un edificio nel complesso Fritz-Heckert è stato evacuato e un appartamento assaltato dalle forze di intervento ma, come ha reso noto la stessa polizia, "non è stato possibile reperire un'importante persona", lasciando intendere che a Chemnitz si cercasse un sospetto terrorista sottrattosi alla cattura. "Un'esplosione che è stato possibile udire" è stata prodotta "da una misura di intervento della polizia". L'allarme era scattato dopo che la polizia aveva ricevuto segnalazioni su una "situazione di rischio" nella cittadina. Immagini trasmesse dalle tv locali, e dalle foto su Twitter, mostrano le forze speciali pesantemente armate mentre circondano un'abitazione a Chemnitz. Le stesse forze dell'ordine hanno avvertito alcuni residenti della zona di evacuare e ad altri di rimanere in casa.




Morte funzionario italiano a Caracas, la moglie: "La morte di mio marito è legata all'incarico che svolgeva"

di Angelo Barraco
 
Siena – La morte di Mauro Monciatti, il funzionario italiano di origini senesi rinvenuto cadavere nel suo appartamento di Caracas, è ancora avvolta dal mistero. Dalla coltre di nebbia che avvolge questa strana morte avvenuta il 4 giugno scorso, la  moglie dell’uomo, Valentina Novikova, vuole la verità in merito a quanto accaduto in quell’appartamento e ai microfoni di Rtv38 ha dichiarato: “La morte di mio marito è legata all'incarico che svolgeva. Chiediamo l'intervento dello Stato e del Governo per un'indagine approfondita su quell'incarico”. L’autopsia svolta in Venezuela ha rivelato che il funzionario è deceduto a seguito di un infarto che sarebbe sopraggiunto a seguito di una rapina. La moglie però non crede a questa ipotesi e nel corso di un’intervista ha precisato: “Non è verosimile, dalla casa non è sparito niente. C'è un forte silenzio diplomatico che avvolge l'accaduto”. L’uomo sarebbe dovuto ritornare in Italia dalla moglie e dai figli il 7 giugno. L’autopsia parla d’infarto ma le prime notizie in merito alla morte dell’uomo parlano morte violenta. Il cadavere sarebbe stato rinvenuto da un collega del funzionario, poiché quest’ultimo non si era presentato a lavoro. Mauro Monciatti era un uomo di 65 anni, con una carriera brillante alle spalle, aveva conseguito due lauree, una a lettere moderne e una in scienze politiche. La sua carriera di funzionario diplomatico era iniziata nel 1987 quando ottenne il primo incarico in Camerun. Il Sindaco di Sinalunga lo ricorda come una persona “mite e scherzosa e affezionata al suo paese di origine”. Caracas è nota per essere la città con un elevato tasso di omicidi che nel 2015 è stato stimato a 119,87 ogni 100 mila abitanti. Il tasso di impunità è pari al 90%. In queste ultime settimane la situazione che vige in Venezuela è di profonda crisi dal punto di vista economico e politico. In molte zone manca la luce e il cibo, i saccheggi si moltiplicano e recentemente una donna è stata uccisa durante un saccheggio ad un deposito alimentari. 



Nobel della Pace al presidente colombiano Juan Manuel Santos

Redazione

Un premio agli "sforzi tenaci", ma anche un incoraggiamento a non gettare la spugna: è questo il significato del Premio Nobel per la Pace, assegnato quest'anno al presidente colombiano, Juan Manuel Santos, per il suo accordo con la guerriglia Farc, clamorosamente bocciato dal referendum popolare di domenica scorsa. Ma il comitato per il Nobel norvegese ha voluto ugualmente premiare l'impegno di Santos a mettere fine a una guerra civile costata la vita a oltre 220mila colombiani e che ha costretto alla fuga dalle loro case oltre 6 milioni di persone. Dopo il 'no' dei colombiani al referendum di ratifica dell'accordo di pace con le Farc, le quotazioni di Manuel Santos erano decisamente crollate come candidato 'papabile' al Nobel per la Pace. I negoziati con la guerriglia delle Farc erano iniziati 4 anni fa e l'accordo era stato siglato il 26 settembre. Il Comitato del Nobel ha voluto sottolineare che il candidato colombiano, "nonostante l'accordo fosse molto controverso, abbia voluto ugualmente sottoporlo al voto". "L'unico premio a cui aspiriamo è la pace con giustizia sociale per la Colombia, senza gruppi paramilitari di estrema destra, senza rappresaglie contro i ribelli di sinistra, o bugie. Pace nelle strade", ha commentato sul suo profilo Twitter il leader delle Farc, Timoleon Jimenez. Pur se con un'elevata astensione, l'accordo è stato bocciato al referendum, grazie anche alla campagna demolitoria compiuta dall'ex presidente, Alvaro Uribe. "Il fatto che una grande maggioranza di votanti abbia detto 'no' al accordo di pace non significa necessariamente che il processo di pace sia morto", ha sottolineato il Comitato dei Nobel. "Il referendum non è stato un voto a favore o contro la pace. Quello che il 'no' ha rifiutato è stato l'accordo specifico, ma non il desiderio di pace. Il comitato del Nobel ha sottolineato inoltre il fatto che adesso il presidente Santos ha invitato tutte le parti a partecipare a un dialogo nazionale che abbia come obiettivo l'avanzamento del processo. "E anche quelli che si sono opposti nel plebiscito hanno applaudito a questa iniziativa". Adesso il Comitato dei Nobel "spera che tutti i partecipanti condividano la loro parte di responsabilità e cooperino in modo costruttivo alle riunioni di pace che si celebreranno prossimamente".Un premio, dunque, che incoraggia "un processo pià che un risultato", come ha detto la stessa presidente del comitato, la signora Kaci Kullmann Five, "un riconoscimento al lavoro del presidente e anche un forte incoraggiamento a tutte le forze implicate nel processo perche' vadano avanti". Un premio che vuole essere "un omaggio al popolo colombiano che nonostante le grandi difficoltà non ha mai rinunciato alla speranza di una pace giusta e a tutte le parti che hanno partecipato". Non sono state premiate le Farc, e del resto sarebbe stato impossibile premiare un movimento di guerriglia. Il Premio, nonostante il no al referendum da parte della popolazione, non va letto come un affronto ai colombiani: "Al contrario", ha detto ancora la presidente del comitato, "rispettiamo il processo democratico e il voto, ma il popolo della Colombia non ha detto 'no' alla pace, ma 'no' a questo accordo specifico. Noi ci auguriamo che adesso ci sia un processo di apertura al dialogo, che si apra questo dialogo alle diverse parti della società colombiane e che il processo sia portato avanti". "Oggi esiste un pericolo reale che il processo di pace si interrompa", ha aggiunto, e che "la guerra civile riprenda", il che "rende ancora piu' urgente il rispetto del cessate il fuoco da parte dei soggetti implicati, guidati dal presidente Santos e dal capo della guerriglia delle Farc, Rodrogo Londono", meglio noto come Timochenko.L'assegnazione del Nobel per la pace al presidente colombiano è piombata a sorpresa sulle ambizioni degli isolani greci e sugli artefici dell'accordo sul nucleare iraniano. Gli esperti avevano escluso Calderon e le Farc dalla short list dei candidati a causa della bocciatura dell'accordo di pace nel referendum. Nella corsa al Nobel per la Pace erano tornati in gara i soliti contendenti, con alcune sorprese come Angela Merkel, data per favorita dai bookmaker, e altri più scontati come i negoziatori che chiudendo l'accordo sul nucleare hanno di fatto disinnescato l'ordigno atomico su cui Teheran cercava di mettere le mani.




Su bilancio e banche Moscovici è positivo: "L'Italia se la caverà"

Redazione

Renzi coccolato dall'Europa dopo la fase dura di Juncker: ''Ho fiducia che l'Italia, come sempre, se la caverà e risolverà i suoi problemi con il nostro aiuto''. Ad affermarlo è il commissario europeo agli Affari Economici, Pierre Moscovici, in un'intervista a Bloomberg, a margine dei lavori del Fmi, facendo riferimento alle sfide di bilancio e quelle del sistema bancario.  In Italia ''c'è una minaccia populista. E' per questo che sosteniamo gli sforzi di Renzi affinche' sia un partner forte all'interno dell'Ue''. Lo afferma il commissario europeo agli Affari Economici, Pierre Moscovici, in un'intervista a Bloomberg a margine dei lavori del Fmi La Commissione Europea apre alla flessibilità per le ''spese per la crisi dei rifugiati, o un terremoto, o per un paese che soffre attacchi terroristici. Si tratta di flessibilità precise, limitate e chiaramente spiegate''. Lo afferma Pierre Moscovici, il commissario europeo agli Affari Economici, intervenendo all'Atlantic Council a margine dei lavori del Fmi. ''Abbiamo detto chiaramente cosa èla flessbilità nel gennaio 2015. Dobbiamo incoraggiare i paesi che creano molti investimenti, lo abbiamo fatto con l'Italia. Aiutare i paesi che portano avanti riforme strutturali affinchè possano avere piu' tempo, lo abbiamo fatto con l'Italia. Abbiamo detto che saremmo pronti a considerare spese per la crisi di rifugiati o un terremoto o un Paese che soffre attacchi terroristici come il Belgio. Si tratta di flessibilita' precise, limitate e chiaramente spiegate. In generale un Paese deve rispettare i criteri e ridurre il debito, è il principale problema di Italia e Belgio''. "Questa commissione – prosegue Moscovici – non vuole sanzionare. Le sanzioni sono sempre un fallimento perché dimostrebbero che le regole non funzionano; sarebbero un fallimento anche per un paese". Il commissario Ue ha quindi ricordato come lo scorso luglio la Commissione Ue abbia deciso di non multare Spagna e Portogallo per non aver ridotto il loro deficit e quindi violato le regole




L'uragano Matthew fa una strage: 65 morti su Haiti. Paura in Florida

Redazione 

USA – L'uragano Matthew, che si dirige verso la Florida, aumenta la sua forza ed e' tornato ad essere di categoria 4. Lo affermano le autorita' americane.  Intanto è salito a 65 morti il bilancio del passaggio dell'uragano su Haiti: lo riferiscono le autorità citate dai media locali. Le vittime in tutti i Caraibi arrivano così a 70. Il governo centrale stima, sulla base dei dati Onu, che siano 350.000 le persone che necessitano assistenza immediata sull'isola.

Solo in Florida le persone minacciate dall'uragano Matthew in arrivo sulla costa orientale degli Usa sono 8 milioni. Queste le stime della autorità americane, con gli esperti che mettono in guardia anche le popolazioni dell'entroterra visto che i venti potrebbero superare i 230 chilometri orari e colpire violentemente le zone interne. Le persone interessate dagli ordini di evacuazione delle autorità in Florida, South Carolina, Nortrh Carolina e Georgia sono quasi tre milioni.

Le persone interessate dall'ordine di evacuazione in Florida per l'arrivo dell'uragano Matthew sono 1,5 milioni, ha detto il governatore dello stato Rick Scott. Gia' in South Carolina l'evacuazione e' stata ordinata per circa un milione di persone sulla costa. "Evacuate o la tempesta vi uccidera'": e' l'appello del governatore della Florida che invita tutta la popolazione della costa orientale a prendere molto sul serio l'arrivo dell'uragano Matthew previsto per la serata di oggi.

Secondo il sito FlightAware.com, le compagnie aeree hanno cancellato un totale di 1.594 voli fino a domani. Gli aeroporti più colpiti sono quelli di Miami, Fort Lauderdale e Orlando, in Florida. FlightAware prevede che il numero dei voli cancellati salirà nelle prossime ore.

E il presidente americano, Barack Obama, lancia l'ennesimo appello alle popolazioni che si apprestano ad essere colpite dall'uragano Matthew: "Prendete la situazione seriamente ed evacuate senza esitare". Le parole del presidente sono state riportate in conferenza stampa dal capo della protezione civile Craig Fugate.




Usa, fuma un Samsung, aereo evacuato

Redazione

LOUSIVILLE – Negli Stati Uniti un aereo della Southwest Airlines pronto al decollo è stato evacuato all'aeroporto di Louisville per il fumo proveniente da un telefono Samsung. L'azienda sudcoreana, la compagnia aerea e la Federal Aviation americana non hanno reso noto ufficialmente il modello del dispositivo perché stanno investigando. Ma una signora a bordo ha spiegato al quotidiano The Courier-Journal of Louisville che si è trattato del Galaxy Note 7 di suo marito. Lo smartphone è stato ritirato dal mercato un mese fa per problemi alla batteria e Samsung ha avviato un programma di sostituzione.

Secondo la signora, il telefono che ha preso fuoco è stato sostituito due settimane fa. Il marito l'avrebbe chiamata facendosi prestare un telefono, per raccontarle cosa fosse successo.

Nessuna persona a bordo del velivolo è stata ferita, ma la moquette del pavimento dell'aereo, su cui il telefono è caduto, ha subito dei danni.

Samsung, negli Stati Uniti, ha ricevuto 92 segnalazioni di batterie surriscaldate del Galaxy Note 7, in 26 casi il dispositivo si è bruciato. A seguito di questi episodi, la Federal Aviation Administration ha emesso un avviso ai passeggeri degli aerei di non usare questo modello di dispositivo a bordo, né di imbarcarlo. 




Google sforna uno degli smartphone più attesi: ecco a voi Pixel

di Paolino Canzoneri

USA – Un evento in pompa magna sancisce l'entrata imponente di un nuovo concorrente con cui Apple e Samsung dovranno fare i conti. Google ieri ha presentato il suo primo smartphone "intelligente e semplice" che apre la strada ad un futuro nuovo e ad una concezione futurista dell'uso di un apparecchio che, come recita un recente fillm di successo italiano, rappresenta la "scatola nera della nostra vita".  "Pixel" è il nome del nuovo smartphone, offerto in una gamma comprensiva di due versioni Pixel e Pixel XL con le misure da 5 a 5,5 pollici, dal prezzo di 650 dollari, una batteria che ne consente l'utilizzo fino a 7 ore di autonomia e una ricarica completa in 15 minuti alla presa di corrente. Potente il processore interno Snapdragon 821 Quad Core di Qualcomm con 4 bg di Ram fino a 128 gb di memoria. Le due versioni sono entrambe compatibili con visore VRDayDream View in integrazione con l'apparecchiatura per la realtà virtuale e i modelli sono presentati in tre colori grigio chiaro, scuro e rosso. Come per gli iPhone 7 l'utente potrà avere il controllo personale delle varie applicazioni decidendone liberamente l'uso, l'aggiornamento o la rimozione. Google rilancia dopo le tiepide vendite del modello Nexus proposto nel 2010, modello che era stato implementato da diversi costruttori come LG e Hiawei ma stavolta il marchio sarà proprio Google. La cosa che colpisce è che Pixel integra il suo motore di ricerca interno per la ricerca di informazioni e dispone di un ottimo assistente virtuale con i comandi vocali utilizzabili sia dall'apparecchio stesso che da casa disponendo l'apparecchio in un cilindretto colorato da salotto. Simile a "Echo" di Amazon l'assistente risponde alle domande in modalità conversazione con informazioni sul negozi, meteo, traffico, prenotazione ristoranti e altro e all'occorrenza si prefigura come ottimo "playlist" per avviare musica da Youtube, Spotify o da Google Play. Al mattino basterà salutarlo per le informazoni desiderate e oltre ad accendere la televisione, cambiare il canale desiderato, proiettare foto sul televisore sarà in grado di interagire con i dispositivi intelligenti della casa. L'intelligenza artificiale prende piede oramai sulle nostre abitudini e il futuro sembra sempre più vicino. Sundar Pichai l'amministratore delegato di Google, lo Chief Executive Officer, ha detto e predetto che i prossimi dieci anni vedranno sempre di più l'evolversi di una perfetta integrazione tra l'uomo e la tecnologia e c'è proprio da credergli.




Altro fango per Trump: in affari con banca iraniana della "lista nera" Usa per il terrorismo

Redazione

USA – Nuova bufera per Donald Trump a poco più di un mese dalle elezioni. Tra il 1998 ed il 2003 il candidato repubblicano alle presidenziali americane affittò un ufficio nel General Motors Building, uno dei suoi palazzi a New York, alla banca iraniana Melli, controllata dagli ayatollah e nell'elenco delle entità colpite da sanzioni internazionali per il programma nucleare. Lo rivela il team di giornalisti investigativi (International Consortium of Investigative Journalist) che già svelarono lo scandalo dei Panama Papers.

Secondo i giornalisti dell'Icij, la Melli Bank aveva già la sua sede nel General Motors Building sulla V strada, quando Trump acquisto l'edificio nel luglio del 1998 per poi rivenderlo a settembre del 2003. La banca venne inserita solo l'anno dopo, il 1999 nella lista nera degli istituti del Ministero del Tesoro Usa, per il suo coinvolgimento nel finanziamento delle programma nucleare (lo stesso cui ha posto fine – temporaneamente – l'intesa raggiunta il 14 luglio 20915 a Losanna) e dopo aver accertato che si trattava di una banca emanazione diretta della Repubblica Islamica.

L'istituto, accertò il Tesoro, tra il 2002 ed il 2006, era usato per far affluire denaro ai Pasdaran (i guardiani della rivoluzione) che in quel periodo erano considerati sponsor di attentati terroristici. Trump mantenne come affittuario la Melli Bank per altri 4 anni fino al 2003 (quando cedette l'edificio) e quando la banca lascio' a sua volta il grattacielo. La banca aveva in affitto un appartamento di 750 metri quadri al 44esimo piano del Gm Building per una cifra, hanno calcolato i reporter investigativi, che avrebbe potuto raggiungere il mezzo milione di dollari l'anno. La legalita' dell'operazione e' controversa.

"All'epoca gli Usa avevano in vigore un embargo contro l'Iran che – tra l'altro – proibiva agli americani di fare affari con Teheran, incluso ricevere affitti – spiega l'Icij – Tuttavia ad alcune organizzazioni iraniane era stata garantita un'esenzione che autorizzava specifiche transazioni, valutate caso per caso. Se il pagamento (dell'affitto a Trump, ndr) fosse stato legalmente esentato, sarebbe stato legalmente difficile sfrattare la banca. Il Tesoro non ha reso pubbliche le eccezioni concesse alle singole societa' per non rispettare i vincoli sanzionatori. Non solo. Ne' il ministero del Tesoro, ne' la Trump Organization ne' la Bank Melli hanno voluto rispondere alla domanda se l'istituto fosse stato esentato dalle sanzioni", scrivono ancora i reporter dell'Icij.

"Non e' chiaro se Trump fosse a conoscenza personalmente che la Bank Melli avesse affittato un ufficio dalla sua societa' ma lui era il presidente della Trump Organization e si descriveva come un manager molto attentato ai dettagli", si legge ancora nell'articolo.

George Ross, per lungo tempo vicepresidente esecutivo della Trump Organization, ha dichiarato di "non essere a conoscenza che la Bank Melli fosse affittuaria di Trump. Avevamo un gran numero di inquilini nel Gm Building. Avrebbero potuto essere li ma non me lo ricordo". Ricahrd Nephew, dal 2013 al 2015, vice coordinatore delle sanzioni al dipartimento di Stato, ha riconosciuto che "negli anni '90 c'era una consapevolezza ridotta sul programma nucleare iraniano e sul ruolo della banca nel finanziare il terrorismo. Ma accettare denaro dalla Bank Melli già dal 1998 avrebbe dovcuto far scattare un allarme".

Nel 2007 – 4 anni dopo la fine del rapporto tra la Trump Organization e la banca iraniana – le autorita' americane "incriminarono la Bank Melli con l'accusa di aver facilitato acquisti per il programma nucleare di Teheran e per aver usato almeno 100 milioni di dollari (per finanziare, ndr) la forza Quds, l'unita' delle operazioni speciali all'estero dei Pasdaran".

Di sicuro la notizia non puo' che imbarazzare il candidato repubblicano a prescindere dal fatto che si riesca a dimostrare che abbia commesso un crimine. Trump, infatti, e' stato da sempre uno dei piu' feroci critici dell'Iran che ha definito "uno Stato grande sponsor del terrorimo" e che il 9 settembre scorso era arrivato a minacciare di affondare una nave di Teheran se i marianai iraniani avessero continuato azioni ostili contro le unita' delle Us Navy nel Golfo Persico.
 




Dopo l'accusa all'ex Miss Universo, spunta Trump in un video di Playboy

di Paolino Canzoneri

New York (USA) – La corsa frenetica alla presidenza della Casa Bianca per il prossimo presidente degli Stati Uniti comporta la faticosa e meticolosa ricerca da parte dei contendenti degli scheletri nell'armadio e di qualsiasi cosa che possa screditarne il competitor rendendolo debole e poco credibile agli occhi della comunità americana che dovrà scegliere il futuro presidente americano.

Il candidato repubblicano Donal Trump, scagliatosi recentemente a colpi di tweet contro l'ex miss universo venezuelana Alicia Machado denunciando l'esistenza di un suo coinvolgimento in un video hard al momento non ancora appurato: "Clinton l'imbrogliona forse ha aiutato la disgustosa Alicia Machado (andatevi a vedere i suoi video porno) ad ottenere la cittadinanza americana per poterla usare nel dibattito?" a cui è seguita una risposta della Machado: "Tutto questo per intimidirmi, umiliarmi ancora, e per distogliere l'attenzione dai suoi veri problemi e dalla sua incapacità di far finta di essere il leader di questo grande Paese". Solo pochi giorni dopo Trump si è visto invece contraccambiare il colpo grazie alla scoperta da parte del famoso sito di informazione americana Buzzfeed di un classico video firmato da Playboy dal titolo "Playboy Video Centerfold 2000" che mostra le solite famose e formose conigliette molto scollate e poco vestite ma in un certo punto si vede il tycoon Trump che stappa una bottiglia di champagne in una lussuosa limousine. Playboy è un marchio famoso relativo ad una famosa rivista di nudo di modelle e anche di video commercializzati nel web ma sempre del genere soft erotic con una trama prevalente che mostra le conigliette alla ricerca della "playmate" dell'anno in ogni città d'America e nel video risalente al 2000 scovato dal sito americano presso un rivenditore a Buffalo, si può proprio assistere ad un cameo in cui Trump pronuncia una breve battuta: "La bellezza è bellezza, stiamo a vedere cosa succede a New York". Comprensibile come il detto "chi la fa l'aspetti" giochi un ruolo primario in questa storia risibile ma che alza i toni di uno scontro già molto forte. Il video è stato pubblicato a poche ore dagli attacchi di Trump alla ex miss universo offesa pubblicamente sulla condizione fisica attualmente più "in carne" rispetto a quando vinse il concorso di bellezza del 1996, concorso sponsorizzato da Trump stesso e successivamente difesa dalla candidata democratica Hilary Clinton durante un dibattito in cui prese le difese della Machado descrivendola vittima di maschilismo e bullismo. Donal Trump non è mai stato e forse non sarà mai una persona compìta nel suo modo di parlare ed appare troppo spesso di cattivo gusto e aggressivo e in fin dei conti sono tutte cadute di stile a favore della candidata democratica che ha cosi modo di poter dimostrare quando Trump sia una persona piena di pregiudizi spregevoli.




I grandi del mondo salutano Peres

Redazione

ISRAELE – Addio al falco divenuto colomba. In Israele è il giorno del dolore per la morte di Shimon Peres, l'ex presidente e Permio Nobel per la Pace morto nelle prime ore di mercoledì all'età di 93 anni. Una fila ininterrotta di migliaia di cittadini ha reso omaggio alla bara avvolta nella bandiera con la stella di David nella camera ardente allestita davanti alla Knesset, il Parlamento israeliano. L'addio Sul Monte Herzl di Gerusalemme dove si è svolta la cerimonia funebre religiosa. Alle esequie hanno partecipato numerosi leader politici da tutto il mondo, tra cui il presidente Usa Barack Obama, il presidente francese Francois Hollande, il presidente tedesco Joachim Gauck, il premier Matteo Renzi e il presidente palestinese Abu Mazen.Tra i primi ad arrivare l'ex presidente americano Bill Clinton. Peres era stato colpito due settimane fa da un ictus che lo aveva costretto al ricovero in ospedale. Dopo le prime cure i medici avevano parlato di una condizione critica ma stabile. Martedì d'improvviso il peggioramento delle condizioni di salute.

 

La stretta di mano  ''La forza è solo un mezzo, ma il fine è la pace'': questo uno dei passaggi dell'intervento del premier Benyamin Netanyahu nell'elogio funebre per il presidente Shimon Peres. ''Nel Medio Oriente in tumulto in cui solo i forti resistono, non si raggiungerà la pace se non garantendo la nostra potenza. Ma gli obiettivi – ha aggiunto indicando il presidente palestinese Abu Mazen, seduto in prima fila – sono la prosperità e la pace, per noi e per i nostri vicini''. Il premier Benyamin Netanyahu e il presidente palestinese Abu Mazen si sono stretti la mano ed hanno parlato brevemente poco prima dell'avvio delle esequie di Shimon Peres sul Monte Herzl a Gerusalemme. Abu Mazen è seduto in prima fila accanto al ministro degli esteri egiziano.

 

Il saluto di Obama  Shimon Peres "ha forgiato la storia di Israele" ha "dato forma" al suo Paese: così il presidente statunitense Barack Obama alla cerimonia funebre per Peres. ''Toda' rabba', haver yakar (grazie tanto, caro amico)'': cosi' Obama ha salutato, appoggiando la mano sul feretro, l'ex presidente israeliano. Obama ha cosi' echeggiato la frase di addio che l'allora presidente Bill Clinton rivolse a Yitzhak Rabin durante i funerali di Stato a Gerusalemme nel 1995.




Israele, morto Shimon Peres. Fu statista e premio Nobel per la pace

ISRAELE – Morto a 93 anni l’ex presidente israeliano Shimon Peres. La morte dello statista premio Nobel per la pace nel 1994 e’ stata riferita dalla radio militare, che ha interrotto la normale programmazione. L’emittente ha precisato che di prima mattina i medici dell’ospedale Tel Ha-Shomer di Tel Aviv terranno una conferenza stampa. Peres era stato colpito due settimane fa da un ictus che lo aveva costretto al ricovero in ospedale. Dopo le prime cure i medici avevano parlato di una condizione critica ma stabile. Ieri d’improvviso il peggioramento delle condizioni di salute, seguite dall’arrivo in ospedale dei familiari e stanotte dalla morte. Il decesso è avvenuto alle 2:15 ora locale (l’1:15 in Italia). Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha convocato per stamane una seduta di lutto del governo israeliano. In un comunicato, Netanyahu e la moglie esprimono ”profondo dolore per la morte di una persona cara alla Nazione intera, ed ex capo di Stato di Israele”.
‘Nella sua vita e con le sue azioni mio padre ci ha lasciato in eredita’ il domani”, ha detto alla stampa il figlio di Shimon Peres, Chemi, incontrando la stampa nell’ospedale Tel Ha-Shomer di Tel Aviv. ”Ci ha ordinato di edificare il futuro di Israele con coraggio e saggezza, e di spianare sempre strade per un futuro di pace”.
Il presidente americano Barack Obama saluta l’ex presidente e premier israeliano Shimon Peres come un uomo di Stato il cui impegno per la sicurezza di Israele e la ricerca della pace “è stato radicato nella sua base morale inscalfibile e nel suo ottimismo instancabile”. In un comunicato diffuso dalla Casa Bianca, Obama afferma che Peres guardava al futuro “guidato da una visione della dignità umana e di un progresso verso il quale lui sapeva che le persone di buona volontà avrebbero potuto avanzare insieme”.

Shimon Peres, nato con il nome di Shimon Perski (in ebraico: שמעון פרס ascolta[?·info]; Višneva, 2 agosto 1923 – Gerusalemme, 28 settembre 2016), è stato un politico israeliano, di origini polacche, Presidente di Israele dal 2007 al 2014.
A lungo esponente di primo piano del Partito Laburista Israeliano, del quale è stato leader ininterrottamente dal 1977 al 1992 e successivamente a più riprese sino al 2005, sin dagli anni settanta ha assunto diversi incarichi di rilevo in seno alle istituzioni di Israele, operando come primo ministro nei periodi 1984-1986 e 1995-1996, nonché come ministro degli esteri (1986-1988, 1992-1995 e 2001-2002), della difesa, dei trasporti, delle finanze. Nel 1994 a Peres è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace insieme a Yitzhak Rabin e Yasser Arafat per gli sforzi nel processo di pace nel Vicino Oriente, culminati con gli Accordi di Oslo. Nel 2005 è diventato vicepremier nel governo di coalizione guidato da Ariel Sharon che gli ha affidato il ministero per lo sviluppo del Negev, della Galilea e dell’economia regionale. Nello stesso anno ha lasciato a sorpresa il Partito Laburista per aderire al partito centrista Kadima fondato dallo stesso Sharon. Eletto presidente d’Israele il 13 giugno 2007, è entrato in carica dal successivo 15 luglio sino al 24 luglio 2014. A partire dal 1º gennaio 2013 è stato il capo di Stato più anziano del mondo