Germania, sventato attentato: arrestato siriano

GERMANIA – Un giovane siriano di 19 anni è stato arrestato a Schwerin, in Germania, con l’accusa di aver pianificato un attentato di matrice islamica. Il piano di Yamen A., stando agli inquirenti, era molto concreto, anche se non è noto l’obiettivo del suo attacco, che sarebbe stato eseguito con materiale altamente esplosivo, in Germania.

La Bild scrive che si era procurato il materiale chimico per costruire una bomba con l’intenzione di “uccidere possibilmente una gran quantità di persone”, come affermano gli inquirenti della Procura, che hanno ordinato l’arresto.

Secondo le prime informazioni, il siriano avrebbe voluto agire personalmente. Non vi sono indicazioni di appartenenza ad alcuna associazione religiosa. È caccia, adesso, ad alcuni giovani del suo giro




Mogadiscio: autobomba esplode davanti a un hotel

Almeno due persone sono morte e altre otto sono rimaste ferite per l’esplosione di un’autobomba, che si presume fosse guidata da un kamikaze, davanti a un hotel nella capitale della Somalia, Mogadiscio. Lo ha riferito il capitano della polizia Mohamed Hussein. L’hotel è frequentato da politici e altri componenti dell’elite della città.Una seconda esplosione è avvenuta nella stessa area.

Secondo la polizia somala, sentiti anche colpi di arma da fuoco dall’interno. Secondo un tweet dell’emittente Al Arabiya, che cita un un proprio giornalista a Mogadiscio, nell’area dell’esplosione “si alza una colonna di fumo”.




Catalogna, dichiarata l’indipendenza da Madrid: Rajoy assume la presidenza

Il parlamento di Barcellona ha dichiarato l’indipendenza da Madrid e ha dato il via al processo costituente della Repubblica. Nelle stesse ore, il Senato iberico ha attivato l’art.155 della Costituzione, che commissaria la regione ribelle.

E oggi il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy ha assunto le funzioni e i poteri del presidente della Generalitat catalana, dopo la destituzione di Carles Puigdemont, ai sensi dell’art. 155 della Costituzione. La vicepremier, Soraya Saenz de Santamaria, assume le funzioni e i poteri del vice presidente catalano al posto del numero due del Govern, Oriol Junqueras. E’ quanto si legge nella Gazzetta ufficiale spagnola pubblicata stamani e ripresa da El Pais.

Inoltre il comandante dei Mossos d’Esquadra, la polizia regionale catalana, Josep Lluis Trapero, è stato rimosso con un ordine del ministero degli Interni spagnolo. La rimozione di Trapero – che ieri non era stata annunciata dal governo spagnolo – è prevista dall’attivazione dell’art. 155 della Costituzione per il commissariamento della Catalogna, pubblicata stamani nella Gazzetta ufficiale, ripresa dai media spagnoli.

“Proteggere e garantire la sicurezza delle persone è la nostra priorità. Continuiamo a lavorare normalmente“. E’ quanto si legge sull’account Twitter dei Mossos d’Esquadra, la polizia regionale catalana, il cui comandante Josep Luis Trapero è stato destituito dal governo di Madrid. Nel post anche la foto di due agenti che camminano tra i passanti in una via affollata.

Le aspirazioni indipendentiste catalane hanno radici lunghe secoli e si sono rafforzate nell’Ottocento, il secolo di nazionalismi. Si è anche sviluppata una letteratura catalana, lingua romanza ben distinta dal castigliano parlata da 10 milioni di persone.

Il 6 ottobre 1934 il presidente del governo autonomo di Catalogna, Lluis Companys, proclamava uno “Stato catalano nel quadro di una Repubblica federale di Spagna”, ancora inesistente. Dieci ore e decine di morti dopo si arrendeva.

“Catalani! – esclamò dal balcone della Generalitat, la sede del governo catalano – In questa ora solenne, a nome del popolo e del
Parlamento, il governo che presiedo assume tutti i poteri in Catalogna, proclama lo Stato Catalano della Repubblica federale
spagnola”. La risposta del governo centrale non si fece attendere. Il comandante militare in Catalogna, generale Domingo Batet, rifiutò di mettersi agli ordini della Generalitat e dopo aver consultato il capo del governo a Madrid, proclamò lo stato di guerra.

Un soldato cadde sotto i colpi di un miliziano, l’esercito rispose con i cannoni. Gli scontri nella notte provocarono fra 46 e 80 morti, secondo gli storici. Alle 6 del mattino del 7 ottobre, 10 ore dopo la proclamazione, Companys annunciò la resa al generale Batet. Venne arrestato insieme al suo governo e a diversi deputati; la loro foto dietro alle sbarre farà il giro del mondo.

Il 14 dicembre, una legge sospese indefinitamente l’autonomia della Catalogna. Rifugiatosi in Francia dopo la guerra civile (1936-1939), Companys fu arrestato dai tedeschi nel 1940 e consegnato al dittatore Francisco Franco. Fu fucilato il 15 ottobre à Montjuic, fortezza che sovrasta Barcellona, diventando un eroe degli indipendentisti catalani.

La questione catalana ha punti di contatto con i Paesi Baschi e la Navarra, dove si parla la lingua basca, che non ha punti di contatto con le altre lingue indoeuropee, ed esiste un forte senso nazionale rispetto a Madrid. I baschi, a differenza, dei catalani per decenni si sono organizzati militarmente in modo clandestino tenendo a lungo testa al governo centrale. Alla fine si è raggiunto un accordo di compromesso in cui alle due regioni basche è stata riconosciuta una forte autonomia, anche fiscale, in base ad accordi speciali.




Assassinio Kennedy: i documenti segreti saranno svelati il 26 aprile

USA – “La attesa diffusione dei #JFKFiles avrà luogo domani. Molto interessante!”, aveva twittato Donald Trump mercoledi’, alla vigilia della scadenza di legge dei 25 anni per la pubblicazione di tutti i documenti sull’assassinio di John Fitzgerald Kennedy. Invece alla fine ha ceduto alle pressioni di Cia, Fbi ed altre agenzie, autorizzando la pubblicazione di 2.800 file (gia’ online sul sito degli Archivi nazionali) ma mantenendone segreti per almeno altrei sei mesi oltre 300, per questioni di “sicurezza nazionale”. Una decisione che ha sollevato delusioni e polemiche, alimentando le teorie cospirative sull’omicidio piu’ indagato della storia Usa.

Cosa nascondo i file ancora classificati? C’erano 25 anni di tempo per prepararsi a questa storica scadenza, e almeno nove mesi per l’amministrazione Trump, perche’ questo rinvio dell’ ultima ora? Sono alcuni degli interrogativi fioccati in serata, dopo la decisione del presidente, che ha ordinato nei prossimi sei mesi un ulteriore esame dei documenti rimasti top secret.

“L’opinione pubblica americana aspetta – e merita – che il suo governo fornisca il maggiore accesso possibile agli atti sull’assassinio del presidente John Fitzgerald Kennedy in modo che la gente possa finalmente essere pienamente informata su tutti gli aspetti di questo evento cruciale”, ha premesso il tycoon in un memorandum, spiegando la sua decisione di “togliere il velo” sulla vicenda. Ma poi aggiunge di non avere “alcuna scelta” – oggi – se non accettare” le censure proposte dai dipartimenti e dalle agenzie della sua amministrazione “piuttosto di consentire un danno irreparabile alla nostra sicurezza nazionale”. La temporanea mancata pubblicazione di alcuni file, a suo avviso, “e’ necessaria per evitare danni alla difesa militare, alle operazioni di intelligence, alle forze dell’ordine, o alla conduzione di relazioni straniere che sono di tale serieta’ da pesare piu’ del pubblico interesse nella pubblicazione immediata”. Insomma, in quei file, alcuni dei quali degli anni Novanta, come ha spiegato in serata la Cia, ci sono i nomi di agenti ed ex agenti segreti, come pure metodi specifici di intelligence e collaborazioni che restano vitali per proteggere la sicurezza del Paese.

Bisognera’ attendere quindi il prossimo 26 aprile per vedere se quei documenti contengono rivelazioni utili a chiarire se l’ex marine Lee Harvey Oswald fu l’unico ad agire e a sparare a Jfk. Nel frattempo storici ed esperti si soni tuffati sugli altri atti divulgati a caccia di nuovi dettagli di un mistero che dura da 54 anni.




Italia Finlandia: 40 anni di collegamento aereo diretto no stop

Questo 2017 è un anno di celebrazioni e festeggiamenti in Finlandia per il centenario dell’indipendenza conseguito allo scoccare della Rivoluzione d’ottobre che vide nel 1917 la fine dell’Impero russo e l’inizio dell’Unione Sovietica; la Finlandia era infatti, dal 1809, un Granducato sotto la sovranità della Russia. Le celebrazioni in corso si svolgono peraltro non solo in Finlandia ma in vari Paesi del mondo ed anche in Italia.

Un altro anniversario, meno appariscente ma particolarmente significativo per i rapporti tra Finlandia ed Italia, è quello dei 40 anni dall’istituzione di un collegamento aereo regolare e non stop tra Helsinki e Roma, un collegamento che ha contribuito e contribuisce non poco alla facilitazione dei contatti commerciali, sociali e culturali tra i due Paesi. La rotta diretta venne inaugurata il 3 aprile 1977 dalla Finnair, la compagnia di bandiera finlandese,ed inizialmente veniva servita con aeromobili Super Caravelle, mentre attualmente i velivoli impiegati sono Airbus della serie 300.
Da quel primo collegamento siamo arrivati ad oggi, con almeno due collegamenti di linea al giorno da e verso la capitale finlandese, con relativo rafforzamento dei rapporti turistici e commerciali bilaterali. Lo scalo su Roma rappresenta inoltre una comoda coincidenza per recarsi in varie destinazioni asiatiche utilizzando la rotta siberiana che riduce di molto i tempi di percorrenza.

Durante il primo anno di operatività, sulla rotta vennero trasportati 9005 passeggeri. Sempre nel 1977, anche Milano veniva collegata con voli diretti verso Helsinki, anche se il collegamento di linea, con scalo, era stato avviato nel 1963. Sempre nel 1977 veniva aperta la sede Finnair di Roma, diretta da Leevi Lätti. La sede fu operativa fino al settembre 2003, quando ormai le metodologie offerte da internet resero meno necessaria la disponibilità di un ufficio in loco. Oltre Milano e Roma, la compagnia finlandese attiva, d’estate, generalmente altre destinazioni con voli diretti da e per l’Italia, come Pisa, Venezia, Catania. Nel 2016 la Finnair ha trasportato poco meno di 11 milioni di passeggeri su tutta la sua rete.

Gianfranco Nitti




Malta, omicidio Daphne Galizia: una democrazia al bivio

E’ dello scorso 28 aprile l’articolo “Malta: si addensano le nubi sul Governo. La Ue indaga” pubblicato su questo quotidiano a firma Emanuel Galea. L’articolo concludeva: “E’una storia che avremmo voluto non raccontare mai” e non avremmo mai immaginato di dover riprendere le fila del discorso per commentare la vicenda poi finita così tragicamente. Una fine che la giornalista Daphne Caruana Galizia non meritava, tantomeno l’isola. Il vile agguato a Daphne Caruana Galizia ferisce la democrazia del paese ed i responsabili del macabro gesto offendono anche il nome di un popolo e la sua storia millenaria.

Malta: si addensano le nubi sul Governo. La Ue indaga

Daphne Galizia era conosciutissima per le sue indagini giornalistiche e per avere rivelato informazioni e rapporti legati al Panama Papers. Per le sue indagini sui dossier maltesi il quotidiano statunitense Politico l’aveva inserita tra le “28 persone che stanno modellando, scuotendo e agitando l’Europa”. La 53enne professionista del giornalismo d’inchiesta si era dedicata con serietà ed impegno “contro la non trasparenza e la corruzione a Malta”.

Fu la Galizia a rivelare il coinvolgimento del ministro Konrad Mizzi e del suo capo del personale Keith Schembri nelle compagnie panamensi anticipando il Panama Papers leak. La giornalista, con tenacia rivelò che il ministro Mizzi teneva dei contatti con Panama e la Nuova Zelanda. A seguito di questa informativa il ministro fu costretto a confermare l’esistenza degli investimenti offshore. Fu sempre grazie alle sue meticolose inchieste che si venne a sapere che le autorità di La Valletta avrebbero distribuito negli ultimi due anni centinaia di passaporti a persone extracomunitarie in cambio di forti somme di denaro bypassando ogni norma europea. Secondo lo stesso portavoce del primo ministro Joseph Muscat, Kurt Farrugia, dal 2014, anno in cui il programma fu lanciato, furono distribuiti almeno 700 passaporti a persone non europee, praticamente cittadinanza europea per migranti ricchi. Un vero scandalo che travolse l’isola,
Daphne Galizia , a Malta si poteva considerare “la voce del diritto” e questo non incontra sempre solo amici.

Sul suo profilo facebook, il sergente di polizia Ramon Mifsud, a seguito dell’atroce delitto ha scritto la frase: “Hadd wara hadd tasal ta kulhadd “ e sotto “Demel !!!!! ………. feeling happy:)” e come se non bastasse , sotto ancora “Daqshekk qala bil platti zewga …haha“. Si riporto la traduzione come l’ha intesa Mathew, figlio di Daphne: “ognuno ottiene ciò che si merita, sterco di vacca. Sentirsi felici”. Quanto scritto dal sergente Mifsud su facebook si commenta da solo e qualifica chi lo ha scritto. Il sergente è stato sospeso dal lavoro e la Commissione del Servizio Pubblico intende aprire un’inchiesta a riguardo.

Intanto sono di fuoco le esternazioni di Mathew, figlio di Daphne che senza tentennamenti dichiara: “Mia madre è stata assassinata perché era per lo Stato di diritto contro chi vuole violarlo. Ecco dove siamo: in un Paese mafioso“. Quello del figlio di Daphne e stato un sfogo lungo e commovente e nel frattempo un durissimo j’accuse: “Il premier ha riempito il suo ufficio di corrotti, la polizia di corrotti e imbecilli, e i tribunali di corrotti e incompetenti”.

A Malta le proteste non si placano. Diversi movimenti sul web chiedono l’allontanamento del sergente Ramon. Cortei e fiaccolate e raccolte firme. L’Isola è stata sconvolta e la democrazia è stata ferita ma la cosa più grave è che si è scoperto un sottobosco di silenzi e connivenze, di ammiccamenti e di opacità, stesse cose che la coraggiosa Daphne aveva per anni denunciato e combattuto.
Il suo impegno deve continuare, qualcuno deve raccogliere i cocci e continuare la sua lotta. Oggi più di ieri, la malavita e la corruttela non dovrebbero soggiogare un popolo pacifico e democratico. Il sacrificio di Daphne va valorizzato e come nella corsa ad ostacoli, ogni maltese si impegni a passare alle generazioni future la staffetta degli impegni che la giornalista ha pagato con il sacrificio estremo.

Emanuel Galea




Orrore a Malta: giornalista uccisa da autobomba

MALTA – La giornalista Daphne Caruana Galizia è rimasta uccisa nel pomeriggio di oggi dall’esplosione dell’auto su cui si trovava a bordo. Lo riferiscono i media locali. Ancora incerta la natura dell’esplosione. Il premier Joseph Muscat ha condannato l’episodio parlando di attacco “barbaro”: “Tutti sanno quanto Galizia fosse critica nei miei confronti, ma nessun può giustificare questo atto barbaro”. La cronista, 15 giorni fa, aveva depositato una denuncia dopo aver ricevuto minacce di morte.

Il premier maltese Joseph Muscat ha affermato che ad uccidere la giornalista investigativa Daphne Caruana Galizia, è stata un’autobomba. Il premier maltese ha precisato che l’esplosione è avvenuta nel pomeriggio dopo che la giornalista Daphne Caruana Galizia, 53 anni, era uscita di casa da Mosta, una cittadina vicino alla capitale La Valletta




De Klerk e Mandela: un bianco e un nero insieme per il Sudafrica libero

Oggi è la ricorrenza di un connubio tra due uomini che hanno segnato la fine dell’apartheid. Era il 15 ottobre del 1993 quando Nelson Mandela e Fredrik De Klerk ricevono a Stoccolma il Nobel per la Pace, per aver liberato il Sudafrica dall’apartheid. De Klerk, A capo del National Party (poi diventato New National Party) dal 1989 al 1997, in qualità di capo di Stato accompagnò il Paese dall’apartheid al post-segregazione razziale, avviando negoziati che si conclusero con l’estensione degli stessi diritti civili dei bianchi a tutte le etnie del Sudafrica e ponendo fine alla trentennale carcerazione di Nelson Mandela, attivista per i diritti delle persone di colore nel Paese.

In ragione di tali riforme sociali e civili fu destinatario del premio Nobel per la pace del 1993 insieme allo stesso Mandela. Quando quest’ultimo divenne suo successore alla presidenza del Sudafrica, de Klerk ne divenne il vice tra il 1994 e il 1996; si ritirò dalla politica attiva nel 1997. Al 2017, de Klerk è stato l’ultimo presidente bianco del Sudafrica.

l 28 agosto 1989, quando era ancora presidente ad interim, si recò nello Zambia per discutere con il presidente Kenneth Kaunda poiché il suo paese ospitava lo stato maggiore e molti campi di addestramento dell’ANC (African National Congress). In tale occasione incontrò segretamente non solo i rappresentanti dell’ANC ma ebbe un incontro anche con dei diplomatici sovietici.

Dopo numerosi negoziati segreti e dopo l’intervento dei paesi confinanti il Sudafrica, detti della “linea del fronte”, il 2 febbraio 1990, nel suo discorso di apertura del Parlamento, de Klerk annunciò la legalizzazione dell’ANC, del PAC (PanAfrican Congress) e del SACP (South African Communist Party), ordinò il rilascio di molti prigionieri politici, ridusse i termini del fermo di emergenza a sei mesi e annunciò la sospensione delle sentenze di morte. Questo annuncio e le azioni che ne seguirono prepararono il terreno per i negoziati che condurranno alla fine dell’apartheid e del governo del National Party. Il 10 febbraio il presidente annunciò la liberazione del leader storico dell’ANC, Nelson Mandela, dopo 26 anni di detenzione.

Nel maggio successivo iniziarono i colloqui fra il governo e l’ANC ai quali seguirono, nel mese di giugno, l’abolizione dello stato di emergenza e il cessate il fuoco da parte dell’ANC. Nel 1991 le leggi che relegavano la popolazione non bianca in determinate aree del paese fu abolita, come fu abolita la classificazione del popolo sudafricano in razze. Grazie a questi provvedimenti il Sudafrica muoveva i suoi primi passi verso una piena e compiuta società multirazziale.

Nel marzo 1992 de Klerk tenne un referendum dove i sudafricani (naturalmente bianchi, gli unici aventi diritto di voto) erano chiamati a pronunciarsi sulle riforme del presidente, sia quelle già passate sia le eventuali future: nonostante le pressioni dell’estrema destra, l’elettorato dette ragione al presidente con il 68% di sì.

Nel 1993 de Klerk fu insignito, insieme a Nelson Mandela, del Premio Nobel per la pace per gli sforzi compiuti nello smantellare pacificamente l’apartheid e per aver gettato le fondamenta per un nuovo Sudafrica libero e democratico.

Ma tale scopo fu raggiunto non senza ostacoli: le riforme portarono molti nostalgici dell’apartheid in seno al National Party ad unirsi al Conservative Party che si opponeva a molte di tali riforme. Inoltre questa nuova situazione portò da un lato alla ripresa dell’opposizione dell’estrema destra boera incarnata dall’organizzazione detta AWB (Afrikaner Weerstandsbeweging, Fronte di Resistenza Afrikaner) diretta da Eugène Terre’Blanche, e dall’altro portò ad un intensificarsi degli scontri fra l’African National Congress e il Partito Inkata per la Libertà di Gatsha Mangosothu Butelezi, alimentati da fonti che rivelavano che il governo forniva aiuti economici e militari a quest’ultimo partito.

Nonostante tutto i negoziati portarono, nel dicembre 1993, al varo di una costituzione provvisoria e, il 27 aprile 1994, alle prime elezioni multirazziali della storia del Sudafrica. De Klerk condusse una campagna elettorale formale e senza speranza contro Nelson Mandela: com’era prevedibile l’ANC uscì trionfante dalle urne e Mandela divenne il primo presidente non bianco del paese.

Il National Party riuscì a salvare il salvabile, ottenendo il secondo posto con il 20% dei suffragi a livello nazionale, corredati dalla maggioranza dei voti e la direzione della nuova provincia del Capo Occidentale. Alla luce dei risultati elettorali de Klerk occupò uno dei due posti di vicepresidenza previsti dalla costituzione del 1993 (l’altro fu occupato da Thabo Mbeki), carica che mantenne fino al giugno del 1996 quando ritirò il suo partito dal governo di unità nazionale con l’ANC. Da questa data fino al 9 settembre 1997, giorno in cui de Klerk annunciò il suo ritiro dalla vita politica, egli guidò l’opposizione al governo di Mandela.

Sebbene siano stati espressi dei dubbi sui motivi che guidarono il Presidente nella sua decisione di abbattere l’apartheid, cioè se questi motivi erano la convinzione che questo regime fosse veramente sbagliato o se i motivi che portarono a questa svolta politica furono più che altro le sempre più incessanti pressioni internazionali e interne, de Klerk ha sempre risposto che lo hanno guidato le sue convinzioni personali: cioè la convinzione che con la fine della segregazione razziale egli avrebbe portato giustizia a tutti, ovvero la convinzione che egli non avrebbe mai potuto fare l’interesse del suo popolo (i bianchi) se questo interesse si fosse basato sul commettere ingiustizia sull’altro e ben più numeroso popolo (i non bianchi) che condivideva con lui lo stesso paese.




Palermo, Roma, Bagheria e Argentina, sgominato maxi traffico di cocaina: 12 arresti

PALERMO – Dalle prime ore della mattina a Palermo, Roma, Bagheria e Tolmezzo (UD), i Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 12 persone, emessa dal Giudice per le indagini preliminari di Termini Imerese su richiesta della Procura della Repubblica di quel Tribunale, nei confronti di trafficanti, fra i quali alcuni appartenenti al mandamento mafioso di Bagheria, che avevano realizzato un traffico internazionale di sostanza stupefacente del tipo cocaina con l’Argentina.

Inoltre, è stato individuato un gruppo di spacciatori prevalentemente operante nei locali notturni delle province di Palermo e Trapani.

E’ stato documentato ancora una volta che il settore degli stupefacenti riveste per cosa nostra un’importanza fondamentale, imprescindibile nelle dinamiche criminali e, al contempo, fonte di accese e continue tensioni tra gli stessi sodali.

TESTA Nicolò, al vertice della famiglia mafiosa di Bagheria, e il suo stretto collaboratore D’AMICO Carmelo entravano in rapporti di “affari” con DRAGO FERRANTE Salvatore, procacciatore all’ingrosso di cocaina che, nel volgere di qualche mese, aveva creato una “squadra”, un gruppo di persone tra cui anche DI SALVO e MILITELLO, dedite all’importazione in Italia di stupefacente proveniente dall’Argentina e alla cessione in favore di spacciatori all’ingrosso sul mercato palermitano. DRAGO FERRANTE Salvatore ha consentito di accedere ad ingenti forniture e a prezzi più bassi rispetto a quelli praticati dai fornitori locali, vantando egli dei contatti con i narcotrafficanti argentini.

Le attività di indagine, condotte anche in territorio estero, hanno consentito il sequestro di 5 chilogrammi di cocaina.

Grazie alle intercettazioni è stato poi individuato un gruppo di giovani palermitani, posto alle dipendenze di TESTA Pasquale (figlio di Nicola) e ROTOLO Salvatore, i quali si erano accordati al fine di reperire stupefacente da piazzare poi sul mercato attraverso una serie di pusher che agivano all’interno di locali notturni.

In dettaglio, le indagini hanno permesso di ricostruire:

–     l’acquisto in Argentina ai fini dell’importazione in Italia di 4,6 kg di cocaina, sequestrati presso l’Aeroporto di Buenos Aires;

–     la cessione di 1 kg di cocaina sulla piazza di spaccio palermitana;

–     un gruppo dedito allo spaccio di stupefacenti di vario tipo (cocaina,  MDMA o MD, Ecstasy, marijuana e hashish) operante in Provincia di Palermo.

 




Weinstein, abusi sessuali: una lucana la prima a denunciare le molestie

Ambra Battilana è stata la prima a denunciare le molestie ricevute, la sera del 28 Marzo 2015, da Harvey Weinstein, il 65enne produttore cinematografico americano che secondo una recente inchiesta del New York Times avrebbe molestato attrici e dipendenti della Miramax e della The Weinstein Company, offrendo favori alla carriera di aitanti e giovanissime modelle in cambio di favori sessuali.

Anche Asia Argento ha dichiarato di aver ricevuto avance da parte di Weinstein, non è chiaro se sia stata abusata oppure a cui abbia ceduto, in cambio di grandi agevolazioni nel mondo cinematografico americano. Ambra Battilana, 24enne modella originaria di Melfi, aveva raccontato di essere stata vittima delle attenzioni quasi maniacali dell’uomo, incontrato a New York.

Secondo quanto raccontato dal “Daily Beast”, la polizia avrebbe chiesto proprio alla modella lucana di fare da “esca” per arrestare Weinstein in flagranza di reato. I difensori di Weinstein sono certi che il loro assistito non sarà neanche formalmente incriminato, mentre il legale di Battilana ha detto in un’intervista che «non esiste assolutamente alcun tentativo di ricatto». Anzi, «con queste insinuazioni si aggiungono insulti ai danni, provocando una doppia vittimizzazione».

La modella era già nota in Italia per via della sua testimonianza, come “Bunga-Girl”, nel processo “Ruby” che vedeva protagonista Silvio Berlusconi, grazie a questa vicenda, Michael Slifkin, principal/partner ARCHSTONE PICTURES, ha girato un lungometraggio, frutto di un contratto che l’azienda ha stipulato con Ambra Battilana, il tutto è stato girato durante le giornate finali del festival del cinema di Cannes 2016 per co-produrre un film basato sugli eventi che riguardano le sue personali esperienze con Silvio Berlusconi, ex primo ministro italiano.

Anche se dubbie le circostanze e la veridicità delle sue informazioni, Battilana ha formalmente denunciato Weinstein, avendo con se anche degli audio probatori delle spinte e perverse avance ricevute. La Polizia sta effettuando tutte le indagini del caso, che resta, tutt’ora aperto.
Giulia Ventura




Catalogna: Puigdemont dichiara l’indipendenza e poi la sospende per favorire il dialogo con Madrid

All’indomani del discorso al parlamento di Barcellona del presidente catalano Puigdemont, che ha dichiarato l’indipendenza ma l’ha sospesa per favorire il dialogo con Madrid, è il momento delle contromosse del governo centrale. Il premier spagnolo Mariano Rajoy terrà una conferenza stampa alla fine dei lavori del consiglio dei ministri straordinario; dovrebbe parlare verso mezzogiorno. Nel pomeriggio riferirà al Congresso dei deputati. Sul tavolo c’è fra l’altro la possibilità di applicare l’art.155 della costituzione che consentirebbe la sospensione dell’autonomia catalana. ‘Andremo avanti lo stesso‘, dice il portavoce del governo catalano.

Art. 155 e 116 su tavolo di Rajoy – Due articoli della costituzione spagnola, il 155 che consentirebbe di sospendere l’autonomia catalana, e il 116, che permette di istituire lo ‘stato di eccezione’ in una parte del territorio dello stato, possono essere usati dal premier Mariano Rajoy se opta per la mano dura con la regione ribelle. Per l’applicazione del 155 ci vuole il via libera del senato, dove il Pp di Rajoy ha la maggioranza assoluta, per il 116 è necessario quello del Congresso, dove Rajoy è minoritario.

La Catalogna ieri si è dichiarata indipendente. Per un minuto. Alle 19.41 il presidente Carles Puigdemont ha proclamato la Repubblica catalana. Alle 19.42 ha sospeso la secessione, per tentare “una tappa di dialogo” con Madrid. Ma in serata c’è stato anche tempo per la firma della dichiarazione da parte delle massime cariche della Catalogna e dai rappresentanti della maggioranza di governo. Un gesto simbolico, visto che, come ha detto anche un portavoce della Cup, l’ala più oltranzista del fronte indipendentista, la dichiarazione firmata “non è ancora valida”. Immediata la reazione di Madrid. Prima con fonti che hanno definito “inammissibile una dichiarazione implicita di indipendenza e poi una sua sospensione esplicita”.”Il governo – hanno aggiunto – non cederà a ricatti”. Poi con la vice di Rajoy, Soraya Saenz de Santamaria, che ha detto che oggi “Puidgemont ha esposto la Catalogna al grado massimo di incertezza”. “Non si può accettare una legge che non esiste o dare validità ad un referendum mai avvenuto”. Domani mattina alle 9 è stato convocata una riunione d’emergenza del governo, ha aggiunto. E questa sera Rajoy ha visto i principali leader politici di Madrid, tra cui il capo dei socialisti Pedro Sanchez. Alla dichiarazione si è arrivati dopo ore di trattative ad alta tensione con le varie componenti del fronte indipendentista. Sommerso dagli appelli da tutto il mondo perché evitasse un gesto “irreparabile”, il leader catalano alla fine ha optato per la ‘formula slovena’. Così aveva fatto Lubiana al momento della separazione da Belgrado: aveva dichiarato l’indipendenza, ma l’aveva sospesa per sei mesi, per arrivare a un divorzio negoziato con Belgrado. Una grandissima incertezza su quanto avrebbe detto incombeva su Barcellona da due giorni. I suoi ministri da domenica hanno tenuto le bocche cucite. La legge catalana del referendum prevedeva una dichiarazione di indipendenza entro due giorni dalla proclamazione dei risultati, in caso di vittoria del ‘sì’ al referendum del primo ottobre. Mille giornalisti di tutto il mondo hanno invaso il parlamento per seguire il suo storico discorso, trasmesso in diretta planetaria. Un discorso iniziato con un’ora di ritardo. Sessanta minuti nei quali ci sono state frenetiche trattative con la Cup, l’ala sinistra del fronte indipendentista, ostile all’indipendenza sospesa. E, sembra, telefonate con una personalità europea impegnata in un’opera di mediazione. Si è parlato di Jean Claude Juncker e del Consiglio d’Europa. Che hanno smentito. C’è stato invece poco prima dell’intervento di Puigdemont un appello del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, che ha chiesto al leader catalano di evitare l’irreparabile. Probabilmente ha avuto effetto. Il cammino già percorso dal governo secessionista catalano è impressionante. Ha potuto tenere il referendum nonostante la repressione di Madrid, ha reso la causa catalana popolare nel mondo, grazie anche allo shock delle immagini delle cariche della polizia spagnola contro la folla ai seggi. Ma sul cammino della vera indipendenza, il difficile inizia ora. Perché la Catalogna possa diventare davvero una Repubblica in grado di reggersi sulle sue gambe, un accordo con Madrid sembra necessario. Come avevano capito i dirigenti sloveni. Puigdemont oggi ha teso ancora una volta la mano a Madrid. “Non abbiamo nulla contro la Spagna e contro gli spagnoli. Anzi, vogliamo capirci meglio. Non siamo delinquenti, pazzi o golpisti, siamo gente normale che vuole poter votare”, ha detto in spagnolo. Il ‘president’ ha ricordato l’infelice vicenda dello ‘statuto catalano’ del 2006, ratificato dal popolo della Catalogna e poi bocciato nel 2010 dalla Corte costituzionale spagnola, “i cui giudici sono eletti dai due grandi partiti” di Madrid, Pp e Psoe. Così la Catalogna, ha accusato, è stata “umiliata”. Da allora sono iniziate le marce oceaniche per l’indipendenza a Barcellona, e la corsa al referendum. La sospensione della dichiarazione di indipendenza deve permettere uno spazio di dialogo, ha auspicato Puigdemont. L’obiettivo è arrivare a un compromesso con Madrid. Non sarà facile. Rajoy ha preannunciato durissime misure se Puigdemont avesse dichiarato l’indipendenza. Senza escludere l’utilizzo dell’articolo 155, che consentirebbe di destituirlo e di sospendere l’autonomia catalana. Puigdemont rischia anche l’arresto per “ribellione”. Ma su Rajoy sono puntati ora gli occhi di tutto il mondo. Che difficilmente accetterebbe nuove immagini di violenza in Catalogna. “L’Italia ritiene inaccettabile la dichiarazione unilaterale di indipendenza e rigetta ogni escalation. Esprimiamo la nostra fiducia nella capacità del governo spagnolo di tutelare l’ordine e la legalità costituzionali e, di conseguenza, di garantire il rispetto dei diritti di tutti i cittadini”, è la posizione di Roma espressa in serata dal ministro degli Esteri Angelino Alfano.